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« Torna agli articoli di Don Stefano Bimbi
Il mese di novembre è un periodo propizio per ricordare il filo che lega vivi e morti. Coloro che stanno espiando la loro pena nel Purgatorio hanno bisogno della nostra preghiera che può alleviare e abbreviare la loro pena. Nella Divina Commedia le anime del purgatorio si avvicinano a Dante chiedendo di essere ricordate ai loro cari sulla terra perché preghino per loro. Questo aiuto spirituale si chiama suffragio. La parola viene dal latino suffragium, che significa voto. Se ci si pensa quando alle elezioni si parla di suffragio ci si riferisce all'azione di votare oppure anche al diritto di voto. Comunque per quello che qui ci interessa il suffragio indica in modo particolare l'aiuto offerto alle anime dei defunti tramite l’intenzione che il sacerdote applica loro nella Messa.
Così come ha ricevuto il potere di consacrare, il sacerdote ha ricevuto anche il potere di destinare un particolare beneficio del sacrificio di Cristo a favore di una determinata intenzione. Certamente anche i fedeli possono pregare durante la Messa secondo le loro particolari intenzioni. Ma il sacerdote agisce in persona Christi, identificandosi con Cristo. Quando pronuncia le parole consacratorie del pane e del vino è in realtà Cristo che le pronuncia attraverso le labbra e l'intenzione del sacerdote. Altrettanto avviene per la destinazione del sacrificio per un'intenzione particolare che diventa quella di Cristo stesso.
Ci si potrebbe chiedere se l'usanza di offrire sacrifici in espiazione dei peccati dei defunti sia nata dopo la venuta di Cristo oppure se ci sono tracce in tal senso nell'Antico Testamento. Ebbene la risposta si trova nel secondo libro dei Maccabei dove si legge che Giuda «fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato» (2Mac 12,45). Con la venuta di Cristo si porta a perfezione questo sacrificio veterotestamentario con il vero e unico sacrificio del Figlio di Dio che muore sulla croce.
L'INTENZIONE PER PIÙ DEFUNTI
Quando le persone mi chiedono di applicare l'intenzione della Messa per un particolare defunto sono desiderose di sapere se possono farlo per più defunti oppure per uno soltanto - e chiedono se in tal caso "costa di più". Occorre innanzitutto precisare che la relativa offerta va al sacerdote, non alla parrocchia (come accade per tutte le altre: quelle raccolte a metà Messa dai fedeli, quelle delle candele, delle benedizioni delle case e qualunque altra offerta). Le offerte per le intenzioni della Messa sono le uniche che percepisce direttamente il sacerdote perché in quel momento lui rinuncia alla sua intenzione per offrire quella del richiedente. L'offerta è libera e, al limite, è compito dei vescovi stabilire la cifra massima che un sacerdote può chiedere per cui non si tratta di fissare il "prezzo" della Messa, semmai mettono semplicemente un tetto massimo a protezione dei fedeli da eventuali, rarissimi, abusi. In genere il sacerdote non chiede una cifra, ma se il fedele lo domanda questi può dirgli appunto l'offerta stabilita dal vescovo. Naturalmente un fedele può dare anche una cifra minore in base alle sue disponibilità e il sacerdote è comunque obbligato a celebrare la Messa per la sua intenzione. Per tornare alla domanda se un'intenzione possa essere per più defunti e se in tal caso "costa di più", rispondo con la storiella della mela: comprando una mela, questa non costa più o meno a seconda se a mangiarla siamo in una, due, tre o più persone. Una mela costa sempre lo stesso, anche se ovviamente più sono le bocche da sfamare, più piccolo sarà lo spicchio che toccherà a ciascuno. Questo esempio banale serve per dire che siccome il beneficio che traiamo dalla Messa è finito, gioviamo maggiormente ad un defunto se applichiamo solo per lui che associandolo ad altri. Questo non perché il sacrificio di Cristo abbia un valore finito, bensì infinito. Ma è finito il beneficio che noi ne traiamo. Come il sole che ha un potere enorme di riscaldare ma, se siamo lontani da lui, il beneficio che ne ricaviamo è minore.
Ci si potrebbe chiedere se quando il sacerdote applica la Messa a un particolare defunto sia necessario che, durante la consacrazione, pensi esplicitamente al defunto. In realtà la risposta è no, essendo sufficiente che prima della Messa sappia per chi celebra. Per questo si usa ricordare il nome dei defunti per i quali viene offerta quella Messa all'inizio oppure al momento della preghiera dei fedeli. Comunque l'attenzione del sacerdote è quella richiesta comunemente in tutte le nostre azioni. Ad esempio quando mangiamo pensiamo a molte cose e parliamo di mille cose. Tuttavia sappiamo bene che cosa stiamo mangiando, anche se non ci pensiamo quando portiamo il cibo alla bocca. Durante la consacrazione il sacerdote, ad esempio, può essere immerso nella preghiera fervorosa per il Santissimo Sacramento, ma nonostante questo l'intenzione viene correttamente applicata al defunto che anzi ha meriti accresciuti dal fervore del sacerdote.
VIETATI ELOGI E APPLAUSI
Infine va ricordato che l'omelia durante una Messa in suffragio non dovrebbe mai trasformarsi in un elogio del defunto. La predica deve rimanere centrata sulla fede e sulla speranza nella risurrezione, piuttosto che diventare un discorso celebrativo. Bisogna parlare della misericordia di Dio per l'anima del defunto e della consolazione per coloro che soffrono per la perdita. Sono inoltre sconsigliati gli interventi alla fine della Messa dove parenti o amici fanno discorsi strappalacrime o che suscitano l'applauso. Scriveva acutamente l'allora cardinal Ratzinger: «Là, dove irrompe l'applauso per l'opera umana nella liturgia, si è di fronte a un segno sicuro che si è del tutto perduta l'essenza della liturgia e la si è sostituita con una sorta di intrattenimento a sfondo religioso» (J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, Sanpaolo, Cinisello Balsamo 2001). La casa del Signore non è un teatrino e la S. Messa non è una performance artistica. Per questo sono assolutamente fuori luogo gli applausi (anche in occasione di matrimoni, battesimi, funerali, ecc.). Si applaude agli uomini, mentre l'adorazione è il giusto atteggiamento nei confronti di Dio: per questo in chiesa, la casa di Dio, non si applaude mai, nemmeno agli uomini perché siamo lì per adorare e lodare Dio, non per celebrare gli uomini. Riccardo Muti, per vent'anni direttore musicale del Teatro alla Scala di Milano, sul Corriere della Sera del 27 giugno 2021 denunciava gli applausi in chiesa affermando: «Sono cresciuto in un mondo in cui ai funerali c'era un silenzio terrificante. Ognuno era chiuso nel suo vero o falso dolore. Per i più abbienti c'era la banda che eseguiva lo Stabat Mater di Rossini o marce funebri molfettesi, famose in Puglia. Quando sarà il mio turno, vorrei che ci fosse il silenzio assoluto».
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