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« Torna agli articoli di Giovanni Bensi

La scomparsa di Aleksandr Solzhenitsyn è stata l’occa¬sione perché in Russia venis¬sero alla luce le difficoltà che ha la nazione a metabolizzare il proprio passato. Gli oltre settant’anni di re¬gime comunista continuano a pe¬sare sulla memoria del Paese e le contraddizioni tra rimozione, de¬nuncia e tentativi di cancellare gli orrori ogni tanto esplodono. Così accade che vittime e carnefici ri¬posino fianco a fianco, o che si e¬salti chi ha denunciato i crimini e nello stesso tempo si giustifichi chi quei crimini ha commesso (lo rac¬contiamo nell’articolo sotto).
L’autore di Arcipelago Gulag, scom¬parso all’inizio di agosto, è sepolto nel campo santo del monastero Donskoj di Mosca, a poca distanza dal luogo dove furono gettate le ce¬neri di Nik olaj Ezhov, capo del-l’Nkvd negli anni ’30 e predecesso¬re del più noto Lavrentij Beria, uno dei principali organizzatori dello stesso Gulag, il sistema dei lager staliniani. Nello stesso cimitero so¬no però sepolte anche le ceneri di migliaia di vittime del terrore. Lo ha rivelato il quotidiano Moskov¬skij Komsomolets, che parlato an¬che dalla sorte subita dal mona¬stero durante il regime sovietico, quando esso fu tolto alla Chiesa or¬todossa russa, per esserle restitui¬to solo dopo il 1991. Il cosiddetto 'cimitero nuovo' sul territorio del monastero esiste da¬gli inizi del XX secolo. Poco prima della rivoluzione bolscevica del 1917, ricorda il giornale, nel cam¬po santo fu avviata la costruzione di una chiesa dedicata a san Sera¬fino di Sarov, ma l’edificio non poté essere terminato a causa della ri¬voluzione.
Nel 1927, sotto la direzione dell’ar¬chitetto Dmitrij Osipov, esso fu tra¬sformato in modo da poter acco-gliere i forni crematori in cui bru¬ciare i cadaveri dei cosiddetti 'ne¬mici del popolo' fucilati in massa dall’Nkvd. A partire dal 1930, rife¬risce il Moskovskij Komsomolets, a Mosca «incominciò a funzionare u¬na vera catena di montaggio della morte. I corpi di coloro che veni¬vano fucilati nei sotterranei della Lubjanka, e in altri luoghi dove si e¬seguivano la 'sentenze', di notte venivano trasportati con camion coperti al monastero Donskoj. Le ciminiere del crematorio eruttava¬no fumo nero per tutta la notte». Insomma, il comunismo, non solo nelle dimensioni, ma anche nelle 'tecnologie' dello sterminio, si ri¬vela sempre più simile al nazismo. Seguiamo il racconto del giornale: «Le ceneri rimaste dopo la crema&sh y;zione di decine e centinaia di 'con¬trorivoluzionari', venivano sepol¬te nel cimitero stesso, in una gran¬de fossa comune appositamente scavata. Quando essa fu piena, ven¬ne coperta con un tumulo sul qua¬le si infisse una tavoletta di legno con la scritta: 'Tomba comune N. 1. Inumazione delle salme non ri¬chieste dai familiari 1930-1942'».
Moskovskij Komsomolets svela che nel monastero Donskoj è stata i¬dentificata un’altra fossa comune contenente le ceneri degli ' ele¬menti antisovietici' fucilati dopo il 1945. «Queste 'operazioni segrete' – riporta il giornale – continuarono fino al 1953», cioè fino alla morte di Stalin. «L’esatto numero delle per¬sone bruciate e sepolte nel 'cimi¬tero nuovo' del monastero Don¬skoj è sconosciuto. Secondo i do-cumenti amministrativi conserva¬ti fino ad oggi, solo nel periodo dal 1937 al 1941 nei forni crematori fu-rono 'trattati' (come si diceva nel terribile gergo burocratico, ndr) i corpi di circa 4.500 fucilati. Ma il lo-ro numero complessivo può rag¬giungere, secondo l’opinione di al¬cuni ricercatori di Memorial, i 13.000». Il giornale moscovita pro¬segue: «Fra questi morti 'non ri¬chiesti dai familiari' vi sono molte persone famose. È praticamente certo che qui si trovano le ceneri del regista Vsevolod Meyerhold, dello scrittore Isaak Babel, dei 'ma¬rescialli rossi ' caduti in disgrazia Mikhail Tukhacevskij e Vasilij Bljukher'.
Il Moskovskij Komsomolets conclu¬de: «Insieme con le vittime delle re¬pressioni politiche attraverso il cre¬matorio del Donskoj passarono an¬che i loro carnefici a loro volta di¬venuti ' nemici del popolo'. Uno dei più odiosi è il 'commissario del popolo' agli interni, il capo del¬l’Nkvd Nikolaj Ezhov, che prima or-ganizzò il Grande Terrore degli an¬ni 1937-1939, e poi finì egli stesso nell’enorme tritacarne che aveva costruito».
Le notizie raccolte dal quotidiano forse gettano una nuova luce sui motivi, finora alquanto misteriosi, che indussero Solzhenitsyn a chie¬dere al Patriarca Alessio II il per¬messo di essere sepolto proprio nel monastero Donskoj, che di solito non è aperto a nuove inumazioni. Il grande scrittore fece riferimento alle «esperienze della giovinezza» che lo legavano a quel luogo: ecco, forse egli voleva che la sua ultima dimora terrena, nonostante la pre¬senza delle ceneri di Ezhov, fosse accanto alle migliaia di vittime che avevano sofferto come quelle da lui descritte nelle proprie opere.
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