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« Torna agli articoli di Carlo Bellieni

Il Parlamento Europeo ha votato ieri a grande maggioranza (622 sì, 32 no e 25 astenuti) una risoluzione che chiede di vietare la clonazione di animali a scopi alimentari. I motivi sono quelli autorevolmente sollevati diverse volte dalla comunità scientifica: gli animali clonati stanno male; e non sappiamo se mangiarli sia privo di effetti nocivi. Dunque, è doveroso cautelarsi per tutelare la salute delle persone.
Ci congratuliamo per la posizione assunta in modo pressoché unanime dall’assemblea di Strasburgo, ma al tempo stesso è difficile non chiedersi perché tanta attenzione non si gioca anche nel campo della clonazione umana. Già: l’Europa che vieta i cibi Ogm e gli animali clonati è la stessa Europa che lascia clonare gli embrioni umani o permette che se ne facciano chimere con animali, o addirittura con piante. Strano?
Non tanto, se consideriamo alcuni fatti recenti: come gli allarmi mediatici per l’uso indiscriminato di antidepressivi e ansiolitici destinati ai cani, per i quali si chiede invece un approccio meno chimico e più 'psicologico'; oppure la richiesta della Commissione svizzera di etica che teorizza uno status morale per le piante; o ancora la mobilitazione politica in Spagna per una legge che riconosca diritti civili ai macachi (mentre quelli degli uomini sono spesso misconosciuti e trascurati).
Non deve quindi sorprendere che si usi sempre più attenzione per gli animali e sempre meno per l’uomo. Lo scienziato ha però il dovere di ricordare che la manipolazione fa esprimere i geni in maniera differente.
Dunque le cellule umane clonate o mischiate con cellule di altri animali rischiano di dar luogo a geni che non vorremmo fossero espressi, con immaginabili effetti negativi.
Non è un discorso nuovo o astratto: si chiama «epigenetica», ed è una branca della biologia in forte evoluzione.
Ci piacerebbe allora che il principio di precauzione non venisse invocato a intermittenza. Come dice il celebre ambientalista (laico) Enzo Tiezzi nel libro «Una gravidanza ecologica», «per questo secolo sono già scesi in pista, con la stessa mentalità della cieca fede nel progresso, gli apprendisti stregoni delle biotecnologie, dei cibi transgenici e della manipolazione dell’embrione umano. Il minimo comune denominatore (…) è rappresentato dal non tener conto del principio di precauzione, dal credere che la super-specializzazione sia sinonimo di conoscenza scientifica», obbedendo «a diktat di dominio e di calcolo economico».
Purtroppo sui media sta passando il messaggio opposto: sembra cioè che richiedere precauzione sull’uomo equivalga a bloccare la ricerca.
Niente di più falso, anche perché se lasciassimo avanzare indistintamente ogni filone di ricerca si finirebbe con lo sprecare risorse e quindi fare meno ricerca utile. Bisogna viceversa concentrare le forze sulle ricerche che hanno come destinatari il maggior numero di persone e che vantano più possibilità di successo, ricordandosi sempre che se una strada terapeutica risolutiva è stata imboccata non vale la pena sprecare risorse in ricerche non chiaramente efficaci per il medesimo obiettivo. Penso all’uso delle staminali adulte rispetto agli insuccessi di quelle prelevate agli embrioni umani.
Non è quindi inutile chiedere che l’Europarlamento volga i suoi richiami a tutti gli ambiti di ricerca in cui esiste il rischio di somministrare all’uomo cibi o farmaci a rischio. Lasciando in pace gli embrioni umani.
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