BastaBugie n�439 del 03 febbraio 2016

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SE LA VITA DI UN GATTO VALE PIU' DI QUELLA DI 7 UOMINI
Uccide un gatto e viene condannato a due anni di carcere senza condizionale, invece un medico ha ucciso con l'eutanasia sette uomini, ma con la condizionale è già tornato al lavoro
Autore: Leone Grotti

In Francia la vita di un gatto vale più di quella di sette uomini? È lecito farsi questa domanda dopo che il tribunale penale di Nizza ha condannato un uomo di 30 anni a due anni di carcere, più sei mesi con la condizionale, per aver dato fuoco a un gatto e averlo gettato fuori dalla finestra della casa al settimo piano in cui viveva.
Sébastien Lebras non ha saputo spiegare il suo gesto: «Non ero io, non so come ho potuto farlo». Una decina di organizzazioni per la difesa degli animali si sono costituite parte civile, mentre più di 50 donne hanno manifestato fuori dal tribunale contro la «crudeltà del torturatore». Il giudice della Corte ha confermato la pena «esemplare» richiesta dal pubblico ministero.

SETTE UOMINI UCCISI
Nel giugno del 2014, diciotto mesi prima di questa sentenza, Nicolas Bonnemaison, medico d'urgenza dell'ospedale Bayonne, è stato trattato in modo molto diverso. Il dottore aveva ammesso di aver ucciso sette persone in fin di vita con un veleno senza consultare nessuno, né i medici, né i pazienti, né le famiglie dei malati. Aveva detto di averlo fatto per il loro bene, «perché non soffrissero».
Bonnemaison è stato completamente assolto per l'uccisione di sei pazienti e condannato a due anni di carcere con la condizionale per il settimo. Secondo il tribunale, non andava condannato perché ha agito «in modo compassionevole». Per la moglie del medico, «Nicolas non è un assassino, né un avvelenatore, ma un buon dottore. Non ha mai posto fine a una vita. Ha solo accorciato delle agonie». Bonnemaison, da parte sua, aveva dichiarato: «L'eutanasia non è la mia battaglia. Io voglio alleviare le sofferenze dei pazienti. Fare in modo che non soffrano più». Chissà se anche i pazienti erano d'accordo, visto che non li ha consultati prima di ucciderli.

CONCLUSIONI ABERRANTI
Mentre Sébastien Lebras, che si è pentito del suo gesto ed è stato chiamato «torturatore», passerà i prossimi due anni in carcere, Nicolas Bonnemaison, definito «compassionevole», che ha rivendicato i sette omicidi come giusti, godendo della condizionale è già tornato a lavorare nel suo vecchio ospedale. L'Ordine dei medici l'ha radiato dall'Albo, ma la struttura pubblica gli ha affidato compiti amministrativi, ritenendo il licenziamento una punizione troppo dura.

Nota di BastaBugie: il precedente articolo ci ha fatto finalmente capire che per questa società un gatto non è solo un gatto. Rino Cammilleri nell'articolo dal titolo "Topolino e Pippo? Non sono più (solo) amici dei bambini" ci racconta un fatto che gli successe tempo fa quando scrisse che un cane era un cane. Pioggia di critiche. Allora modificò in: un cane non è un cane. Peggio di prima. Insomma in un mondo impazzito non sai più cosa dire e nemmeno cosa pensare...
Ecco l'articolo integrale pubblicato da La Nuova Bussola Quotidiana il 20-01-2016:
Walt Disney è stato uno dei più grandi geni del Novecento. Tipo ideale del "sogno americano", anche lui cominciò in un sottoscala, da solo, senza un soldo, e armato solo di una matita e un foglio di carta. Le fiabe della grande cultura europea furono la sua ispirazione: Esopo, Fedro, Perrault, i fratelli Grimm. Il suo unico target, i bambini.
Anche Hollywood dovette inchinarsi a lui e attribuire l'Oscar addirittura a un film di disegni, Biancaneve (e negli anni Trenta!). Perfino i grandi dittatori del ventesimo secolo lo adoravano: Mussolini, Hitler, Tito, che si facevano proiettare privatamente i suoi film, chi apertamente, chi di nascosto. Walt Disney, non è un segreto, era un conservatore, un «Dio, patria & famiglia» alla John Wayne tanto per intendersi, gente per cui il "sogno" americano era inscindibile dai "valori" americani di una volta. Ma poi papà Disney è morto e una potentissima multinazionale ha preso il suo posto. Disney era "papà" perché, come si è detto, aveva indirizzato tutto il suo lavoro ai bambini. Questo, commercialmente, si traduceva in prezzi contenuti, appunto alla portata delle famiglie, e moralità assoluta di antico stampo puritano.
Oggi, non è un mistero, la Disney s.p.a. è in prima fila per prezzi e "aperture" al mondo Lgbt, esperiamo che i suoi strateghi siano così furbi da non perdere, col target originario, sia questo che quello. Il fatto è che ci sono alcuni character di successo - anche internazionale - che devono tutto al fatto di non essersi allontanati dalla spirito dei padri fondatori. Per restare in Italia, pensiamo a Tex: il suo editore, Sergio Bonelli, era di simpatie bertinottiane, ma mai si sognò di adeguare il personaggio inventato dal padre Luigi alla sua personale visuale o alle mode via via politicamente corrette. Stessa cosa in casa Diabolik: creato da due sorelle radical-chic, si mantiene da sempre, ed esplicitamente, nello spirito originario.
Invece la Disney ormai sembra solo inseguire il soldo, tanto da guadagnarsi le critiche di George Lukas, ideatore della saga di Guerre Stellari e venditore della stessa alla Disney. La quale gli ha mandato a dire di stare attento a come parla, perché i migliori avvocati del mondo possono ben ricordargli che, se ci teneva alla sua creatura, non doveva cederla. Se posso permettermi un aneddoto personale, anni fa anch'io ebbi a che fare con la Ditta. La Rizzoli andava pubblicando una collana sui grandi personaggi dei fumetti e ne affidava le prefazioni a Vip. Per esempio, la prefazione di Tex venne scritta dal sindacalista Sergio Cofferati. Io avrei preferito occuparmi di Batman, ma fu chiamata una scrittrice che, in quel momento, godeva di una certa fama e di cui non ricordo il nome. Così, a me toccò Pippo (Goofy, dell'universo disneyano) e solo perché ogni altro interpellato aveva declinato. Accettai, perché di fumetti mi intendevo. E, credendo di essere brillante e spiritoso, intitolai la mia prefazione "Pippo è un cane". Nessun intento denigratorio, naturalmente: Topolino è un topo, Paperino è un papero, Orazio è un cavallo, Clarabella una mucca, Gambadilegno un gatto.
Subito, però, gli emissari della Disney mandarono al mio editore un foglio in cui c'erano le direttive a cui dovevo obbligatoriamente attenermi. In esse c'era scritto, con molte alate parole, che Pippo non era un animale, ma un personaggio a sé stante, e vi confesso che non ho ancora capito che cosa intendessero dire. Era allora un essere umano? Boh. Purtroppo avevo già firmato il contratto e dovetti capitolare. Ma, tra l'indispettito e il divertito, titolai così la nuova prefazione: "Pippo non è un cane". Non l'avessi mai fatto. Il foglio di istruzioni mi venne ribadito con maggior fermezza e il risultato fu la più banale prefazione che abbia scritto in vita mia. C'era una volta Walt Disney, l'uomo che, vivo lui, non permise mai che il business facesse aggio sulla fantasia al servizio dei bambini. Ci manca tanto.

Titolo originale: In Francia la vita di un gatto vale più di quella di sette uomini
Fonte: Tempi, 02/02/2016

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