BastaBugie n�150 del 23 luglio 2010

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1 CONDANNATI PER PEDOFILIA UN SACERDOTE E UNA COPPIA DI SPOSI A CUI VENGONO SOTTRATTI I QUATTRO BAMBINI, MA E' UN CLAMOROSO ERRORE!
Don Giorgio Govoni muore di crepacuore per l'ingiusta condanna; la famiglia è distrutta; poi, dopo 12 anni, la sentenza che li dichiara totalmente innocenti
Fonte: Il Foglio
2 MEL GIBSON SOTTO I RIFLETTORI DEI MEDIA PER LE SUE BRAVATE
Ecco perché nel suo momento di crisi, continuiamo a sostenere il regista de La Passione di Cristo e Apocalypto
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Il Timone
3 OBAMA CONCEDE ALL'ESERCITO IL POTERE DI FARE GUERRA... ALL'EMBRIONE
Negli stanziamenti per la Difesa americana nel 2011 sta per essere eliminato il divieto di praticare aborti negli ospedali dell’esercito americano
Autore: Valentina Fizzotti - Fonte: Avvenire
4 LA STORIA INCREDIBILE DI UNA MADRE SCAMPATA DAL GENOCIDIO COMUNISTA
Quando Pol Pot e i Khmer Rossi uccidevano un terzo della popolazione cambogiana per creare il paradiso in terra (e l'Occidente stava a guardare...)
Autore: Antonio Padovano - Fonte: L'Ottimista
5 GESU' CON DONNE NUDE SULLA COPERTINA DI PLAYBOY
L'edizione portoghese offende il sentimento religioso della maggioranza per ricordare José Saramago, un sacrilego premio Nobel
Fonte: Libero-news.it
6 IN FRANCIA VOGLIONO FAR CREDERE CHE GLI IMMIGRATI SONO POCHI E CHE SI PUO' STARE TRANQUILLI
Peccato che siano statistiche manipolate al ribasso per non far allarmare la popolazione di fronte all'invasione in corso
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur
7 NESSUNA AUTORITA' SU QUESTA TERRA PUO' GIUDICARE IL PAPA E LA CHIESA
Altrimenti la Chiesa viene privata della sua dimensione giuridica sovranazionale e ridotta ad associazione privata
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radici Cristiane
8 LETTERE ALLA REDAZIONE: NELLA MESSA IN LATINO NON SI CAPISCE NIENTE?
Eppure sembra vero l'esatto contrario...
Autore: Giano Colli - Fonte: BASTABUGIE
9 OMELIA PER LA XVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 11, 1-13)

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - CONDANNATI PER PEDOFILIA UN SACERDOTE E UNA COPPIA DI SPOSI A CUI VENGONO SOTTRATTI I QUATTRO BAMBINI, MA E' UN CLAMOROSO ERRORE!
Don Giorgio Govoni muore di crepacuore per l'ingiusta condanna; la famiglia è distrutta; poi, dopo 12 anni, la sentenza che li dichiara totalmente innocenti
Fonte Il Foglio, 17 giugno 2010

Quando il 9 giugno scorso la Corte d’appello di Bologna ha assolto Lorena e Delfino Covezzi dall’accusa di pedofilia nei confronti dei loro figli (dai quali sono stati separati dodici anni fa), il parroco di Massa Finalese, don Ettore Rovatti è andato a celebrare messa come ogni mattina. E durante l’omelia ha pianto. Ha pianto per quei quattro bambini sottratti ai loro genitori all’alba del 12 novembre del 1998, (all’inizio solo per omessa vigilanza). Ha pianto per quella coppia di coniugi di Massa Finalese, in provincia di Modena, trascinati nella polvere, dentro una storia troppo grande per loro, troppo grande per chiunque, e non potranno riavere indietro la vita che avrebbero voluto e potuto vivere. E davanti ai suoi parrocchiani ha pianto, soprattutto, per un’altra delle vittime innocenti di questo ennesimo caso di errore giudiziario legato a un caso presunto di pedofilia: don Giorgio Govoni, il sacerdote accusato di essere stato, alla fine degli anni 90, il regista di un macabro set pedopornografico messo in scena nelle campagne della bassa modenese. Don Giorgio è morto di crepacuore il 29 maggio 2000, il giorno dopo che i pubblici ministeri di Modena avevano chiesto di condannarlo a quattordici anni di carcere. Lo scorso 9 giugno, davanti alla sentenza di Bologna, il sottosegretario alle Politiche per la famiglia, Carlo Giovanardi, che ha seguito per dodici anni il travaglio esistenziale e giudiziario della coppia di Massa Finalese, ora riabilitata perché "il fatto non sussiste", si è sentito come un Achille furioso dopo la morte di Patroclo. E’ furioso, mentre ripercorre le tappe di questi dodici anni, il suo è un concitato monologo, l’elenco di tutti gli episodi più grotteschi di un caso di falso abuso sessuale: fra tutti quelli raccontati fino a ora, forse il più aberrante. A colloquio con il Foglio, riassume la sua indignazione in un feroce j’accuse all’apparato giudiziario "che ritiene gli errori giudiziari fisiologici, senza far pagare a nessuno le responsabilità della propria cecità, vittima talvolta, quando si tratta di pedofilia, di una maniacale ricerca di una verità che danneggia l’individuazione dei pedofili veri", precisa. Per chi non sa, o ha dimenticato ecco il riassunto di questa vicenda giudiziaria. Nell’aprile del 1997 un bambino sottratto ai genitori, che don Giorgio Govoni aiutava economicamente perché vivevano di espedienti, racconta di aver subito un abuso. Seguono altre denunce, alla fine saranno due le famiglie coinvolte e sei le persone rinviate a giudizio. Due mesi dopo, una madre a cui hanno tolto il figlio si getta dalla finestra. Il primo bimbo, primo anello di una catena di accuse che si trasforma in una psicosi collettiva, parla di messe nere, orge sataniche nei cimiteri. Racconta di altri bambini sottratti a scuola di giorno con la complicità delle maestre, rapiti di notte nelle loro case con la complicità dei genitori. Bambini che vengono sodomizzati, decapitati, appesi a dei ganci, gettati nel fiume Panaro. Dove però non viene mai trovato nessun cadavere. Sempre nel 1998, una bambina coinvolge i suoi quattro cuginetti, figli della coppia Covezzi, che vengono prelevati dalla polizia all’alba. Il 19 maggio 2000, don Giorgio Govoni, il presunto "regista" della cricca pedofila muore d’infarto (verrà pienamente assolto l’anno dopo, post mortem) e le campane della chiesa di San Biagio suonano il suo lutto. Giovanardi rilegge la sua prima interpellanza parlamentare all’allora ministro della Giustizia, Oliviero Diliberto, dell’11 marzo del 1999. Giovanardi era vicepresidente della Camera e chiese al Guardasigilli di interessarsi al caso di una coppia alla quale la polizia, all’alba del 12 novembre 1998, aveva tolto i loro quattro figli per omessa vigilanza: sarebbero stati portati nei cimiteri per essere sodomizzati. Il ministro mi promise di occuparsene e di darmi una risposta entro una settimana", ricorda Giovanardi, "ma un giorno prima della scadenza, Valeria, una delle figlie dei Covezzi, già allontanata dai suoi genitori, dopo un colloquio con l’assistente sociale, torna a casa dalla famiglia affidataria. In lacrime. Affermando che suo padre l’aveva violentata. I genitori ricevettero un avviso di garanzia per abusi sessuali e non è stato più possibile intervenire". Chi è la coppia che Giovanardi ha cercato di aiutare? "Lui operaio, lavorava nella ceramica, lei maestra d’asilo e insegnante di religione in parrocchia. Poi è rimasta incinta e si è rifugiata in Francia per impedire al Tribunale dei minori di toglierle anche il suo ultimo figlio. Per anni mi ha scritto lettere piene di angoscia, speranza, dolore e fede", spiega ancora Giovanardi. E allora, quando la procura di Modena si lancia in una fuga in avanti e la macchina giudiziaria si trasforma in un carro armato, Giovanardi, avvia la sua puntigliosa contro-inchiesta. Ha visitato i luoghi nei quali si sarebbero svolte le violenze, ha rifatto i percorsi che sarebbero stati seguiti da pedofili e bambini, dalla scuola ai boschetti, dalla casa ai cimiteri. Ha cronometrato i tempi, incrociando le informazioni, e da novello detective ha capito immediatamente che "credere all’impianto dell’accusa della procura di Modena era come credere a un omicidio avvenuto sulla Luna. Ho cercato di aprire un dialogo con magistrati e assistenti sociali per capire cosa stava accadendo, dove si era inceppato il meccanismo giudiziario - dice - ma non ci sono mai riuscito". Non conosciamo fino in fondo la metodologia utilizzata durante gli interrogatori-colloqui con i bambini, ma alcune conversazioni sono trapelate dalle relazioni dei periti. Durante l’interrogatorio a una bambina che riguardava don Giorgio Govoni le viene chiesto: "Piccola, chi era quell’uomo? Un dottore?". Riposta: "Sì". "Ma poteva essere anche un sindaco?". Risposta: "Si". "O anche un prete?". Risposta: "Si". "Poteva chiamarsi Giorgio?". Ecco perché oggi gli ex parrocchiani di don Giorgio Govoni lo vorrebbero beatificare, per una ragione che c’entra poco forse con i miracoli, ma molto con la contemporaneità della malagiustizia. E infatti sulla sua lapide, a san Biagio, c’è questa epigrafe: "Vittima innocente della calunnia e della faziosità umana, ha aiutato i bisognosi, non si può negare che egli, accusato di un crimine non commesso, sia stato vinto dal dolore". Incalza Giovanardi: "Ciò che più mi sconvolge e indigna è che i Covezzi non vedono i loro figli da dodici anni: hanno dovuto aspettare otto anni per una sentenza di assoluzione. Otto anni! Si rende conto? Ne parliamo dagli anni 90, e mentre rileggo la mia interpellanza del 1999 ancora non ci posso credere. Non abbiamo ancora fatto un solo passo in avanti per accorciare i tempi processuali. Non abbiamo fatto un solo passo in avanti per introdurre criteri di professionalità, trasparenza e competenza nei processi che riguardano temi delicati come gli abusi sessuali e che invece spesso vengono lasciati nelle mani di psicologi e assistenti sociali trasformati in detective. Angoscia, rabbia e speranza. Ecco la gamma dei miei sentimenti davanti a questa tardiva assoluzione. Si deve intervenire per evitare di rovinare le famiglie, per impedire ai tribunali dei minori di tenere i genitori lontani dai figli dopo l’assoluzione dei genitori. Io sono un acerrimo nemico dei pedofili, ma quelli veri". Il copione è noto: perizie contrastanti, tronconi d’inchiesta che si dividono e si moltiplicano, sentenze di condanna che poi vengono ribaltate, smontate, quando arrivano in altre procure, o ai gradi successivi di giudizio. "E succederà così anche per il caso della scuola Olga Rovere di Rignano Flaminio di cui mi sono interessato", conclude Giovanardi. "Anche lì ci sono stati vizi d’indagine e l’impianto dell’accusa è stato smontato dal Tribunale della libertà e dalla Corte di cassazione. E finirà, ne sono certo, nell’elenco dei falsi abusi. A Rignano davanti a dichiarazioni contrastanti con le ipotesi accusatorie, sono state esercitate pressioni sui bambini. A Modena erano assistenti sociali e psicologi a indirizzare i magistrati verso un film dell’orrore non supportato da prove. Nel frattempo delle persone sono morte e una famiglia si è disgregata per sempre. Non si può e non si deve confondere la lotta sacrosanta alla pedofilia con la caccia alle streghe".

DOSSIER "SACERDOTI ALLA GOGNA"
Accusati ingiustamente, poi assolti

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Fonte: Il Foglio, 17 giugno 2010

2 - MEL GIBSON SOTTO I RIFLETTORI DEI MEDIA PER LE SUE BRAVATE
Ecco perché nel suo momento di crisi, continuiamo a sostenere il regista de La Passione di Cristo e Apocalypto
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Il Timone, maggio 2009

Quando un cattolico famoso (o almeno che si è esposto come tale) crolla sotto il peso delle sue debolezze umane una gioia segreta e maligna invade molti, anche tra quelli che dovrebbero essere ideologicamente contigui. Lo si è visto in occasione della notizia, uscita nell'aprile scorso, della domanda di divorzio inoltrata dalla moglie di Mel Gibson. Non ho letto i commenti sulle testate di sinistra, perché mi bastava una modesta dose di fantasia per immaginarli. Ho letto a destra e ho trovato, sia pure a denti stretti, una malcelata soddisfazione. Eccolo lì, quello che faceva tanto il cattolico, quello che si alzava la mattina alle cinque per andare a messa (in latino, per giunta): è un poveraccio come tutti; anzi, peggiore perché ipocrita, e adesso finalmente la smetterà di atteggiarsi a devoto. Aprile, tempo di Pasqua, mi ha fatto venire in mente quelli che «scuotevano la testa» davanti al Cristo in croce: guardatelo lì, il sedicente Messia, ecco com'è finito, lui che insegnava agli altri. Non è un paragone, naturalmente, solo una concatenazione di pensieri. Gibson, che menava vanto del suo quasi trentennale matrimonio con la stessa donna (caso non raro ma unico a HolIywood) e dei suoi ben sette figli (di cui una suora), è stato avvistato in spiaggia in compagnia di una giovane russa. Così, come perle di una collana, ci è stato puntualmente ricordato che Gibson è un ex alcolista beccato in recidiva dalla polizia e che ha insultato gli agenti che lo ammanettavano dando loro degli «ebrei». Naturalmente, per lui non valgono le attenuanti specifiche e generiche. Eppure lo sanno tutti che, negli Usa, la polizia ti sbatte faccia a terra e ti torce le braccia dietro la schiena mentre ti recita i tuoi diritti. Tutti sanno, anche, che per i due anni precedenti Gibson era stato il piccione da tiro per l'intera comunità ebraica mondiale, aizzata dai suoi esponenti di maggior spicco. Si era permesso, nel suo film The Passion, di far credere che Pilato era stato spinto a mettere a morte Gesù dal Sinedrio, quando il politically correct esige che la responsabilità storica di quella crocifissione sia solo romana. Quanto certo parere conti a Hollywood e sui mezzi di comunicazione è noto (anche alla Chiesa). Ne è nota pure la suscettibilità sensibilissima: addirittura, quando il nostro Vittorio Messori propose sul «Corriere della Sera» una sorta di Anti-Defamation League cattolica, il presidente della medesima, intervistato sulla stessa pagina, neanche troppo velatamente ventilò il ricorso al tribunale per il copyright sulla denominazione. Comprensibile, dunque (anche se non giustificabile), che Gibson, ubriaco, continuasse a vedere «ebrei» in tutti quelli che lo contrastavano. Infatti, tornato sobrio, se ne scusò. Mel Gibson aveva pagato di tasca sua quel film come ex voto per aver superato una tentazione di suicidio, per sua stessa ammissione. Già: un vero artista (specialmente uno di genio, come lui) è sempre un tormentato. Ciò è così assodato che c'è chi, non avendo alcun talento artistico, «fa» il tormentato per accreditarsi, di solito con risultati grotteschi ma non per i media che, anzi, enfatizza gente così. Gibson, però, è cattolico, e allora per lui cambia tutto. Ha osato rincarare la dose, dopo The Passion, facendo Apocalypto, un film perfettamente in linea con quello in cui crede: i popoli precolombiani praticavano sacrifici umani su scala industriale e solo l'avvento degli spagnoli liberò le loro vittime da una sorte da incubo. E allora, eccoli tutti lì, in agguato, a scrutare il cattolico Gibson, in attesa di un suo fallo. E finalmente Gibson è cascato. Più di una volta. Inezie (una sbronza, un solo divorzio), per tutti ma non per lui. Bene, siamo contenti, è un miserabile come noi; anzi, di più, perché ci ha provato, a essere migliore di quel che è, e non ci è riuscito. Certo, il vero cattolico credente e praticante sa bene che a lui non è chiesto di riuscire ma di provare continuamente, sa bene che è impossibile non cadere mai e che l'unica cosa di cui dovrà rendere conto nel Giudizio è quante volte si è rialzato. Ma questo non interessa agli atei e agli agnostici, resi cinici dall'assenza di speranza (e di umiltà). Godono quando un cattolico li raggiunge nella polvere perché li conferma nell'idea (fasulla ma comoda) che non vale la pena di sforzarsi, che Dio non esiste o, se esiste, non è certo quello predicato dal Papa. Quanto a noi kattolici, continueremo a tifare per il nostro fratello Mel Gibson, perché predica bene anche se talvolta razzola male. Come noi. Perché preferiamo chi predica bene e non riesce talvolta a essere eroicamente coerente (e a Hollywood di eroismo morale ce ne vuole) a quanti non solo razzolano nel fango ma predicano anche peggio, cercando di trascinare al piano terra tutti quelli che possono. Coraggio, Mel Gibson, e dacci un altro dei tuoi capolavori. Magari sull'Inquisizione.

Fonte: Il Timone, maggio 2009

3 - OBAMA CONCEDE ALL'ESERCITO IL POTERE DI FARE GUERRA... ALL'EMBRIONE
Negli stanziamenti per la Difesa americana nel 2011 sta per essere eliminato il divieto di praticare aborti negli ospedali dell’esercito americano
Autore: Valentina Fizzotti - Fonte: Avvenire

Mentre gli americani festeggiavano il 4 luglio, la potentissima rete di cliniche abortiste Planned Parenthood ricordava loro che l’«Independence Day» non è solo barbecue e fuochi d’artificio. Proprio in quel momento, ha scritto la presidentessa, Cecile Richards, mentre i parlamentari sprecavano lodi ai servitori dello Stato, alle donne soldato era «negata la libertà fondamentale di prendere le proprie decisioni mediche». Non su come salvarsi la pelle, ma sulla possibilità di abortire. «Difendete le donne in uniforme», ha scritto, perché in America i «diritti delle donne» da oggi passano per l’esercito. Nell’approvare la legge che decide gli stanziamenti per la Difesa americana per il 2011, la Commissione competente al Senato ha votato un emendamento che elimina il divieto di praticare aborti negli ospedali militari. La motivazione, spiegata da chi l’ha scritto, il democratico Roland Burris, è l’esercizio del «diritto garantito dalla legge» alle donne, anche a quelle che sono valorosamente in missione. «Le soldatesse non sono protette dalla Costituzione che difendono», hanno rincarato i pro-choice, peccato che la Costituzione americana non garantisca l’aborto a nessuno. L’ultima battaglia per il «diritto ad abortire» ha trasformato in paladina una marine, Amy, che nel documentario The coat hanger project (più o meno traducibile con «Il progetto ferro da calza») ha raccontato di aver rischiato la morte con un aborto fai-da-te in caserma a Falluja. Nell’ondata di indignazione ideologica contro uno Stato che non le ha permesso di risolvere in fretta il suo problema, nessuno ha però speso una parola sul fatto che la soldatessa sia stata violentata da un collega e che non abbia avuto il coraggio di denunciarlo. Anche perché lo stupro, l’incesto e il rischio di morte imminente sono gli unici casi in cui l’aborto è già consentito nelle strutture militari. Ora i repubblicani annunciano un contro­emendamento in Aula e sperano nella compattezza del fronte pro-life . Questo testo, hanno fatto notare, rischia di trasformare in abortifici e centri di selezione del figlio sano i 260 ospedali dell’esercito americano nel mondo, magari non soltanto a uso di soldatesse e mogli di militari. Introdurre l’aborto volontario significherà spingere sul personale medico e sanitario perché «elimini vite umane innocenti», ha scritto ai senatori l’Ordinario militare per gli Stati Uniti, l’arcivescovo Timothy Broglio: «Non mettete questo fardello pesantissimo sulle spalle dei meravigliosi uomini e delle meravigliose donne delle Forze Armate». Il finanziamento e la pratica di aborti nelle basi militari americane sono vietati dal 1988. Quello che il fronte dei «diritti delle donne» non ricorda, però, è che prima di allora (e prima che il Codice delle Forze Armate contemplasse il diritto a essere madri), a cavallo della legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, le donne nell’esercito erano di fatto obbligate ad abortire, pena il licenziamento. Nel ’93 Bill Clinton tolse il divieto, ma il Congresso lo istituì nuovamente nel ’95. Anche perché, come ha ricordato nella sua lettera ai senatori il cardinale Daniel Di Nardo, presidente del Comitato per le attività pro-life della Conferenza episcopale americana, fu chiaro che non si trovavano medici militari che volessero fare aborti: erano lì per salvare vite, non per eliminarne. E l’idea clintoniana di ricorrere a medici privati era inutilmente costosa. (...)

Fonte: Avvenire

4 - LA STORIA INCREDIBILE DI UNA MADRE SCAMPATA DAL GENOCIDIO COMUNISTA
Quando Pol Pot e i Khmer Rossi uccidevano un terzo della popolazione cambogiana per creare il paradiso in terra (e l'Occidente stava a guardare...)
Autore: Antonio Padovano - Fonte: L'Ottimista, 1 Luglio 2010

Dal 17 aprile 1975 al 7 gennaio 1979, la Cambogia ha conosciuto uno dei più brutali orrori della storia moderna. In nome dell’utopia comunista, Pol Pot, pseudonimo di Saloth Sar, fondatore del Partito comunista cambogiano e organizzatore delle formazioni guerrigliere dei Khmer Rossi, scatenò l’inferno. Un regime sanguinario che mirava allo sterminio di tutto ciò che poteva sembrare ‘borghese’. Due milioni di persone, vennero uccise, moltissime solo perchè sapevano leggere e scrivere, altri perchè portavano gli occhiali e conoscevano lingue straniere. Pol Pot era il ‘Fratello Numero Uno’ del famigerato partito unico Angkar (l’Organizzazione), mentre i khmer assoggettarono il paese ad un progetto di purificazione etnica e rieducazione sociale. In Occidente erano tempi bui e chi provava a denunciare i crimini di Pol Pot veniva insultato e discriminato. Il missionario del PIME (Pontificio Missioni Estere), padre Piero Gheddo, che allora scriveva editoriali su Avvenire e l’Osservatore Romano, denunciò quel regime, ma non venne creduto. L’Unità, quotidiano del partito Comunista lo accusò di essere un agente della CIA (il servizio segreto statunitense) per raccontare bugie sulla rivoluzione comunista di Pol Pot. Livio Caputo, nella primavera del 1976, in qualità di direttore di Epoca, pubblicò il servizio con il titolo Un massacro per la rivoluzione, il primo servizio fotografico che documentava i crimini del regime cambogiano: fu duramente contestato dal comitato di redazione e alla fine ci rimise addirittura il posto. “Per quella sacrosanta rivoluzione - era la tesi dei compagni - non si potevano commettere massacri, al massimo si eliminava qualche traditore, e le immagini che dimostravano il contrario dovevano essere falsi prodotti dalla Cia”. Ha narrato Caputo che “ci vollero diversi anni, e innumerevoli quanto inconfutabili testimonianze, prima che anche i comunisti occidentali si decidessero ad ammettere che Pol Pot era solo un grande criminale che, in nome di un folle progetto di ‘purificazione’ della Cambogia, aveva costruito una mostruosa macchina della morte degna di Hitler e di Stalin”. A raccontare come stavano realmente le cose ci ha pensato la cambogiana Claire Ly, autrice di un libro impressionate, Tornata dall’inferno (Edizione Paoline). Claire Ly è nata in Cambogia, si è laureata in diritto e filosofia, ed è diventata prima insegnante di liceo e poi alta funzionaria del Ministero dell'Educazione. Nel 1975, con due figli, uno in braccio e l’altra in grembo, viene deportata in un campo di lavoro dai Khmer rossi del dittatore Pol Pot. Ed è così che conobbe l’‘inferno’: suo padre e suo marito vennero uccisi, lei fu costretta a lavorare in condizioni disumane nei campi di lavoro, nelle risaie, assistette ad esecuzioni sommarie, all’indottrinamento dei bambini. La malnutrizione insieme all’ideologia mieteva vittime, i khmer davano la caccia ai borghesi, agli intellettuali e a tutti coloro che sapevano leggere e scrivere. Ha raccontato la Ly che "l’ideologia dei khmer rossi era la costruzione di una Cambogia interamente khmer, libera da ogni influenza esterna. Per realizzare questa ideologia utopistica, essi hanno cominciato con l'eliminazione di tutti coloro che potevano opporre una resistenza: in tal modo i primi a essere nel mirino erano gli intellettuali. Tutte le città sono state svuotate dalla loro popolazione. L’Angkar (il governo dei khmer rossi) considerava la popolazione della città come “una popolazione nuova” contaminata dalla civilizzazione occidentale. Questa gente doveva venir ‘purificata’ attraverso il trasferimento e i lavori forzati nelle risaie allo scopo di diventare dei veri Khmer. Per sopravvivere a questo ingranaggio della violenza, io dovevo nascondere la mia vera identità: prima del loro arrivo, io insegnavo filosofia nella capitale e avevo la carica di Direttrice tecnica dell’Istituto di traduzione dei manuali scolastici in seno al Ministero dell’Educazione nazionale della Cambogia. In tal modo facevo parte di questo ‘popolo impuro’. Il solo mezzo per sopravvivere era l’obbedienza ad Angkar. Ogni tentativo di resistenza veniva selvaggiamente eliminato. Io obbedivo, lavoravo, facevo tutto ciò che i Khmer rossi mi chiedevano di fare: costruzioni di dighe, di canali d’irrigazione, lavoro nelle risaie. Tutto in un clima di terrore e di miseria. Ma come obbedire a dei dittatori senza perdere se stessi?". Di fronte a tanto dolore e sofferenze, il suo credo buddista entrò in crisi. Per non impazzire si affidò quindi al "Dio degli Occidentali” che aveva conosciuto quando per studiare francese aveva frequentato una scuola cattolica gestita da suore. Non conosceva bene questo Dio, ma il Signore l’ha aiutata, ha salvato la vita a suo figlio e anche a suo fratello. Nel 1979, alla caduta del regime di Pol Pot, Claire Ly prese la strada dei profughi verso la Thailandia e da qui nel 1980 emigrò in Francia dove tuttora vive e lavora. È in Francia che cominciò a frequentare i cattolici, ha letto e studiato gli scritti di Giovanni Paolo II, finché un giorno entrò in una chiesa. Lì assistette a una celebrazione eucaristica, si commosse e si convertì. Così ha raccontato la sua conversione: “Non è facile spiegarvi questa certezza spirituale che mi ha indotto a chiedere il battesimo. Posso dire semplicemente che questa certezza, vissuta al momento di una celebrazione eucaristica è il punto di arrivo di un lungo cammino. Dopo aver vissuto, durante i quattro anni del campo di Pol Pot, con la sensazione di essere accompagnata dal Dio degli Occidentali, ho incontrato sul mio cammino il Vangelo (…). Un incontro che mi ha aperto un nuovo itinerario, facendomi conoscere un nuovo maestro: Gesù di Nazareth. In quella tappa del mio itinerario, provavo molta ammirazione per questo uomo, ma occultavo completamente la sua divinità. La mia educazione buddista mi ha permesso di cogliere l'umanità del Cristo più facilmente della sua divinità (…). È stato solo dopo un anno di frequentazione della vita e della parola di Gesù, attraverso le narrazioni e le parabole evangeliche che ho avuto la curiosità di assistere alla Messa. Durante questa celebrazione eucaristica, ho realizzato che la Gloria di Dio non diminuisce in alcun modo la grandezza dell’uomo". Ha scritto nel suo libro: "Non ho scelto il cristianesimo per trovare un’etica o una morale, ma per trovare il volto di Gesù Cristo, la cui chiamata e la cui semplicità hanno toccato il mio cuore".

Fonte: L'Ottimista, 1 Luglio 2010

5 - GESU' CON DONNE NUDE SULLA COPERTINA DI PLAYBOY
L'edizione portoghese offende il sentimento religioso della maggioranza per ricordare José Saramago, un sacrilego premio Nobel
Fonte Libero-news.it, 08/07/2010

Meno di un mese fa moriva il premio Nobel e, in omaggio allo scrittore, oggi l'edizione portoghese di Playboy arriva in edicola con un'insolita copertina. Un Gesù in tunica tiene tra le braccia una vergine seminuda e sdraiata su un letto. Sulla testiera campeggia la scritta "O Evangelho segundo Jesus Cristo", il titolo del discusso romanzo del 1991 che creò una spaccatura tra l'autore e la Chiesa e fu censurato dal governo lusitano. All'interno altre tre foto, che mostrano Gesù osservare delle donne nude, corredano un'intervista allo scrittore risalente al 1995. Saramago e la Chiesa - All'indomani della scomparsa di Saramago, il 19 giugno scorso, l'Osservatore Romano criticò l’opera controversa, attraverso la quale lo scrittore lanciò una "sfida alla memorie del cristianesimo di cui non si sa cosa salvare se, tra l’altro, Cristo è figlio di un Padre che imperturbato lo manda al sacrificio; che sembra intendersela con Satana più che con gli uomini; che sovrintende l'universo con potestà senza misericordia. E Cristo non sa nulla di Sé se non a un passo dalla croce; e Maria Gli è stata madre occasionale; e Lazzaro è lasciato nella tomba per non destinarlo a morte suppletiva". "Irriverenza a parte - si leggeva sul quotidiano della Santa Sede - la sterilità logica, prima che teologica, di tali assunti narrativi, non produce la perseguita decostruzione ontologica, ma si ritorce in una faziosità dialettica di tale evidenza da vietargli ogni credibile scopo". (...)

Fonte: Libero-news.it, 08/07/2010

6 - IN FRANCIA VOGLIONO FAR CREDERE CHE GLI IMMIGRATI SONO POCHI E CHE SI PUO' STARE TRANQUILLI
Peccato che siano statistiche manipolate al ribasso per non far allarmare la popolazione di fronte all'invasione in corso
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Cesnur, 30 maggio 2010

Uno dei libri importanti del 2010 rischia di non essere letto da nessuno. Pubblicato da un editore che stampa libri per il grande pubblico e non solo per gli specialisti, Les Yeux grands fermés. L’immigration en France (A occhi ben chiusi. L’immigrazione in Francia, Denoël, Parigi 2010) di Michèle Tribalat è stato presentato da qualche recensore come la versione francese de L’ultima rivoluzione dell’Europa. L’immigrazione, l’islam e l’Occidente di Christopher Caldwell (trad. it., Garzanti, Milano 2009). Ma è qualcosa di più, e insieme di meno. Mentre Caldwell, brillante giornalista, riflette su dati altrui, la Tribalat – che è stata per un quarto di secolo nei piani alti dell’establishement statistico francese – presenta ricerche originali. Ma, a differenza di Caldwell, scrive un libro difficilmente leggibile per chi non abbia familiarità con un gergo specialistico, o non sia abituato a maneggiare statistiche e metodologie, e dunque destinato fatalmente ad avere pochi lettori. È un peccato, perché i dati che la Tribalat presenta sono tali da indurre a ripensare l’intera questione dell’immigrazione. Per esprimersi in termini semplici – che non sono quelli del libro – la specialista francese sostiene che da almeno quindici anni molti dati offerti al pubblico francese sull’immigrazione sono falsi. La falsificazione non è il risultato di errori: è deliberata – talora perfino imposta per legge – e ha lo scopo di evitare che l’opinione pubblica francese si allarmi per il numero troppo alto degli immigrati e diventi «razzista». L’ossessione anti-razzista ha fatto sì che qualcuno si sia preso la libertà di mentire ai francesi: una menzogna sedicente pedagogica, che dovrebbe appunto evitare il diffondersi del razzismo e imporre «il dogma di una visione necessariamente positiva dell’immigrazione» (p. 17). «L’anti-razzismo ideologico struttura la presentazione scientifica e quotidiana dell’immigrazione. In un’epoca in cui si parla tanto di “spezzare i tabù” e si valorizza la trasgressione, su questo tema il posizionamento “morale” resta paradossalmente dominante. Restare dalla parte del bene richiede una vigilanza incessante. L’immigrazione è sacralizzata a un punto tale che il dissenso non può esistere, né può diventare oggetto di un dibattito ragionevole» (p. 10). Il problema si situa a livelli diversi. Il primo riguarda la domanda più semplice: quanti immigrati arrivano ogni anno in Francia? Qui le statistiche sono state anzitutto manipolate privilegiando una definizione dell’immigrato molto restrittiva, almeno fino a quando una direttiva europea nel 2007 non ha costretto anche la Francia ad adottare il criterio scelto dalle Nazioni Unite fin dal 1934, il quale considera immigrati gli stranieri che ricevono per la prima volta un titolo di soggiorno della durata di almeno un anno. In precedenza, era in corso in Francia una «battaglia interminabile» (p. 25), e ciascun ente statistico francese adottava un suo criterio. Per esempio, gli immigrati entrati in Francia nell’anno 1997 erano contati in sei modi diversi da sei diverse agenzie governative, e i risultati andavano da 61.929 a 142.944 (cfr. p. 27), con un tasso di variazione tale da togliere ogni attendibilità alle statistiche. Un indizio che qualcosa non va è dato dal modo in cui il principale ente francese di statistica lavora, ponderando i dati tramite «variabili di aggiustamento», cioè «persone fittizie» che sono inserite nei tabulati ancorché non abbiano un’esistenza fisica ma siano usate solo per «equilibrare l’equazione contabile» (p. 30) quando i suoi risultati appaiono a prima vista poco convincenti. Ora, chiunque fa statistiche pondera in qualche misura i dati, ma il «metodo francese» (ibid.) prevede variabili di aggiustamento veramente molto alte, di 480.000 «persone fittizie» negative (cioè che possono essere sottratte ma non aggiunte) e 661.000 positive (che possono essere solo aggiunte). In secondo luogo, gli enti statistici francesi privilegiano in modo assoluto un solo dato: il «saldo migratorio», cioè la differenza fra le entrate e le uscite a titolo «definitivo» dal territorio francese degli stranieri e dei francesi insieme. Il saldo migratorio «può dunque essere molto più basso del numero d’ingressi di stranieri. È la sua grande attrattiva» (p. 28). La Tribalat obietta che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il saldo migratorio è molto difficile da calcolare con criteri univoci, ed è anche poco significativo. È alterato da un gran numero di variabili indipendenti relative alle uscite, per cui l’unico modo serio di valutare l’andamento dell’immigrazione è concentrarsi sugli ingressi. Se lo si fa, da una parte le cifre salgono, dall’altra ci si rende conto del grande non detto dell’immigrazione francese degli ultimi anni. L’immagine stessa dell’immigrato come persona che viene a cercare lavoro in Francia non è più vera. Il 63% degli immigrati a partire dal 2006 non entra in Francia per lavorare, ma per ricongiungimento familiare (cfr. p. 42). Si dovrà dunque sostituire all’immagine del lavoratore che sbarca con la valigia di cartone quella della moglie o del figlio che arrivano seguendo di qualche anno l’immigrato che era effettivamente venuto in cerca di lavoro? Non è neppure così. Un numero difficile da definire, ma che per alcuni sottogruppi arriva a due terzi del totale, è costituito da coniugi stranieri i quali, dopo avere sposato persone di origine straniera nate in Francia, chiedono il ricongiungimento. Lo schema tipico è quello del cittadino o residente francese di origine algerina che è sì nato in Francia ma, arrivato all’età del matrimonio, va a cercarsi la moglie in Algeria: la sposa – sono questi i famosi «matrimoni misti di successo» di cui talora ci si vanta, che però sono «misti» per modo di dire – e quindi chiede e ottiene il ricongiungimento familiare. «Si può quindi parlare di una auto-generazione dei flussi di ricongiungimento familiare» (p. 45). Questo è il principale segreto europeo in tema d’immigrazione: ed è un segreto ben protetto, da autentici divieti di parlarne e da gigantesche manipolazioni statistiche. Dove se ne parla, infatti, la politica finisce per intervenire. L’Olanda e la Danimarca hanno introdotto severi limiti ai ricongiungimenti familiari, che vanno da seri esami linguistici nei Paesi di partenza a tasse da pagarsi anticipatamente: 830 euro in Olanda, dove i ricongiungimenti dopo questa riforma sono diminuiti del 40% (p. 54). Questi limiti possono sembrare crudeli, e certo ciascuno ha diritto di sposare chi vuole. D’altro canto, ci si può chiedere perché mai – tanto più in periodo di crisi economica – il contribuente europeo dovrebbe farsi carico di un congiunto che un immigrato ha deciso di andare a sposare nel Paese di origine. Come Caldwell – ma con argomenti parzialmente diversi – la Tribalat passa quindi a smontare il luogo comune secondo cui l’immigrazione è necessaria all’economia europea, gli immigrati risolvono i problemi pensionistici causati dalla denatalità e «fanno lavori che nessun europeo vuole fare». La demografa francese recensisce un’ampia serie di studi e rapporti governativi poco noti, in particolare britannici, e analizza pure dati francesi per proporre questa conclusione: trent’anni di ricerche mostrano che non esistono regole o teoremi generalmente validi sull’impatto economico dell’immigrazione in Europa. Ci sono effetti positivi ed effetti negativi. Nessuna generalizzazione è stata confermata da ricerche di lungo periodo. Il massimo che si può dire è che l’immigrazione di mano d’opera poco qualificata è nociva all’economia, perché questi immigrati «fanno lavori che nessuno vuole fare»… a quel prezzo: dunque alterano il mercato del lavoro – a danno, in particolare, dei cittadini non immigrati più poveri – e pagano contributi pensionistici modesti. L’immigrazione di mano d’opera altamente qualificata è invece, a certe condizioni, favorevole all’economia europea. È anche devastante per quella dei Paesi d’origine, il che è certo un altro discorso ma mostra bene le ambiguità cui ci si trova di fronte se si vuole affrontare il problema dell’immigrazione in termini morali. Il problema, infine, è ormai ampiamente storico se è vero – è il tema principale del libro della Tribalat – che l’immigrazione per lavoro è ormai minoritaria, sostituita da un’immigrazione per ricongiungimento familiare che ha ovviamente caratteristiche e conseguenze economiche del tutto diverse. Appena un cenno ad altri due temi statistici trattati dalla Tribalat. Il primo riguarda la concentrazione d’immigrati in banlieue o «ghetti», che resta molto significativa in Francia nonostante le misure prese per evitarla. La cosiddetta «de-ghettizzazione» non dà normalmente come risultato quartieri dove gli immigrati hanno come vicini francesi nati in Francia da genitori francesi, ma quartieri dove gli immigrati di una certa provenienza hanno come vicini immigrati di una provenienza diversa, il che comporta rispetto a un «ghetto» uniforme vantaggi ma anche svantaggi. Il secondo riguarda le costosissime indagini statistiche sul razzismo, costruite su domande-trabocchetto o provocatorie (del tipo «Lei quanto si considera razzista? Molto, poco,un po’…»). Dovrebbero mostrare che esiste in Francia un’emergenza razzismo, ma servono solo a giustificare gli ampi fondi erogati alle stesse organizzazioni anti-razziste che li commissionano e talora li gestiscono direttamente. Più interessante è il tema di fondo richiamato da espressioni come quella che fa riferimento ai francesi nati in Francia da genitori francesi. C’è un dato che in Francia – e in molti altri Paesi europei – è vietato per legge misurare, ed è quello etnico o razziale. Ci sono certamente ragioni storiche che spiegano questo divieto. Tuttavia, se la stessa normativa fosse esistita negli Stati Uniti sarebbero state impossibili le grandi inchieste sulla discriminazione degli afro-americani in alcuni ambiti lavorativi. Per condurre seriamente queste inchieste, non basta fare qualche domandina sul razzismo: occorre sapere quanti sono gli afro-americani, e qual è la loro proporzione sul totale rispettivo della popolazione degli Stati Uniti e di specifiche sotto-popolazioni. In Francia, precisamente, è vietato misurare con precisione quanti sono i residenti sul territorio «di origine» maghrebina o sub-sahariana, perché si sospetta che dietro questo conteggio se ne celi uno per razza, considerato manifestazione di razzismo. Si può misurare, non senza difficoltà, quanti residenti e cittadini francesi sono figli di genitori nati in Africa: ma non è possibile, per esempio, distinguere i francesi cattolici che vivevano, per esempio, nel Nordafrica per ragioni economiche e sono tornati in Francia – i cosiddetti pied noir – dai maghrebini arabi musulmani passati sul territorio francese. I problemi relativi non sono certamente semplici, ma desta perplessità il fatto che alcuni suoi illustri colleghi abbiano accusato la Tribalat di essere non solo «posseduta da una sorta di fanatismo demografico» ma effettivamente «malata» (p. 215) quando ha proposto alcune caute ipotesi per misurare la popolazione complessiva che origina direttamente o indirettamente da fenomeni d’immigrazione. Se fosse vero che in alcune grandi città francesi questa popolazione, che è vietato misurare, supera il terzo dei presenti sul territorio l’impatto sull’opinione pubblica sarebbe certamente degno di nota. Di qui l’interesse politico a nascondere dati di questo genere, se necessario anche attraverso divieti legali. Senza volere in alcun modo applicare meccanicamente le riflessioni della Tribalat, che non cita quasi mai il nostro Paese, all’Italia, ce n’è abbastanza per importare anche da noi un sano realismo che induca a diffidare di statistiche, quando si tratta d’immigrazione, troppo spesso riviste al ribasso o edulcorate. E per riflettere sulle nuove caratteristiche dell’immigrato, che corrispondono sempre meno spesso all’immagine di chi viene a cercare lavoro e sempre di più alla figura di chi arriva per un «ricongiungimento familiare» che corrisponde a processi «autogenerati» e a semplici ridistribuzioni della popolazione internazionale, con conseguenze socialmente devastanti che le statistiche velano piuttosto che rivelare.

Fonte: Cesnur, 30 maggio 2010

7 - NESSUNA AUTORITA' SU QUESTA TERRA PUO' GIUDICARE IL PAPA E LA CHIESA
Altrimenti la Chiesa viene privata della sua dimensione giuridica sovranazionale e ridotta ad associazione privata
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Radici Cristiane, agosto-settembre 2010

«Prima sedes a nemine iudicatur». «La Sede Apostolica Romana non può essere giudicata da nessuno», recita il canone 1404 del Codice di Diritto Canonico attualmente in vigore. Le origini di questo assioma sulla ingiudicabilità papale sono antiche e gloriose. Esso fu formulato da san Gregorio VII nel Dictatus Papae (1075) contro il cesaropapismo tedesco; fu proclamato da Bonifacio VIII nella Bolla Unam Sanctam (1302) contro il gallicanesimo di Filippo il Bello; fu definito dal Concilio Vaticano I (1870) contro il laicismo liberale. È da questa affermazione di principio che deve partire una reazione alle aggressioni del relativismo contemporaneo che non voglia essere timida e velleitaria. Non dobbiamo sforzarci di dimostrare che il Papa è “innocente” delle ignobili accuse di “correità” con i crimini della pedofilia. Dobbiamo innanzitutto ribadire che il Papa non può essere giudicato da nessuno e respingere con sdegno i tentativi di portare la Chiesa in tribunale. Parliamo della Chiesa, non di singoli vescovi o sacerdoti. I reati che possono essere commessi da singoli uomini di Chiesa non possono mai essere addossati alla Chiesa in quanto tale, perché Essa è una società giuridica perfetta, per sua natura ingiudicabile. Eppure, è proprio su questo punto che si svolge l’attacco in corso. Ciò che sta accadendo deve farci riflettere. Il 24 giugno a Bruxelles, mentre era in corso una riunione della Conferenza Episcopale, una trentina di poliziotti, su ordine della magistratura, hanno fatto irruzione nell’Arcivescovado e trattenuto per nove ore in stato di fermo i vescovi presenti. Lo stesso giorno, armati di martelli pneumatici, i poliziotti sono scesi nella cripta della cattedrale di Saint Rombout a Malines, ed hanno profanato le tombe dei cardinali Jozef-Ernest Van Roey e Léon-Joseph Suenens, defunti Arcivescovi di Malines-Bruxelles, alla ricerca di improbabili “documenti”. Sono stati inoltre sequestrati tutti i 475 dossier sulla pedofilia, in esame da parte di una Commissione indipendente nominata dalla curia e, qualche giorno dopo, è stata perquisita l’abitazione del cardinale Godfried Danneels, primate dal 1979 al 2009 della Chiesa belga, che ha trascorso dieci ore sotto interrogatorio negli uffici di polizia. È fin troppo chiaro che con il pretesto di un’indagine su casi di pedofilia si vorrebbe portare in giudizio, e screditare mediaticamente, non questo o quel prelato, ma l’intera Chiesa belga. Nulla di simile contro la Chiesa era accaduto in Europa dai tempi della guerra civile di Spagna (1936-1939). Ma quanto è avvenuto pochi giorni dopo negli Stati Uniti è ancora più preoccupante. Il 29 giugno, la Corte suprema ha tolto l’immunità giuridica alla Chiesa in America, ammettendo che le autorità vaticane possano essere imputate in un processo nell’Oregon per abusi sessuali commessi da un religioso. La Chiesa è di fatto privata della sua dimensione giuridica sovranazionale e ridotta ad associazione meramente privata, in cui i superiori rispondono in solido delle colpe dei propri dipendenti. Teoricamente, quindi, questo tribunale potrebbe convalidare la chiamata in causa come imputati di Papa Benedetto XVI, del suo segretario di Stato cardinale Tarcisio Bertone e del nunzio apostolico negli Stati Uniti, l’arcivescovo Pietro Sambi. Ciò avviene mentre alla vigilia del viaggio di Benedetto XVI in Inghilterra alcuni militanti ateisti hanno formulato la medesima richiesta alla magistratura di quel Paese. Alcune considerazioni a questo punto si impongono. Negli anni del Concilio si disse che la Chiesa avrebbe dovuto abbandonare toni fermi e posizioni intransigenti per cercare il dialogo con il mondo moderno: un mondo che non era ostile o estraneo ad essa, ma l’avrebbe anzi arricchita nel mutuo confronto. L’avanguardia di questa nuova “pastorale” si trovava in Centro-Europa e aveva il suo campione nel cardinale Leo-Joseph Suenens, primate del Belgio, l’uomo che nel 1968 guidò la resistenza a Paolo VI sull’Humanae Vitae. Ma oggi il Belgio, che è il Paese più secolarizzato d’Europa, non ha pietà neppure per la sua tomba. I cattolici hanno mutato il loro atteggiamento verso il mondo praticando un falso dialogo, ma il processo di scristianizzazione non si è arrestato. Il mondo non si è lasciato “permeare” dall’influenza della Chiesa, ma si è organizzato contro di essa. Come negare l’esistenza di una strategia di aggressione anticristiana coerente e sistematica, al punto da voler rimuovere la stessa presenza del Crocifisso da ogni luogo pubblico? Benedetto XVI ha annunciato, il 28 giugno, la creazione di un Consiglio Pontificio per la nuova evangelizzazione dei Paesi che per primi hanno ricevuto in Europa la fede cristiana. La parola di nazioni “apostate” non è stata pronunciata, senza dubbio perché la canea mediatica, come osserva Jean Madiran, vi vedrebbe una dichiarazione di guerra (“Présent”, 3 luglio 2010). Ma lo stesso Benedetto XVI, il 24 marzo 2007, ha già usato il termine di “apostasia” per indicare il cammino a ritroso che va percorrendo l’Europa dei nostri giorni: dalla fede cristiana a un tribalismo dissolvitore in cui nulla rimane dei principi e delle istituzioni che già fecero grande il nostro continente. Quando gli Stati impongono ai loro popoli l’educazione sessuale obbligatoria, il “matrimonio” omosessuale, l’aborto, l’eutanasia, la distruzione degli embrioni, si macchiano di apostasia perché capovolgono l’ordine naturale e cristiano trasmesso loro dai primi evangelizzatori. Ciò avviene seguendo un piano preciso promosso da centrali anticristiane, che ora alzano il tiro. Nella battaglia in corso, la Chiesa non ha una forza politica, economica o mediatica da poter opporre al mondo. L’unica arma di cui dispone è quella della verità religiosa e morale di cui è custode. La Chiesa infatti, diceva Pio XII, «è una potenza religiosa e morale, la cui competenza si estende a tutto il campo religioso e morale, e questo a sua volta abbraccia l’attività libera e responsabile dell’uomo, considerato in se stesso e nella società» (Discorso del 12 maggio 1953). Essa rivendica il diritto di giudicare gli uomini e le società in nome della legge divina e naturale che custodisce, ma non può essere giudicata da alcuna autorità umana, perché nessuna autorità sulla terra le è moralmente o giuridicamente superiore. Definire la verità, condannare l’errore, fa parte della sua missione. Questa missione postula la libertà e l’indipendenza dal potere civile. La Chiesa, nel corso della sua storia, ha sempre combattuto per difendere la propria libertà contro le prevaricazioni dei potenti di turno. «Nell’affidare a Pietro il proprio gregge, il Signore non ha certo inteso fare eccezione per i re», scriveva san Gregorio VII, rivendicando il principio della suprema e universale giurisdizione del Pontefice su tutti gli uomini, non eccettuati i re, riassunto dalla 19 sentenza del Dictatus Papae. Nel suo discorso del 29 giugno, il Papa ha rivendicato, come san Gregorio, la «libertas ecclesiae» e ha osservato che «se pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che – come aveva preannunciato il Signore Gesù (cfr. Mt 10, 16-33) – non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto». Vi è però «una garanzia di libertà assicurata da Dio alla Chiesa, libertà sia dai lacci materiali che cercano di impedirne o coartarne la missione, sia dai mali spirituali e morali, che possono intaccarne l’autenticità e la credibilità» (“Osservatore Romano”, 30 giugno 2010). Ciò significa che è al proprio interno che la Chiesa deve trovare le risorse della sua rinascita. Benedetto XVI sembra esserne convinto. La Chiesa, come nell’undicesimo secolo, ha bisogno di una grande riforma spirituale. Ma questa riforma, come fu ai tempi di Ildebrando da Saona e di Pier Damiani, deve avere il suo fulcro nella consapevolezza del Primato religioso e morale, su ogni creatura, del Romano Pontefice.

Fonte: Radici Cristiane, agosto-settembre 2010

8 - LETTERE ALLA REDAZIONE: NELLA MESSA IN LATINO NON SI CAPISCE NIENTE?
Eppure sembra vero l'esatto contrario...
Autore: Giano Colli - Fonte: BASTABUGIE, 15 luglio 2010

Gentile redazione di BASTABUGIE, vorrei rispondere a "Maranatha", che non so chi sia, ma che mi pare un retrogrado (proprio così). Come si fa a rimpiangere la messa in latino, messa che ormai nessuno comprendeva più? La messa è preghiera di popolo, per il popolo, per tutti. Se qualche sacerdote la vuol celebrare in latino, faccia pure. Non c'è niente di male. Ma non si venga a lamentarsi perché la messa in latino viene celebrata in orari non principali. Vorrei chiede a "Maranatha" : Lei quando prega, in casa sua, in che lingua prega?  In Latino?  La Chiesa cattolica, in quanto "cattolica", cioè universale, non ha né deve avere una sua lingua, ma deve parlare tutte le lingue del mondo per poter annunciare il Vangelo a tutti i popoli del mondo. Cosa possono capire un tedesco o un americano di una messa in latino? E' vero, il latino è la lingua ufficiale della Chiesa proprio perché è una lingua morta e quindi, in quanto tale, non appartiene a nessuno e può essere tradotta in tutte le lingue. Ma la Messa è preghiera dei fedeli, di QUEI fedeli, che hanno il diritto di rivolgersi a Dio, Padre di tutti gli uomini, nella loro lingua. Cito solo un esempio, altissimo: Maris SS.ma si rivolse a Bernadette in dialetto catalano e si rivolge ai veggenti in lingua croata. Altro che latino! Antonio Caro Antonio, le rispondo giusto per vedere se lei è in buona fede (cioè se vuole davvero capire il pensiero altrui) oppure se è in mala fede (cioè se non le interessano i pareri contrari, ma vuole solo fare polemica fine a sé stessa e pretendere di avere ragione solo lei). Come detto più volte, nella maggior parte dei casi, BASTABUGIE pubblica articoli scritti da altri, per cui sarebbe bene indirizzare a chi ha scritto l'articolo eventuali critiche. Non che non siamo aperti al dialogo (come appunto questo nostro scritto dimostra), ma è che è più efficace scrivere direttamente all'autore dell'articolo pubblicato, in questo caso, su BASTABUGIE n. 149. Un'altra precisazione preliminare: Maranatha.it non è una persona, ma un sito internet (non si è accorto del "punto it" alla fine?). E veniamo alla sua domanda. Innanzitutto va detto che il motivo per cui il latino è la lingua ufficiale della Chiesa non è perché è una lingua morta; sono infatti esistiti secoli in cui il latino non era lingua morta, eppure era già la lingua ufficiale della Chiesa. Lei si domanda inoltre "cosa possono capire un tedesco o un americano di una messa in latino?". Beh, quando la Messa era solo in latino, la risposta era: TUTTO! Proprio perché la Messa era dappertutto la stessa, essendo il latino permetteva a chi era in un paese straniero di sentirsi straniero per le strade, ma appena entrato in chiesa sentiva la stessa liturgia che celebrava in patria: in poche parole, in chiesa non si sentiva più straniero, ma a casa propria. "Lei quando prega, in casa sua, in che lingua prega?  In Latino?". Mi spiace deluderla, ma molti risponderebbero di sì alla sua domanda. Questo la induce a cambiare idea? "Come si fa a rimpiangere la messa in latino, messa che ormai nessuno comprendeva più?". Molto interessante come domanda. Bisognerebbe però chiedere "oggi la Messa è compresa meglio perché è in italiano?". In realtà la risposta è: NO! Ho chiesto a molte persone che contestano la Messa in latino che cosa sia la Messa. Le risposte sono le più varie: una festa, il ritrovo della comunità, una preghiera comunitaria, un modo per coinvolgere i più piccoli, una lezione del sacerdote che spiega le letture, ecc. ecc. Nessuno mai che abbia dato la risposta giusta, cioè UN SACRIFICIO: il sacrificio cruento di Cristo sulla croce (e la sua resurrezione) resi di nuovo presenti in maniera incruenta sull'altare. Ma la frase più sbagliata di tutta la sua mail è la seguente: "la Messa è preghiera dei fedeli". Siccome è sbagliata fa crollare tutto l'impianto della critica. La Messa non è la preghiera dei fedeli, ma è la preghiera di Cristo al Padre che offre sé stesso: "questo è il mio corpo", "questo è il mio sangue". In quel momento il sacerdote è Cristo stesso che parla al Padre offrendo il suo sacrificio. I fedeli partecipano a questo sacrificio di Cristo. Se poi fosse vero quello che lei scrive in merito al presunto "diritto dei fedeli di rivolgersi a Dio nella loro lingua" dovremmo concludere che i fedeli hanno visto frustrato nella Messa questo loro "diritto" per quasi 2000 anni in quanto solo negli ultimi decenni del '900 si è ammessa la lingua volgare nella liturgia (contro i documenti del Concilio Vaticano II che volevano il mantenimento del latino nella liturgia). E' inoltre ben chiaro che i fedeli nelle proprie preghiere personali hanno tutto il diritto di rivolgersi a Dio come vogliono. Lui comprende tutte le lingue del mondo. Anzi comprende anche tutti i gesti. E perfino i silenzi... Per concludere, le ricordo che nel numero 110 di BASTABUGIE abbiamo pubblicato un sondaggio effettuato dall’istituto Doxa nel 2009. Alla domanda: "Le sembra normale o anormale che entrambe le forme liturgiche (ossia quella moderna detta "ordinaria", in italiano, e quella tradizionale detta "straordinaria", in latino e gregoriano) possano venire celebrate nella sua parrocchia?”, il 71% dei cattolici ha risposto di essere favorevole alla coesistenza delle due forme liturgiche nella propria chiesa. Inoltre ben il 63% dei cattolici praticanti ha dichiarato che parteciperebbe regolarmente alla Messa in latino. Il problema allora come si vede è davvero quello lamentato dall'articolo che lei critica: se non fosse perseguitato all'interno della Chiesa chi preferisce la Messa in latino, quest'ultima sarebbe senz'altro più diffusa, come è nelle intenzioni del Papa e nella esigenza spirituale di molti cattolici. Infine mi piace ricordare l'interessante esempio che lei fa (chiamandolo "esempio altissimo") di Maria che parla a Bernadette in dialetto... peccato però che la Madonna non stesse dicendo la Messa, o pregando Dio, ma parlando a una persona. Anche chi ha scritto l'articolo incriminato quando parla con le persone per la strada non parla loro in latino, ma nella loro lingua. Non crede?

DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE"
Le risposte del direttore ai lettori

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Fonte: BASTABUGIE, 15 luglio 2010

9 - OMELIA PER LA XVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 11, 1-13)

Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 25 luglio 2010)

«Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1). Anche noi, come i Discepoli del Vangelo, dobbiamo imparare a pregare e le letture di questa domenica ci danno dei preziosi insegnamenti. La prima lettura ci riporta l’episodio di Abramo che intercede per le città di Sodoma e Gomorra. In queste due città dilagava il vizio contro natura. Dio disse ad Abramo: «Il grido di Sodoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave» (Gen 18,20). Dio voleva distruggere quelle città per i peccati dei loro abitanti, ma per le insistenti preghiere di Abramo, se avesse trovato anche solo dieci giusti tra i loro abitanti, Egli non le avrebbe annientate. Questo episodio ci insegna quanto è importante la preghiera delle anime buone. Essa trattiene i giusti castighi che ci meritiamo. Per questo motivo un tempo, quando vi era una fede più viva, le nostre città facevano a gara per avere dei monasteri ove ci fosse chi, notte e giorno, pregasse per tutti gli abitanti. Avere questi monasteri era per loro la migliore protezione contro i mille pericoli che incombevano, pericoli di nemici, pericoli di cataclismi, pericoli di pestilenze, pericoli di ogni genere. La presenza di quelle anime oranti era molto importante soprattutto per ottenere la grazia più grande, la grazia della salvezza eterna. Tante volte capita che qualcuno si raccomandi alle preghiere di qualche anima consacrata. Questa consuetudine è molto bella e riflette la consapevolezza che la nostra preghiera è debole e che abbiamo bisogno di qualcuno che preghi per noi. Vogliamo soprattutto ricorrere alla preghiera della Beata Vergine Maria. Ella tutto ottiene ai suoi figli, soprattutto a quelli che a Lei ricorrono. In un Santuario mariano mi è capitato di vedere che l’icona raffigurante la Madonna presentava qualcosa di particolare. Il pittore aveva raffigurato la Vergine con le mani giunte, in atteggiamento orante, e le mani erano grandi, leggermente sproporzionate rispetto al volto. In un primo momento pensai che quella sproporzione fosse frutto della mancanza di abilità del pittore. Solo in un secondo momento mi spiegarono che quello non era uno sbaglio ma era proprio nell’intenzione del pittore, il quale, con quelle mani grandi, voleva significare la potenza dell’intercessione di Maria. Affidiamoci anche noi alla sua preghiera e troveremo sempre aiuto e protezione. Nel Vangelo troviamo altri preziosi insegnamenti. Prima di tutto, Gesù insegna ai Discepoli la preghiera del Padre nostro. Questa è la preghiera per eccellenza. Ogni altra preghiera deve riflettere nei contenuti questa meravigliosa orazione uscita dal Cuore e dalle labbra del Salvatore. Essa ci insegna a ricercare al di sopra di tutto la gloria di Dio, l’adempimento della sua Volontà, ben sapendo che Dio, Padre buono, si prenderà cura della nostra vita. Essa ci insegna a riconoscere le nostre colpe, a domandare umilmente perdono, con il dovere però di perdonare anche noi il nostro prossimo. Sarà una cosa molto bella meditare lentamente questa preghiera, assaporandola parola per parola. Nel proseguo del Vangelo, Gesù ci insegna ad essere insistenti nella nostra preghiera. Dobbiamo imitare quell’uomo che andò a bussare a mezzanotte per chiedere del pane. Se non venne esaudito per amicizia, venne comunque esaudito per la sua insistenza. Ci sono delle parole che devono animarci a pregare con grande fiducia. Gesù ci dice: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto» (Lc 11,9). Con la preghiera noi bussiamo al Cuore di Gesù e troveremo tutto ciò di cui abbiamo veramente bisogno. Una cosa, soprattutto, ferisce il Cuore del nostro Salvatore: la nostra diffidenza. Proponiamoci di non dare più questo dispiacere a Gesù, ben sapendo che, se non otteniamo ciò per cui preghiamo, otterremo qualcosa di ancora più grande. Forse ora non siamo in grado di accorgercene, solo un giorno lo comprenderemo. Infine, Gesù ci insegna la Bontà di Dio Padre: «Se voi che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!» (Lc 11,13). Dio ascolterà le nostre preghiere, non perché noi siamo buoni, ma perché Egli è buono e desidera aiutarci. Ogni nostra preghiera sarà sempre ascoltata da Lui, nella misura della nostra umiltà, fiducia e perseveranza.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 25 luglio 2010)

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