BastaBugie n�75 del 13 marzo 2009

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1 PAPA BENEDETTO XVI SCRIVE AI VESCOVI SULLA REMISSIONE DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI

Autore: Andrea Tornielli - Fonte: 11 marzo 2009
2 REMISSIONE DELLA SCOMUNICA DEI QUATTRO VESCOVI CONSACRATI DALL’ARCIVESCOVO LEFEBVRE
Lettera di Sua Santità Benedetto XVI ai Vescovi della Chiesa Cattolica
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Sito del Vaticano
3 IL FILM ATTESO DA DECENNI: KATYN;
Ma dopo la censura sovietica, ne subisce una seconda in Italia
Autore: Luigi Geninazzi - Fonte: 8 marzo 2009
4 TUTTA LA VERITA' SUL NUCLEARE

Fonte: 27 febbraio 2009
5 MUSSOLINI E IL FASCISMO
Uno dei piu' riusciti esperimenti di sinistra
Autore: Luca Gallesi - Fonte: 4 marzo 2009
6 CINA E LAOGAI
La testimonianza di 19 anni di schiavitu' e torture di Harry Wu
Autore: Elena Molinari - Fonte: 18 gennaio 2009
7 PADRE MARCIAL MACIEL (1)
La verita' che fa male
Autore: Salvatore Mazza - Fonte: 5 febbraio 2009
8 PADRE MARCIAL MACIEL (2)
Fondatore dei Legionari di Cristo
Autore: Matteo Liut - Fonte: 5 febbraio 2009
9 PADRE MARCIAL MACIEL (3)
Avanti tutta, indipendentemente dalla figura del fondatore
Autore: 5 febbraio 2009 - Fonte:
10 APPROFONDIAMO L'ISTRUZIONE DIGNITAS PERSONAE SU ALCUNE QUESTIONI DI BIOETICA (3)

Autore: Mons. Elio Sgreccia - Fonte: 12 dicembre 2008

1 - PAPA BENEDETTO XVI SCRIVE AI VESCOVI SULLA REMISSIONE DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI

Autore: Andrea Tornielli - Fonte: 11 marzo 2009

E' un testo articolato, bello, umile e allo stesso tempo forte: il Papa vuole fare chiarezza circa le polemiche sollevate dalla revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani e dal caso Williamson, e interviene sulle critiche divampate anche e soprattutto dentro la Chiesa. Lo fa con una lettera inviata a tutti i vescovi cattolici, ricordando che il caso "ha suscitato all'interno e fuori della Chiesa cattolica una discussione di tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata". Benedetto XVI ricorda la "valanga di proteste" e l'accusa a lui rivolta di voler tornare indietro rispetto al Concilio. "Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all'improvviso come una cosa totalmente diversa: come una smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa". L'invito alla riconciliazione con un gruppo che si era separato, è stato dunque presentato come una volontà di creare nuove fratture fra cristiani ed ebrei. Nelle parole di Papa Ratzinger emerge tutto il dolore che questa strumentalizzazione gli ha provocato, dato che proprio la riconciliazione tra cristiani ed ebrei "fin dall'inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico". Benedetto XVI spiega che in futuro la Santa Sede dovrà prestare più attenzione alle notizie diffuse su Internet (le dichiarazioni di Williamson circolavano infatti sul Web già prima della pubblicazione della revoca della scomunica) e aggiunge: "Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un'ostilità pronta all'attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l'atmosfera di amicizia e di fiducia". Il Papa si rammarica poi per il fatto che la stessa revoca della scomunica, "la portata e i limiti del provvedimento" non siano stati "illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione". E precisa che la scomunica colpisce persone, non istituzioni: la revoca è un atto disciplinare, che rimane ben distinto dall'ambito dottrinale: "Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali" e i suoi ministri, anche se "sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica, non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa".
Continuando su questo tema, il Pontefice annuncia di voler collegare la commissione Ecclesia Dei, che si occupa dei lefebvriani, con la Congregazione per la dottrina della fede. E a proposito del Concilio dice: "Non si può congelare l'autorità magisteriale della Chiesa all'anno 1962 - ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta con sé l'intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l'albero vive".
Benedetto XVI - ed è la parte più commovente della lettera - risponde poi alla domanda critica che molti gli hanno rivolto in queste settimane: la revoca della scomunica era necessaria? Era davvero una priorità? Il Papa risponde che la sua priorità come pastore universale "è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo … in Gesù crocifisso e risorto". Nel momento in cui Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini, bisogna "avere a cuore l'unità dei credenti", perché la loro discordia e contrapposizione "mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio". Anche "riconciliazioni piccole e medie" fanno dunque parte delle priorità per la Chiesa. Il "sommesso gesto di una mano tesa" ha invece dato origine a un grande chiasso, trasformandosi così "nel contrario di una riconciliazione". Ma il Papa spiega come sia invece necessario cercare di reintegrare, prevenire ulteriori radicalizzazioni, impegnarsi per sciogliere irrigidimenti e dar spazio a ciò che vi è di positivo. "Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità" - i lefebvriani - "nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi … 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa?". Benedetto XVI non si nasconde che dalla Fraternità da molto tempo siano venute "molte cose stonate - superbia, saccenteria, unilateralismi ecc. Per amore di verità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un'apertura dei cuori". Ma aggiunge che anche nell'ambiente ecclesiale sono emerse stonature: "A volte si ha l'impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo".
Benedetto XVI ha dunque revocato la scomunica ai vescovi lefebvriani con lo sguardo del pastore preoccupato per l'unità della Chiesa, che tende la mano e offre misericordia. Quel gesto sommesso non significa ancora piena unità, finché le questioni dottrinali non saranno chiarite. La sciagurata intervista negazionista di Williamson non era conosciuta dal Papa quando ha approvato il decreto: leggere ciò che è avvenuto come un cambiamento di rotta rispetto a quanto stabilito dal Concilio nel rapporto con gli ebrei è stata una strumentalizzazione, alla quale si sono prestati anche cattolici, nonostante il Pontefice ammetta che andava chiarita meglio la portata del provvedimento. La Chiesa non torna indietro rispetto al Vaticano II, ma il Vaticano II non rappresenta una frattura, un nuovo inizio, rispetto alla bimillenaria storia cristiana. C'è da augurarsi che tutti i vescovi, anche e soprattutto coloro che hanno criticato il Papa, leggano bene le parole umili e forti del servo dei servi di Dio e comprendano l'atteggiamento di un padre misericordioso, che cerca di favorire l'unità dei credenti in Cristo, per testimoniarlo in un mondo che ha fatto sparire Dio dal suo orizzonte.

Per leggere tutto il testo della lettera del Papa, vai a:
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=882

Fonte: 11 marzo 2009

2 - REMISSIONE DELLA SCOMUNICA DEI QUATTRO VESCOVI CONSACRATI DALL’ARCIVESCOVO LEFEBVRE
Lettera di Sua Santità Benedetto XVI ai Vescovi della Chiesa Cattolica
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Sito del Vaticano, 10 Marzo 2009

Cari Confratelli nel ministero episcopale!
La remissione della scomunica ai quattro Vescovi, consacrati nell’anno 1988 dall’Arcivescovo Lefebvre senza mandato della Santa Sede, per molteplici ragioni ha suscitato all’interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata. Molti Vescovi si sono sentiti perplessi davanti a un avvenimento verificatosi inaspettatamente e difficile da inquadrare positivamente nelle questioni e nei compiti della Chiesa di oggi. Anche se molti Vescovi e fedeli in linea di principio erano disposti a valutare in modo positivo la disposizione del Papa alla riconciliazione, a ciò tuttavia si contrapponeva la questione circa la convenienza di un simile gesto a fronte delle vere urgenze di una vita di fede nel nostro tempo. Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamente il Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: si scatenava così una valanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del momento. Mi sento perciò spinto a rivolgere a voi, cari Confratelli, una parola chiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questo passo hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede. Spero di contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa.
Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all’improvviso come una cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa. Un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato in un processo di separazione si trasformò così nel suo contrario: un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio – passi la cui condivisione e promozione fin dall’inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico. Che questo sovrapporsi di due processi contrapposti sia successo e per un momento abbia disturbato la pace tra cristiani ed ebrei come pure la pace all’interno della Chiesa, è cosa che posso soltanto deplorare profondamente. Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremo prestar più attenzione a quella fonte di notizie. Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia, che – come nel tempo di Papa Giovanni Paolo II – anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua ad esistere.
Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nel fatto che la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione. La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un’Ordinazione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno scisma, perché mette in questione l’unità del collegio episcopale con il Papa. Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fine di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all’unità. A vent’anni dalle Ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto. La remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno. Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità dottrinale e a quella del Concilio. Con ciò ritorno alla distinzione tra persona ed istituzione. La remissione della scomunica era un provvedimento nell’ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall’ambito dottrinale. Il fatto che la Fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa. Bisogna quindi distinguere tra il livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinale in cui sono in questione il ministero e l’istituzione. Per precisarlo ancora una volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, la Fraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri – anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa.
Alla luce di questa situazione è mia intenzione di collegare in futuro la Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" – istituzione dal 1988 competente per quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San Pio X o da simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col Papa – con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Con ciò viene chiarito che i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmente dottrinale e riguardano soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post-conciliare dei Papi. Gli organismi collegiali con i quali la Congregazione studia le questioni che si presentano (specialmente la consueta adunanza dei Cardinali al mercoledì e la Plenaria annuale o biennale) garantiscono il coinvolgimento dei Prefetti di varie Congregazioni romane e dei rappresentanti dell’Episcopato mondiale nelle decisioni da prendere. Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive.
Spero, cari Confratelli, che con ciò sia chiarito il significato positivo come anche il limite del provvedimento del 21 gennaio 2009. Ora però rimane la questione: Era tale provvedimento necessario? Costituiva veramente una priorità? Non ci sono forse cose molto più importanti? Certamente ci sono delle cose più importanti e più urgenti. Penso di aver evidenziato le priorità del mio Pontificato nei discorsi da me pronunciati al suo inizio. Ciò che ho detto allora rimane in modo inalterato la mia linea direttiva. La prima priorità per il Successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo in modo inequivocabile: "Tu … conferma i tuoi fratelli" (Lc 22, 32). Pietro stesso ha formulato in modo nuovo questa priorità nella sua prima Lettera: "Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pt 3, 15). Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più.
Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio. Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani – per l’ecumenismo – è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce – è questo il dialogo interreligioso. Chi annuncia Dio come Amore "sino alla fine" deve dare la testimonianza dell’amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l’odio e l’inimicizia – è la dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlato nell’Enciclica Deus caritas est.
Se dunque l’impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l’amore nel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) la vera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni piccole e medie. Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine ad un grande chiasso, trasformandosi proprio così nel contrario di una riconciliazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto. Ma ora domando: Era ed è veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che "ha qualche cosa contro di te" (cfr Mt 5, 23s) e cercare la riconciliazione? Non deve forse anche la società civile tentare di prevenire le radicalizzazioni e di reintegrare i loro eventuali aderenti – per quanto possibile – nelle grandi forze che plasmano la vita sociale, per evitarne la segregazione con tutte le sue conseguenze? Può essere totalmente errato l’impegnarsi per lo scioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò che vi è di positivo e di ricuperabile per l’insieme? Io stesso ho visto, negli anni dopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Roma sia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampia Chiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidimenti così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme. Può lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491 sacerdoti. Non possiamo conoscere l’intreccio delle loro motivazioni. Penso tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementi distorti e malati, non ci fosse stato l’amore per Cristo e la volontà di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?
Certamente, da molto tempo e poi di nuovo in quest’occasione concreta abbiamo sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate – superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della verità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura dei cuori. Ma non dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche generosa nella consapevolezza del lungo respiro che possiede; nella consapevolezza della promessa che le è stata data? Non dovremmo come buoni educatori essere capaci anche di non badare a diverse cose non buone e premurarci di condurre fuori dalle strettezze? E non dobbiamo forse ammettere che anche nell’ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa – perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo.
Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questa lettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpretare e commentare il brano di Gal 5, 13 – 15. Ho notato con sorpresa l’immediatezza con cui queste frasi ci parlano del momento attuale: "Che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!" Sono stato sempre incline a considerare questa frase come una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certi aspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore? Nel giorno in cui ho parlato di ciò nel Seminario maggiore, a Roma si celebrava la festa della Madonna della Fiducia. Di fatto: Maria ci insegna la fiducia. Ella ci conduce al Figlio, di cui noi tutti possiamo fidarci. Egli ci guiderà – anche in tempi turbolenti. Vorrei così ringraziare di cuore tutti quei numerosi Vescovi, che in questo tempo mi hanno donato segni commoventi di fiducia e di affetto e soprattutto mi hanno assicurato la loro preghiera. Questo ringraziamento vale anche per tutti i fedeli che in questo tempo mi hanno dato testimonianza della loro fedeltà immutata verso il Successore di san Pietro. Il Signore protegga tutti noi e ci conduca sulla via della pace. È un augurio che mi sgorga spontaneo dal cuore in questo inizio di Quaresima, che è tempo liturgico particolarmente favorevole alla purificazione interiore e che tutti ci invita a guardare con speranza rinnovata al traguardo luminoso della Pasqua.
Con una speciale Benedizione Apostolica mi confermo
Vostro nel Signore

DOSSIER "BENEDETTO XVI"
Discorsi e omelie del Papa teologo

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Fonte: Sito del Vaticano, 10 Marzo 2009

3 - IL FILM ATTESO DA DECENNI: KATYN;
Ma dopo la censura sovietica, ne subisce una seconda in Italia
Autore: Luigi Geninazzi - Fonte: 8 marzo 2009

 La sala è stracolma di spettatori commossi: sul grande schermo scorrono le immagini della doppia invasione, nazista e sovietica, nella Polonia del 1939, una sequenza tragica che toccherà il suo culmine nella strage di oltre ventimila ufficiali dell’esercito polacco compiuta dai bolscevichi per ordine di Stalin. 'Katyn', il film realizzato da Andrzej Wajda nel 2007, è giunto finalmente in Italia. Un film bellissimo che rievoca uno dei più atroci e ignorati massacri del secolo scorso senza risparmiare alcun dettaglio dell’orrore, ma al tempo stesso senza cedere all’odio.
  Il grande regista, già noto in tutto il mondo per aver realizzato capolavori come 'Danton' e 'L’uomo di marmo', fa scorrere davanti ai nostri occhi la dignità e il coraggio delle vittime, la tenacia e la fierezza delle donne e dei familiari che aspettano contro ogni speranza il ritorno a casa dei loro cari, l’angoscia di un’intera nazione schiacciata da due opposti totalitarismi che si rinfacciano la responsabilità dell’eccidio fino al trionfo della menzogna imposta dal vincitore sovietico e sostanzialmente accettata dagli Alleati occidentali. Solo dopo la caduta del comunismo la verità su Katyn ha smesso di essere un argomento tabù. Andrzej Wajda ce la riconsegna con uno stile solenne ed austero più efficace di qualsiasi invettiva. «Il mio film vuol essere un’elegia che tocca i cuori, non una clava da usare in una nuova guerra della memoria», ci aveva detto l’anziano regista in occasione dell’uscita del film in Polonia.
  Adesso è arrivato anche nel nostro Paese ma solo pochi fortunati sono riusciti a vederlo. 'Katyn' viene proiettato in pochissimi cinematografi, 12 in tutt’Italia. Com’è possibile che un simile capolavoro non trovi spazio se non in circuiti ristretti o nei cinema d’essai? Non è certo colpa della società di distribuzione 'Movimento Film' il cui responsabile, Mario Mazzarotto, ammette sconsolato che «di 'Katyn' in versione italiana sono disponibili molte più copie di quante ne circolano attualmente, ma sembra che si stia facendo di tutto per boicottarne la visibilità». Censurato e avvolto nella menzogna di regime per oltre mezzo secolo, Katyn è stato un nome difficile da pronunciare ad alta voce anche qui da noi. Nell’immediato dopoguerra ci fu chi venne sottoposto ad un vero e proprio linciaggio morale da parte del Pci di Togliatti per aver sollevato i veli sull’eccidio che porta il marchio sovietico. Vogliamo credere che quella stagione d’inquietante omertà sia archiviata per sempre. Ma allora come si spiega quest’ottusa preclusione delle nostre sale cinematografiche?
  Forse perché 'Katyn' viene considerato un film di scarso richiamo e di magri incassi? Non è così. Certo, non farà concorrenza ai film-panettone di Boldi e De Sica ma c’è un pubblico interessato a vederlo. L’altra sera, a Milano, c’era gente in piedi ad assistere alla seconda (ed ultima!) proiezione del film di Wajda. E centinaia di persone, dopo aver fatto inutilmente la fila al botteghino, sono tornate a casa senza averlo potuto vedere. A meno di un ripensamento di qualche gestore, non avranno più un’altra occasione. Il che rappresenta un controsenso anche dal punto di vista commerciale.
  Ma 'Katyn' è un film che dovrebbe essere proiettato in tutte le scuole, un contributo al recupero di quella 'memoria storica' che politici ed educatori sottolineano sempre con grande enfasi. Invece in Italia viene relegato, ignorato e sottilmente boicottato. C’è di che vergognarsi: dopo i sovietici, siamo riusciti a censurare Katyn una seconda volta.

Ulteriori approfondimenti: href="http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=19">http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=19

Fonte: 8 marzo 2009

4 - TUTTA LA VERITA' SUL NUCLEARE

Fonte 27 febbraio 2009

Non ci sono pericoli oggettivi, spiega Elio Sindoni, in relazione al ritorno delle centrali nucleari in Italia. Centrali sicurissime, scorie rese innocue e sistemi ancor più avanzati in via sperimentale. Senza contare il risparmio economico che le centrali procurerebbero all’Italia. Ma l’ideologia che vede nell’uomo un parassita del pianeta continua a seminare panico
In che modo si produce l’energia nucleare e come mai è così redditizia?
L’energia nucleare, che, occorre ricordarlo, ormai trattiamo da tempo, si produce utilizzando le reazioni di “fissione nucleare”.
Per spiegare in parole povere il meccanismo è il seguente: si prende il nucleo di un atomo e lo si rompe in due parti. L’effetto di questa rottura fa sì che la massa di queste due parti, sommata, sia inferiore a quella di partenza. Questo è segno del fatto che la differenza è stata trasformata in energia, la stessa energia che era racchiusa nell’atomo. Si dà il caso che tale forza sia davvero enorme e che per ottenerla occorra pochissimo materiale. In questo senso è redditizia. Si tratta di un guadagno non tanto in termini di realizzazione delle centrali, che in realtà sono costose, quanto di risparmi di materiale, un investimento nel tempo. Basta pochissimo infatti per alimentare a lungo vaste zone civilizzate che necessitano di molta energia.
Che cosa sono esattamente le scorie? È vero che non c’è modo di eliminarle definitivamente?
Le scorie non sono altro che il combustibile utilizzato per produrre energia, il cosiddetto “fissile”. Per dividere il nucleo dell’atomo occorre “bombardarlo” con neutroni. E per ottenere un simile bombardamento occorre un combustibile radioattivo che emetta particelle, raggi gamma e altro. Finora però non si riesce però a utilizzare il fissile in modo tale che tutta la radioattività di cui dispone sia esaurita. Resta così una radiazione residua che caratterizza la famigerate scorie. Questa non si può eliminare, se non aspettando qualche milione di anni.
Vi sono però vari metodi, assolutamente sicuri, per renderle innocue. Uno di questi consiste nel “vetrificarle” cioè nel renderne il più piccolo possibile il volume.
Comunque, dal momento che alcune di queste possono continuare a emettere per centinaia di migliaia di anni, occorre che siano blindate in luoghi sotterranei dove non ci sia possibilità di intrusioni d’acqua. Ci sono appositi  geologi chiamati a ricercare siti speciali per i depositi di scorie.
Come mai da più parti si garantisce con un’assoluta certezza che un eventuale incidente non recherà danni alla popolazione?
Tutti, e a ragione, sono spaventati se ripensano all’incidente di Chernobyl. Ma è bene ricordare che ad oggi sono passati più di due decenni e la tecnologia, non da noi purtroppo ma all’estero, ha progredito notevolmente da allora. In sé un moderno reattore nucleare funzionante non presenta assolutamente alcuna perdita di radiazione ed è uno strumento sicurissimo. Qualora dovesse accadere un incidente come quello ci Chernobyl gli impianti si spegnerebbero automaticamente. Questo perché i reattori di ultima generazione hanno numerosissimi sistemi di sicurezza continuamente attivi.
A questo si aggiunga la protezione fisica di cui sono oggi dotati i reattori. Infatti si trovano all’interno di una struttura progettata per resistere all’urto di un Boeing, insomma a prova di “11 settembre”. È chiaro che la certezza matematica non c’è  e non ci sarà mai, ma possiamo tranquillamente affermare che le probabilità di un incidente davvero grave sono precipitate drasticamente. Se paragoniamo i rischi di una centrale nucleare moderna a quelli di una miniera non c’è confronto che regga: quest’ultima continua realmente a mietere vittime, a differenza della prima. E lo scopo è lo stesso, produrre energia.
Dicono che in Italia non c’è l’uranio e che quindi il nostro Paese rimarrà comunque dipendente in quanto dovrà importare tale elemento da altre nazioni. Che cosa ne pensa?
In primo luogo la dipendenza che ci viene dall’uranio non è così massiccia come quella dei combustibili fossili. E poi mi domando come si faccia a sviluppare un’economia in cui l’energia è basata quasi esclusivamente sui combustibili fossili quando quest’ultimi hanno degli sbalzi di prezzo imprevedibili. È difficile anche programmare una tabella di costi. 
Comunque, per rispondere compiutamente alla domanda, posso dire che sono a progetto nuovi “reattori autofertilizzanti” in cui il consumo di combustibile è regolato in modo che si riesca a riprodurne sempre di nuovo. Per il momento sono ancora sperimentali. Ci fu una prova famosa anni fa con il reattore “Super Phoenix” in Francia. Andò piuttosto male, ma l’idea rimase valida. Oggi siamo molto più vicini di allora a una realizzazione efficace di tale sistema.
Le energie alternative sono una controproposta realistica? È troppo presto per proporle o non potranno mai sostituire in maniera soddisfacente le fonti attuali?
Personalmente sono a favore delle energie alternative. Per riuscire ad avere nuove centrali nucleari in Italia ci vorranno parecchi anni. D’altra parte sarebbe meglio non continuare a bruciare carbone e combustibili fossili, non tanto per il surriscaldamento globale, perché credo che l’effetto dell’uomo in questo frangente sia abbastanza trascurabile, ma perché che non possiamo permetterci di consumare, in poche centinaia di anni, tutto ciò che la natura ha racchiuso in milioni di anni nella nostra terra. Le centrali a combustibili fossili hanno una tecnologia abbastanza bassa e a mio avviso sarebbe meglio farle utilizzare dai Paesi che non possono permettersi un alto livello di tecnologia come quello delle centrali nucleari.
Per quanto riguarda le energie alternative, possono sì servire e aiutare. L’energia solare va benissimo e ce ne è  anche tanta, ma a bassa intensità. Perché non concentrare gli sforzi e gli studi, anziché in crociate contro il nucleare, nel migliorare ulteriormente questo tipo di sfruttamento? Per quel che concerne l’energia eolica nel nostro Paese sono più scettico per un’effettiva assenza di risorse. Un’altra soluzione di cui si parla poco sono le biomasse, l’utilizzo di scarti vegetali e biologici per la combustione.
A quali cause ideologiche o culturali lei riconduce il cosiddetto “fondamentalismo ambientalista”? Che obiettivi si pone e che vantaggi può ottenere una simile posizione?
Non ho idea degli effettivi vantaggi, perché non faccio parte della schiera. Penso che gli ambientalisti abbiano di fondo un’idea dell’uomo che lo dipinge quasi fosse un parassita della terra, un virus che rovina il pianeta. Dietro questa visione risiede un’ideologia convinta che l’umanità possa vivere tranquillamente senza usare energia. Non ci si rende conto che siamo sette miliardi di individui e che quindi ci sono un po’ di problemi di utilities. Non credo, infatti, che ci siano verdi e ambientalisti nei paesi più poveri dell’Africa.
Al di là della costruzione o meno di centrali nucleari nel nostro Paese, qual è il futuro di questo tipo di energia?
L’altro sistema per utilizzare l’energia nucleare, che presenta ancora meno rischi, è la “fusione nucleare”. Questa fusione non produce la minima scoria. In tale procedimento si fanno fondere tra loro due atomi “leggeri” ottenendo un atomo composto da questi, ma con massa inferiore. Anche qui la differenza va in energia. Una dinamica questa che è la più importante dell’universo perché è la stessa per la quale bruciano il sole e tutte le stelle. Le ricerche in questo campo sono iniziate 50 anni fa. Oggi il passo fondamentale verrà effettuato dal reattore sperimentale ITER situato nel centro di ricerca Cadarache in Francia. Questa sarà molto probabilmente la vera energia del futuro.

Fonte: 27 febbraio 2009

5 - MUSSOLINI E IL FASCISMO
Uno dei piu' riusciti esperimenti di sinistra
Autore: Luca Gallesi - Fonte: 4 marzo 2009

 « Tutto quello che sapete sul fascismo è sbagliato!». Questa provocatoria affermazione apre  Liberal Fascism di Jonah Goldberg, (Penguin Books, pp. 488, sterline 9.99), un corrosivo e brillante saggio di storia delle idee che, dopo aver scalato i vertici di vendita delle classifiche statunitensi, approda nelle librerie del Regno Unito. Stufo di sentirsi dare del «fascista» per le sue idee, l’autore, che è un conservatore dichiarato, giornalista del Los Angeles Times e collaboratore della National Review, ha deciso di reagire dimostrando con solide argomentazioni che il fascismo non è affatto un movimento di destra o reazionario, bensì uno dei più riusciti esperimenti della sinistra rivoluzionaria, figlio diretto di quella Rivoluzione Francese da cui trae origine tutto il pensiero di sinistra e progressista, ovvero liberal. Goldberg fa brillantemente piazza pulita di tutti i luoghi comuni politicamente corretti, ricordando anzitutto le radici socialiste di Mussolini e del movimento nazionalsocialista. Tutta la politica del Ventennio deriva dai medesimi principi di giustizia sociale che hanno ispirato anche la rivoluzione bolscevica e il New Deal di Roosevelt, ottenendo però risultati assai migliori. Lo Stato, e non l’individuo con le sue capacità e intraprendenza, è sovrano, e allo Stato devono tendere tutte le energie della comunità, sia essa nazionale – come in Italia – oppure razziale come in Germania o politica come nella Russia sovietica o negli Usa degli anni Trenta. Al di là del concetto di bene comune, da perseguire con mezzi diversi, l’ideologia che unisce le varie rivoluzioni è il pragmatismo, l’onnipotenza del Capo e soprattutto il culto dell’azione, elementi che suscitarono negli Usa stima e ammirazione soprattutto negli ambienti progressisti, mentre all’estrema destra il Ku Klux Klan faceva professione di antifascismo. Non è un caso, infatti, che esistano, come fa acutamente notare Goldberg, moltissimi punti in comune tra fascismo italiano e populismo americano, un vasto movimento politico di sinistra che fu sul punto, alla fine dell’Ottocento, di conquistare la presidenza Usa in nome del popolo e della giustizia sociale contro l’onnipotente plutocrazia.
  Al lettore italiano, grazie alla monumentale opera di Renzo De Felice, probabilmente questa ipotesi sembrerà meno stravagante di quanto non sia suonata oltreoceano, anche se il nostro scenario politico si presta ancora alla grossolana strumentalizzazione del concetto di «fascismo», brandito come una clava all’indirizzo dell’avversario politico di turno. Ma il fascismo storico, sconfitto dalla Seconda guerra mondiale, non segna la fine del fascismo ideale, che ritroviamo – secondo Goldberg – in tutte la manifestazioni più eclatanti della sinistra liberal e nelle azioni dei suoi leader carismatici, a partire dal quel John F. Kennedy, di cui si ricorda il vago progressismo pacifista, dimenticando per esempio che i suoi primi passi in politica furono mossi dall’adesione al movimento neutralista America First, accusato di simpatie con l’Asse. Per non parlare, poi, dei movimenti della sinistra più o meno estrema, che a un’accurata analisi rivelano più di una insospettata condivisione di idee e valori con quelli della Germania nazionalsocialista, cominciando dalla simpatia per l’ecologia e la vita sana e naturale.
  Hitler era strettamente vegetariano e odiava profondamente i fumatori; Goering fu promotore di una legislazione a tutela della natura e degli animali che rimane ancora oggi un modello esemplare; Hess era un fanatico assertore dell’astrologia e praticava una religiosità che non sarebbe azzardato definire New Age. Per non parlare, infine, dell’esistenzialismo, così intimamente legato alla filosofia di Heidegger; dell’eugenetica, oggi così popolare tra i progressisti; del «decostruzionismo», termine addirittura coniato dagli hitleriani, e persino della critica al consumismo incarnato dai primi supermarket, creazioni del nemico capitalista e apolide, che il popolo doveva boicottare, preferendo le sane botteghe dei commercianti tedeschi.

Fonte: 4 marzo 2009

6 - CINA E LAOGAI
La testimonianza di 19 anni di schiavitu' e torture di Harry Wu
Autore: Elena Molinari - Fonte: 18 gennaio 2009

  La sezione multimediale del Laogai Museum di Washington, dove diversi video raccontano le vicende dei prigionieri politici cinesi. In mostra gli orrori di Pechino.

Harry Wu aveva 23 anni quando venne condannato ai lavori forzati a vita. Wu, uno studente di geologia dell’Università di Pechino, era stato colpevole di aver criticato il partito comunista cinese e di aver professato apertamente la sua fede cattolica. Essere rinchiuso in un laogai (un campo di rieducazione) negli anni ’60 equivaleva a sparire per sempre. Ma Wu fu relativamente fortunato. Dopo 19 anni di schiavitù e torture in 12 campi di lavoro diversi, la morte di Mao e la successiva apertura del governo cinese al mondo esterno di Deng Xiaoping gli regalarono la libertà. Non solo, Wu ottenne persino il permesso di lasciare la Cina e nel 1985, con 40 dollari in tasca, Wu approdò in America ansioso di cominciare una nuova vita. Ma non di dimenticare.
  Se la sua storia di abusi e pestaggi quotidiani si era chiusa, le sofferenze di centinaia di migliaia di prigionieri dei laogai continuavano. Wu girò gli Stati Uniti in cerca di sponsor finché, nel 1992, non riuscì a dare vita alla Laogai research foundation, un’organizzazione no-profit con la missione di documentare l’orrore dei campi di concentramento cinesi che continuarono a uccidere per tutto il XX secolo. Ancora oggi, i laogai formano la rete di campi di lavoro più estesa ed efficiente mai esistita, e grazie al lavoro gratuito di criminali e dissidenti, esportano prodotti ad alto contenuto di manodopera in tutto il mondo. Per raccontare le storie di migliaia di vittime morte di freddo, fame o torture in una delle 1.100 prigioni del sistema, Wu ha raccolto le lettere, le foto e le divise di centinaia di vittime e sopravvissuti, cui ha aggiunto migliaia di beni di consumo prodotti nei campi e li ha riuniti nel primo Museo al mondo dei laogai. Fra artefatti e testimonianze, dalla galleria, che ha aperto le porte a Washington in questi giorni grazie al sostegno del motore di ricerca Yahoo, emergono statistiche raccapriccianti. Wu e gli altri ricercatori della fondazione calcolano che dalla loro apertura all’inizio degli anni ’50, quasi 50 milioni di persone siano passate attraverso i cancelli dei campi di prigionia del partito comunista cinese. E il flusso di detenuti è andato crescendo nel tempo.
  Nel 1979, quando Wu venne scarcerato, il numero delle persone incarcerate nei laogai si misurava nelle decine di migliaia. Oggi i prigionieri sono 6,8 milioni, distribuiti su tutto il territorio cinese. La maggior parte (da metà ai due terzi) sono dissidenti politici, obiettori di coscienza o religiosi non allineati con la chiesa di Stato.
  Concepiti inizialmente come uno strumento di controllo politico e psicologico durante la rivoluzione culturale, oggi i laogai sono diventati anche una forza economica: una fonte inesauribile di manodopera gratuita che alimenta l’economia cinese.
 Hu, noto anche in Italia per aver pubblicato un volume con cui racconta la sua storia (Controrivoluzionario, pubblicato dalle edizioni San Paolo lo scorso anno) spiega di aver assistito in prima persona all’espansione dei laogai negli ultimi vent’anni. Negli anni ’90, il dissidente ha compiuto infatti numerosi viaggi in Cina, sotto mentite spoglie, seguendo a ritroso il percorso di centinaia di prodotti in vendita nei grandi magazzini cinesi e occidentali e tracciandone le origini nelle mani di prigionieri dei laogai. Su alberi di Natale artificiali, braccialetti di plastica e giocattoli, Wu ha trovato prova di provenienza dai campi di lavoro.
  In seguito alle sue scoperte, nel 1998 la commissione per le relazioni internazionali della Camera Usa pubblicò un resoconto che segnalava i prodotti emersi dai laogai e presenti sul mercato americano con i marchi Staples (cancelleria per ufficio), Chrysler e Nestlé. Un detenuto del campo di lavoro Changji, nella regione di Xinjiang, ha poi testimoniato pubblicamente che il campo produce per i fornitori cinesi di grandi marche dell’abbigliamento come Banana Republic, Neiman Marcus e French Connection.
  Wu ha scoperto (e documenta nel Museo) anche un commercio illegale di organi estratti dai cadaveri dei prigionieri. A causa delle sue ricerche, l’ex prigioniero fu dichiarato un 'nemico pubblico' della Cina e durante un viaggio a Pechino fu arrestato e condannato a 15 anni di carcere. Solo una notevole pressione politica internazionale ottenne la sua liberazione dopo 66 giorni di prigione.
  Grazie al suo lavoro e a quello di decine di ex detenuti, i segreti dei laogai sono diventati più difficili da nascondere per il governo cinese. Storie come quella di Wan Guifu, morto di botte a 57 anni dopo essere stato costretto per anni a rompere con le mani e con i denti semi di anguria e nocciole destinate ai supermercati cinesi, sono uscite dai fili spinati dei campi di concentramento del XXI secolo. Ora reclamano giustizia.

Fonte: 18 gennaio 2009

7 - PADRE MARCIAL MACIEL (1)
La verita' che fa male
Autore: Salvatore Mazza - Fonte: 5 febbraio 2009

 Torna al centro di nuove polemiche il fondatore dei Legionari di Cristo, padre Marcial Maciel, scomparso nel gennaio dell’anno scorso. Il quotidiano The New York Times ha pubblicato ieri la notizia che il sacerdote messicano, sollevato nel maggio del 2006 dal Papa «da ogni ministero pubblico» in seguito alle accuse di abusi sessuali, e invitato «a una vita riservata di preghiera e di penitenza», ha avuto una figlia da una donna con la quale aveva una relazione  Jim Fair, portavoce dell’ordine, ha sostanzialmente confermato al quotidiano statunitense la notizia, senza entrare in ulteriori dettagli «per rispettare la privacy delle persone coinvolte». E, nello stesso tempo, ha affermato come «recentemente, siamo venuti a sapere di alcuni aspetti della vita di padre Maciel che sono molto difficili da capire, aspetti che non sono appropriati alla vita di un prete». Dichiarazione ripresa punto per punto da padre Paolo Scarafoni, portavoce a Roma dei Legionari, il quale tuttavia, sottolinea: «La scoperta di questi aspetti sconcertanti è stata sicuramente dolorosa. Ma questo non toglie nulla all’opera fondata da padre Maciel, che casomai è la dimostrazione di come il Signore si sappia servire anche di strumenti imperfetti». Anche di quanti compiono gesti indegni.  Per questo, aggiunge il portavoce italiano, «noi continueremo in pace e serenità la nostra missione, profondamente uniti al Papa che sempre ha voluto dimostrare il sua affetto e la sua vicinanza all’opera». Sentimenti ancora ribaditi lo scorso 7 gennaio, quando come ogni anno la comunità dei Legionari di Cristo, i consacrati e le consacrate del movimento Regnum Christi,  con i loro collaboratori e collaboratrici, sono intervenuti all’udienza generale di Benedetto XVI, che ha rivolto un saluto particolare ai 53 nuovi sacerdoti del movimento, ordinati il 20 dicembre precedente dal cardinale Angelo Sodano.  Che «indipendentemente dalla persona del fondatore» la Santa Sede «riconosce con gratitudine il benemerito apostolato dei Legionari di Cristo e dell’Associazione   Regnum Christi», era del resto quanto già affermato nella dichiarazione del 19 maggio del 2006, con la quale, sostanzialmente, veniva chiuso il dibattito sulle molte ombre che, da sempre, avevano accompagnato la vita di Maciel. In quel comunicato, si sottolineava come «a partire dal 1998, la Congregazione per la dottrina della fede ricevette accuse, già in parte rese pubbliche, contro Marcial Maciel Degollado, fondatore della Congregazione dei Legionari di Cristo, per delitti riservati all’esclusiva competenza del dicastero». Si trattava di denunce di abusi sessuali su seminaristi, che nel 2002 Maciel negò pubblicamente, tre anni prima di ritirarsi per motivi di età (aveva già 85 anni) dall’ufficio di Superiore generale della Congregazione dei Legionari  di Cristo.  «Tutti questi elementi – proseguiva il comunicato, in riferimento sia alle accuse che alla memoria difensiva – sono stati oggetto di maturo esame da parte della Congregazione per la dottrina della fede, e, a norma del motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela  promulgato il 30 aprile 2001 dal servo di Dio Giovanni Paolo II, l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Joseph Ratzinger, ha autorizzato una investigazione delle accuse». Dopo la morte di papa Wojtyla e l’elezione del cardinale Ratzinger a nuovo Pontefice, il processo è proseguito e «dopo aver sottomesso le risultanze dell’investigazione ad attento studio, la Congregazione per la dottrina della fede, sotto la guida del nuovo prefetto, sua eminenza il cardinale William Levada, ha deciso – tenendo conto sia dell’età avanzata del reverendo Maciel che della sua salute cagionevole – di rinunciare a un processo canonico e di invitare il Padre a una vita riservata di preghiera e di penitenza, rinunciando ad ogni ministero pubblico. Il Santo Padre ha approvato queste decisioni». Marcial Maciel Degollado è morto il 30 gennaio 2008 a quasi 88 anni.

Fonte: 5 febbraio 2009

8 - PADRE MARCIAL MACIEL (2)
Fondatore dei Legionari di Cristo
Autore: Matteo Liut - Fonte: 5 febbraio 2009

Una storia iniziata nel 1941 a Città del Messico. Oggi ne fanno parte 800 sacerdoti in 22 Paesi.

 La «Legione di Cristo» è una congregazione religiosa di diritto pontificio, fondata nel 1941. Si propone, come missione, «l’estensione del Regno di Cristo nella società, secondo le esigenze della giustizia e della carità cristiana ed in stretta collaborazione coi pastori e i programmi pastorali di ogni diocesi». Obiettivi alla cui base ci sono principi come la «spiritualità cristocentrica», l’«amore filiale per Maria», l’«amore per la Chiesa», l’«adesione al Papa e ai vescovi in comunione con lui», la «predicazione del Regno di Dio», l’«amore per tutti con la carità di Cristo». Oggi la Legione conta più di 800 sacerdoti e 2.500 seminaristi; ha centri di formazione e case di apostolato in 22 Paesi. La sua storia è legata a quella del suo fondatore, il messicano Marcial Maciel Degollado, nato il 10 marzo 1920 a Cotija de la Paz (Michoacán) e morto il 30 gennaio 2008.
  Entrato in Seminario nel 1936, Marcial Maciel dà vita, il 3 gennaio 1941 alla Scuola apostolica dei missionari del Sacro Cuore di Gesù a Città del Messico. È il primo nucleo della «Legione». Il 26 novembre 1944 viene ordinato sacerdote nella Basilica di Nostra Signora di Guadalupe, a Città del Messico. Il 12 giugno del 1946 incontra Pio XII a Roma; due anni dopo, il 25 maggio del 1948, la Santa Sede concede il «nihil obstat» per la costituzione della congregazione. Il 13 giugno successivo, infatti, i Missionari del Sacro Cuore e della Vergine Addolorata (Legionari di Cristo) vengono eretti canonicamente per mano del vescovo di Cuernavaca, monsignor Alfonso Espino y Silva. Nell’autunno del 1950 a Roma viene inaugurato il Collegio maggiore dei Legionari di Cristo, che oggi è la sede della direzione generale della congregazione. Nel 1954 apre la prima opera di apostolato dei Legionari di Cristo: la scuola Cumbres, a Città del Messico. Mentre tra il 1956 e il 1959 si tiene «la gran benedizione», un periodo di purificazione per la congregazione, in cui il fondatore dovette affrontare alcune accuse dalle quali poi fu assolto.  In questi anni Maciel mette mano anche alla fondazione del movimento laicale di apostolato «Regnum Christi» che oggi conta 65 mila membri in 30 Paesi. Nel 1964 apre l´Università Anáhuac, a Città del Messico. L’anno dopo, il 6 febbraio 1965, la Santa Sede concede l’approvazione definitiva della congregazione, anche se le costituzioni saranno riconosciute nel 1983. Nel giugno 1966 viene inaugurata la prima scuola «Mano amica» a Città del Messico, che offre educazione sovvenzionata per i più bisognosi. Nel 1970 Paolo VI affida ai Legionari la prelatura di Quintana Roo, una missione maya nel golfo dei Caraibi. Nel 1991 viene fondato il Pontificio Collegio internazionale Maria Mater Ecclesiae, al servizio dei vescovi, per la formazione di sacerdoti diocesani, e, due anni dopo, viene eretto l’ateneo Regina Apostolorum di Roma, riconosciuto come «pontificio». Nel 2004 Wojtyla firma il decreto di approvazione degli statuti del movimento di apostolato «Regnum Christi» e affida ai Legionari la gestione dell’Istituto pontificio «Notre Dame» di Gerusalemme. Nel 2005 Maciel declina la sua rielezione come direttore generale per motivi di età. Il suo successore è padre Álvaro Corcuera.

Fonte: 5 febbraio 2009

9 - PADRE MARCIAL MACIEL (3)
Avanti tutta, indipendentemente dalla figura del fondatore
Autore: 5 febbraio 2009 - Fonte:

«Indipendentemente dalla persona del fondatore si riconosce con gratitudine il benemerito apostolato dei Legionari di Cristo e dell’Associazione Regnum Christi». Così si concludeva il comunicato della Sala stampa vaticana pubblicato il 19 maggio 2006 «in riferimento a notizie diffuse circa la persona del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel Degollado». Nel documento, in particolare, veniva comunicata la decisione da parte della Congregazione per la dottrina della fede, guidata dal cardinale William Levada, «di rinunciare a un processo canonico e di invitare il padre Marcial Maciel Degollado a una vita riservata di preghiera e di penitenza, rinunciando ad ogni ministero pubblico». Una posizione approvata dallo stesso Pontefice e presa tenendo conto «sia dell’età avanzata di Maciel che della sua salute cagionevole». «Rinnoviamo il nostro impegno a lavorare con grande intensità per realizzare il nostro carisma della carità - furono le parole di risposta dei Legionari - ed estendere il Regno di Cristo a servizio della Chiesa».


10 - APPROFONDIAMO L'ISTRUZIONE DIGNITAS PERSONAE SU ALCUNE QUESTIONI DI BIOETICA (3)

Autore: Mons. Elio Sgreccia - Fonte: 12 dicembre 2008

La terza parte dell’Istruzione Dignitas personae comprende i numeri 24-35 cui fanno seguito due numeri dedicati alla conclusione generale di tutto il documento. In questi brevi e concisi passaggi vengono esaminate, soprattutto dal punto di vista etico, le più recenti prospettive di ricerca; alcune sono cariche di speranza per la terapia, mentre altre sono segnate da problematicità etica.
1. Anzitutto viene presentato un breve giudizio sulla terapia genica, i cui progressi ancora sono limitati rispetto alle grandi attese coltivate dopo la scoperta del DNA e dei suoi meccanismi replicativi, dopo la messa a punto delle tecniche di ingegneria genetica e dopo il sequenziamento del DNA umano portato a termine con grande dispendio di energie intellettuali e di risorse finanziarie. Per ora la possibilità di sostituire geni malformati, causa e origini di malattie genetiche, rimane una speranza. Ma gli scienziati non disperano e guardano al miglioramento delle tecniche, in particolare all' individuazione di vettori più sicuri.
Quello che il Documento evidenzia è che occorre tenere conto di una fondamentale distinzione: la terapia genetica teoricamente si può applicare alle cellule somatiche con finalità direttamente terapeutiche, o sulle cellule germinali. Sulle cellule somatiche si può intervenire ad esempio a livello del midollo spinale per correggere le cellule emopoietiche malate in un determinato soggetto e l'effetto prodotto rimane limitato all'individuo. Quando si interviene a livello di cellule germinali, invece, l'effetto è diverso, perché le cellule della linea germinale vanno a comporre i gameti e vanno a influenzare la ereditarietà e la discendenza. Non essendo ancora sicura la tecnica, per quanto riguarda l'intervento sulle cellule germinali, questo tipo d'intervento non è eseguibile, perché può comportare il rischio di indurre malformazioni nel patrimonio genetico ereditario, delle generazioni future.
Pertanto la norma etica è che, con le debite condizioni deontologiche proprie di ogni intervento medico, è possibile tentare di correggere geneticamente soltanto le cellule somatiche. Sono stati eseguiti interventi clinici con trattamento ex vivo, cioè prelevando cellule dell'individuo e trattandole geneticamente in laboratorio e poi reinserendo le cellule trattate. Sono stati fatti tali interventi clinici sulle cellule somatiche per la correzione di patrimonio genetico di cellule emopoietiche e in ambito immunologico. Esistono ancora difficoltà e rischi, ma in linea di principio il Documento considera che questa prospettiva può essere considerata eticamente praticabile. Mentre l'intervento sul patrimonio genetico delle cellule germinali, in assenza di possibilità di controllo, rimane vietato. Il Documento su questo punto rimarca questo divieto che oggi di fatto è condiviso anche dalla maggioranza degli scienziati.
Il Documento prende in esame, in appendice a questo tema, l'ipotesi dell'uso di tecniche di ingegneria genetica per il "miglioramento genetico". Si tratta di un'ipotesi presa in esame dalla letteratura, ma questa ipotesi può sconfinare verso la ideologia, perché la realizzazione poggerebbe su pratiche di eugenismo negativo (eliminazione di embrioni meno dotati) o di eugenismo positivo cioè con potenziamento di dotazione genetica. In tale ottica eugenetica questa strategia è condannabile nelle finalità e nei metodi.
Altra cosa è il miglioramento della salute nelle popolazioni curando i metodi e le strategie dell'igiene, dell'alimentazione e l'eliminazione delle malattie infettive, ecc. Il Documento si esprime con la condanna dell'eugenismo alternativo e migliorativo a carattere ideologico perché fonte di disuguaglianza e discriminazione. Perciò anche proposte del "transumanesimo" fatte da alcuni filosofi e genetisti rimangono fuori dal consenso etico della Chiesa e credo anche dal consenso civile.
2. Un argomento che ha scosso l’opinione pubblica e il mondo scientifico, ripreso nei nn. 28-30 dal Documento, è costituito dalla clonazione. L’impressione, generata a suo tempo, fatta di esaltazione e di paura della scienza manipolatoria, è calata di molto, dopo che due insuccessi hanno quasi posto in oblio questo percorso di ricerca. Il primo insuccesso è stato a carico del primo animale clonato: la pecora Dolly è morta, precocemente invecchiata, uccisa con morte pietosa e giunta a pochi mesi di età. L'altro incidente fu a carico di uno scienziato che in Corea aveva divulgato il successo di clonazioni umane, che in realtà non furono comprovate come vere. Da allora la stampa e le polemiche delle assemblee parlamentari nazionali e internazionali sono cessate.
In realtà la manipolazione che si realizza con la clonazione è profonda e ai limiti della sfida dalle leggi della stessa biologia: si tratta di generazione asessuale e agamica, operata per la cosiddetta divisione gemellare o più frequentemente per nucleo transfer.
La distinzione tra clonazione riproduttiva e clonazione terapeutica è, come si sa, una distinzione insostenibile, perché anche quella cosiddetta terapeutica presuppone sempre una riproduzione.
La clonazione riproduttiva, per ora utilizzata soltanto in ambito zoologico e botanico, nel caso dell'uomo è stata immaginata per soddisfare ad alcuni desideri: il controllo della evoluzione, la scelta predeterminata del sesso, la sostituzione di una persona cara deceduta con una di simile aspetto: grazie a Dio sono rimaste ipotesi teoriche.
Continua a sollecitare la volontà degli sperimentatori la clonazione terapeutica per realizzare individui con patrimonio genetico predeterminato, e perciò idoneo a fornire cellule staminali embrionali, trasferibili per determinate terapie. Il tema si lega a quello dell'uso delle cellule staminali embrionali.
Quanto al giudizio etico sulla clonazione, il Documento elenca le ragioni in contrario sia per il tipo di clonazione terapeutica sia quella riproduttiva: l'esercizio di dominio da parte dell'uomo sperimentatore sull'essere umano clonato fa sorgere la più forte obiezione per l'offesa alla dignità umana e la strumentalizzazione dell'essere umano da parte di un altro uomo. Per quanto riguarda l'aspetto riproduttivo, non c'è soltanto la separazione della dimensione unitiva da quella procreativa come nelle procreazioni artificiali, ma c'è l'alterazione delle dimensioni di paternità-maternità, con la creazione di un essere privo di ancoraggio parentale umano. In ogni caso lo stesso principio dell'uguaglianza fra uomini verrebbe sconvolto.
Riguardo alla stessa clonazione terapeutica, a parte l'intenzione e la problematicità del successo, il Documento sottolinea la strumentalizzazione dell'uomo sull'uomo che sta alla radice di questa procedura.
3. La medicina rigenerativa: l'uso e la sperimentazione delle cellule staminali. Come è noto, sembra essere questa la scoperta più promettente, una fase nuova della medicina: quella che utilizza cellule specializzate e primitive che si trovano all'interno del corpo umano, capaci di moltiplicarsi, anche fuori dell'organismo e capaci di specializzarsi in diversi tipi di tessuti una volta trasferite e pertanto orientate a sostituire cellule malate e così rigenerare tessuti. Il Documento ricorda le sorgenti da cui possono essere raccolte le cellule staminali, praticamente da diverse sedi del corpo adulto, dal sangue del cordone ombelicale, dall'embrione e dai feti abortiti.
La differenza significativa si è stabilita fra le cellule staminali embrionali e tutte le altre di origine somatica: tale differenza si è imposta soprattutto per un fatto eticamente rilevante, per il fatto che le cellule staminali embrionali si possono prelevare, e di fatto si prelevano, nell'embrione allo stadio di blasticiste fecondato in vitro o da residui della fecondazione artificiale, provocandone la morte. Questo fatto ha posto una specie di criterio discriminante che ha diviso i ricercatori, per il riferimento alla identità dell'embrione come essere umano. Inoltre, nonostante la priorità e l'impegno della ricerca sulle cellule staminali embrionali, le ricerche non hanno offerto finora risultati significativi in ordine alla plasticità e all’efficacia nella rigenerazione dei tessuti, mentre nel frattempo la ricerca nelle cellule staminali somatiche hanno dato e continuano a dare risultati nel piano sperimentale e ormai anche nelle applicazioni cliniche.
La Pontificia Accademia per la Vita aveva pubblicato già con data del 25 agosto 2000 una Dichiarazione nel senso del divieto dell'uso delle cellule staminali embrionali, a motivo della distruzione dell'embrione ed ha dato l'incoraggiamento per la sperimentazione e per l'uso delle cellule staminali somatiche con prelievo dell'organismo adulto, da feti abortiti spontaneamente o da sangue del cordone ombelicale. Nel 2006 il Congresso organizzato dalla stessa Pontificia Accademia per la Vita, insieme alla Federazione Internazionale dei Medici Cattolici, ha incoraggiato questa strada sulla scorta dei risultati ottenuti dai vari gruppi ricerca.
Il Documento sintetizza le stesse posizioni precisando anche il problema etico di collaborazione che si pone per chi acquista e utilizza le cellule staminali embrionali tramite il commercio, anche se procurate e raccolte da altri. Nella polemica intensa sia nella stampa fra gli apposti gruppi di ricercatori sia in Parlamento hanno influito anche gli interessi economici attorno alla cattura dei fondi statali o internazionali posti a disposizione per i ricercatori.
4. Per l'aggiornamento è rilevante una notizia che non è presente nel Documento per prudenza verso una novità ancora da consolidare: nel Congresso del 2006 uno scienziato giapponese Yamanaka ha proposto una tecnica d'ingegneria genetica per la quale risulta possibile la riprogrammazione di una cellula somatica fino a riportarla allo stadio di cellula embrionale, senza passare per la formazione dell'embrione. Questo fatto, qualora venga comprovato, farebbe cadere ogni motivo per sostenere la ricerca sulle cellule provenienti dall'embrione.
Il Documento inoltre cita nella nota 49 anche alcune nuove tecniche che si avvalgono di procedimenti che implicano il dubbio sulla riproduzione dell'embrione, anche se i ricercatori che le propongono sostengono che le cellule embrionali sarebbero prodotte senza che venga formato l'embrione: si tratta di tecniche sperimentali di dubbia eticità e sono l'Altered Nuclear Transfer (ANT) e l' Oocyte Assisted Reprogramming (OAR) e l'applicazione della partenogenesi all'uomo. Il Documento si limita a dire: "Queste proposte hanno suscitato non pochi interrogativi scientifici ed etici riguardanti soprattutto lo statuto ontologico del ‘prodotto’ così ottenuto".
5. La terza parte dell’Istruzione si conclude con un giudizio negativo sui recenti tentativi di clonazione ibrida, in cui sono stati utilizzati ovociti animali per la riprogrammazione di nuclei di cellule somatiche umane al fine di estrarne cellule staminali embrionali. In proposito il Documento afferma al n. 33: "Dal punto di vista etico simili procedure rappresentano una offesa alla dignità dell'essere umano a causa della mescolanza di elementi genetici umani ed animali capaci di turbare l'identità specifica dell'uomo".
6. Infine il Documento nei due numeri 34-35 esamina criticamente il caso di cooperazione al male che si realizza quando si utilizza "materiale biologico" proveniente da feti o da embrioni volontariamente abortiti o sottoposti a congelamento dopo procreazione artificiale o, comunque, profittando di fatti illeciti anche quando di tali fatti non si è stati né partecipi né consenzienti.
Riferendosi al paragrafo rispettivo dell’Istruzione Donum vitae, ove si parla della utilizzazione a fini di ricerca dei cadaveri di feti o embrioni volontariamente abortiti, chiarendo le condizioni già poste da Donum vitae (1,4), si afferma nel nostro Documento che per la liceità di una tale utilizzazione, pur condotta per nobili fini, normalmente non basta la sola indipendenza e separazione delle responsabilità tra chi opera l'illecito e utilizza il cadavere, quando c'è una situazione permessa ingiustamente dalla legge e che si diffonde nella prassi.
L'obbligo di rimuovere lo scandalo obbliga a non partecipare a simili concomitanti utilizzazioni dei misfatti, ma ad assumere una posizione di dissenso, rifiutando di utilizzare anche se indirettamente i risultati di tali eventi. Questa norma di coerenza può consentire ugualmente, come avviene negli USA, l'utilizzazione di preparati per la vaccinazione dei bambini nelle scuole, anche se soltanto remotamente provengono dalle utilizzazioni di feti abortiti, ma comunque in questa situazione si richiede una mobilitazione perché questo tipo di vaccino venga sostituito con altri preparati ormai possibili.
Come si vede, si tratta di tematiche ricche di novità, di complessità e di responsabilità etica che impegnano i ricercatori, ma anche i cittadini e i formatori della coscienza degli operatori.

Fonte: 12 dicembre 2008

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