BastaBugie n�68 del 06 febbraio 2009

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1 LUCA ERA GAY SI CLASSIFICA SECONDA A SANREMO 2009
Ecco la storia del protagonista della canzone di Povia
Autore: Emanuele Boffi - Fonte: 22 gennaio 2009
2 ELUANA 1
Se muore ci comporteremo come si fa in caso di omicidio volontario
Autore: Mario Palmaro - Fonte: 3 febbraio 2009
3 ELUANA 2
Ecco i 5 elementi chiave della vicenda
Autore: Mario Palmaro - Fonte: 12 Gennaio 2009
4 ELUANA 3
Il miracolo in cui speriamo
Autore: Michele Brambilla - Fonte: 4 febbraio 2009
5 ELUANA 4
Se vince Beppino Englaro questo e' il futuro che ci aspetta!
Autore: Carlo Bellieni - Fonte: 15 gennaio 2009
6 REVOCA DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI 1
C'e' chi vuole dividere cio' che Benedetto XVI unisce
Autore: Gianteo Bordero - Fonte: 30 gennaio 2009
7 REVOCA DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI 2
Ecco le dichiarazioni che non sentirete in tv
Autore: Bernard Fellay - Fonte:
8 REVOCA DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI 3
In attesa del film sul gulag
Autore: Antonio Socci - Fonte: 11 gennaio 2009
9 REVOCA DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI 4
La precisazione ufficiale del Vaticano
Fonte: 4 febbraio 2009

1 - LUCA ERA GAY SI CLASSIFICA SECONDA A SANREMO 2009
Ecco la storia del protagonista della canzone di Povia
Autore: Emanuele Boffi - Fonte: 22 gennaio 2009

L'omosessuale cerca altro da sé ma trova solo qualcosa a sé simile. Il rapporto non può che essere compulsivo. Ma dopo la consumazione quel che rimane è solo vuoto, insoddisfazione, tristezza.
A tredici anni Luca si innamorò del suo compagno di banco. L'estate scorsa Luca si è sposato con Teresa, una bella ragazza, che quando dice qualcosa di importante ha il vezzo femminile di guardare all'insù. Luca è "quel" Luca, quello della canzone di Povia, quello del brano che il cantante dei bambini che fanno ooh porterà al prossimo festival di Sanremo. Il titolo è già di per sé assai significativo: "Luca era gay". È bastato il verbo coniugato all'imperfetto per mandare su tutte le furie l'Arcigay che ha preventivamente – senza conoscere né il testo né le note della canzone – attaccato il cantautore, accusandolo di giocare con la vita altrui: «è un omofobo». In un comunicato l'associazione ha reso noto che «il Luca della canzone potrebbe essere quel Luca Di Tolve che dichiara di esser un ex gay guarito grazie alle teorie riparative di Joseph Nicolosi, cattolico integralista americano, le cui tesi sono state ampiamente confutate dalla comunità scientifica mondiale. Se Bonolis e il suo direttore musicale intendono mandare in scena uno spottone clerical reazionario contro la dignità delle persone omosessuali, sappiano fin d'ora che la nostra reazione sarà durissima, rumorosa e organizzata».
Per ora, oltre alle numerose pagine di siti internet che denigrano Luca e la sua scelta, la "reazione" si è materializzata nella proclamazione di una manifestazione davanti a un centro parrocchiale in provincia di Brescia. «Sabato 24 gennaio – racconta Luca a Tempi – ci sarà un momento di preghiera all'interno di uno dei locali della parrocchia. E' il primo incontro di una serie, cui partecipano solo persone che credono che la fede li possa aiutare a rifiorire da una situazione personale indesiderata. Ripeto: un momento di preghiera, cui aderiscono liberamente delle persone. Eppure ci tocca subire delle contestazioni. Ma di che tolleranza parla l'Arcigay se uno non può nemmeno essere libero di trovarsi con persone consenzienti a pregare?». Luca lo sa bene di essere diventato un simbolo, «un personaggio, mio malgrado. Ma io non cerco pubblicità. Quel che faccio, lo faccio perché ci credo. Ci rimetto dei soldi e del tempo, non ci guadagno nulla. A queste contestazioni sono abituato, ma mi rincresce per quei ragazzi che vogliono iniziare il percorso con noi. Arrivano spesso da vicende difficili e un'accoglienza del genere non può certo metterli a loro agio». Luca non conosceva Povia. «Ho scoperto anch'io il titolo della canzone dalle pagine dei giornali. Gli ho telefonato e mi ha detto che non sono io quel Luca, che lui vuole raccontare una storia e basta». Però nella comunità gay si sa che Luca è lui. Luca il tabù, Luca lo scandalo, Luca che si è sposato ad agosto con Teresa.

NOMADISMO SENTIMENTALE
«I miei genitori si separarono quando ero piccolo, mio padre se ne andò di casa. Rimasi da solo con mia madre, in un ambiente tutto femminile. Giocavo con le bambole, avevo mutato il tono della voce, mi sentivo molto rassicurato quando stavo con le donne e spaventato, anche se attratto, dalle figure maschili. Avevo tredici anni e nessun padre che mi spingesse a entrare nel "gruppo dei maschi" da cui, invece, venivo respinto perché avevo interessi diversi, perché non ero dei "loro", perché non giocavo a pallone come tutti. Questo mondo che pure mi attraeva, al tempo stesso mi spaventava, mi lasciava ai margini, solo. A quell'età questa mia infelicità e, al contempo, la necessità, come tutti, d'affetto, si manifestò in pulsioni omosessuali. Così mi innamorai del mio compagno di banco, un tipo assai diverso da me, assai mascolino e virile. Sbaglia chi crede che "gay si nasce", non è vero quel che è stato propagandato da certi manifesti. La mia esperienza è comune a tutti gli omosessuali che ho conosciuto. T'innamori di un maschio perché è quello che vorresti essere. Ecco perché gli omosessuali si travestono da poliziotti, da militari, da machi: perché è quello che vorrebbero inconsciamente diventare, ma non possono essere.
L'attrazione per il mio compagno non era corrisposta. Io stavo male, ero infelice, nascondevo i miei pensieri, non ne avevo fatto parola con nessuno. Finché i miei genitori mi portarono in un consultorio. Lì fu loro detto che ero gay, di non preoccuparsi, anzi di lasciarmi esprimere secondo la mia tendenza. Ecco il primo passo: se invece fossero stati aiutati a comprendere che il mio disagio nasceva dalla mancanza di una figura maschile di riferimento oggi, forse, saremmo qui a raccontare un'altra storia. Invece, e questo accade ancor con più frequenza oggi, di fronte all'omosessualità si ragiona secondo una falsa categoria di libertà che non aiuta ad affrontare il problema, ma lo rimuove, lo elimina, lasciandolo, di fatto, irrisolto. Mio padre e mia madre, due cattolici per tradizione, non praticanti, non accettarono il giudizio dei medici ma erano disorientati, non sapevano bene che fare, come comportarsi. Io quel giorno, che ero rimasto fuori dalla porta, ma avevo sentito cosa veniva detto loro, iniziai a incuriosirmi. Omosessualità, e che cos'è? Erano gli anni di film come Il vizietto, La patata bollente, anni in cui iniziava a manifestarsi una certa cultura gay. Ne ero sollevato: non sono solo, ci sono altri come me. Me ne andai di casa a diciotto anni ed entrai in un mondo colorato, affascinante, ricco di persone estroverse, simpatiche e disinvolte. Iniziai a frequentare un ragazzo con qualche anno più di me, a girare per discoteche e festini. Divenni ballerino in una discoteca per omosessuali. Le prime volte era bellissimo: gente accogliente e divertente sempre dedita al godimento della vita, allegra. Ma c'è anche l'altro lato della medaglia: questi locali sono dei veri e propri labirinti di sesso, dove ai piani superiori o inferiori puoi soddisfare tutte le tue più recondite perversioni. Gli omosessuali vivono un frenetico nomadismo sentimentale, non esistono relazioni stabili e vere. E' comprensibile: l'omosessuale, come chiunque altro, cerca altro da sé. Se nell'altro trova solo qualcosa a sé simile, il rapporto non può che essere effimero e compulsivo. Ma dopo la consumazione, quel che rimane è solo una grande sensazione di vuoto, di insoddisfazione, di tristezza. Mi fanno sorridere le rivendicazioni di coloro che chiedono il matrimonio omosessuale: non può esistere stabilità e fedeltà nel mondo gay perché quel che cerchi non può resistere a lungo. Anche là dove è stato introdotto il matrimonio fra persone dello stesso sesso, quanti effettivamente si sono sposati? E quante di queste relazioni sono durate? Pochissime, forse nessuna.

LE CASSE DELL'ASSOCIAZIONE
I primi tempi ero molto contento di questa mia vita. Eppure, la sera, quando rincasavo, sentivo come un'ombra di tristezza. Mi sentivo solo, mi mancava qualcosa di vero. E quando guardavo negli occhi i miei compagni vedevo la stessa ombra. Però nessuno lo ammetteva, nessuno lo diceva. Riconoscerlo è uno strappo doloroso. Significa ammettere che il bene che professi è solo complicità, che la cultura che sostieni è basata solo sulla superficialità e il piacere. Non si può avere una relazione con qualcun altro, se non si sa chi si è.
Il sesso è il motore di tutto. Anche dei soldi, ovvio. Negli anni Novanta andavo spesso a Miami: facevo il ballerino nelle discoteche più in, ma ero un po' stanco di quella vita. Avevo studiato da accompagnatore turistico e pensai di far fruttare quelle mie conoscenze. Mi rivolsi all'Arcigay prospettando loro l'idea delle crociere per soli omosessuali. All'inizio la loro reazione mi stupì: mi dissero "ok, ma devi rimanere nell'ambito della politica di sinistra". Politica? Sinceramente mi importava ben poco. Però avevo bisogno del logo dell'Arcigay per far funzionare gli affari. Alla fine capirono che il business fruttava bene e mi concessero il logo. Per anni ho versato quote consistenti dei miei guadagni all'associazione. E quando dico consistenti, intendo proprio "consistenti". Ero anche diventato membro dell'Iglta (International gay & lesbian travel association) e frequentavo negli Stati Uniti i loro corsi di marketing. Vi si spiega che "più sesso regali, più fai soldi". Per cui si consiglia di organizzare gli spazi con le docce in comune e di lasciare sempre degli ambienti con zone oscure in cui sia più facile appartarsi.
La cosa funzionava. La mia Malu group (avevo sullo stemma un delfino e delle palme) andava alla grande. Ero un convinto sostenitore dell'associazione ed ero tra coloro che più si erano spesi – la vicenda mi portò una certa notorietà – per organizzare il Gay Pride di Napoli. Continuavo la mia vita dissipata tra i party della città, frequentavo persone importanti della Milano bene, avevo contatti nel mondo dell'alta moda. Eppure ero sempre più insoddisfatto. Se il sesso è tutto, quando finisce quello, finisce tutto.

GLI AMICI MORIVANO DA SOLI
Arrivarono gli anni Novanta e arrivò l'Aids. Vedevo gli amici morire, soprattutto vedevo quanto fossero fragili le relazioni fra noi. Quando uno si ammalava, il compagno fuggiva. Ne ha uccisi più la solitudine che il virus. Molti si rifugiarono nella droga, alcuni si suicidarono. Morì anche un mio amico, aveva solo ventisei anni. Mi feci controllare e risultai sieropositivo. Sono letteralmente impazzito. La malattia mi ha costretto a mollare tutto: l'appartamento in centro, il lavoro, i soldi. Eppure oggi dico che la mia malattia è stata la mia grazia, perché mi ha costretto a riportare a galla domande che il vagabondare di quegli anni avevano sopito ma non spento. Così ho cercato risposte nel buddismo e questa esperienza mi ha aiutato soprattutto a staccarmi da quel mondo tutto materiale in cui ero immerso. Un giorno, mentre ero nel tempio buddista assorto in preghiera, alzai gli occhi. Davanti a me stavano delle mele e una pergamena, perché è questo il loro modo di pregare. Fu un lampo, fu un pensiero e mi ritornarono in mente le immagini della Madonna che mia madre teneva in casa. Perché devo stare qui, inginocchiato davanti a delle mele, quando ho in me un'icona della Madonna?
Tornai a casa, ero depresso e mi chiedevo perché quel Dio che bestemmiavo non potesse benedirmi. Mi aggrappai al rosario, iniziando a recitare preghiere di cui non ricordavo nemmeno le parole. Era un periodo molto confuso, però ero convinto di aver trovato qualcosa in cui poter confidare. Non uscivo mai di casa, se non per andare a Messa. Mi confessai, incominciai a lavorare come commesso, io che fino a poco tempo prima impartivo ordini a due segretarie.

VA BENE GAY, MA MICA SARAI CATTOLICO?
Un giorno trovai tra le carte di un amico degli appunti su un tale Joseph Nicolosi, uno psicologo cattolico americano celebre per la sua teoria riparativa. In breve: è un percorso psicologico che aiuta a recuperare le relazioni maschili che sono andate perdute. All'inizio mi arrabbiai. È duro accettare la distruzione della propria identità, è difficile smontare la propria intimità. È arduo perdonare gli altri e se stessi. Però ero curioso, ero alla ricerca di una salvezza, anche immeritata. Per me, dopo anni che seguo questo percorso, è stata una grazia. L'aspetto più bello è stato scoprire che, man mano che instauravo rapporti di amicizia con degli uomini, le mie pulsioni omosessuali sparivano. Cioè, man mano che le mie relazioni diventavano vere, sincere, non superficiali, io imparavo a non sentirmi costantemente inferiore agli altri maschi. Ho imparato a non idealizzare gli altri uomini, ho imparato a sdrammatizzare (gli omosessuali non ne sono capaci). Ho ricominciato a dormire di notte, letteralmente. La prima volta che mi sono ritrovato a fare delle allusioni pesanti su una collega è stata per me una situazione incredibile, assurda, gioiosa. Ho chiesto appuntamento a una ragazza. Siamo usciti e lei ha subito messo in chiaro che era a favore della pillola abortiva. Io le ho detto delle mie esperienze omosessuali, ma questo non l'ha affatto sconvolta. Quando però ho aggiunto che ero cattolico, e quindi contrario alla pillola, mi ha mollato.

LA SCHIAVITÙ DEI SORRISETTI
Ma come? - dicevo nelle mie preghiere - dopo tutto il cammino che mi hai fatto fare, ora mi deludi così? Durante un pellegrinaggio a Medjugorje conobbi Teresa. Diventammo amici. Mi divertivo con lei, mi piaceva, ci siamo fidanzati. Non sapevo come... insomma, alla fine gliel'ho detto. Quel che mi ha risposto dice tutto di lei: "Luca, quel che sei stato non è più. Importa quel che sei ora". Dopo un anno di fidanzamento ci siamo sposati. Oggi siamo alla guida del Gruppo Lot: aiutiamo gli omosessuali a rifiorire. Non siamo psicologi, non è il nostro lavoro. Per quel che è stata la mia esperienza posso dire solo che il lavoro psicologico e questi gruppi di preghiera hanno avuto per me pari importanza. Ma sono due binari paralleli, possono non intersecarsi. Vivo in affitto, non ho più le belle automobili di un tempo, non mi interessa farmi pubblicità. Chiedo solo di poter affermare quello che credo. Io stesso ne sono la prova vivente. Il problema dell'omosessualità non riguarda il sesso, riguarda la propria umanità. Ero schiavo dei sorrisetti e delle mistificazioni. Oggi sono un uomo vero, un uomo libero».

VIDEO: LUCA ERA GAY

Vi invitiamo a guardare il video con la canzone "Luca era gay" cantata a Sanremo da Povia che si è ispirato alla storia di Luca di Tolve di cui parla l'articolo di questa pagina


https://www.youtube.com/watch?v=KW7lfUC-_00

DOSSIER "FESTIVAL DI SANREMO"
Le edizioni dal 2009 ad oggi

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Fonte: 22 gennaio 2009

2 - ELUANA 1
Se muore ci comporteremo come si fa in caso di omicidio volontario
Autore: Mario Palmaro - Fonte: 3 febbraio 2009

Il Comitato Verità e Vita scrive alle Case di cura italiane: se Eluana muore, presenteremo denuncia alla Procura della Repubblica.

Questa mattina, 3 febbraio, il Comitato Verità e Vita ha inviato alle case di cura potenzialmente interessate – fra cui "La Quiete" di Udine - una lettera di diffida che  ipotizza – nel caso si verifichi la morte di Eluana Englaro – una fattispecie di omicidio volontario. Nel documento - che consta di sei pagine in cui vengono esposte le ragioni giuridiche a sostegno di questa tesi - il Comitato avverte che "intende porre in essere ogni azione necessaria ed opportuna per impedire che il signor Beppino Englaro metta in atto la condotta cui è stato autorizzato dalla Corte d'Appello di Milano."
"Verità e Vita – si legge nella lettera - presenterà denuncia alla Procura della Repubblica del luogo dove la morte di Eluana Englaro fosse stata procurata, ipotizzando il reato di omicidio volontario premeditato – punito dal codice penale con la pena dell'ergastolo – nei confronti di tutti coloro che – con azioni o con omissioni – avessero contribuito a cagionare l'evento."
Secondo Verità e Vita la responsabilità dei Dirigenti della struttura sanitaria potrebbe avere duplice natura: da un lato, la disponibilità della struttura all'accoglienza della signorina Englaro per procedere alla sua uccisione, renderebbe inevitabile ipotizzare una responsabilità penale diretta nell'omicidio perpetrato; inoltre, vi potrebbe essere una grave responsabilità per avere indotto il personale dipendente ad azioni che rischierebbero di essere severamente punite in base alle norme penali. Proprio per questo motivo, Verità e Vita chiede alla Casa di Cura che si troverà ad  accogliere Eluana di informare immediatamente il proprio personale "affinché siano chiare le responsabilità cui ciascun medico o infermiere andrebbe incontro nel caso si prestasse all'azione voluta dal sig. Beppino Englaro". Ogni dipendente della clinica dovrebbe infatti sapere "che un procedimento penale nei suoi confronti per il reato di omicidio volontario sarà indubitabilmente aperto, quanto meno a seguito dell'esposto presentato da questo Comitato".
E la decisione dei giudici che ha autorizzato la sospensione delle cure? Secondo Verità e Vita gli atti del procedimento civile conclusosi avanti alla Corte d'Appello di Milano non potranno essere un solido paravento rispetto alle valutazioni del Giudice penale, sulla base di numerosi riferimenti alla legge italiana, riportati in dettaglio nella lettera di diffida.
Verità e Vita fonda le proprie argomentazioni su alcuni fatti ampiamente documentati nella lettera: Eluana è viva; Eluana non è un paziente terminale; le sue condizioni di salute sono stabili e quindi non si può parlare di accanimento terapeutico, perché alimentazione e idratazione non possono essere considerate "cure inutili"; togliere il sondino a Eluana è paragonabile a togliere cibo e acqua a una qualsiasi persona; la morte che ne deriverebbe avrebbe la durata di un processo lungo e, secondo alcuni, doloroso.

Fonte: 3 febbraio 2009

3 - ELUANA 2
Ecco i 5 elementi chiave della vicenda
Autore: Mario Palmaro - Fonte: 12 Gennaio 2009

Vogliono la morte per fame e per sete di una donna ancora viva. Ma vogliono soprattutto togliere all’umanità il tempo del pentimento e della conversione. Ecco perché lo fanno.

La vicenda di Eluana Englaro aggiunge un tragico tassello al mosaico messo insieme in questi decenni dalla cultura della morte. Sarà bene scavare più in profondità in questa storia, alla ricerca del meccanismo che rende così efficace l'azione dei nemici della verità e della vita.
Il caso-Englaro può essere scomposto in una serie di elementi fondamentali. Li elenchiamo secondo un ordine che ne mette in luce la progressione cronologica e psicologica: a) la non casualità dell'intera vicenda; b) il disorientamento morale dell'opinione pubblica; c) lo stravolgimento dei principi dell'ordinamento giuridico; d) l'abolizione della sofferenza e della morte come tempo di conversione; e) l'odio per la Chiesa. Mentre i primi elementi sono i più visibili, gli ultimi sono spesso non dichiarati e, anche per questo motivo, poco riconoscibili dall'opinione pubblica.
A) LA NON CASUALITÀ DELL'INTERA VICENDA
Dobbiamo partire da una constatazione: un caso come quello di Eluana Englaro non è il frutto del susseguirsi di coincidenze casuali, ma il prodotto di un disegno ben preciso, che risponde a una strategia lucidissima.
La causa scatenante è - questa sì - un evento imponderabile. Nel caso specifico: una bella e giovane ragazza che subisce danni gravissimi a causa di un incidente stradale. Anche il dolore del padre e di quelli che la conoscevano è del tutto normale e comprensibile, oltre che condivisibile. Fin qui, nessuna congiura, nessun complotto. Ma di fronte a un padre che imbastisce un'azione giudiziaria che dura 16 anni in molteplici gradi di giudizio, che scrive libri sull'argomento, che scatena insomma una vera e propria campagna mediatica, in presenza di tutto questo siamo di fronte a una svolta ideologica.
Lo scopo perseguito non è più quello - certo già erroneo in sé - di ottenere la morte provocata della propria figlia. Lo scopo diventa un altro. Si cerca di ottenere l'affermazione di un principio valido per tutti: chiunque si trovi in una condizione identica o analoga a quella di Eluana deve avere il diritto - a norma di legge - di morire.
B) IL DISORIENTAMENTO MORALE DELL'OPINIONE PUBBLICA
È del tutto evidente che il caso Englaro ha prodotto un certo disorientamento della gente comune. Lasciando pure da parte quanti hanno già una posizione pro-eutanasia, vicende come questa producono un senso di smarrimento, di paura, di confusione anche fra coloro che sono in buona fede o che addirittura sono contro l'uccisione pietosa. Le certezze vacillano e gli argomenti del "nemico" sembrano a un tratto persuasivi, pieni di buon senso. Si diffondono frasi del tipo: "in una situazione del genere, meglio farla morire". Questo clima è paragonabile all'indebolimento che rende un corpo umano facile preda di una malattia virale. Lo stesso accade al corpo sociale, una volta che le sue "difese immunitarie" morali siano minate dal tarlo del dubbio e della paura.
C) LO STRAVOLGIMENTO DEI PRINCIPI CLASSICI DELL'ORDINAMENTO GIURIDICO
Il caso-Englaro è diventato, per l'appunto, un caso giudiziario, attraverso il quale si vogliono raggiungere alcuni obiettivi nel campo del diritto:
1. stabilire che il fondamento dell'atto medico è la volontà del paziente: se un malato rifiuta le cure, anche salvavita, bisogna lasciarlo morire;
2. stabilire che la volontà del malato può essere desunta anche da affermazioni e stili di vita attribuibili al paziente prima della sua malattia;
3. a causa della aleatorietà di questo ultimo criterio, si punta a introdurre la legalizzazione del testamento biologico, cioè un documento scritto che provi in modo certo la volontà anticipata del paziente;
4. affermare l'idea che far morire qualcuno astenenendosi dal curare è diverso dall'uccidere somministando un veleno;
5. affermare che esistono patologie che sono sicuramente irreversibili, e che questa irreversibilità richiede un cambiamento nelle scelte terapeutiche;
6. confondere alimentazione e idratazione con delle terapie, facendo in modo che esse possano essere sospese lecitamente, così come si può sospendere una terapia ritenuta inutile o sproporzionata;
7. affermare l'idea che la qualità della vita può ridurre o addirittura eliminare il dovere di curare un malato incosciente, per cui non solo le persone in stato vegetativo, ma anche pazienti in coma, con danni cerebrali gravi, malati di mente, neonati, potranno essere assimilati al caso di Eluana, e "lasciati morire";
8. legalizzare l'eutanasia, eventualmente chiamandola in un modo diverso.
D) L'ABOLIZIONE DELLE SOFFERENZE E DELLA MORTE COME TEMPO DI CONVERSIONE
Vogliono provocare la morte di Eluana sostenendo che la ragazza é ormai ridotta a un vegetale, che non capisce nulla e non avverte ciò che le accade. Vi sono molti dubbi che le cose stiano davvero così. Ma concediamolo per un momento. Se così fosse, allora non sarebbe Eluana ad avere bisogno urgente di essere uccisa. Chi infatti è incosciente non desidera nulla, né in bene, né in male.
Sono quelli che le stanno intorno che vedono, pensano, soffrono, piangono. Ecco emergere una verità terribile: i pazienti come Eluana devono essere eliminati perché costituiscono uno scandalo insopportabile per quelli che stanno bene, per i familiari, per il personale medico, per la società intera. La modernità ha convinto milioni di uomini che si può vivere benissimo senza Dio, senza Chiesa, senza giudizio, inferno e paradiso. L'impostura regge fintantoché le cose vanno bene: il portafoglio è pieno, la giovinezza regala vigore, gli affari vanno bene. Quando però il vento della sorte gira, l'uomo scopre tutta la sua solitudine e la sua debolezza. La malattia e la morte rappresentano il culmine di questa drammatica presa di coscienza. Per questo motivo, il capezzale di un malato, e ancor più di un moribondo, sono il luogo dove da secoli molte anime si riconciliano con Dio, chiedono di confessarsi, ricevono il viatico. Testamento biologico ed eutanasia sono due potentissimi antidoti alle grazie che la sofferenza porta con sé. Bisogna convincere l'uomo moderno a "scegliere" la morte prima che egli possa fare i conti con la sua coscienza.
E) L'ODIO PER LA CHIESA
Chi si sta prendendo cura di Eluana Englaro? Le suore Misericordine fondate dal beato Luigi Telamoni. Questa donna, bisognosa di cure e di amore, è affidata ai cattolici.
Questo fatto rende ancor più insopportabile l'intera vicenda. Là dove c'è un uomo che soffre, là c'è la Chiesa, là c'è Cristo. Bisogna dunque colpire - e colpire duro - proprio in quel luogo: si elimineranno in un solo colpo il problema del soffrire, e il problema del credere. La rettitudine delle suore che accudiscono Eluana è intollerabile: dimostra con i fatti ciò che è giusto e possibile fare di fronte a una malata così, e a una sofferenza simile. Il silenzio di Eluana diventa eloquente più di molti discorsi: dice che anche un corpo immobile può diventare occasione di santificazione per tutti quelli che se ne prendono cura. Ecco spiegato perché questa eminente forma di carità deve essere impedita dalla "cultura laica", da un diritto capovolto, da una medicina che ha rinnegato Ippocrate.
Ecco perché una donna - che ha trovato chi si prende cura di lei - deve essere "tolta di mezzo con ingiusta sentenza".

Fonte: 12 Gennaio 2009

4 - ELUANA 3
Il miracolo in cui speriamo
Autore: Michele Brambilla - Fonte: 4 febbraio 2009

Scusate ma c’è una cosa che non capiamo. Se Eluana Englaro «non soffrirà perché è già morta 17 anni fa», come ha detto ieri il primario di anestesia di Udine Amato De Monte, se insomma non avverte nulla perché ormai è «un vegetale», come ha detto sempre lo stesso prof, qual è il beneficio che avrà nel passare dalla clinica di Lecco dov’era curata dalle suore alla tomba? Se davvero non sente né dolori né piaceri, se insomma non soffre perché non ha più alcuna coscienza, dov’è l’atto di pietà nel farla morire? Dov’è l’atto d’amore?
Perché questo dicono coloro che vogliono staccarle il sondino che la alimenta: dicono che è un atto di amore per lei. Ci viene il sospetto che, come in tanti casi di eutanasia, sia chi resta - e non chi se ne va - a cercare nella fine un conforto.
Ma anche qui. Siamo sicuri che Beppino Englaro troverà pace quando finalmente avrà vinto la sua battaglia? Quando sua figlia sarà morta davvero?
Siamo sicuri che non proverà rimorso? Che non sentirà ancor più vuote le sue giornate, finora occupate dalle carte bollate, dai ricorsi, dalle interviste, dall’affannosa ricerca di una clinica che accogliesse la sua richiesta?
Siamo sicuri che non avvertirà un drammatico scarto tra la speranza a lungo coltivata e la realtà che si troverà ad affrontare ogni mattina? Ha detto, Beppino Englaro: «Mia figlia è stata ridotta così dalla medicina e la medicina dovrà porre fine a questo incubo». Siamo sicuri che non si troverà a vivere un incubo ancora peggiore? Che non si sentirà vittima di un grande inganno?
Tra pochi giorni Eluana comincerà la sua terribile agonia. Perché non c’è nessuna spina da staccare, non ci sono cure farmacologiche da sospendere: c’è solo un’alimentazione da interrompere, un’acqua e un cibo da non dare più. L’anestesista dice appunto che «non soffrirà»: a noi vengono in mente le terribili immagini di Terry Schiavo. Perché è così che Eluana morirà.
Inconsapevole strumento di una battaglia che ha ben altri fini rispetto a quelli di «non farla soffrire più», Eluana Englaro resterà nella memoria non come una persona ma come un precedente, un simbolo, una bandiera da sventolare per chi avrà introdotto un principio: quello che permetterà a qualcuno di stabilire che un altro è un «vegetale» e non ha più diritto - naturalmente per il suo bene - di mangiare e di bere.
Morta Eluana, chi potrà decidere quando è lecito staccare il sondino che alimenta e quando no? Quanti pazienti in coma saranno considerati casi del tutto assimilabili a quello di Eluana? E un anziano malato di Alzheimer, non è anch’egli incosciente? Anch’egli incapace di alimentarsi da solo? Anch’egli nutrito da qualche suora? La morte per fame e per sete di Eluana Englaro sarà la prima di tante altre, e ogni volta, caso per caso, gli scrupoli saranno sempre meno rigorosi, le resistenze sempre più fragili.
Noi non abbiamo certezze sul labile confine tra il dovere delle cure e l’accanimento terapeutico. Però avvertiamo - chissà, forse più con il cuore che con la ragione - un brivido sinistro nel seguire questo viaggio da Lecco a Udine, un viaggio che ci appare così lugubre e macabro da non farci capire come possano, in tanti, salutarlo come una «conquista di civiltà»; come possano, in tanti, dire e scrivere che è «un viaggio verso la libertà».
Ecco perché speriamo in un miracolo. Che non è la guarigione di Eluana (magari, accadesse) ma una specie di ripensamento, di un flash che faccia perlomeno sospettare a Beppino Englaro che c’è un qualcosa di invisibile, ma di reale, che fa della stanza delle Misericordine di Lecco un luogo ben più luminoso rispetto alla stanza della «Quiete» di Udine. Un qualcosa che assomiglia molto alla differenza tra l’amore e il nulla.

Fonte: 4 febbraio 2009

5 - ELUANA 4
Se vince Beppino Englaro questo e' il futuro che ci aspetta!
Autore: Carlo Bellieni - Fonte: 15 gennaio 2009

Ma la malattia si guarisce con la morte?
 
Diventa sempre più chiaro che all’orizzonte delle battaglie pro-eutanasia c’è un cambiamento antropologico dello sguardo sulla malattia e sulla vita in generale. Lo capiamo da tanti segni. In primo luogo, la mitezza di certe sentenze. Il 17 dicembre una donna che aveva affogato la figlia di 26 anni disabile è stata condannata a due anni con la condizionale; i genitori di un giovane paraplegico inglese di 22 anni, che hanno accompagnato il figlio al suicidio assistito in Svizzera, non sono neanche stati processati; nell’agosto 2007 in Francia un marito ha ucciso a fucilate la moglie colpita da Alzheimer ed è stato condannato ad un anno con la condizionale. Insomma, sembra che stia passando nella mentalità comune che la morte sia una risposta 'comprensibile' e alla malattia, tanto che la punizione arriva attenuata a chi provoca o incoraggia la morte.
Ma se far morire dei disabili è guardato con indulgenza, come stupirsi quando vediamo che i disabili malati vengano 'mal-trattati'? Ed ecco dunque l’altro segno: la perdita di attenzione nelle cure ai disabili.
  Uno studio canadese mostra che tra i malati di Sla che chiedono di morire c’è un alto tasso di depressi… ma la depressione è curabile; e giustamente un articolo sul British Medical Journal afferma, constatato il tasso di depressione tra chi chiede di morire, che la legge sull’eutanasia fa finire col non proteggere i pazienti le cui scelte sono influenzate dalla depressione.
  Neanche gli anziani depressi, secondo uno studio, sono trattati a dovere: solo il 10% viene mandato da uno specialista contro il 50% dei depressi più giovani. Ci si stupisce che poi qualcuno chieda di morire? E uno studio del governo inglese sulla disabilità mostra che «i pazienti vengono ignorati e le loro condizioni lasciate non diagnosticate e non trattate perché settori del Servizio Sanitario vedono solo la loro disabilità e non la loro malattia»; mentre i giornali riportano inquietanti storie di pazienti con handicap trattati con scarsa attenzione proprio perché i medici si arrestano a vedere la loro disabilità di fondo e non approfondiscono invece le malattie che li colpiscono e talora li fanno morire.
  Vale la pena notare che, mentre in Italia stiamo ancora dibattendo su casi limitati di eutanasia, all’estero il dibattito si sposta sul suicidio assistito, cioè la fine della vita su richiesta anche in casi in cui la vita non è in pericolo. Si sta aprendo insomma un sentiero che porta a vedere la malattia come qualcosa che non sappiamo più concepire e affrontare, di cui abbiamo così paura da trovarla anche dove essa non c’è e decidere noi che la vita è divenuta 'malattia'; e che porta a considerare certi malati come soggetti cui la malattia ha fatto perdere dignità umana. I primi a farne le spese sono i malati che si sentono in pericolo in una società che considera cittadini solo coloro che hanno certe capacità, cioè la voglia di cancellare dall’orizzonte ogni segno che richiami all’umana finitezza, trasformando lo sguardo verso il disabile in censura o al massimo in compassione e inducendo l’idea falsa che certe disabilità inficino la dignità umana. Ma tutti siamo a rischio, dato che potremo a nostro arbitrio considerare la vita stessa come una malattia da cui chiedere di guarire con la morte (dopo un fallimento, in caso di depressione), e nessuno si potrà opporre. Già: oggi se vediamo un ragazzo che si vuole suicidare ci diamo da fare per bloccarlo; un domani tentare di opporvisi sarà molto probabilmente considerato reato.

Fonte: 15 gennaio 2009

6 - REVOCA DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI 1
C'e' chi vuole dividere cio' che Benedetto XVI unisce
Autore: Gianteo Bordero - Fonte: 30 gennaio 2009

E' vero quello che oggi in tanti dicono: monsignor Marcel Lefebvre, ordinando nel 1988 quattro vescovi senza la necessaria autorizzazione papale e incorrendo così nella scomunica latae sententiae, inferse una profonda ferita all'unità della Chiesa, l'amore alla quale richiederebbe la disponibilità ad obbedire al vicario di Cristo sacrificando magari la rivendicazione delle proprie personali idee. Idee di cui, invece, Lefebvre e i suoi seguaci hanno fatto una bandiera, talvolta trasformandole in una vera e propria «ideologia» ecclesiale pregiudizialmente contraria a tutto ciò che in qualche modo potesse essere collegato alle parole «Concilio», «aggiornamento», «modernità».
Ma è vero, allo stesso modo, che Lefebvre non fu scomunicato da Papa Giovanni Paolo II a causa delle sue idee. Neppure quelle riguardanti il Vaticano II. Oggi tutti coloro che soffiano sul fuoco della polemica dopo la decisione di Benedetto XVI di revocare la scomunica ai vescovi ordinati dal monsignore scismatico, questo dimenticano di dirlo e di ricordarlo, come se niente fosse. Così mestano nel torbido, lasciando intendere che siano le personali opinioni dei lefebvriani a tenerli fuori dalla comunione ecclesiale. Anzi. Molti di coloro che, dalle pagine dei giornali e dagli schermi televisivi, confondono deliberatamente le idee dei lettori e dei telespettatori su questa vicenda, quasi godono nel ribadire che la piena riammissione della Fraternità San Pio X non è ancora avvenuta, che sono ancora molti i passi da fare (come se il ritiro della scomunica da parte del Papa fosse un fatto di poco conto), e a sostegno delle loro tesi portano sorridenti le dichiarazioni sulla Shoah prima di monsignor Williamson e ora, in mancanza d'altro, di qualche sacerdote lefebvriano. Spulciano negli archivi e nelle emeroteche, su Google e su YouTube, per cercare altri documenti, altre prove che mostrino in maniera inconfutabile l'errore del pontefice regnante.
Concediamo per un attimo quello che gli intellettuali e i vaticanisti progressisti, martiniani e dossettiani lasciano intendere, e cioè che la rottura dell'unità della Chiesa sia avvenuta a causa delle idee anticonciliari dei lefebvriani, e non dell'ordinazione episcopale, sia vero. E quindi poniamo come criterio per essere scomunicati la difformità dai documenti del Vaticano II. Sono così sicuri, questi Torquemada dei tempi moderni, che in un caso del genere loro uscirebbero indenni dalle grinfie della nuova Inquisizione «conciliarmente corretta»? Ad esempio, sono così sicuri che la loro simpatia per la Messa pop, quella che in teoria avrebbe dovuto avvicinare gli uomini alla Chiesa e che invece ha allontanato i cristiani dalle chiese, trovi conferma nel dettato del Vaticano II? Ad esempio, ancora, sono sicuri che le loro aperture a tutto ciò che sa di moderno, anche in tema di famiglia, procreazione, sessualità abbia un qualche fondamento nelle Costituzioni conciliari? Perché si aggrappano ad ogni pie' sospinto allo «spirito del Concilio» e ne dimenticano la lettera? Forse perché lo «spirito» lo si può immaginare come si vuole ed invece la «lettera» è stampata e lapidaria? Parafrasando il famoso detto latino, potremmo dire che per i più ferventi critici della decisione di Benedetto XVI valga la regola: «Spiritus volat, scripta manent». E, ovviamente, loro stanno dalla parte dello «spiritus».
Per fortuna loro, e grazie a Dio, non pioverà sul loro capo nessuna scomunica, perché il criterio adottato dalla Chiesa non è il loro criterio, tant'è vero che il Papa, prima della revoca, non ha chiesto ai vescovi lefebvriani alcun giuramento pubblico e formale di fedeltà al Concilio. Il criterio usato da Benedetto XVI è stato invece quello del perdono in funzione della piena unità tra le membra del corpo mistico di Cristo. E sorprende che intellettuali, commentatori e giornalisti che da sempre salutano, senza risparmiare l'entusiasmo e la retorica, le «aperture» dei predecessori di Ratzinger a chi sta fuori dalla Chiesa, oggi facciano il diavolo a quattro per una «apertura» ancora più grande, il cui frutto potrebbe essere la fine di uno scisma. Forse perché si tratta di una «apertura» alla parte sbagliata, alla parte più «impresentabile» di coloro che sono extra Ecclesiam, alla parte che da quarant'anni neppure andrebbe nominata in ossequio al decoro teologico e all'«ecclesialmente corretto». E' davvero un modo singolare di ragionare e di pensare la Chiesa, questo. Un modo settario e ideologico tanto quanto lo è quello dei lefebvriani. Con la differenza che questi ultimi vengono quotidianamente attaccati, criticati e «scomunicati» a mezzo stampa o tv, mentre i loro inquisitori godono di buona stampa, impazzano su giornali, radio e teleschermi senza che nessuno (o quasi) alzi la voce nei loro confronti. Con l'aggravante che, mentre il superiore generale della San Pio X ha manifestato al pontefice la volontà di poter rientrare in comunione con Roma, esprimendo dolore per la divisione, loro tutto fanno fuorché mostrarsi dispiaciuti per le ricadute delle loro idee sul popolo credente e sull'opinione pubblica.
Papa Benedetto, uomo saggio e misericordioso, se ne sta fuori da questa contesa ed esercita su un altro piano la sua missione: non quello dell'affermazione di un'ideologia ecclesiale, di un proprio punto di vista, per quanto teologicamente geniale, ma quello della risposta alla missione assegnata da Gesù a San Pietro: riunire (e non dividere) il gregge di Cristo. E, se necessario, andare alla ricerca della pecora smarrita.

Fonte: 30 gennaio 2009

7 - REVOCA DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI 2
Ecco le dichiarazioni che non sentirete in tv
Autore: Bernard Fellay - Fonte:

Fellay: “Gli Ebrei sono i “nostri fratelli maggiori”.
“Non c’è posto fra noi per l’antisemitismo”.

Questo è il testo di una dichiarazione rilasciata ieri a “Famille Chrétienne”, settimanale cattolico francese, apparsa domenica scorsa su “La Croix”.
Il 31 gennaio, il vescovo Bernard Fellay è stato intervistato da “Famille Chrétienne”, settimanale cattolico francese, nella Casa Generalizia di Metzingen, in Svizzera. In particolare, ha risposto alle accuse di antisemitismo rivolte alla Fraternità San Pio X.
“Noi condanniamo fermamente ogni gesto assassino nei confronti di un innocente. E’ un crimine che grida vendetta verso il cielo! Soprattutto quando è rivolto a un intero popolo. Noi rigettiamo ogni accusa di antisemitismo. In maniera totale e assoluta. Rigettiamo qualunque forma di approvazione di ciò che è accaduto sotto Hitler. E’un qualcosa di abominevole. Il Cristianesimo mette la carità al di sopra di tutto. San Paolo, parlando degli Ebrei, proclama: “Desidero io stesso essere separato da Cristo a favore dei miei fratelli! (Rom. 9,3). Gli Ebrei sono i “nostri fratelli maggiori”, nel senso che abbiamo un qualcosa in comune, cioè l’antica Alleanza. E' vero che il riconoscimento della venuta del Messia ci separa”.
“E’ molto interessante notare che la Chiesa non ha atteso il Concilio per stabilire una linea d’azione riguardo agli Ebrei. Fin dagli anni ’30, e anche durante la guerra, diversi documenti della Chiesa di Roma hanno stabilito una posizione assai giusta: gli abomini del regime hitleriano devono essere condannati!. Pio XI aveva detto “siamo spiritualmente tutti semiti”. E’ una verità che scaturisce direttamente dalle Sacre Scritture. Come afferma anche san Paolo, “ siamo figli di Abramo”
Inoltre, in un messaggio email inviato domenica scorsa al Reverendo Alcuin Reid (inoltrato successivamente a diversi blog), si legge:
Dichiarazione del dr.Alcuin Reid:
Venerdì scorso la BBC Radio mi ha chiesto di parlare dei fatti recenti riguardanti la FSSPX durante il programma “Sunday Programme” di stamani. A seguito di questa richiesta ho chiesto alla FSSPX di commentare gli argomenti che sarebbero stati oggetto della discussione. Sfortunatamente la risposta del vescovo Fellay è arrivata solo dopo la messa in onda del programma. In questa risposta, scritta per essere resa pubblica, si afferma:
“La posizione del vescovo Williamson chiaramente non è la stessa della nostra Fraternità. Non c’è posto tra noi per l’antisemitismo. Noi seguiamo integralmente i comandamenti divini sulla giustizia e la carità e l’insegnamento di sempre della Chiesa. L’antisemitismo è stato condannato dalla Chiesa e, di conseguenza, anche noi lo condanniamo.
Concordo pienamente con le dichiarazioni di padre Schmidberger riguardanti le parole del vescovo Williamson (www.fsspx.info).
Dio la benedica.


8 - REVOCA DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI 3
In attesa del film sul gulag
Autore: Antonio Socci - Fonte: 11 gennaio 2009

A 20 anni dalla caduta del Muro di Berlino, mentre nelle scuole circolano tuttora libri di testo secondo i quali tale Muro fu eretto dagli Occidentali e fu abbattuto dai comunisti, il comunismo e i suoi orrori rappresentano il grande rimosso della coscienza moderna e della cultura mondiale, il grande buco nero che si è ingoiato perfino la memoria di centinaia di milioni di vittime.
Cosicché oggi, su questa immane rimozione, di fronte al collasso del mercatismo, capita che si parli sui giornali di una “riscoperta di Marx” e addirittura il ministro tedesco delle Finanze Peer Steinbruck dichiara che le risposte di Marx ai problemi attuali “possono non essere irrilevanti”. Allegria!
Non un solo film, in venti anni, è stato dedicato alla sterminata macelleria del Gulag planetario e alle milioni di storie falciate dalla sistematica pratica dello sterminio e dell’oppressione, che ha caratterizzato i regimi marxisti sempre e dovunque, a tutte le latitudini e in tutte le loro stagioni. Neanche un film, né una grande opera teatrale. Qualcuno potrà indicare una pellicola come “Le vite degli altri”, ma questo film, che pure fotografa il clima poliziesco di menzogna e paura dei regimi dell’Est, non è un film sul Gulag. Ed è un lodevole, ma isolatissimo caso.
Alain Besançon, nel suo recente pamphlet “Novecento. Il secolo del male” (Lindau) ha scritto: “Il nazismo, nonostante sia scomparso completamente da più di mezzo secolo, è a giusto titolo l’oggetto di un’esecrazione che non accenna a diminuire. Gli studi carichi di orrore al riguardo aumentano ogni anno di profondità e di ampiezza. Il comunismo, invece, nonostante sia vicino nel tempo e caduto di recente, fruisce di un’amnesia e di un’amnistia che raccolgono il consenso quasi unanime, non solamente dei suoi partigiani – ne esistono ancora – ma anche dei suoi nemici più determinati; e perfino delle sue vittime. Tutti trovano disdicevole trarlo fuori dall’oblio. Qualche volta capita che la bara di Dracula si socchiuda. E così, alla fine del 1997, un’opera (‘Il libro nero del comunismo’) ha osato fare la somma dei morti che gli si possono ascrivere. Proponeva una forbice da 85 a 100 milioni di morti. Lo scandalo è durato poco, e la bara si è già richiusa, senza che questi numeri siano stati seriamente contestati”.
Quando il Mostro era ancora al potere la denuncia dei suoi orrori in Occidente era un tabù per una quantità di motivi, di bavagli e di impedimenti. Basti dire che riuscirono perfino a condizionare il Concilio Vaticano II che – in piena persecuzione rossa – non pronunciò mai la parola comunismo, né la sua esplicita condanna. Fra gli intellettuali, gli anticomunisti erano mosche bianche e isolate. Sartre arrivò a dire (lo riferì Gustaw Herling) che “non si doveva parlare dei lager sovietici perché gli operai di Billancourt non potevano perdere la speranza”.
Quando in Italia arrivò la bomba di Solzenicyn, “Arcipelago Gulag”, a squarciare i veli sull’orrore – era il 1974 – fu accolto con gelida indifferenza o con disprezzo. Pierluigi Battista sottolinea “la singolare esiguità numerica di recensioni per un libro così importante e decisivo” e, per dire il clima, ricorda la diffusione della “leggenda nera di un Solzenicyn nientemeno che al soldo del dittatore Pinochet”. Quando poi crollò il Muro e travolse quei regimi si disse che essendo – il comunismo – morto e sepolto solo dei fanatici, dei maniaci o gente con doppi fini inconfessabili poteva ancora “accanirsi” e attardarsi nella denuncia dei crimini rossi, che ormai dovevano essere consegnati agli storici. Sennonché quando Giampaolo Pansa, nel 2003, ha disseppellito “Il sangue dei vinti”, ignorato dagli storici, è stato “scomunicato” da quegli stessi storici come revisionista, storico abusivo e peggio ancora. Non doveva osare raccontare la storia per intero.
Negli anni Novanta, peraltro, la rimozione del “comunismo” è stata praticata pure dagli stati occidentali: mentre erano ancora caldi i corpi degli studenti cinesi macellati in Piazza Tien an men, mentre i cristiani sono ancora rinchiusi nel Laogai e il Tibet sanguina, gli Stati Uniti di Clinton e l’Europa tecnocratica integrarono la Cina nel mercato globale facendo finta che non fosse più un regime comunista (comunismo che continua a dominare pure a Cuba, in Corea del nord e Vietnam).
Così, nel senso comune, l’amnesia del comunismo è stata un’amnistia. Facciamo un confronto. Consideriamo il successo oceanico del libro “Gomorra” di Roberto Saviano. Nelle ultime ore perfino Ronaldinho ha fatto sapere di aver letto l’opera. Ormai siamo al gran completo. Personalmente apprezzo Saviano e il suo libro, ma trovo singolare questa passione planetaria, con relativa indignazione civile, per i crimini camorristici della provincia di Caserta, da parte di un’opinione pubblica e di un’intellighentsia che per decenni ha deliberatamente ignorato il clan criminale più potente, sanguinario e vasto della storia, quello comunista, che aveva in pugno metà del pianeta, da Trieste fino ai confini dell’Alaska, da Cuba alla Cina, dall’Angola all’Albania.
Come si spiega tutto questo interesse, anche fuori d’Italia, per il malaffare di Secondigliano o Casal di Principe mentre si continua a (voler) ignorare l’oceano planetario di crimini, oppressione e menzogna che, dalla rivoluzione bolscevica, ha investito miliardi di persone, ha avallato lo scatenamento della Seconda guerra mondiale e poi, con la sfida atomica, ha messo a repentaglio le stesse sorti dell’umanità?
Quanti dei milioni di lettori di “Gomorra” hanno mai letto “Arcipelago Gulag”? Quanti ne conoscono almeno l’esistenza? Quanti, fra gli intellettuali, i professori, i giornalisti lo hanno mai letto? Quando si pubblicherà in Italia tutta l’opera di Solzenicyn? Quando vedremo una grande produzione cinematografica ispirata a una delle tante storie che egli ha raccontato? Penso che dovremo aspettare ancora a lungo. Mentre il libro di Saviano, uscito nel 2006, è già diventato un film, che ovviamente ha già riscosso enorme successo, che ha sbancato gli “oscar europei” (5 premi su 5 candidature) e ora sembra prepararsi a prendere pure l’Oscar americano. Qualcuno mi obietterà: ma che c’entra?
L’aspetto singolare è che proprio Saviano, che è un uomo serio, ha dichiarato di ispirarsi, sul piano etico, nella sua battaglia civile, a un bellissimo racconto di Varlam Salamov, contenuto nell’opera “I racconti di Kolyma”. Sarebbe interessante sapere quanti dei lettori (anche colti) di Saviano sanno qualcosa di quel libro e di quell’autore. Salamov trascorse venti anni nei lager comunisti, nell’inferno ghiacciato di Kolyma. La sua opera fu pubblicata nel 1978 a Londra e New York e lui nel 1982 viene chiuso in un ospedale psichiatrico dove muore solo come un cane, nell’orrore. Il suo è un capolavoro letterario del Novecento. La prima edizione italiana (parziale) nel 1976 fu del tutto ibernata: “attorno al libro si stese un silenzio pressoché assoluto e il volume fu per noi uno degli insuccessi più clamorosi” dirà Dino Audino.
Invece in America e in Europa l’impressione fu enorme. Quando finalmente, nel 1999, la Einaudi ha pubblicato l’opera (che aveva rifiutato di pubblicare nel 1975), è accaduta una cosa singolare. Fu chiesta una prefazione a Piero Sinatti e Gustaw Herling (che ha vissuto due anni nel Gulag e scrisse, fra i primi, nel 1951, una testimonianza su questo). Ma la loro prefazione ovviamente trattava a fondo del comunismo, così la Einaudi la rifiutò perché “eccessivamente sbilanciata sul versante storico-politico”. Infatti l’opera è uscita con una prefazione che si diffonde sulla “struttura narrativa”, ma non parla di comunismo. Ed ha molte altre cose incredibili. L’assurda vicenda è stata ricostruita da Herling e Sinatti nel bellissimo pamphlet “Ricordare, raccontare”.
Questa è ancora la situazione da noi, nella nostra cultura e nei media. Non resta che attendersi da Saviano il coraggio di rompere finalmente l’omertà che da sempre circonda l’orrore criminale chiamato: “comunismo”. Noi siamo con lui.

Fonte: 11 gennaio 2009

9 - REVOCA DELLA SCOMUNICA AI LEFEBVRIANI 4
La precisazione ufficiale del Vaticano
Fonte 4 febbraio 2009

Nota della Segreteria di Stato.

A seguito delle reazioni suscitate dal recente Decreto della Congregazione per i Vescovi, con cui si rimette la scomunica ai quattro Presuli della Fraternità San Pio X, e in relazione alle dichiarazioni negazioniste o riduzioniste della Shoah da parte del Vescovo Williamson della medesima Fraternità, si ritiene opportuno chiarire alcuni aspetti della vicenda.
1. REMISSIONE DELLA SCOMUNICA.
Come già pubblicato in precedenza, il Decreto della Congregazione per i Vescovi, datato 21 gennaio 2009, è stato un atto con cui il Santo Padre veniva benignamente incontro a reiterate richieste da parte del Superiore Generale della Fraternità San Pio X.
Sua Santità ha voluto togliere un impedimento che pregiudicava l’apertura di una porta al dialogo. Egli ora si attende che uguale disponibilità venga espressa dai quattro Vescovi in totale adesione alla dottrina e alla disciplina della Chiesa.
La gravissima pena della scomunica latae sententiae, in cui detti Vescovi erano incorsi il 30 giugno 1988, dichiarata poi formalmente il 1° luglio dello stesso anno, era una conseguenza della loro ordinazione illegittima da parte di Mons. Marcel Lefebvre.
Lo scioglimento dalla scomunica ha liberato i quattro Vescovi da una pena canonica gravissima, ma non ha cambiato la situazione giuridica della Fraternità San Pio X, che, al momento attuale, non gode di alcun riconoscimento canonico nella Chiesa Cattolica. Anche i quattro Vescovi, benché sciolti dalla scomunica, non hanno una funzione canonica nella Chiesa e non esercitano lecitamente un ministero in essa.
2. TRADIZIONE, DOTTRINA E CONCILIO VATICANO II.
Per un futuro riconoscimento della Fraternità San Pio X è condizione indispensabile il pieno riconoscimento del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Papi Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e dello stesso Benedetto XVI.
Come è già stato affermato nel Decreto del 21 gennaio 2009, la Santa Sede non mancherà, nei modi giudicati opportuni, di approfondire con gli interessati le questioni ancora aperte, così da poter giungere ad una piena e soddisfacente soluzione dei problemi che hanno dato origine a questa dolorosa frattura.
3. DICHIARAZIONI SULLA SHOAH.
Le posizioni di Mons. Williamson sulla Shoah sono assolutamente inaccettabili e fermamente rifiutate dal Santo Padre, come Egli stesso ha rimarcato il 28 gennaio scorso quando, riferendosi a quell’efferato genocidio, ha ribadito la Sua piena e indiscutibile solidarietà con i nostri Fratelli destinatari della Prima Alleanza, e ha affermato che la memoria di quel terribile genocidio deve indurre "l’umanità a riflettere sulla imprevedibile potenza del male quando conquista il cuore dell’uomo", aggiungendo che la Shoah resta "per tutti monito contro l’oblio, contro la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti".
Il Vescovo Williamson, per una ammissione a funzioni episcopali nella Chiesa dovrà anche prendere in modo assolutamente inequivocabile e pubblico le distanze dalle sue posizioni riguardanti la Shoah, non conosciute dal Santo Padre nel momento della remissione della scomunica.
Il Santo Padre chiede l’accompagnamento della preghiera di tutti i fedeli, affinché il Signore illumini il cammino della Chiesa. Cresca l’impegno dei Pastori e di tutti i fedeli a sostegno della delicata e gravosa missione del Successore dell’Apostolo Pietro quale "custode dell’unità" nella Chiesa.

Fonte: 4 febbraio 2009

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