BastaBugie n�41 del 01 agosto 2008

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1 CARI LEADER CHE CON UN VOLTAFACCIA SARETE ALLE OLIMPIADI ...
Accettate pure le lusinghe ma costringete Pechino a trattare
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: fonte non disponibile
2 LA GOGNA DEI GIORNALI: SBATTI IL PRETE ANTI-PEDOFILIA IN PRIMA PAGINA ACCUSATO DI FALSO, MA POI TI DIMENTICHI DI DIRE CHE NON ERA VERO
Procurato allarme, prosciolto don Di Noto. Archiviata l’inchiesta aperta dopo la denuncia del sacerdote per un raid nella sede di Meter.
Fonte: fonte non disponibile
3 IL PRINCIPE CASPIAN: ECCO IL PRIMO FILM DEL 2008 DEGNO DI ESSERE VISTO SECONDO L'OSSERVATORE ROMANO
Ritorno a Narnia dove il bene è bene e il male è male
Autore: Gaetano Vallini - Fonte: fonte non disponibile
4 INDÙ DEVASTANO CHIESA CRISTIANA E ORFANOTROFIO
Nuovi attacchi contro i cristiani indiani: all’origine dei saccheggi e degli incendi, il pretesto di una mucca uccisa
Fonte: fonte non disponibile
5 AIDS IN AFRICA: I PRESERVATIVI NON LO FERMANO, L'ASTENSIONE E LA FEDELTÀ SÌ!

Autore: Rino Cammilleri - Fonte: fonte non disponibile
6 LA STRANA MERAVIGLIA DI CHI HA SCACCIATO DIO DALLA SOCIETÀ E POI SI LAMENTA CHE LA SOCIETÀ ATTUALE SEMBRA L'INFERNO
Federica, che viene uccisa nel “paradiso” senza crocifissi
Autore: Antonio Socci - Fonte: fonte non disponibile
7 IL COMPITO DELL'EDUCATORE NELLA SOCIETÀ IMPAZZITA CHE NON SA PIÙ COSA VOGLIONO DIRE AUTOREVOLEZZA, DISCIPLINA E RESPONSABILITÀ
Lettera del Santo Padre Benedetto XVI alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione
Autore: Benedetto XVI - Fonte: vatican.va
8 ELUANA ED EUTANASIA: LA POSIZIONE DELLA CHIESA E' OBBLIGATORIA PER I CATTOLICI E DI BUON SENSO PER I NON CATTOLICI
Solidarietà e confusione: lettera a Giuliano Ferrara
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: fonte non disponibile
9 PAPILLOMA VIRUS: ECCO COME IL MINISTERO DELLA SALUTE TENTA DI FREGARCI
La scorciatoia del vaccino non garantisce quella sicurezza che solo l'evitare i comportamenti a rischio può dare
Autore: Emanuela Spitaleri - Fonte:

1 - CARI LEADER CHE CON UN VOLTAFACCIA SARETE ALLE OLIMPIADI ...
Accettate pure le lusinghe ma costringete Pechino a trattare
Autore: Bernardo Cervellera - Fonte: fonte non disponibile, 11/07/2008

Galeotto fu il G8. Sarà forse l’aria di crisi economica generale; o le promesse di nuovi contratti con il gigante cinese...
Sta di fatto che, incontrandosi in Giappone con il presidente cinese Hu Jintao, i leader delle otto nazioni più potenti, a poco a poco hanno sciolto le riserve e hanno promesso (giurato, perfino) che sì, saranno presenti alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi in programma a Pechino l’8 agosto prossimo, alle 8 e 8 di sera. Fra i renitenti rimane ancora il cancelliere tedesco Angela Merkel, ma tant’è: l’Unione europea in blocco, in questo semestre rappresentata dalla Francia e da Nicolas Sarkozy, sederà nello stadio Nido d’Uccello. Fra i 91mila ospiti mondiali, il presidente francese si godrà le spettacolari Olimpiadi che si preannunciano un osanna alla grandezza della Cina, divenuta imperatrice dell’economia mondiale. Ma spettacolare è anche l’inversione a 180° di Sarkozy, che solo alcuni mesi fa, dopo la repressione in Tibet, aveva messo tante condizioni alla sua partecipazione: rispetto dei diritti umani, dialogo con il Dalai Lama...
La sua posizione era stata così dura che i cinesi hanno deciso di boicottare i prodotti 'made in France', a cominciare da quelli in vendita nei supermercati Carrefour.
Dire che la Cina sia cambiata in questi mesi è forse troppo: controlli e censure pesano sui media cinesi e stranieri; attivisti e personalità religiose sono in prigione; i dialoghi con il Dalai Lama sono solo l’occasione per continuare le offese al leader tibetano... Non è cambiato nulla: solo è divenuto più evidente che le Olimpiadi sono un mercato. E questo non solo riferito alle sponsorizzazioni e ai sospetti sulla gestione del Comitato olimpico internazionale. La stessa presenza dei leader mondiali è divenuta una moneta di scambio. Presenze in cambio di favori. La dichiarazione dell’ufficio di Sarkozy recita che il presidente francese sarà a Pechino per «approfondire la sua amicizia strategica con la Cina», in cui sono forse compresi contratti per l’Airbus, costruzione di centrali nucleari e di ferrovie ad alta velocità. L’idea di boicottare la cerimonia di apertura dei Giochi non è mai stato una cosa seria.
Anzitutto, perché è contraddittoria: bisognava semmai non dare a Pechino le Olimpiadi già nel 2001.
Poi, perché è ormai troppo tardi e i 'giochi' (economici) sono fatti: nessuno sponsor (e nazione) rinuncerà in questo ultimo mese, dopo aver sovvenzionato le manifestazione per 7 anni. Se si vuole impegnare Pechino su diritti umani, libertà religiosa, dignità del lavoro, ecologia c’era tempo prima, e ci sarà durante e dopo i Giochi. A Sarkozy, Bush, Berlusconi, Fukuda si può chiedere che i diritti umani entrino costantemente nell’agenda commerciale. Più del boicottaggio, è importante che i nostri governi costringano la Cina e le sue università ad aprire un confronto sui diritti umani; che tutti coloro che commerciano con Pechino stilino contratti cui collegare condizioni etiche: migliore trattamento degli operai, libertà di associazione, libertà di religione per le comunità locali, liberazione di qualche dissidente. Insomma, avere davvero un rapporto con il gigante cinese, non trattarlo solo come un partner commerciale. Per questo le Olimpiadi possono essere un’occasione di rapporto con la popolazione cinese, con la sua società civile (così diversa dai suoi governanti), occasione in cui tessere legami e conoscenze, più forti e più solide delle sponsorizzazioni e degli sfruttamenti di manodopera a basso costo.

Fonte: fonte non disponibile, 11/07/2008

2 - LA GOGNA DEI GIORNALI: SBATTI IL PRETE ANTI-PEDOFILIA IN PRIMA PAGINA ACCUSATO DI FALSO, MA POI TI DIMENTICHI DI DIRE CHE NON ERA VERO
Procurato allarme, prosciolto don Di Noto. Archiviata l’inchiesta aperta dopo la denuncia del sacerdote per un raid nella sede di Meter.
Fonte fonte non disponibile, 10/07/2008

Il suo nome era finito sulle prime pagine dei grandi quotidiani, otto mesi fa, e non per il suo decennale impegno contro la pedofilia o le migliaia di siti pedopornografici che ha scoperto e fatto chiudere: 'Don Fortunato Di Noto indagato per falso', gridavano i titoli. Chi andava oltre e leggeva anche l’articolo veniva a sapere che il sacerdote di Avola, fondatore dell’associazione Meter e da tempo raggiunto da minacce varie, aveva subìto un raid vandalico nella sede Meter di Acicastello (Catania) e lo aveva denunciato con un comunicato stampa. Risultato: il procuratore di Catania, Enzo Serpotta, aveva aperto un procedimento contro don Di Noto per 'procurato allarme'. Insomma, secondo il pm il sacerdote parlando di raid vandalico avrebbe usato termini esagerati, diffondendo così un panico ingiustificato... La vittima diventava il 'colpevole' e si metteva in moto un iter giudiziario durato otto mesi. Ieri l’epilogo: il sostituto procuratore di Siracusa, Mario Bisogni, cui era stato trasferito l’incartamento, ha chiesto l’archiviazione. Per il magistrato siracusano, infatti, il comunicato 'non sembra contenere notizie false esagerate o tendenziose' e nel testo 'lo stesso Di Noto afferma di non avere alcuna certezza sulla matrice dell’evento ribadendo la volontà di proseguire comunque le sue attività associative'. Il comunicato non turba dunque l’ordine costituito, grazie anche al 'tenore ampiamente dubitativo dello stesso'. Inoltre per il gip di Siracusa,Vincenzo Panebianco, l’eventuale esagerazione nel titolo è 'scusabile maggiormente perché operato da soggetto che comunque, a cagione di una sua meritoria attività di rilievo sociale, è stato più volte soggetto a pressioni e minacce anche pesanti'. Pratica archiviata, dunque.
  Ma resta l’amarezza, molta: «Non dimentico i titoli strillati in prima pagina, come se fossi un criminale ricorda don Di Noto - mentre oggi fatico a far uscire anche in breve la notizia dell’archiviazione da quegli stessi giornali», dice. E racconta: «Per otto mesi io non ho potuto firmare alcun atto pubblico. E le ingenti spese legali che ho dovuto sostenere potevano essere utilizzate per ben altro. Ora che tutto è finito mi chiedo: perché sono stato indagato?
  Ancora non lo so».

Fonte: fonte non disponibile, 10/07/2008

3 - IL PRINCIPE CASPIAN: ECCO IL PRIMO FILM DEL 2008 DEGNO DI ESSERE VISTO SECONDO L'OSSERVATORE ROMANO
Ritorno a Narnia dove il bene è bene e il male è male
Autore: Gaetano Vallini - Fonte: fonte non disponibile, 19 luglio 2008

Non delude le attese la seconda puntata cinematografica de Le cronache di Narnia, la saga fantasy scaturita dalla penna di Clive Staples Lewis e portata sul grande schermo dalla Disney. L'episodio Il principe Caspian - che uscirà nelle sale italiane il 14 agosto e che sarà presentato in anteprima al Fiuggi family festival il 28 luglio - ripropone, ampliandole in una dimensione decisamente più epica, le caratteristiche narrative che hanno fatto apprezzare il precedente Il leone, la strega e l'armadio, vincitore di un Oscar. Insomma, un kolossal in piena regola, che regala un po' di verve a una stagione avara di titoli di rilievo.
Grazie a un ritmo più serrato e soprattutto a un più accentuato ricorso ai sofisticati effetti di animazione digitale, il regista Andrew Adamson - lo stesso del primo episodio - confeziona un prodotto che sarà apprezzato dai fan di Narnia. Tuttavia non saremo sui numeri di analoghe produzioni, perché il richiamo dei maghetti ha più presa su un pubblico di giovanissimi e alcune saghe, come Il signore degli anelli, possono contare su una comunità di lettori e appassionati ben più ampia e radicata. E proprio tra gli appassionati lettori di Lewis forse alcuni storceranno un po' il naso, visto che le libertà rispetto al testo sono numerose e a volte significative. Ma è il prezzo che si è costretti a pagare nelle trasposizioni cinematografiche, anche se in questo caso il risultato di compromesso appare comunque accettabile.
 Negli Stati Uniti l'uscita del film non ha riproposto gli stessi commenti che hanno accompagnato il primo capitolo, quando Lewis venne di fatto assoldato tra le file dei cosiddetti neocon, divenendo l'alfiere di una campagna religiosa per teen-ager. Ma al di là di disquisizioni ideologizzate condite con letture semplicistiche e fuorvianti, anche questo lavoro ripropone, seppure in maniera meno forte, i temi cari a Lewis, che definiva se stesso il "convertito più riluttante di tutta l'Inghilterra". Lo scrittore - vissuto in gran parte in Inghilterra, ma irlandese di Belfast e di famiglia protestante visceralmente anticattolica - lasciò il protestantesimo per abbandonarsi all'ateismo prima di abbracciare la religione cristiana, optando per l'anglicanesimo.
Una scelta chiara e definitiva:  "Viviamo in un territorio occupato dal nemico:  ecco cos'è questo mondo. Il cristianesimo è la storia di come il re legittimo è sbarcato - sbarcato potremmo dire in incognito - e ci chiama tutti a partecipare a una grande campagna di sabotaggio". Nel mondo di Narnia - abitato da centauri, fauni, minotauri, giganti, nani, animali parlanti e alberi semoventi, le cui caratterizzazioni spesso sono lo specchio di virtù e vizi fin troppo umani - questo concetto è esplicitato da un marcato simbolismo cristiano, in un racconto ricco di allegorie e metafore evangeliche.
Al pari di Tolkien - inglese dalla profonda fede cattolica, la cui amicizia influì molto sulla sua conversione - Lewis attinse dagli antichi miti e dai grandi classici della narrativa fantastica per esaltare i temi della trascendenza. Egli era convinto dell'esistenza di un legame tra il linguaggio simbolico caratteristico della letteratura di genere e lo sguardo concreto della fede sulla storia. Nei suoi lavori emerge la nostalgia del paradiso perduto, la molla che spinge l'uomo a riconquistarlo e a ricercare nuovamente, con coraggio e fiducia, la Verità. Questa ricerca è un'intrigante chiave di lettura de Le cronache di Narnia, un mondo in cui il bene è bene e il male è male, senza possibilità di compromessi. Una distinzione forse fin troppo manichea, ma che deriva da una visione del cristianesimo che non ammette sconti:  "Cristo non ha mai fatto discorsi vaghi, idealistici. Quando dice "siate perfetti" dice sul serio". Allo stesso modo anche i suoi personaggi devono fare una scelta definitiva. La stessa che è chiamato a compiere il giovane principe Caspian, legittimo erede al trono di Narnia, del quale anche nel film si apprezza, sia pure in modo meno marcato che nell'opera letteraria, il tormentato itinerario interiore:  per questo la sua è una storia che parla anche della perdita dell'innocenza.
 La trama del film è incentrata sulla sua figura. Ma insieme con lui riprendono vita i quattro fratelli Pevensie, Peter, Edmund, Susan e Lucy, che nel precedente capitolo erano stati proiettati a Narnia, divenendone i sovrani. Ancora una volta sono magicamente trasportati in quel mondo. Non c'è più l'armadio, la strega bianca è morta, Aslan - il re leone - è scomparso da milletrecento anni, anche se per loro sono trascorsi appena dodici mesi. A Narnia l'età dell'oro è finita:  scoprono un mondo completamente diverso, che riserva loro una nuova avventura, in cui la loro fiducia e il loro coraggio vengono messi duramente alla prova. C'è un altro nemico da affrontare, gli uomini di Telmar, guidati dal perfido Miraz, zio di Caspian, che occupa illegittimamente il trono che appartiene a quest'ultimo. A Caspian si affidano gli abitanti di Narnia, costretti da secoli all'oblio, affinché ritornino pace e serenità e si costruiscano rapporti fraterni con i figli di Adamo e di Eva. I quattro sovrani giunti dal passato gli daranno una mano e lo stesso Aslan, nel primo episodio raggiante metafora di Cristo, tornerà a schierarsi con le forze del bene (con una voce più appropriata dopo quella insostenibile del pur bravo Omar Sharif).
Più matura - del resto sono cresciuti - la prova dei quattro giovani attori che impersonano i fratelli Pevensie:  Skandar Keynes (Edmund), William Moseley (Peter), Anna Popplewell (Susan) e Georgie Henley (Lucy), sicuramente la più efficace nel rendere l'indole del personaggio, chiamata a incarnare la bambina costretta ad affrontare lo scetticismo degli altri, ma alla quale si svelano per primi i misteri di Narnia. Tuttavia la vera star del film è Ben Barnes, nei panni di un principe Caspian piuttosto impacciato, colpa di una sceneggiatura che non gli rende del tutto giustizia. Infine Sergio Castellitto, che dà vita a un Miraz sufficientemente odioso e credibile.
Contro di lui, personificazione del male che travolge quel mondo, il sovrano Peter incita alla battaglia:  una battaglia che va combattuta senza paura, con la speranza di riconquistare quella sorta di giardino dell'Eden, dove ristabilire un regno di amore e di fratellanza. Il metatesto cristiano in questa pellicola appare meno evidente, lasciando spazio alla fascinazione di un mondo medievaleggiante, con il suo codice cavalleresco. La stessa figura di Aslan, centrale nel primo episodio, appare meno significativa pur mantenendo il suo alone di sacralità. Così con un'ambientazione che non disdegna stavolta tonalità più cupe e in un rincorrersi di misurate citazioni cinematografiche - da Guerre stellari per i personaggi a Il signore degli anelli per gli scontri armati che tuttavia non riescono a raggiungere lo stesso coinvolgimento nonostante le intenzioni - i centoquarantacinque minuti di proiezione scorrono via piacevolmente, lasciando comunque significativi messaggi:  il valore del sacrificio e della lealtà, il senso dell'amicizia, la potenza del perdono, il significato della misericordia.
Ma la parola fine chiude solo un capitolo, perché la Disney ha già avviato la realizzazione del terzo episodio, Il viaggio del veliero. Il regista stavolta sarà diverso, ma si tornerà in quella terra "governata da una più grande magia, che distingue il bene dal male e determina il nostro destino".

Nota di BastaBugie: per scoprire tutto sulle Cronache di Narnia e sul suo autore Lewis visita il sito FilmGarantiti.it cliccando qui sotto.
http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=11

Fonte: fonte non disponibile, 19 luglio 2008

4 - INDÙ DEVASTANO CHIESA CRISTIANA E ORFANOTROFIO
Nuovi attacchi contro i cristiani indiani: all’origine dei saccheggi e degli incendi, il pretesto di una mucca uccisa
Fonte fonte non disponibile, 10/07/2008

«Le forze fanatiche dell’Hindutva vogliono eliminare i cristiani dall’Orissa e in particolare da questo distretto di Kandhamal»: monsignor Raphael Cheenath, arcivescovo di CuttackBhubaneshwar, va dritto senza mezzi termini, reagendo con l’agenzia “AsiaNews” alla notizia del saccheggio di martedì in cui è stata distrutta la residenza e la chiesa dei gesuiti, oltre ad un orfanotrofio protestante a Tumudiband, nel distretto di Kandhamal. Circa 6 mesi fa, a Natale, lo stesso distretto era stato messo a ferro e fuoco da gruppi nazionalisti indù. Finora la polizia non ha trovato alcun colpevole, sebbene tutti conoscono il gruppo responsabile dell’attacco. «Il nuovo attacco della Sangh Parivar – il gruppo radicale indù, che raccoglie diverse denominazioni – contro i cristiani è la conseguenza diretta dell’impunità che hanno goduto dopo gli attacchi del dicembre 2007. «C’è complicità – continua monsignor Cheenath – fra il governo e queste forze fanatiche per creare caos contro i cristiani, rimanendo impuniti». Da martedì tutta la zona è isolata e la popolazione è terrorizzata.
  L’assalto è cominciato verso mezzogiorno. Alcuni cristiani, abitanti del villaggio di Tumudiband (Malikpada), avevano ucciso una mucca e stavano portando a casa la carne. Un gruppo di radicali indù li ha fermati per strada e hanno preso le loro foto con il cellulare.
  Temendo delle rappresaglie, gli abitanti hanno chiesto la cancellazione delle foto. Dopo un tafferuglio, il capo del gruppo indù è tornato al suo ashram e ha convocato un’assemblea radunando studenti, famiglie e militanti della Sangh Parivar. Con l’aiuto de guru locale, swami Lakhananda Swaraswati, hanno cominciato il saccheggio. Hanno tagliato alberi incendiandoli per bloccare le strade, e hanno colpito la residenza dei gesuiti, distruggendo la chiesa e la statua della Madonna. Distrutto in modo completo anche un orfanotrofio protestante, il Bhagban Ashram. Gli abitanti del villaggio hanno dichiarato ad “AsiaNews” che la polizia è giunta tempo dopo, ha interrogato molte persone, ma non ha fatto nessun arresto.

Fonte: fonte non disponibile, 10/07/2008

5 - AIDS IN AFRICA: I PRESERVATIVI NON LO FERMANO, L'ASTENSIONE E LA FEDELTÀ SÌ!

Autore: Rino Cammilleri - Fonte: fonte non disponibile, 03-07-2008

Secondo quanto riportato dall’agenzia Zenit.org dell’1 luglio 2008, il reverendo anglicano ugandese Sam Ruteikara, considerato un’autorità in materia di Aids, ha dichiarato senza mezzi termini che «la promozione del preservativo in Africa è fallita».
Ruteikara, presidente del comitato nazionale ugandese per la prevenzione dell’Aids, ha detto chiaro e tondo che la faccenda dei preservativi è diventata «un’industria miliardaria» che guarda solo al profitto e che, per giunta, ha mandato a gambe all’aria quanto di buono era stato ottenuto dal governo.
Tra il 1991 e il 2002, infatti, in Uganda la percentuale della popolazione affetta dall'Hiv era scesa dal 21% al 6% con la famosa campagna ABC (Abstain, Be faithful, or use a Condor – Astieniti, sii fedele o usa il preservativo), con la fedeltà al primo posto. «Abbiamo promosso la fedeltà per le persone sessualmente attive, l'astinenza per i giovani e il preservativo solo come ultima risorsa». Ma poi sono arrivati gli «esperti internazionali» e con loro l’ideologia occidentale del sesso libero.
Così, le percentuali di Hiv sono salite di nuovo. Ma quelli hanno attribuito la cosa a mancanza di preservativi, «anche se abbiamo molti più preservativi ora che all'inizio degli anni Novanta, quando le percentuali dei contagiati dall'Hiv hanno iniziato a diminuire», dice Ruteikara. Norman Hearst, dell'Università della California di San Francisco, concorda e aggiunge «nell'Africa subsahariana la prevenzione deve essere collegata al comportamento sessuale, perché è quello che alimenta la pandemia». Infatti, in Africa anche le persone sposate hanno spesso uno/a o due amanti a lungo termine.

Fonte: fonte non disponibile, 03-07-2008

6 - LA STRANA MERAVIGLIA DI CHI HA SCACCIATO DIO DALLA SOCIETÀ E POI SI LAMENTA CHE LA SOCIETÀ ATTUALE SEMBRA L'INFERNO
Federica, che viene uccisa nel “paradiso” senza crocifissi
Autore: Antonio Socci - Fonte: fonte non disponibile, 11 luglio 2008

I socialisti di Zapatero hanno annunciato di voler togliere i crocifissi dagli spazi pubblici. Il caso ha voluto che la notizia uscisse in contemporanea con l’assassinio di Federica, proprio in Spagna, a Llorett de Mar, in un divertimentificio che è il nuovo santuario dello sballo giovanile. Dove la discoteca è – come ha spiegato Vittorino Andreoli – la cattedrale pagana di “un grande rito di trasformazione collettiva” che fa dimenticare la vita e la realtà. Gli ingredienti (anche chimici) di questa “nuova religione” sono noti, con il solito comandamento: “vietato vietare”. La felicità si trova davvero lì? E perché Federica ci ha trovato la morte, macellata come un agnello?
Nessuno ci riflette. Nell’euforica Spagna le autorità sembrano preoccupate soprattutto che il delitto non porti pubblicità negativa alla località turistica. E vai con la tequila bum bum, dimentichiamo la povera Federica e via i crocifissi. Anche noi da tempo li abbiamo tolti dai cuori, oltreché dalla vita pubblica. Anzi, l’immagine del crocifisso o quella della Madonna vengono periodicamente dileggiati da sedicenti artisti in nome della libertà d’espressione. Del resto il Papa stesso subisce questa sorte nelle manifestazioni di piazza della sedicente “Italia dei migliori”. E la fede cattolica viene azzannata, senza alcuna obiettività, in programmi televisivi che, se fossero realizzati contro qualsiasi altra religione, scatenerebbero subito l’accusa di intolleranza o razzismo. Contro Gesù Cristo invece sembra che tutto sia permesso.
Poi, quando ci visita il dolore o si consuma la tragedia o assistiamo all’orrore, gridiamo furenti – col dito accusatore – “dov’è Dio?”, “Perché non ha impedito tutto questo?”. Dopo l’ecatombe dell’ 11 settembre a New York si alzò questo stesso grido e una donna, in tutta semplicità, parlando in televisione rispose così: “per anni abbiamo detto a Dio di uscire dalle nostre scuole, di uscire dal nostro Governo, e di uscire dalle nostre vite. E da gentiluomo che è, credo che Lui sia quietamente uscito. Come possiamo aspettarci che Dio ci dia le Sue benedizioni, e la Sua protezione, se prima esigiamo che ci lasci soli?”.
Continuava ricordando quando si lanciò la crociata perché non si voleva “che si pregasse nelle scuole americane, e gli americani hanno detto OK. Poi qualcun altro ha detto che sarebbe meglio non leggere la Bibbia nelle scuole americane. Quella stessa Bibbia che dice: ‘Non uccidere, non rubare, ama il tuo prossimo come te stesso...’, e gli americani hanno detto OK. Poi, in molti paesi del mondo, qualcuno ha detto: ‘Lasciamo che le nostre figlie abortiscano, se lo vogliono, senza neanche avvisare i propri genitori’. Ed il mondo ha detto OK”.
Si girano film e show televisivi che sommergono le anime di fango. E si fa musica che celebra violenza, suicidio, droga o ammicca al satanismo. E tutti trovano questo normale e dicono che è solo un gioco, com’è normale che, secondo le statistiche, un bimbo italiano, prima di aver terminato le elementari, veda in media in tv 8 mila omicidi e 100 mila atti di violenza, ma per carità togliamo la preghiera dalla scuola ché sarebbe un atto di “violenza psicologica”.
”Ora” proseguiva quella donna americana “ci chiediamo perché i nostri figli non hanno coscienza, perché non sanno distinguere il bene dal male, e perché uccidono così facilmente estranei, compagni di scuola, e loro stessi. Probabilmente perché, com’è stato scritto, ‘l'uomo miete ciò che ha seminato’ (Galati 6:7). Uno studente ha ‘sinceramente’ chiesto: ‘Caro Dio, perché non hai salvato quella bambina che è stata uccisa in una scuola americana?’. Risposta: ‘Caro Studente, a Me non è permesso entrare nelle scuole americane. Sinceramente, Dio’ ”. Tutto questo non è solo americano. Dopo Auschwitz una folla di intellettuali accusò Dio: “Dov’eri? Come hai potuto permettere tutto questo?”. Nessuno ricordava quale fu la prima battaglia fatta dal nazismo appena arrivato al potere: la guerra dei crocifissi. Il nuovo regime pretese di spazzar via da tutte le scuole l’immagine di Gesù crocifisso. Fu uno scontro durissimo e la Chiesa fu praticamente lasciata sola a sostenerlo. Dov’erano gli intellettuali? Poi il nazismo, fra il 1939 e il 1940, spazzò via migliaia di “crocifissi viventi”, una eutanasia di massa per 70 mila disabili e malati mentali: ritennero le loro delle vite indegne di essere vissute e dettero loro “la morte pietosa”, ma anche in quel caso la Chiesa fu lasciata quasi sola perché nei cuori il crocifisso era stato spazzato via dalla pagana e feroce croce uncinata. E così alla fine Hitler scatenò la guerra e la Shoah. Dov’era Dio? Era stato cacciato da tempo. E stava agonizzando nei lager con Massimiliano Kolbe, Edith Stein o Dietrich Bonhoeffer, accanto a una moltitudine di croficissi.
Siamo la generazione che ha visto poi consolidarsi nel mondo il più immane tentativo di strappare Dio dai cuori, imponendo l’ateismo di Stato: l’impero comunista che si è risolto nel più colossale genocidio planetario di uomini e popoli. Tutto questo c’insegna qualcosa? No. Noi siamo la generazione che non impara dalle tragedie del suo tempo. E per questo forse sarà destinata a ripeterle. Non abbiamo forse consegnato la costruzione europea a una tecnocrazia laicista e dispotica che ha voluto strappare le radici cristiane dell’albero europeo? Ed eccoci all’inverno demografico, al declino e all’invasione islamica.
Un grande economista come Giulio Tremonti, nel suo celebre libro, ha affermato che il riscatto è possibile solo con una rinascita spirituale. Ma noi siamo “gli uomini impagliati” di Eliot, con la testa piena di vento e il cuore pieno di solitudine. Abbiamo sputato su Gesù Cristo e sulla Chiesa credendo che questo fosse “libertà”, poi ci troviamo soli o disperati e allora puntiamo il dito accusatore sulla presunta “indifferenza” di Dio. Di quel Dio che non cessa un solo giorno di darci il respiro e di farsi incontro a noi.
Siamo la generazione che non sa più dare senso alla vita, né speranza ai propri figli, che vede addensarsi all’orizzonte nubi cupe di crisi planetarie, di guerre, di carestie, ma non afferra la mano della “Regina della Pace”, presente fra noi per salvarci. Perché si ride del Mistero e del soprannaturale, mentre si va da maghi e astrologi, perché si crede ai giornali e a internet e non al Vangelo, perché si irride chi parla di Satana e dell’Inferno, ma si affollano come non mai sette sataniche o esoteriche, perché si venerano le maschere vuote dei palcoscenici e della tv e si disprezzano i santi, perché si crede che libertà sia poter fare qualunque cosa, anziché essere veramente amati.
Questa stagione iniziò nel ’68, quando si cominciò a sparare sulla religione come “oppio dei popoli”, così oggi l’oppio (o la cocaina) è diventata la religione dei popoli, anche di notai, industriali e deputati. Nietsche tuonò contro il crocifisso perché – scrisse – abolì i sacrifici umani che erano il motore della storia pagana. E infatti oggi, cancellato il crocifisso dai cuori, sono tornati i sacrifici umani. Siamo la generazione che ha assistito tranquillamente in 30 anni allo sterminio – con leggi degli Stati – di un miliardo di piccole vite umane nascenti, il più immane sacrificio umano della storia. La generazione che torna a discettare di vite “indegne di essere vissute”, che pretende di trasformare i più piccoli esseri umani in cavie da laboratorio, che esige – specialmente “in nome della scienza” - che tutto sia permesso. In effetti “se Dio non c’è, tutto è permesso”. Ma con quali conseguenze?
L’abbiamo visto nel recente passato. E siccome non ne traiamo le conseguenze lo vediamo nel presente e ancor più lo vedremo nel futuro. Qualcuno ha osservato: “Strano come sia semplice per le persone cacciare Dio per poi meravigliarsi perché il mondo sta andando all'inferno”.

Fonte: fonte non disponibile, 11 luglio 2008

7 - IL COMPITO DELL'EDUCATORE NELLA SOCIETÀ IMPAZZITA CHE NON SA PIÙ COSA VOGLIONO DIRE AUTOREVOLEZZA, DISCIPLINA E RESPONSABILITÀ
Lettera del Santo Padre Benedetto XVI alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione
Autore: Benedetto XVI - Fonte: vatican.va, 21 gennaio 2008

Cari fedeli di Roma,
ho pensato di rivolgermi a voi con questa lettera per parlarvi di un problema che voi stessi sentite e sul quale le varie componenti della nostra Chiesa si stanno impegnando: il problema dell'educazione. Abbiamo tutti a cuore il bene delle persone che amiamo, in particolare dei nostri bambini, adolescenti e giovani. Sappiamo infatti che da loro dipende il futuro di questa nostra città. Non possiamo dunque non essere solleciti per la formazione delle nuove generazioni, per la loro capacità di orientarsi nella vita e di discernere il bene dal male, per la loro salute non soltanto fisica ma anche morale.
Educare però non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande "emergenza educativa", confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita. Viene spontaneo, allora, incolpare le nuove generazioni, come se i bambini che nascono oggi fossero diversi da quelli che nascevano nel passato. Si parla inoltre di una "frattura fra le generazioni", che certamente esiste e pesa, ma che è l'effetto, piuttosto che la causa, della mancata trasmissione di certezze e di valori.
Dobbiamo dunque dare la colpa agli adulti di oggi, che non sarebbero più capaci di educare? E' forte certamente, sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in genere tra gli educatori, la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un'atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Diventa difficile, allora, trasmettere da una generazione all'altra qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita.
Cari fratelli e sorelle di Roma, a questo punto vorrei dirvi una parola molto semplice: Non temete! Tutte queste difficoltà, infatti, non sono insormontabili. Sono piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia di quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l'accompagna. A differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell'ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell'uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale.
Quando però sono scosse le fondamenta e vengono a mancare le certezze essenziali, il bisogno di quei valori torna a farsi sentire in modo impellente: così, in concreto, aumenta oggi la domanda di un'educazione che sia davvero tale. La chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli; la chiedono tanti insegnanti, che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole; la chiede la società nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della convivenza; la chiedono nel loro intimo gli stessi ragazzi e giovani, che non vogliono essere lasciati soli di fronte alle sfide della vita. Chi crede in Gesù Cristo ha poi un ulteriore e più forte motivo per non avere paura: sa infatti che Dio non ci abbandona, che il suo amore ci raggiunge là dove siamo e così come siamo, con le nostre miserie e debolezze, per offrirci una nuova possibilità di bene.
Cari fratelli e sorelle, per rendere più concrete queste mie riflessioni, può essere utile individuare alcune esigenze comuni di un'autentica educazione. Essa ha bisogno anzitutto di quella vicinanza e di quella fiducia che nascono dall'amore: penso a quella prima e fondamentale esperienza dell'amore che i bambini fanno, o almeno dovrebbero fare, con i loro genitori. Ma ogni vero educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di autentico amore.
Già in un piccolo bambino c'è inoltre un grande desiderio di sapere e di capire, che si manifesta nelle sue continue domande e richieste di spiegazioni. Sarebbe dunque una ben povera educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella vita.
Anche la sofferenza fa parte della verità della nostra vita. Perciò, cercando di tenere al riparo i più giovani da ogni difficoltà ed esperienza del dolore, rischiamo di far crescere, nonostante le nostre buone intenzioni, persone fragili e poco generose: la capacità di amare corrisponde infatti alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme.
Arriviamo così, cari amici di Roma, al punto forse più delicato dell'opera educativa: trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina. Senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro. Il rapporto educativo è però anzitutto l'incontro di due libertà e l'educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane; dobbiamo dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Quello che invece non dobbiamo mai fare è assecondarlo negli errori, fingere di non vederli, o peggio condividerli, come se fossero le nuove frontiere del progresso umano.
L'educazione non può dunque fare a meno di quell'autorevolezza che rende credibile l'esercizio dell'autorità. Essa è frutto di esperienza e competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell'amore vero. L'educatore è quindi un testimone della verità e del bene: certo, anch'egli è fragile e può mancare, ma cercherà sempre di nuovo di mettersi in sintonia con la sua missione.
Carissimi fedeli di Roma, da queste semplici considerazioni emerge come nell'educazione sia decisivo il senso di responsabilità: responsabilità dell'educatore, certamente, ma anche, e in misura che cresce con l'età, responsabilità del figlio, dell'alunno, del giovane che entra nel mondo del lavoro. E' responsabile chi sa rispondere a se stesso e agli altri. Chi crede cerca inoltre, e anzitutto, di rispondere a Dio che lo ha amato per primo.
La responsabilità è in primo luogo personale, ma c'è anche una responsabilità che condividiamo insieme, come cittadini di una stessa città e di una nazione, come membri della famiglia umana e, se siamo credenti, come figli di un unico Dio e membri della Chiesa. Di fatto le idee, gli stili di vita, le leggi, gli orientamenti complessivi della società in cui viviamo, e l'immagine che essa dà di se stessa attraverso i mezzi di comunicazione, esercitano un grande influsso sulla formazione delle nuove generazioni, per il bene ma spesso anche per il male. La società però non è un'astrazione; alla fine siamo noi stessi, tutti insieme, con gli orientamenti, le regole e i rappresentanti che ci diamo, sebbene siano diversi i ruoli e le responsabilità di ciascuno. C'è bisogno dunque del contributo di ognuno di noi, di ogni persona, famiglia o gruppo sociale, perché la società, a cominciare da questa nostra città di Roma, diventi un ambiente più favorevole all'educazione.
Vorrei infine proporvi un pensiero che ho sviluppato nella recente Lettera enciclica Spe salvi sulla speranza cristiana: anima dell'educazione, come dell'intera vita, può essere solo una speranza affidabile. Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini "senza speranza e senza Dio in questo mondo", come scriveva l'apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (Ef 2,12). Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell'educazione c'è infatti una crisi di fiducia nella vita.
Non posso dunque terminare questa lettera senza un caldo invito a porre in Dio la nostra speranza. Solo Lui è la speranza che resiste a tutte le delusioni; solo il suo amore non può essere distrutto dalla morte; solo la sua giustizia e la sua misericordia possono risanare le ingiustizie e ricompensare le sofferenze subite. La speranza che si rivolge a Dio non è mai speranza solo per me, è sempre anche speranza per gli altri: non ci isola, ma ci rende solidali nel bene, ci stimola ad educarci reciprocamente alla verità e all'amore.
Vi saluto con affetto e vi assicuro uno speciale ricordo nella preghiera, mentre a tutti invio la mia Benedizione.

Fonte: vatican.va, 21 gennaio 2008

8 - ELUANA ED EUTANASIA: LA POSIZIONE DELLA CHIESA E' OBBLIGATORIA PER I CATTOLICI E DI BUON SENSO PER I NON CATTOLICI
Solidarietà e confusione: lettera a Giuliano Ferrara
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: fonte non disponibile, 17 luglio 2008

Caro Direttore,
voglio esprimerLe, insieme all'adesione all'iniziativa"Acqua per Eluana Englaro", il ringraziamento per avere - insieme a pochi altri, e purtroppo non a tutti coloro che pure si dicono pubblicamente cattolici - fatto finalmente chiarezza sulla natura della questione di cui stiamo parlando.
Il caso di Eluana non c'entra nulla con il diritto a rifiutare cure mediche o forme di accanimento terapeutico, perché l'alimentazione e l'idratazione - mangiare e bere - non sono cure mediche. Anche sul testamento biologico è giusto che ciascuno esponga chiaramente le sue posizioni, ma senza inganni e senza giri di parole. Possiamo discutere sull'esatta natura, giuridica e morale, di un testamento biologico dove si chieda anticipatamente di sospendere talune cure mediche in caso di malattia terminale senza speranza di guarigione. Possiamo anche discutere su un documento dove nel caso di certe malattie si chieda anticipatamente l'interruzione della somministrazione di acqua e cibo. Quello che non dovremmo fare è definire pudicamente il documento, in questo secondo caso, "testamento biologico", perché si tratta a tutti gli effetti di un consenso anticipato all'eutanasia, che - precisamente come temono i vescovi - introdurrebbe nel nostro ordinamento giuridico l'eutanasia senza chiamarla con il suo nome.
Il 1° agosto 2007 la Congregazione per la dottrina della fede nel documento "Risposta a quesiti della Conferenza Episcopale Statunitense circa l'alimentazione e l'idratazione artificiali" aveva appunto pazientemente spiegato che l'interruzione della somministrazione di cibo e acqua non costituisce interruzione di cure mediche ma soppressione deliberata di una vita umana, cioè eutanasia.
All'epoca del documento alcuni "cattolici adulti" nostrani avevano avanzato la solita obiezione: la Congregazione per la dottrina della fede si occupi dei cattolici ma non pretenda d'ingerirsi negli affari dello Stato. In altre parole - si diceva - i cattolici sono liberi di non chiedere la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione per sé e per i loro cari ma non possono impedire che la chiedano altri, non credenti, che ragionano in base a principi morali diversi.
Ma anche qui - a chiamare le cose con il loro nome - tutto si chiarisce. Basta sostituire le parole "sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione" con la parola "omicidio" (in effetti, si può certamente commettere un omicidio per omissione: se una madre smette di dare da mangiare e da bere a un neonato che non è in grado di procurarsi cibo e bevande da solo, il neonato muore). Neppure il più forsennato dei relativisti sottoscriverebbe una frase come: "I cattolici sono liberi di non commettere omicidi ma non possono impedire che li commettano altri, che ragionano in base a principi morali diversi".
La verità è che quando il Papa, i vescovi e la Congregazione per la dottrina della fede ricordano che somministrare cibo e bevande non è una cura medica non desumono questo dato da un versetto della Bibbia ma dalla ragione e dal semplice buon senso. E i dati di ragione e di buon senso fanno parte di quelle regole del gioco su cui si regge la società, e che obbligano tutti: cattolici e buddhisti, credenti e non credenti. Se viene meno questa che il Papa chiama "grammatica della vita sociale" viene meno, propriamente, la società e il diritto della ragione è sostituito dalla semplice violenza del più forte. Che il più forte, qualche volta, sia vestito da giudice non cambia la sostanza delle cose.
Con stima.

Fonte: fonte non disponibile, 17 luglio 2008

9 - PAPILLOMA VIRUS: ECCO COME IL MINISTERO DELLA SALUTE TENTA DI FREGARCI
La scorciatoia del vaccino non garantisce quella sicurezza che solo l'evitare i comportamenti a rischio può dare
Autore: Emanuela Spitaleri - Fonte:

Molte famiglie stanno ricevendo la lettera del ministero della Salute che invita a vaccinare le figlie che hanno appena compiuto 11 anni contro il papilloma virus. Una campagna impegnativa di prevenzione che però non tocca in nessun modo l'educazione all'amore e alla sessualità, la migliore delle prevenzioni ai comportamenti a rischio attraverso i quali é possibile contrarre la malattia. Insomma: è meglio vaccinare, così per 5 anni (dai 12 ai 17!) non ci si pensa più oppure parlare alle nostre ragazze di cosa significa essere donna? Scrive Lucia di Udine: "Questo tumore si trasmette per via sessuale, non sarebbe più intelligente, invece di spendere milioni per un vaccino che copre solo il 70% dei casi, fare una reale campagna di educazione sessuale in cui si insegni ai nostri figli il rispetto del proprio corpo e di quello degli altri? Questo vaccino è per le 12enni e vale 5 anni: le nostre figlie devono per forza avere rapporti sessuali prima dei 17 anni? Non è meglio insegnare la bellezza dell'aspettarsi e crescere insieme con il proprio partner? Pensateci prima di farle vaccinare!!!!"
Per l'anno 2008 è prevista la possibilità di vaccinare gratuitamente tutte le bambine italiane nel loro undicesimo anno di età contro il PAPILLOMA VIRUS. A dire il vero si tratta di un vaccino che agisce contro 4 ceppi degli oltre 110 esistenti di tale virus, ma sono ceppi che causano lesioni fastidiose (anche se curabilissime) che nel giro di qualche decennio (se non curate) potrebbero causare l'insorgere di neoplasie al collo dell'utero. Per questo motivo, la campagna informativa induce a pensare che questo vaccino preservi le nostre bambine dalla probabilità di ammalarsi di cancro al collo dell'utero. In realtà, volendo informarmi meglio, ho scoperto alcune cose che mi hanno fatto riflettere... e questa riflessione vorrei condividerla con tutte voi madri che insieme ai vostri mariti sarete presto invitate a decidere se vaccinare le vostre figlie o no.
Prima di tutto: COSA è IL PAPILLOMA VIRUS? Si tratta di un virus trasmissibile solo per via genitale, cioè attraverso rapporti sessuali completi e non. Questo spiega la decisione del Ministero della Salute di vaccinare gratuitamente solo le bambine di 11 anni, verosimilmente ancora vergini, altrimenti il vaccino non avrebbe alcuna efficacia. Il vaccino è stato sperimentato su circa 26.000 ragazze tra i 16e i 26 anni, in tutto il mondo. Gli effetti collaterali denunciati fino ad ora si riducono a lievi infiammazioni dolenti sul luogo dell'iniezione, ma visto che la sperimentazione è durata solo 5 anni, e che per ora l'effetto immunizzante del vaccino non è garantito oltre questo lasso di tempo, è verosimile credere che vaccinando un numero maggiore di persone, possano verificarsi anche effetti collaterali più rari e per ora non prevedibili. In effetti, anche avendo fatto il vaccino, l'unico modo per accertare l'esistenza di lesioni pre cancerose e non, rimarrà quello dello screening (pap test), che rappresenta già oggi un metodo sicuro di prevenzione per quanto riguarda i tumori al collo dell'utero.
Da queste brevi riflessioni, un quesito: perché questo vaccino proposto in massa, in maniera gratuita (quindi allettante), quando gli estremi per un approccio del genere sembrano non esserci? Se la possibilità di infettarsi deriva da un determinato comportamento sessuale, (quindi prevedibile ed evitabile), se la malattia dovuta all'infezione è curabile, e solo in caso di trascuratezza e dopo un lungo periodo (decenni) può degenerare in cancro, perché vaccinare tutte le bambine italiane di 11 anni, tanto più che non si conoscono ancora bene i probabili effetti collaterali vista la breve e circoscritta sperimentazione?
Vi invito a approfondire la questione: è importante informarsi su ciò che riguarda la salute dei nostri figli...


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