BastaBugie n�40 del 25 luglio 2008

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1 EUTANASIA 1 - APPELLO FIRMATO DA 25 TRA I MASSIMI NEUROLOGI

Autore: Lucia Bellaspiga - Fonte: fonte non disponibile
2 EUTANASIA 2 - RISVEGLIO DOPO 19 ANNI
Il caso Terry Wallis, dal 1984 paralizzato e in stato vegetativo, poi in coma minimo. L’americano Terry Wallis ebbe un terribile incidente stradale nel luglio 1984, aveva 20 anni. Nel 2003 si è risvegliato e ha chiamato la madre.
Autore: Paolo Lambruschi - Fonte: fonte non disponibile
3 EUTANASIA 3 - INTERVISTA AL FRATELLO DI TERRI SCHIAVO
«Eluana come Terri? Sarebbe atroce». L’appello del fratello della Schiavo a Beppino Englaro: tua figlia ha diritto di vivere.
Autore: Viviana Daloiso - Fonte: fonte non disponibile
4 EUTANASIA 4 - L’APPELLO DELLE SUORE:
Lasciatela qui con noi. Da 14 anni le religiose la curano «come una figlia».
Autore: Lucia Bellaspiga - Fonte: fonte non disponibile
5 EUTANASIA 5 - QUANDO I GIUDICI VANNO CONTRO LA COSTITUZIONE

Fonte: fonte non disponibile
6 GMG 1 - DISCORSO DI APERTURA

Autore: Benedetto XVI - Fonte: vatican.va
7 GMG 2 - VEGLIA CON I GIOVANI

Autore: Benedetto XVI - Fonte: vatican.va
8 GMG 3 - OMELIA DEL SANTO PADRE

Autore: Benedetto XVI - Fonte: vatican.va
9 GMG 4 - PROSSIMA GMG NEL 2011 A MADRID (SPAGNA)

Autore: Benedetto XVI - Fonte: vatican.va

1 - EUTANASIA 1 - APPELLO FIRMATO DA 25 TRA I MASSIMI NEUROLOGI

Autore: Lucia Bellaspiga - Fonte: fonte non disponibile, 17/07/2008

«Per tutti questi motivi, signor Procuratore generale, le chiediamo un intervento urgente che blocchi, prima che sia troppo tardi, l’esecuzione di quella che sempre più appare come una sentenza di condanna a morte». Parole che pesano come macigni, una per una, perché scritte da venticinque tra i massimi neurologi, tutti professori universitari e direttori di strutture del Servizio sanitario nazionale: insieme hanno firmato una lettera aperta al Procuratore generale facente funzione, Gianfranco Montera, che si era riservato di decidere «entro metà della prossima settimana» se impugnare il decreto che consente di lasciar morire Eluana. «È necessario un adeguato approfondimento delle complesse problematiche», aveva detto il magistrato chiedendo tempo, e gli esperti, sapendo che questo tempo non c’è («prima che sia troppo tardi... ») «sentono il dovere di affermare alcune fondamentali evidenze scientifiche ed etiche». La lettera è inviata per conoscenza anche ai presidenti della Repubblica, della Corte costituzionale, del Senato, della Camera, del Consiglio dei ministri, ai ministri della Giustizia e del Welfare, ai loro sottosegretari.
 Eluana non è in coma né terminale.
 «Il paziente in stato vegetativo - spiegano i 25 neurologi - non necessita di alcuna macchina per vivere, non è attaccato ad alcuna spina. Non è un malato in coma, né un malato terminale, ma un grave disabile», che quindi richiede solo un’accurata assistenza di base, esattamente come avviene «in molte altre situazioni di lesioni gravi di alcune parti del cervello che limitano la capacità di comunicazione e di auto-sostentamento».
 Dopo Eluana ne elimineremo migliaia?
  Nutrizione e idratazione assistite - continua la lettera - non sono assimilabili a una terapia medica, ma costituiscono da sempre gli elementi fondamentali dell’assistenza, proprio perché indispensabili per ogni persona umana, sana o malata». La stessa Cassazione - ricordano i neurologi - riconosce che l’alimentazione via cannula 'non costituisce una forma di accanimento terapeutico, rappresenta piuttosto un presidio proporzionato al mantenimento del soffio vitale'. Infatti è praticata «senza causare sofferenza», addirittura «senza interferire con l’eventuale attività lavorativa» e le persone che si nutrono e idratano in questa maniera «sono decine e decine di migliaia». Almeno 1.500 di queste, poi, all’incapacità di nutrirsi associano «un deficit cerebrale marcato che non le differenzia molto dallo stato di Eluana. Ci chiediamo cosa faremo con tutte loro. Dobbiamo - lo Stato, la comunità, i medici - eliminarle tutte?».
 Persona, non vegetale. Il paziente in stato vegetativo non è un vegetale. È persona umana. La stessa Cassazione lo riconosce: 'È persona e deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita e alle prestazioni sanitarie, a maggior ragione perché in condizioni di estrema debolezza e non in grado di provvedervi autonomamente'. Diritti che per Eluana sono stati rispettati - sottolineano gli esperti - grazie ai 14 anni di assistenza nella casa di cura 'Beato Talamoni' di Lecco.
 Un 'risveglio' non si può mai negare.
  Le possibilità di recupero sono minori con il passare del tempo. «Ma oggi il concetto di stato vegetativo permanente è   da considerarsi superato», ricordano i neurologi. «Sono documentati casi, benché molto rari, di recupero parziale di contatto con il mondo esterno anche a lunghissima distanza di tempo. È pertanto assurdo poter parlare di certezza di irreversibilità». Cade dunque una delle due condizioni poste dalla Cassazione per l’autorizzazione a sfilare il sondino di cibo e acqua (l’altra era l’acclarata volontà della ragazza di morire piuttosto che vivere in stato vegetativo. Volontà che ovviamente non può esprimere e che secondo il padre comunicò molto prima dell’incidente, durante una conversazione).
 Eluana «sente»? Dal punto di vista neurologico, lo stato vegetativo «non è morte cerebrale », perché il cervello «non ha mai smesso di funzionare» e il paziente «respira spontaneamente, digerisce, assimila i nutrienti, produce ormoni che regolano le sue funzioni...».
Non è più «neanche coma», perché il ciclo veglia-sonno è conservato, il paziente riesce a muoversi, anche se non cammina né si regge in piedi, e soprattutto «in una qualche misura a noi ancora ampiamente sconosciuta, ma che le più recenti metodiche di analisi della funzione cerebrale stanno portando alla luce, ha una sua - per quanto grossolana - modalità di percezione». Studi recenti «dimostrano con chiarezza che è possibile evocare risposte che testimoniano una residua possibilità - più o meno elementare - di percepire impulsi dall’ambiente... ». Nessuna certezza nemmeno quanto al fatto che Eluana non possa provare sofferenza, come qualcuno vuole sostenere, tanto che «la stessa sentenza dei giudici si preoccupa che le vengano somministrati sedativi durante la morte per disidratazione». «Il testo degli esperti fa emergere importanti evidente scientifiche - nota Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute - . Dunque è fuorviante continuare ad associare lo stato vegetativo all’idea di una morte clinica, o qualcosa di assai simile».
 Sentenza di morte. Il decreto che autorizza l’interruzione dell’alimentazione, dunque, non mette fine ad alcun accanimento terapeutico». Dà invece a terzi il potere di sostituirsi al paziente, «innescando il rischio di pratiche discriminatorie basate sulla percezione esterna della qualità della vita altrui». C’è poi la preoccupazione che «le considerazioni della magistratura sulla possibilità di por fine ai pazienti in stato vegetativo come Eluana possano estendersi ad altre categorie di pazienti neurologici, come i dementi o i cerebropatici gravi», in condizioni molto simili a quelle della giovane.
 Una fine disumana. «Infine riteniamo disumano il modo proposto di mettere a morte la paziente»: l’agonia sarà lenta e «porterà alla morte attraverso la lenta devastazione di tutto l’organismo».
 Sono docenti universitari e direttori di strutture del Servizio sanitario nazionale: «Il concetto di irreversibilità è ormai superato. Documentati casi di recupero anche dopo moltissimi anni». «Cosa faremo delle altre 1.500 persone nelle sue condizioni? Le eliminiamo tutte?». Non è vero che Eluana di certo non soffrirà, «tanto che i giudici raccomandano i sedativi»
 

Fonte: fonte non disponibile, 17/07/2008

2 - EUTANASIA 2 - RISVEGLIO DOPO 19 ANNI
Il caso Terry Wallis, dal 1984 paralizzato e in stato vegetativo, poi in coma minimo. L’americano Terry Wallis ebbe un terribile incidente stradale nel luglio 1984, aveva 20 anni. Nel 2003 si è risvegliato e ha chiamato la madre.
Autore: Paolo Lambruschi - Fonte: fonte non disponibile, 23 luglio 2008

Risvegli miracolosi, nuova sfida per la ricerca scientifica. Negli Usa alcuni medici stanno lavorando per offrire speranze anche a chi è in stato vegetativo, ribaltando il concetto di irreversibilità che spesso sigilla tali vicende. Per le attuali conoscenze, dopo due anni è raro risvegliarsi. Tuttavia alcune storie di pazienti in stato vegetativo, la diagnosi di Eluana, confermano che è possibile.
  Il caso più famoso al mondo è quello di Terry Wallis, 44 anni, meccanico di Ozark, Arkansas, che ebbe un terribile incidente stradale il 13 luglio del 1984. Si risvegliò l’11 giugno del 2003. Un miracolo che ha fatto il giro del globo, raccontato anche da un documentario televisivo, «L’uomo che ha dormito per 19 anni» trasmesso da diverse stazioni. Non in Italia. Al momento dell’incidente Terry aveva appena compiuto 20 anni, era sposato e aveva una figlia di sei mesi. Arrivò in ospedale in coma. Lentamente le sue condizioni migliorarono, dopo più di un anno gli venne diagnosticata la paralisi degli arti e lo stato vegetativo permanente. Respirava autonomamente e doveva essere nutrito artificialmente. I medici non gli davano speranze. Wallis venne trasferito in un centro vicino a casa, dove i genitori hanno continuato a prendersi cura di lui. Niente fisioterapia, troppo costosa, ma ogni giorno per 18 anni lo hanno lavato, girato per evitargli le piaghe, gli hanno parlato e fatto ascoltare musica. La madre Angilee non ha ascoltato chi le suggeriva di staccare il sondino dell’alimentazione. Sentiva che il figlio era vivo. Nel 2002 l’equipe del Jfk Center per i traumi cranici del New Jersey, che sperimenta nuove terapie, aveva esaminato con tecniche più raffinate il suo cervello. Una scala messa a punto dal professor Joe Giacino lo aveva classificato in «coma minimo», gradino superiore allo stato vegetativo. Era in grado di rispondere ad alcune sollecitazioni. L’anno dopo, a sorpresa, Terry si svegliò e pronunciò la prima parola: «Mamma». Il caso resta inspiegabile. Secondo Giacino, al momento dell’incidente la medicina non aveva infatti le conoscenze sufficienti per classificarlo adeguatamente. Impossibile quindi ricostruire l’evoluzione cerebrale che lo ha portato a uscire dallo stato vegetativo, passando al coma minimo per poi risvegliarsi. Forse il processo era iniziato dieci anni prima, quando i neuroni dei lobi cerebrali avevano ricostituito i circuiti lesionati. Terry sa contare e parla. Non ha riacquistato la capacità di memorizzare, è rimasto al 1984. Per lui il presidente è Reagan e Bruce Springsteen canta «Born in the Usa».
  È stato Joe Giacino, ad aprile, a un convegno internazionale a Lisbona, a riflettere sulla lezione impartita alla scienza dal caso Wallis. Il luminare, la cui equipe sta sperimentando nuove terapie per questi pazienti, ha dichiarato al celebre programma televisivo «Good morning America» sulla rete Abc che gli stati vegetativi vengono diagnosticati troppo in fretta, magari su pressione delle compagnie assicurative. I malati raramente vengono visitati da neurologi dopo la diagnosi e, al sito del dipartimento federale della Sanità, l’anno scorso, ha aggiunto: «Una visione nichilista nella medicina rafferma che, quando il cervello è gravemente danneggiato, non c’è nulla da fare. Le ricerche dimostrano il contrario, bisogna approfondire».
  Sul New York Times del 28 marzo 2003, la sua equipe aveva raccontato la vicenda di un’altra paziente, anonima per volontà dei parenti e in stato vegetativo da 25 anni, la quale periodicamente parlava senza riprenderci coscienza. I macchinari le avevano rilevato l’energia cerebrale di una persona in anestesia.
  Viene infine dal Colorado il terzo, inspiegabile, caso raccontato dal neurologo Randall Bjork alla «Gazette» di Colorado Springs l’8 marzo 2007. Una donna di 50 anni, Christa Lily Smith, la cui diagnosi è «stato vegetativo» periodicamente si risveglia. Piombata in coma nel 2000 per un attacco cardiaco, è migliorata fino a venire alimentata artificialmente. Si è svegliata finora cinque volte, altrettante è tornata in stato vegetativo. Segnali che confermano come la scintilla della vita riesca a resistere anche in frontiere ignote. E che, se non si ha una visione nichilista, tengono accesa la speranza.

Fonte: fonte non disponibile, 23 luglio 2008

3 - EUTANASIA 3 - INTERVISTA AL FRATELLO DI TERRI SCHIAVO
«Eluana come Terri? Sarebbe atroce». L’appello del fratello della Schiavo a Beppino Englaro: tua figlia ha diritto di vivere.
Autore: Viviana Daloiso - Fonte: fonte non disponibile, 18-07-2008

«Le parole 'rimuovere il sondino dell’alimenta¬zione' sembrano prelu¬dere a un’azione innocua. Non è co-sì. Io e i miei genitori abbiamo visto morire Terri lentamente, di un’ago¬nia atroce, le labbra spaccate dalla mancanza d’acqua, il corpo devasta¬to dall’inedia». La notizia della sen¬tenza su Eluana, che è arrivata in que¬sti giorni anche nella sede della Terri Schiavo Foundation, a Saint Peter¬sburg in Florida, ha scosso il fratello della donna, Bobby Schindler. Che, con la sorella minore Suzanne, dal 2005 è mobilitato sul fronte dei dirit¬ti delle persone che versano nelle condi¬zioni di Terri. E che lancia un appello a Beppino Englaro: «E¬luana ha il diritto di vivere».
 Signor Schindler, lei e la sua famiglia sie¬te a conoscenza di quello che sta succe¬dendo in Italia in merito alla vicenda di Eluana Englaro?
 Sì, abbiamo saputo tutto qualche giorno fa e come abbiamo scritto sul sito e nella newsletter della fondazione de¬dicata a mia sorella, siamo convinti che la decisione del tribunale italia¬no indichi come l’'etica medica' a¬mericana, che ha voluto la morte del¬la nostra cara Terri, si stia diffonden¬do come un virus nella comunità in¬ternazionale, arrivando a minaccia¬re non soltanto le persone in stato ve¬getativo, ma anche quelle più deboli in senso lato: i disabili, gli anziani, le persone reputate in qualche modo 'imperfette' nella rigida concezione che questa stessa etica si è data. È u¬na deriva spaventosa, che va ferma¬ta al più presto.
 Parliamo della vicenda di sua sorel¬la. Provi a descrivere le sensazioni che ha provato quando è stata e-messa la sentenza definitiva, e gli è stato staccato il sondino che la ali¬mentava.
 Fin dall’inizio della vicenda di Terri, l’unico desiderio che io e i miei geni¬tori abbiamo espresso è stato quello di portarla a casa con noi, di poterci prendere cura di lei. Purtroppo ci sia¬mo scontrati con la decisione ostina¬ta di un giudice della Florida, George Greer, che ha deciso invece che do¬vesse morire di fame e di sete. Voglio sottolineare questo punto, perché quel giudice decise proprio questo: che mia sorella morisse così, senza cibo e senza acqua, e con la sua fa¬miglia accanto, senza che nessuno di noi potesse alzare un dito per salvar¬la. Ci veniva impedito persino di pas¬sarle qualche cubetto di ghiaccio sul¬le labbra, letteralmente crepate dalla mancanza d’acqua e sanguinanti. Mi vengono ancora i brividi quando penso che mia mamma e mio papà dovettero assistere a uno spettacolo che nessun genitore dovrebbe mai vedere: la loro amata figlia ammaz¬zata in 14 giorni e in un modo orribi¬le e inumano. C’è anche un’altra cosa.
 Prego.
 Quel giudice, che per cinque anni si oc¬cupò del caso di mia sorella in tribunale e che alla fine l’ha con-dannata, non la vide mai. Non andò neanche una volta a farle visita.
  Crede che sua sorel¬la abbia sofferto? C’era qualche im¬percettibile movi¬mento, o cambiamento d’espressio¬ne, che vi facesse capire che sentiva la vostra vicinanza, e le carezze?
 Ce n’erano cento, mille. Terri era tal¬mente viva! Ha saputo parlarci, a mo¬do suo, anche nelle ultime ore della sua vita, quando soffriva in maniera atroce, e forse si chiedeva perché. So¬prattutto con nostra madre: con lei aveva un rapporto privilegiato, quan¬do la accarezzava e la teneva stretta, sembrava sorridere, aveva gli occhi pieni di luce. Personalmente, non ho mai nutrito il minimo dubbio che Ter¬ri fosse assolutamente consapevole di tutto quello che avveniva attorno a lei. E che abbia sofferto la stessa sof¬ferenza di chiunque di noi fosse affa¬mato a morte: un’agonia impensabi¬¬le, un’esperienza fisica atroce. Nelle ultime ore della sua vita facevamo fa¬tica persino a guardare quel corpo de¬vastato dall’inedia, mia mamma svenne più volte. Questo va detto, per¬ché le parole 'togliere il sondino' del-l’alimentazione sembrano preludere a un’azione innocua. Non è così.
 Qualcuno sostiene che la vita di un’essere umano ridotto allo stato vegetativo non è più vita, non è de-gna di essere vissuta. Cosa ne pensa?
 Terri aveva avuto un trauma cerebra¬le profondo, ma non stava morendo. Non era affetta da un male inguari¬bile, non necessitava di medicine, non era malata, non c’erano dei mac¬chinari che la tenevano in vita. Terri aveva solo bisogno di cibo e acqua per vivere, e della compassione degli altri, della compassione di cui ha bi¬sogno una persona sana che non può mangiare e bere da sola. Non pos¬siamo giustificare che a una persona sia tolto cibo e acqua perché qualcu¬no nella società ha deciso che così è più 'conveniente'. Più conveniente per chi? Quanto alla parola 'vegeta¬tivo', mi sono sempre rifiutato di u¬sarla parlando delle condizioni di mia sorella. Mi sembra che utilizzare quel termine sia già un modo di togliere umanità alle persone come mia so¬rella, ed Eluana. Nel marzo 2004 Gio¬vanni Paolo II ha detto: 'Un uomo, anche se malato gravemente o disa¬bile in tutte le sue funzioni, è sempre e sarà sempre un uomo'. Credo a queste parole profondamente.
 Cosa si sente di dire al padre di E¬luana, Beppino Englaro?
 Nessuno come me e i miei genitori conosce la sofferenza di quest’uomo, la profondità delle ferite che incidenti come quelli accaduti a Terri ed Elua¬na causano nel cuore di chi le ama. Eppure io credo che proprio queste ferite ci chiamano ad essere stru¬menti. Strumenti d’amore, di spe¬ranza. Strumenti di Dio. Se amiamo e ci battiamo per quelli che sono più deboli e fragili, abbiamo la grande oc¬casione di amare e lottare per Dio stesso. Eluana ha diritto di vivere, e diritto che suo padre speri e lotti per lei. Io e i miei genitori pregheremo per lui.
 «I miei genitori dovettero assistere a uno spettacolo orribile: la loro amata figlia ammazzata in un modo inumano in 14 giorni»

Fonte: fonte non disponibile, 18-07-2008

4 - EUTANASIA 4 - L’APPELLO DELLE SUORE:
Lasciatela qui con noi. Da 14 anni le religiose la curano «come una figlia».
Autore: Lucia Bellaspiga - Fonte: fonte non disponibile, 11-07-2008

«Noi non sospenderemo mai l’ali¬mentazione. Nel caso, venga il pa¬dre a prenderla... Anche se vor¬remmo dire al signor Englaro, se davvero la consi¬dera morta, di lasciarla qui da noi: Eluana è parte anche della nostra famiglia». Da 14 anni le suore che gestiscono la casa di cura 'Monsignor Luigi Talamoni', a Lecco, accudiscono Eluana «quasi come una figlia». E, proprio come le centinaia di genitori che giorno e notte vivono accanto ai loro figli in stato vegetativo, ormai sanno 'captare' o¬gni suo bisogno, ogni tacita richiesta che esce da¬gli impercettibili segnali di quella vita silente. In particolare suor Rosangela, che vive in simbiosi con lei: «Lei intuisce subito se Eluana ha mal di pancia, se ha male all’orecchio...», racconta al sito della diocesi di Milano «Incrocinews» la responsa¬bile della clinica, suor Albina Corti. La stessa che ieri aveva firmato un avviso messo in bella vista al¬l’ingresso: 'Si comunica ai signori giornalisti che nessuna suora né medico è autorizzato a dare infor¬mazioni'. Eluana protetta, ora anche di più.
  In questa struttura è arrivata nel 1994, due anni dopo l’incidente, e il motivo per cui i genitori han¬no supplicato che venisse accolta proprio dalle suore Misericordine oggi ha il sapore di un tristis¬simo contrappasso: «Eluana era nata qui», spiega suor Albina. Dietro alle finestre, nella penombra, la giovane vive forse le sue ultime giornate proprio nel luogo in cui è venuta alla luce. «No, non sare¬mo certo noi a sospendere l’alimentazione e l’i¬dratazione. Il signor Englaro la lasci a noi, se ormai la considera morta...».
  Perché, per chi sempre le sta accanto, Eluana mor¬ta non è, anzi, «in tutto questo tempo, dal 1994 a oggi, non le abbiamo mai prestato particolare cu¬re mediche», è bastato darle da mangiare e da be¬re, come a un neonato, come a qualsiasi persona non minata da malattie terminali ma nemmeno capace di badare a se stessa. Non soffre, Eluana, «è in buone condizioni di salute, alimentata con il sondino naso-gastrico durante la notte». Perché di giorno, se vi aggiraste nel giardino che circonda la villa, a pochi metri dalle sponde del lago di Como, di giorno potreste incontrarla mentre i parenti, o le amiche, o le suore la portano al sole sulla carroz¬zella. «Fisiologicamente ha tutte le funzioni sane ¬continua la responsabile della clinica - , tutte le mat¬tine viene alzata dal letto, lavata, messa in poltro¬na. Quotidianamente la portiamo in palestra, do¬ve c’è un fisioterapista che le pratica la riabilitazio¬ne passiva. In stanza c’è spesso la radio accesa con la musica...». E qualche volta, «soprattutto se a par¬larle è suor Rosangela», muove anche gli occhi, an¬che se non è in grado di compiere altri movimenti. È il dubbio di qualsiasi genitore che abbia accudi¬to per anni o decenni un figlio in coma, o forse l’in¬tima certezza: che «probabilmente riesca a com¬prendere... Io penso di sì, anche se clinicamente di¬cono di no». Nessuna cura particolare, dunque. So¬lo acqua e cibo. Altro non chiede e di altro non ne¬cessita. Come un neonato. La sua casa ormai è u¬na stanzetta singola nel reparto di riabilitazione del¬le suore. Alle pareti le foto di prima dell’incidente avvenuto il 18 gennaio 1992, quando Eluana era bellissima e felice. «E bellissima è ancora!», reagi¬scono le suore. È qui, dove Eluana è venuta alla vita ormai 37 anni fa, che mamma e papà spesso la accompagnano in giardino. Qui regolarmente vengono due amiche: non l’hanno mai abbandonata.
  Nella piccola cappella, fresco rifugio al caldo ma anche ai dolorosi pensieri degli uomini, ieri le suo¬re pregavano in silenzio.
 La giovane vive dal 1994 nella stessa clinica in cui nacque.
  «Certo noi non sospenderemo l’alimentazione». Tutti i giorni la lavano e la portano in giardino.

Fonte: fonte non disponibile, 11-07-2008

5 - EUTANASIA 5 - QUANDO I GIUDICI VANNO CONTRO LA COSTITUZIONE

Fonte fonte non disponibile, 11-07-2008

La sentenza della Corte di Appello di Milano sulla vicenda della ragazza di Lecco che vive in stato vegetativo da circa 16 anni pone in Italia l’interrogativo inquietante se, dunque, si sia definitivamente aperto all’eutanasia e se ciò sia conforme alle leggi della Repubblica italiana.

Lo abbiamo chiesto al prof. Alberto Gambino, Ordinario di Diritto privato all’Università di Napoli “Parthenope” e di Diritto civile all’Università Europea di Roma.
Cosa dice esattamente la decisione dei giudici di Appello di Milano?
Prof. Alberto Gambino: La decisione fa seguito alla sentenza di Cassazione dello scorso ottobre ove si afferma che si può autorizzare la cessazione delle terapie di un paziente in stato vegetativo “irreversibile”, ove si ritenga, in base ad alcune presunzioni, che questa sia la sua volontà. Ora i giudici d’Appello applicano il principio al caso specifico ricorrendo alla figura del rappresentante legale.
Cosa significa questo?
Prof. Alberto Gambino: Significa che un soggetto diverso da Eluana può decidere se interrompere le terapie. Ma attenzione qui c’è già un gravissimo errore di fatto: Eluana non è sotto terapia, ma viene alimentata attraverso un tubicino. Si tratta, dunque, di non darle più da bere e da mangiare, esattamente come il caso di Terry Schiavo.
Ma Eluana, se fosse cosciente, potrebbe sottrarsi a tale alimentazione artificiale?
Prof. Alberto Gambino: Il punto è proprio questo: “se fosse cosciente”. Ma Eluana non lo è, e, dunque, si ricorre ad un terzo soggetto, che secondo i giudici fungerebbe da arbitro circa la presunta volontà di Eluana, ma che in realtà pone in essere un arbitrio giuridicamente e costituzionalmente inaccettabile.
Perché questo comportamento è secondo lei contrario al diritto?
Prof. Alberto Gambino: Intanto perché il nostro diritto conosce la figura della rappresentanza solo per l’esercizio di diritti disponibili e, invece, la vita è giuridicamente “indisponibile”. Poi, e soprattutto, perché il diritto serve a tutelare le persone, qui, invece, viene strumentalmente utilizzato per eliminarle. A ben vedere, da un punto di vista giuridico, non c’è molta differenza con il potere di vita e di morte degli imperatori romani, l’ideologia nazista o la schiavitù che rende gli uomini come cose.
Sono concetti forti...
Prof. Alberto Gambino: Sono concetti forti se si ha un approccio culturale – è chiaro che le situazioni storicamente e socialmente sono diverse – ma sono concetti esatti se si ha presente la funzione del diritto che è, ripeto, quella di tutelare sfere di interesse, in primis la vita, non di annientarle.
I giudici richiedono anche una valutazione dei principi etico-religiosi del malato.
Prof. Alberto Gambino: E questo non può che aggravare l’erroneità della decisione della Corte d’Appello e, ancora prima, della Cassazione. Risalire alle visioni del mondo del paziente, che nessuno può dire ancora attuali, significa definitivamente di non tenere conto della reale volontà del malato, che, per essere libera, deve essere attuale, circostanziata e contestualizzata. E’ umanamente drammatico e sbagliato retrodatarla perché si finisce, come detto, per farsi strumento di un arbitrio, in base ad una presunta volontà altrui.
Lei afferma che la decisione è inaccettabile anche con riferimento alla Costituzione italiana.
Prof. Alberto Gambino: Sì, intanto perché alcuni interpreti fanno erroneamente discendere il diritto del malato al rifiuto delle cure dall’art. 32 della Costituzione, dove si fa divieto di trattamenti sanitari obbligatori a meno che non ci sia una legge a consentirli. Nel caso di Eluana, intanto non siamo davanti ad un trattamento sanitario, che non consiste certo nel dare da mangiare ad un malato. Inoltre l’articolo 32 della Carta costituzionale si riferisce a trattamenti collettivi, come una terapia imposta dall’autorità pubblica ai cittadini, e non alla cura indicata dal medico per un singolo paziente. Se solo si avesse tempo di rileggere la nostra bellissima Costituzione, ci si accorgerebbe subito che nel dibattito alla Costituente su questo articolo l’obiettivo era quello di evitare, memori delle aberrazioni dei regimi totalitari, interventi terapeutici di massa.
In base a cosa allora il paziente può rifiutarsi?
Prof. Alberto Gambino: In base alla sua libertà, che preclude che altri possano intervenire sul proprio corpo senza il necessario consenso dell’interessato. Siamo nell’articolo 2 della Costituzione che riconosce i diritti inviolabili della persona e la sua libertà ne è il presupposto, fino alla drammatica estrema conseguenza di lasciarsi morire anziché farsi curare, come riportarono le cronache qualche anno fa per il caso di una donna che rifiutò l’amputazione di un arto in cancrena, e poi a causa di questo morì.
Sono decisioni legittime queste?
Prof. Alberto Gambino: Eticamente non le condivido, ma il diritto preserva lo spazio di libertà; sarà poi la coscienza morale degli uomini o, per chi crede, Dio, a giudicare.
Dunque il cerchio si chiude, la libertà può essere esercitata soltanto dall’interessato?
Prof. Alberto Gambino: Esatto. Nessuno può farsi rappresentante di decisioni drammatiche come l’esito della vita di una persona. E’ proprio per questo che parlo di “paradosso del testamento biologico”: si vuole tutelare la libertà dell’individuo di rifiutare le cure o addirittura il cibo, e poi quella libertà viene esercitata da vari soggetti tranne che dal suo effettivo titolare. Come ho già avuto modo di dire, siamo davanti ad un’analisi fondata sullo schema costi-benefici e non sulla reale salvaguardia della libertà della persona. Il malato in stato vegetativo finisce per essere considerato un “peso” sociale, che, per quanto umanamente drammatico, non potrà mai ridurre il valore della persona-soggetto di diritto ad un bene disponibile come se fosse una cosa.
Questa situazione rappresenta per l’Italia l’anticamera dell’eutanasia?
Prof. Alberto Gambino: No, è già eutanasia.

Fonte: fonte non disponibile, 11-07-2008

6 - GMG 1 - DISCORSO DI APERTURA

Autore: Benedetto XVI - Fonte: vatican.va, 17 luglio 2008

Cari giovani,
quale gioia è potervi salutare qui a Barangaroo, sulle sponde della magnifica baia di Sydney, con il famoso ponte e l’Opera House. Molti di voi sono di questo Paese, dall’interno o dalle dinamiche comunità multiculturali delle città australiane. Altri di voi sono giunti dalle isole sparse dell’Oceania, altri ancora dall’Asia, dal Medio Oriente, dall’Africa e dalle Americhe. Un certo numero di voi, in verità, è arrivato da così lontano quanto me, dall’Europa! Qualunque sia il Paese da cui proveniamo, finalmente siamo qui, a Sydney! E insieme siamo presenti in questo nostro mondo come famiglia di Dio, quali discepoli di Cristo, confermati dal suo Spirito per essere testimoni del suo amore e della sua verità davanti a tutti.
Desidero anzitutto ringraziare gli Anziani degli Aborigeni che mi hanno dato il benvenuto prima che io salissi sul battello nella Rose Bay. Sono profondamente commosso di trovarmi nella vostra terra, sapendo delle sofferenze e delle ingiustizie che essa ha sopportato, ma cosciente anche del risanamento e della speranza ora in atto, di cui giustamente tutti i cittadini australiani possono essere fieri. Ai giovani indigeni – aborigeni e abitanti delle Isole dello Stretto di Torres – e Tokelauani esprimo il mio grazie per il toccante benvenuto. Attraverso di voi, invio cordiali saluti ai vostri popoli.
Signor Cardinale Pell e Mons. Arcivescovo Wilson: vi ringrazio per le vostre calde espressioni di benvenuto. So che i vostri sentimenti riecheggiano nel cuore dei giovani qui radunati questa sera, e perciò vi ringrazio tutti. Di fronte a me vedo un’immagine vibrante della Chiesa universale. La varietà di Nazioni e di culture dalle quali voi provenite dimostra che davvero la Buona Novella di Cristo è per tutti e per ciascuno; essa ha raggiunto i confini della terra. E tuttavia so anche che un buon numero fra voi è tuttora alla ricerca di una patria spirituale. Alcuni fra voi, assolutamente benvenuti tra noi, non sono cattolici o cristiani. Altri tra voi, forse, si muovono ai confini della vita della parrocchia e della Chiesa. A voi desidero offrire il mio incoraggiamento: avvicinatevi all’amorevole abbraccio di Cristo; riconoscete la Chiesa come vostra casa. Nessuno è obbligato a rimanere all’esterno, poiché dal giorno di Pentecoste la Chiesa è una e universale.
Questa sera desidero includere anche quanti non sono presenti fra di noi. Penso specialmente ai malati o ai disabili psichici, ai giovani in prigione, a quanti faticano ai margini delle nostre società ed a coloro che per una qualche ragione si sentono alienati dalla Chiesa. A loro dico: Gesù ti è vicino! Sperimenta il suo abbraccio che guarisce, la sua compassione, la sua misericordia!
Quasi duemila anni orsono gli Apostoli, radunati nella sala superiore della casa insieme con Maria (cfr At 1,14) e con alcune donne fedeli, furono riempiti di Spirito Santo (cfr At 2,4). In quello straordinario momento, che segnò la nascita della Chiesa, la confusione e la paura che avevano afferrato i discepoli di Cristo si trasformarono in una vigorosa convinzione e in consapevolezza di uno scopo. Si sentirono spinti a parlare del loro incontro con Gesù risorto, che oramai chiamavano affettuosamente il Signore. In molti modi gli Apostoli erano persone ordinarie. Nessuno poteva affermare di essere il discepolo perfetto. Avevano mancato di riconoscere Cristo (cfr Lc 24,13-32), avevano dovuto vergognarsi della loro ambizione (cfr Lc 22,24-27), lo avevano anche rinnegato (cfr Lc 22,54-62). E tuttavia, quando furono ripieni di Spirito Santo, furono trafitti dalla verità del Vangelo di Cristo e ispirati a proclamarlo senza timore. Rinfrancati, gridarono: pentitevi, fatevi battezzare, ricevete lo Spirito Santo (cfr At 2,37-38)! Fondata sull’insegnamento degli Apostoli, sull’adesione a loro, sullo spezzare il pane e sulla preghiera (cfr At 2,42), la giovane comunità cristiana si fece avanti per opporsi alla perversità della cultura che la circondava (cfr At 2,40), per prendersi cura dei propri membri (cfr At 2,44-47), per difendere la propria fede in Gesù di fronte alle ostilità (cfr At 4,33) e per guarire i malati (cfr At 5,12-16). E in adempimento del comando di Cristo stesso, partirono, testimoniando la storia più grande di tutti i tempi: quella che Dio si è fatto uno di noi, che il divino è entrato nella storia umana per poterla trasformare, e che siamo chiamati ad immergerci nell’amore salvifico di Cristo che trionfa sul male e sulla morte. Nel suo famoso discorso all’areopago, san Paolo introdusse il messaggio così: Dio dona ogni cosa, compresa la vita e il respiro, a ciascuno, così che tutte le Nazioni possano ricercare Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni. Infatti egli non è lontano da ciascuno di noi, poiché in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo (cfr At 17, 25-28).
Da quel momento, uomini e donne sono usciti fuori per raccontare la stessa vicenda, testimoniando l’amore e la verità di Cristo, e contribuendo alla missione della Chiesa. Oggi pensiamo a quei pionieri – sacerdoti, suore e frati - che giunsero a questi lidi e in altre parti del Pacifico, dall’Irlanda, dalla Francia, dalla Gran Bretagna e da altre parti d’Europa. La maggior parte di loro erano giovani, alcuni persino non ancora ventenni, e quando salutarono per sempre i genitori, i fratelli, le sorelle, gli amici, ben sapevano che sarebbe stato improbabile per loro ritornare a casa. Le loro vite furono una testimonianza cristiana priva di interessi egoistici. Divennero umili ma tenaci costruttori di così gran parte dell’eredità sociale e spirituale che ancora oggi reca bontà, compassione e scopo a queste Nazioni. E furono capaci di ispirare un’altra generazione. Viene alla mente immediatamente la fede che sostenne la beata Mary MacKillop nella sua decisa determinazione di educare specialmente i poveri, e il beato Peter To Rot nella sua ferma convinzione che la guida di una comunità deve sempre rifarsi al Vangelo. Pensate anche ai vostri nonni e ai vostri genitori, i vostri primi maestri nella fede. Anch’essi hanno fatto innumerevoli sacrifici di tempo e di energia, mossi dall’amore per voi. Con il sostegno dei sacerdoti e degli insegnanti della vostra parrocchia, essi hanno il compito, non sempre facile ma altamente gratificante, di guidarvi verso tutto ciò che è buono e vero, mediante il loro esempio personale, il loro modo di insegnare e di vivere la fede cristiana.
Oggi è il mio turno. Ad alcuni di noi può sembrare di essere giunti alla fine del mondo! Per le persone della vostra età, comunque, ogni volo è una prospettiva eccitante. Ma per me, questo volo è stato in qualche misura causa di apprensione. E tuttavia la vista del nostro pianeta dall’alto è stata davvero magnifica. Il luccichio del Mediterraneo, la magnificenza del deserto nordafricano, la lussureggiante foresta dell’Asia, la vastità dell’Oceano Pacifico, l’orizzonte sul quale il sole sorge e cala, il maestoso splendore della bellezza naturale dell’Australia, di cui ho potuto godere nei giorni scorsi; tutto ciò suscita un profondo senso di reverente timore. È come se uno catturasse rapide immagini della storia della creazione raccontata nella Genesi: la luce e le tenebre, il sole e la luna, le acque, la terra e le creature viventi. Tutto ciò è “buono” agli occhi di Dio (cfr Gn 1,1–2,4). Immersi in simile bellezza, come si potrebbe non far eco alle parole del Salmista nel lodare il Creatore: “Quanto è grande il tuo nome su tutta la terra” (Sal 8,2)?
Ma vi è di più, qualcosa di difficile percezione dall’alto dei cieli: uomini e donne creati niente di meno che ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,26). Al cuore della meraviglia della creazione ci siamo voi ed io, la famiglia umana “coronata di gloria e di onore” (cfr Sal 8,6). Quale meraviglia! Con il Salmista sussurriamo: “Che cosa è l’uomo perché te ne curi?” (cfr Sal 8,5). Introdotti nel silenzio, in uno spirito di gratitudine, nella potenza della santità, noi riflettiamo.
Che cosa scopriamo? Forse con riluttanza giungiamo ad ammettere che vi sono anche delle ferite che segnano la superficie della terra: l’erosione, la deforestazione, lo sperpero delle risorse minerali e marine per alimentare un insaziabile consumismo. Alcuni di voi giungono da isole-Stato, la cui esistenza stessa è minacciata dall’aumento dei livelli delle acque; altri da Nazioni che soffrono gli effetti di siccità devastanti. La meravigliosa creazione di Dio viene talvolta sperimentata come una realtà quasi ostile per i suoi custodi, persino come qualcosa di pericoloso. Come può ciò che è “buono” apparire così minaccioso?
E c’è di più. Che dire dell’uomo, del vertice della creazione di Dio? Ogni giorno incontriamo il genio delle conquiste umane. Dai progressi nelle scienze mediche e dalla sapiente applicazione della tecnologia fino alla creatività riflessa nelle arti, in molti modi cresce costantemente la qualità e la soddisfazione della vita della gente. Anche tra voi vi è una pronta disponibilità ad accogliere le abbondanti opportunità che vi vengono offerte. Alcuni di voi eccellono negli studi, nello sport, nella musica, o nella danza e nel teatro, altri tra voi hanno un acuto senso della giustizia sociale e dell’etica e molti di voi si assumono impegni di servizio e di volontariato. Tutti noi, giovani e vecchi, abbiamo momenti nei quali la bontà innata della persona umana - percepibile forse nel gesto di un piccolo bambino o nella disponibilità di un adulto a perdonare - ci riempie di profonda gioia e gratitudine.
E tuttavia tali momenti non durano a lungo. Perciò, ancora, riflettiamo. E scopriamo che non soltanto l’ambiente naturale, ma anche quello sociale - l’habitat che ci creiamo noi stessi - ha le sue cicatrici; ferite che stanno ad indicare che qualcosa non è a posto. Anche qui nelle nostre vite personali e nelle nostre comunità possiamo incontrare ostilità a volte pericolose; un veleno che minaccia di corrodere ciò che è buono, riplasmare ciò che siamo e distorcere lo scopo per il quale siamo stati creati. Gli esempi abbondano, come voi ben sapete. Fra i più in evidenza vi sono l’abuso di alcool e di droghe, l’esaltazione della violenza e il degrado sessuale, presentati spesso dalla televisione e da internet come divertimento. Mi domando come potrebbe uno che fosse posto faccia a faccia con persone che soffrono realmente violenza e sfruttamento sessuale spiegare che queste tragedie, riprodotte in forma virtuale, sono da considerare semplicemente come “divertimento”.
Vi è anche qualcosa di sinistro che sgorga dal fatto che libertà e tolleranza sono così spesso separate dalla verità. Questo è alimentato dall’idea, oggi ampiamente diffusa, che non vi sia una verità assoluta a guidare le nostre vite. Il relativismo, dando valore in pratica indiscriminatamente a tutto, ha reso l’“esperienza” importante più di tutto. In realtà, le esperienze, staccate da ogni considerazione di ciò che è buono o vero, possono condurre non ad una genuina libertà, bensì ad una confusione morale o intellettuale, ad un indebolimento dei principi, alla perdita dell’autostima e persino alla disperazione.
Cari amici, la vita non è governata dalla sorte, non è casuale. La vostra personale esistenza è stata voluta da Dio, benedetta da lui e ad essa è stato dato uno scopo (cfr Gn 1,28)! La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze, per quanto utili molti di tali eventi possano essere. È una ricerca del vero, del bene e del bello. Proprio per tale fine compiamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità, nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia. Non lasciatevi ingannare da quanti vedono in voi semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la verità.
Cristo offre di più! Anzi, offre tutto! Solo lui, che è la Verità, può essere la Via e pertanto anche la Vita. Così la “via” che gli Apostoli recarono sino ai confini della terra è la vita in Cristo. È la vita della Chiesa. E l’ingresso in questa vita, nella via cristiana, è il Battesimo.
Questa sera desidero pertanto ricordare brevemente qualcosa della nostra comprensione del Battesimo, prima di considerare domani lo Spirito Santo. Nel giorno del Battesimo Dio vi ha introdotto nella sua santità (cfr 2 Pt 1,4). Siete stati adottati quali figli e figlie del Padre e siete stati incorporati in Cristo. Siete divenuti abitazione del suo Spirito (cfr 1 Cor 6,19). Perciò, verso la fine del rito del Battesimo, il sacerdote si è rivolto ai vostri genitori e ai partecipanti, e chiamandovi per nome ha detto: “Sei diventato nuova creatura” (Rito del Battesimo, 99).
Cari amici, a casa, a scuola, all’università, nei luoghi di lavoro e di svago, ricordatevi che siete creature nuove. Come cristiani, voi siete in questo mondo sapendo che Dio ha un volto umano – Gesù Cristo – la “via” che soddisfa ogni anelito umano, e la “vita” della quale siamo chiamati a dare testimonianza, camminando sempre nella sua luce (cfr ibid., 100). Il compito di testimone non è facile. Vi sono molti, oggi, i quali pretendono che Dio debba essere lasciato “in panchina” e che la religione e la fede, per quanto accettabili sul piano individuale, debbano essere o escluse dalla vita pubblica o utilizzate solo per perseguire limitati scopi pragmatici. Questa visione secolarizzata tenta di spiegare la vita umana e di plasmare la società con pochi riferimenti o con nessun riferimento al Creatore. Si presenta come una forza neutrale, imparziale e rispettosa di ciascuno. In realtà, come ogni ideologia, il secolarismo impone una visione globale. Se Dio è irrilevante nella vita pubblica, allora la società potrà essere plasmata secondo un’immagine priva di Dio. Ma quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il “bene” comincia a svanire. Ciò che ostentatamente è stato promosso come umana ingegnosità si è ben presto manifestato come follia, avidità e sfruttamento egoistico. E così ci siamo resi sempre più conto del bisogno di umiltà di fronte alla delicata complessità del mondo di Dio.
E che dire del nostro ambiente sociale? Siamo ugualmente vigili quanto ai segni del nostro volgere le spalle alla struttura morale di cui Dio ha dotato l’umanità (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2007, 8)? Sappiamo riconoscere che l’innata dignità di ogni individuo poggia sulla sua più profonda identità, quale immagine del Creatore, e che perciò i diritti umani sono universali, basati sulla legge naturale, e non qualcosa dipendente da negoziati o da condiscendenza, men che meno da compromesso? E così siamo condotti a riflettere su quale posto hanno nelle nostre società i poveri, i vecchi, gli immigranti, i privi di voce. Come può essere che la violenza domestica tormenti tante madri e bambini? Come può essere che lo spazio umano più mirabile e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?
Cari amici, la creazione di Dio è unica ed è buona. Le preoccupazioni per la non violenza, lo sviluppo sostenibile, la giustizia e la pace, la cura del nostro ambiente sono di vitale importanza per l’umanità. Tutto ciò non può però essere compreso a prescindere da una profonda riflessione sull’innata dignità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, una dignità che è conferita da Dio stesso e perciò inviolabile. Il nostro mondo si è stancato dell’avidità, dello sfruttamento e della divisione, del tedio di falsi idoli e di risposte parziali, e della pena di false promesse. Il nostro cuore e la nostra mente anelano ad una visione della vita dove regni l’amore, dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l’unità, dove la libertà trovi il proprio significato nella verità, e dove l’identità sia trovata in una comunione rispettosa. Questa è opera dello Spirito Santo! Questa è la speranza offerta dal Vangelo di Gesù Cristo! È per rendere testimonianza a questa realtà che siete stati ricreati nel Battesimo e rafforzati mediante i doni dello Spirito nella Cresima. Sia questo il messaggio che voi portate da Sydney al mondo!

Fonte: vatican.va, 17 luglio 2008

7 - GMG 2 - VEGLIA CON I GIOVANI

Autore: Benedetto XVI - Fonte: vatican.va, 19 luglio 2008

Carissimi giovani, 
ancora una volta, questa sera, abbiamo udito la grande promessa di Cristo – “avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi” – ed abbiamo ascoltato il suo comando – “mi sarete testimoni… fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Furono proprio queste le ultime parole che Gesù pronunciò prima della sua ascensione al cielo. Cosa abbiano provato gli Apostoli nell’udirle possiamo soltanto immaginarlo. Ma sappiamo che il loro profondo amore per Gesù e la loro fiducia nella sua parola li spinse a radunarsi e ad attendere; non ad attendere senza scopo, ma insieme, uniti nella preghiera, con le donne e con Maria nella sala superiore (cfr At 1,14). Questa sera noi facciamo lo stesso. Radunati davanti alla nostra Croce che ha tanto viaggiato e all’icona di Maria, sotto lo splendore celeste della costellazione della Croce del Sud, noi preghiamo. Questa sera, io prego per voi e per i giovani di ogni parte del mondo. Lasciatevi ispirare dall’esempio dei vostri Patroni! Accogliete nel vostro cuore e nella vostra mente i sette doni dello Spirito Santo! Riconoscete e credete nella potenza dello Spirito Santo nella vostra vita!
L’altro giorno abbiamo parlato dell’unità e dell’armonia della creazione di Dio e del nostro posto in essa. Abbiamo ricordato come, mediante il grande dono del Battesimo, noi, che siamo creati ad immagine e somiglianza di Dio, siamo rinati, siamo divenuti figli adottivi di Dio, nuove creature. Ed è perciò come figli della luce di Cristo – simboleggiata dalle candele accese che ora tenete in mano – che diamo testimonianza nel nostro mondo allo splendore che nessuna tenebra può vincere (cfr Gv 1,5).
Questa sera fissiamo la nostra attenzione sul “come” diventare testimoni. Abbiamo bisogno di conoscere la persona dello Spirito Santo e la sua presenza vivificante nella nostra vita. Non è cosa facile! In effetti, la varietà di immagini che troviamo nella Scrittura a riguardo dello Spirito – vento, fuoco, soffio – sono un segno della nostra difficoltà ad esprimere su di lui una nostra comprensione articolata. E tuttavia sappiamo che è lo Spirito Santo che, benché silenzioso e invisibile, offre direzione e definizione alla nostra testimonianza su Gesù Cristo.
Voi già sapete che la nostra testimonianza cristiana è offerta ad un mondo che per molti aspetti è fragile. L’unità della creazione di Dio è indebolita da ferite che vanno in profondità, quando le relazioni sociali si rompono o quando lo spirito umano è quasi completamente schiacciato mediante lo sfruttamento e l’abuso delle persone. Di fatto, la società contemporanea subisce un processo di frammentazione a causa di un modo di pensare che è per natura sua di corta visione, perché trascura l’intero orizzonte della verità – della verità riguardo a Dio e riguardo a noi. Per sua natura il relativismo non riesce a vedere l’intero quadro. Ignora quegli stessi principi che ci rendono capaci di vivere e di crescere nell’unità, nell’ordine e nell’armonia.
Qual è la nostra risposta, come testimoni cristiani, a un mondo diviso e frammentato? Come possiamo offrire la speranza di pace, di guarigione e di armonia a quelle “stazioni” di conflitto, di sofferenza e di tensione attraverso le quali voi avete scelto di passare con questa Croce della Giornata Mondiale della Gioventù? L’unità e la riconciliazione non possono essere raggiunte mediante i nostri sforzi soltanto. Dio ci ha fatto l’uno per l’altro (cfr Gn 2,24) e soltanto in Dio e nella sua Chiesa possiamo trovare quell’unità che cerchiamo. Eppure, a fronte delle imperfezioni e delle delusioni sia individuali che istituzionali, noi siamo tentati a volte di costruire artificialmente una comunità “perfetta”. Non si tratta di una tentazione nuova. La storia della Chiesa contiene molti esempi di tentativi di aggirare o scavalcare le debolezze ed i fallimenti umani per creare un’unità perfetta, un’utopia spirituale.
Tali tentativi di costruire l’unità in realtà la minano! Separare lo Spirito Santo dal Cristo presente nella struttura istituzionale della Chiesa comprometterebbe l’unità della comunità cristiana, che è precisamente il dono dello Spirito! Ciò tradirebbe la natura della Chiesa quale Tempio vivo dello Spirito Santo (cfr 1 Cor 3,16). E’ lo Spirito infatti che guida la Chiesa sulla via della piena verità e la unifica nella comunione e nelle opere del ministero (cfr Lumen gentium, 4). Purtroppo la tentazione di “andare avanti da soli” persiste. Alcuni parlano della loro comunità locale come di un qualcosa di separato dalla cosiddetta Chiesa istituzionale, descrivendo la prima come flessibile ed aperta allo Spirito, e la seconda come rigida e priva dello Spirito.

L’unità appartiene all’essenza della Chiesa (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 813); è un dono che dobbiamo riconoscere e aver caro. Questa sera preghiamo per il nostro proposito di coltivare l’unità: di contribuire ad essa! di resistere ad ogni tentazione di andarcene via! Poiché è esattamente l’ampiezza, la vasta visione della nostra fede – solida ed insieme aperta, consistente e insieme dinamica, vera e tuttavia sempre protesa ad una conoscenza più profonda – che possiamo offrire al nostro mondo. Cari giovani, non è forse a causa della vostra fede che amici in difficoltà o alla ricerca di senso nella loro vita si sono rivolti a voi? Siate vigilanti! Sappiate ascoltare! Attraverso le dissonanze e le divisioni del mondo, potete voi udire la voce concorde dell’umanità? Dal bimbo derelitto di un campo nel Darfur ad un adolescente turbato, ad un genitore in ansia in una qualsiasi periferia, o forse proprio ora dalle profondità del vostro cuore, emerge il medesimo grido umano che anela ad un riconoscimento, ad un’appartenenza, all’unità. Chi soddisfa questo desiderio umano essenziale ad essere uno, ad essere immerso nella comunione, ad essere edificato, ad essere guidato alla verità? Lo Spirito Santo! Questo è il suo ruolo: portare a compimento l’opera di Cristo. Arricchiti dei doni dello Spirito, voi avrete la forza di andare oltre le visioni parziali, la vuota utopia, la precarietà fugace, per offrire la coerenza e la certezza della testimonianza cristiana!
Amici, quando recitiamo il Credo affermiamo: “Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita”. Lo “Spirito creatore” è la potenza di Dio che dà la vita a tutta la creazione ed è la fonte di vita nuova e abbondante in Cristo. Lo Spirito mantiene la Chiesa unita al suo Signore e fedele alla Tradizione apostolica. Egli è l’ispiratore delle Sacre Scritture e guida il Popolo di Dio alla pienezza della verità (cfr Gv 16,13). In tutti questi modi lo Spirito è il “datore di vita”, che ci conduce al cuore stesso di Dio. Così, quanto più consentiamo allo Spirito di dirigerci, tanto maggiore sarà la nostra configurazione a Cristo e tanto più profonda la nostra immersione nella vita del Dio uno e trino.
Questa partecipazione alla natura stessa di Dio (cfr 2 Pt,1,4) avviene, nello svolgersi dei quotidiani eventi della vita, in cui Egli è sempre presente (cfr Bar 3,38). Vi sono momenti, tuttavia, nei quali possiamo essere tentati di ricercare un certo appagamento fuori di Dio. Gesù stesso chiese ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?” (Gv 6,67). Un tale allontanamento magari offre l’illusione della libertà. Ma dove ci porta? Da chi possiamo noi andare? Nei nostri cuori, infatti, sappiamo che solo il Signore ha “parole di vita eterna” (Gv 6,67-69). L’allontanamento da lui è solo un futile tentativo di fuggire da noi stessi (cfr S. Agostino, Confessioni VIII,7). Dio è con noi nella realtà della vita e non nella fantasia! Affrontare la realtà, non di sfuggirla: è questo ciò che noi cerchiamo! Perciò lo Spirito Santo con delicatezza, ma anche con risolutezza ci attira a ciò che è reale, a ciò che è durevole, a ciò che è vero. E’ lo Spirito che ci riporta alla comunione con la Trinità Santissima!
Lo Spirito Santo è stato in vari modi la Persona dimenticata della Santissima Trinità. Una chiara comprensione di lui sembra quasi fuori della nostra portata. E tuttavia quando ero ancora ragazzino, i miei genitori, come i vostri, mi insegnarono il segno della Croce e così giunsi presto a capire che c’è un Dio in tre Persone, e che la Trinità è al centro della fede e della vita cristiana. Quando crebbi in modo da avere una certa comprensione di Dio Padre e di Dio Figlio - i nomi significavano già parecchio - la mia comprensione della terza Persona della Trinità rimaneva molto carente. Perciò, da giovane sacerdote incaricato di insegnare teologia, decisi di studiare i testimoni eminenti dello Spirito nella storia della Chiesa. Fu in questo itinerario che mi ritrovai a leggere, tra gli altri, il grande sant’Agostino.
La sua comprensione dello Spirito Santo si sviluppò in modo graduale; fu una lotta. Da giovane aveva seguito il Manicheismo – uno di quei tentativi che ho menzionato prima, di creare un’utopia spirituale separando le cose dello spirito da quelle della carne. Di conseguenza, all’inizio egli era sospettoso di fronte all’insegnamento cristiano sull’incarnazione di Dio. E tuttavia la sua esperienza dell’amore di Dio presente nella Chiesa lo portò a cercarne la fonte nella vita del Dio uno e trino. Questo lo portò a tre particolari intuizioni sullo Spirito Santo come vincolo di unità all’interno della Santissima Trinità: unità come comunione, unità come amore durevole, unità come donante e dono. Queste tre intuizioni non sono soltanto teoriche. Esse aiutano a spiegare come opera lo Spirito. In un mondo in cui sia gli individui sia le comunità spesso soffrono dell’assenza di unità e di coesione, tali intuizioni ci aiutano a rimanere sintonizzati con lo Spirito e ad estendere e chiarire l’ambito della nostra testimonianza.
Perciò con l’aiuto di sant’Agostino, cerchiamo di illustrare qualcosa dell’opera dello Spirito Santo. Egli annota che le due parole “Spirito” e “Santo” si riferiscono a ciò che appartiene alla natura divina; in altre parole, a ciò che è condiviso dal Padre e dal Figlio, alla loro comunione. Per cui, se la caratteristica propria dello Spirito è di essere ciò che è condiviso dal Padre e dal Figlio, Agostino ne conclude che la qualità peculiare dello Spirito è l’unità. Un’unità di comunione vissuta: un’unità di persone in relazione vicendevole di costante dono; il Padre e il Figlio che si donano l’uno all’altro. Cominciamo così ad intravedere, penso, quanto illuminante sia tale comprensione dello Spirito Santo come unità, come comunione. Una vera unità non può mai essere fondata su relazioni che neghino l’uguale dignità delle altre persone. E neppure l’unità è semplicemente la somma totale dei gruppi mediante i quali noi a volte cerchiamo di “definire” noi stessi. Di fatto, solo nella vita di comunione l’unità si sostiene e l’identità umana si realizza appieno: riconosciamo il comune bisogno di Dio, rispondiamo all’unificante presenza dello Spirito Santo e ci doniamo vicendevolmente nel servizio degli uni agli altri.
La seconda intuizione di Agostino – cioè, lo Spirito Santo come amore che permane – discende dallo studio che egli fece della Prima Lettera di san Giovanni, là dove l’autore ci dice che “Dio è amore” (1 Gv 4,16). Agostino suggerisce che queste parole, pur riferendosi alla Trinità nel suo insieme, debbono intendersi anche come espressive di una caratteristica particolare dello Spirito Santo. Riflettendo sulla natura permanente dell’amore – “chi resta nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (ibid.) – Agostino si chiede: è l’amore o lo Spirito che garantisce il dono durevole? E questa è la conclusione alla quale egli arriva: “Lo Spirito Santo fa dimorare noi in Dio e Dio in noi; ma è l’amore che causa ciò. Lo Spirito pertanto è Dio come amore!” (De Trinitate 15,17,31).  È una magnifica spiegazione: Dio condivide se stesso come amore nello Spirito Santo. Che cosa d’altro possiamo sapere sulla base di questa intuizione? L’amore è il segno della presenza dello Spirito Santo! Le idee o le parole che mancano di amore – anche se appaiono sofisticate o sagaci – non possono essere “dello Spirito”. Di più: l’amore ha un tratto particolare; lungi dall’essere indulgente o volubile, ha un compito o un fine da adempiere: quello di permanere. Per sua natura l’amore è durevole. Ancora una volta, cari amici, possiamo gettare un ulteriore colpo d’occhio su quanto lo Spirito Santo offre al mondo: amore che dissolve l’incertezza; amore che supera la paura del tradimento; amore che porta in sé l’eternità; il vero amore che ci introduce in una unità che permane!
La terza intuizione – lo Spirito Santo come dono - Agostino la deduce dalla riflessione su un  passo evangelico che tutti conosciamo ed amiamo: il colloquio di Cristo con la samaritana presso il pozzo. Qui Gesù si rivela come il datore dell’acqua viva (cfr Gv 4,10), che viene poi qualificata come lo Spirito (cfr Gv 7,39; 1 Cor 12,13). Lo Spirito è “il dono di Dio” (Gv 4,10) – la sorgente interiore (cfr Gv 4,14) – che soddisfa davvero la nostra sete più profonda e ci conduce al Padre. Da tale osservazione Agostino conclude che il Dio che si concede a noi come dono è lo Spirito Santo (cfr De Trinitate, 15,18,32). Amici, ancora una volta gettiamo uno sguardo sulla Trinità all’opera: lo Spirito Santo è Dio che eternamente si dona; al pari di una sorgente perenne, egli offre niente di meno che se stesso. Osservando questo dono incessante, giungiamo a vedere i limiti di tutto ciò che perisce, la follia di una mentalità consumistica. In particolare, cominciamo a comprendere perché la ricerca di novità ci lascia insoddisfatti e desiderosi di qualcos’altro. Non stiamo noi forse ricercando un dono eterno? La sorgente che mai si esaurirà? Con la samaritana esclamiamo: Dammi di quest’acqua, così che non abbia più sete (cfr Gv 4,15)!
Carissimi giovani, abbiamo visto che è lo Spirito Santo a realizzare la meravigliosa comunione dei credenti in Cristo Gesù. Fedele alla sua natura di datore e insieme di dono, egli è ora all’opera mediante voi. Ispirati dalle intuizioni di sant’Agostino, fate sì che l’amore unificante sia la vostra misura; l’amore durevole sia la vostra sfida; l’amore che si dona la vostra missione!
Domani quello stesso dono dello Spirito verrà solennemente conferito ai nostri candidati alla Cresima. Io pregherò: “Dona loro lo spirito di sapienza e di intelletto, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di scienza e di pietà e riempili dello spirito del tuo santo timore”. Questi doni dello Spirito – ciascuno dei quali, come ci ricorda san Francesco di Sales, è un modo per partecipare all’unico amore di Dio – non sono né un premio né un riconoscimento. Sono semplicemente donati (cfr 1 Cor 12,11). Ed essi esigono da parte del ricevente soltanto una risposta: “Accetto”! Percepiamo qui qualcosa del mistero profondo che è l’essere cristiani. Ciò che costituisce la nostra fede non è in primo luogo ciò che facciamo, ma ciò che riceviamo. Dopo tutto, molte persone generose che non sono cristiane possono realizzare ben di più di ciò che facciamo noi. Amici, accettate di essere introdotti nella vita trinitaria di Dio? Accettate di essere introdotti nella sua comunione d’amore?
I doni dello Spirito che operano in noi imprimono la direzione e danno la definizione della nostra testimonianza. Orientati per loro natura all’unità, i doni dello Spirito ci vincolano ancor più strettamente all’insieme del Corpo di Cristo (cfr Lumen gentium, 11), mettendoci meglio in grado di edificare la Chiesa, per servire così il mondo (cfr Ef 4,13). Ci chiamano ad un’attiva e gioiosa partecipazione alla vita della Chiesa: nelle parrocchie e nei movimenti ecclesiali, nelle lezioni di religione a scuola, nelle cappellanie universitarie e nelle altre organizzazioni cattoliche. Sì, la Chiesa deve crescere nell’unità, deve rafforzarsi nella santità, ringiovanirsi, e costantemente rinnovarsi (cfr Lumen gentium, 4). Ma secondo quali criteri? Quelli dello Spirito Santo! Volgetevi a lui, cari giovani, e scoprirete il vero senso del rinnovamento.
Questa sera, radunati sotto la bellezza di questo cielo notturno, i nostri cuori e le nostre menti sono ripiene di gratitudine verso Dio per il grande dono della nostra fede nella Trinità. Ricordiamo i nostri genitori e nonni, che hanno camminato al nostro fianco quando, mentre eravamo bambini, hanno sostenuto i primi passi del nostro cammino di fede. Ora, dopo molti anni, vi siete raccolti come giovani adulti intorno al Successore di Pietro. Sono ricolmo di profonda gioia nell’essere con voi. Invochiamo lo Spirito Santo: è lui l’artefice delle opere di Dio (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 741). Lasciate che i suoi doni vi plasmino! Come la Chiesa compie lo stesso viaggio con l’intera umanità, così anche voi siete chiamati ad esercitare i doni dello Spirito tra gli alti e i bassi della vita quotidiana. Fate sì che la vostra fede maturi attraverso i vostri studi, il lavoro, lo sport, la musica, l’arte. Fate in modo che sia sostenuta mediante la preghiera e nutrita mediante i Sacramenti, per essere così sorgente di ispirazione e di aiuto per quanti sono intorno a voi. Alla fine, la vita non è semplicemente accumulare, ed è ben più che avere successo. Essere veramente vivi è essere trasformati dal di dentro, essere aperti alla forza dell’amore di Dio. Accogliendo la potenza dello Spirito Santo, anche voi potete trasformare le vostre famiglie, le comunità, le nazioni. Liberate questi doni! Fate sì che sapienza, intelletto, fortezza, scienza e pietà siano i segni della vostra grandezza!


 

Fonte: vatican.va, 19 luglio 2008

8 - GMG 3 - OMELIA DEL SANTO PADRE

Autore: Benedetto XVI - Fonte: vatican.va, 20 luglio 2008

Cari amici,
“avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi” (At 1,8). Abbiamo visto realizzata questa promessa! Nel giorno di Pentecoste, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, il Signore risorto, seduto alla destra del Padre, ha inviato lo Spirito sui discepoli riuniti nel Cenacolo. Per la forza di questo Spirito, Pietro e gli Apostoli sono andati a predicare il Vangelo fino ai confini della terra. In ogni età ed in ogni lingua la Chiesa continua a proclamare in tutto il mondo le meraviglie di Dio e invita tutte le nazioni e i popoli alla fede, alla speranza e alla nuova vita in Cristo.
In questi giorni anch’io sono venuto, come Successore di san Pietro, in questa stupenda terra d’Australia. Sono venuto a confermare voi, miei giovani fratelli e sorelle, nella vostra fede e ad aprire i vostri cuori al potere dello Spirito di Cristo e alla ricchezza dei suoi doni. Prego perché questa grande assemblea, che unisce giovani “di ogni nazione che è sotto il cielo” (At 2,5), diventi un nuovo Cenacolo. Possa il fuoco dell’amore di Dio scendere a riempire i vostri cuori, per unirvi sempre di più al Signore e alla sua Chiesa e inviarvi, come nuova generazione di apostoli, a portare il mondo a Cristo!
“Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi”. Queste parole del Signore Risorto hanno uno speciale significato per quei giovani che saranno confermati, segnati con il dono dello Spirito Santo, durante questa Santa Messa. Ma queste parole sono anche indirizzate ad ognuno di noi, a tutti coloro cioè che hanno ricevuto il dono dello Spirito di riconciliazione e della nuova vita nel Battesimo, che lo hanno accolto nei loro cuori come loro aiuto e guida nella Confermazione e che quotidianamente crescono nei suoi doni di grazia mediante la Santa Eucaristia. In ogni Messa, infatti, lo Spirito Santo discende nuovamente, invocato nella solenne preghiera della Chiesa, non solo per trasformare i nostri doni del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue del Signore, ma anche per trasformare le nostre vite, per fare di noi, con la sua forza, “un solo corpo ed un solo spirito in Cristo”.
Ma che cosa è questo “potere” dello Spirito Santo? E’ il potere della vita di Dio! E’ il potere dello stesso Spirito che si librò sulle acque all’alba della creazione e che, nella pienezza dei tempi, rialzò Gesù dalla morte. E’ il potere che conduce noi e il nostro mondo verso l’avvento del Regno di Dio. Nel Vangelo di oggi, Gesù annuncia che è iniziata una nuova era, nella quale lo Spirito Santo sarà effuso sull’umanità intera (cfr Lc 4,21). Egli stesso, concepito per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria, è venuto tra noi per portarci questo Spirito. Come sorgente della nostra nuova vita in Cristo, lo Spirito Santo è anche, in un modo molto vero, l’anima della Chiesa, l’amore che ci lega al Signore e tra di noi e la luce che apre i nostri occhi per vedere le meraviglie della grazia di Dio intorno a noi.
Qui in Australia, questa “grande terra meridionale dello Spirito Santo”, noi tutti abbiamo avuto un’indimenticabile esperienza della presenza e della potenza dello Spirito nella bellezza della natura. I nostri occhi sono stati aperti per vedere il mondo attorno a noi come veramente è: “ricolmo”, come dice il poeta “della grandezza di Dio”, ripieno della gloria del suo amore creativo. Anche qui, in questa grande assemblea di giovani cristiani provenienti da tutto il mondo, abbiamo avuto una vivida esperienza della presenza e della forza dello Spirito nella vita della Chiesa. Abbiamo visto la Chiesa per quello che veramente è: Corpo di Cristo, vivente comunità d’amore, comprendente gente di ogni razza, nazione e lingua, di ogni tempo e luogo, nell’unità nata dalla nostra fede nel Signore risorto.
La forza dello Spirito non cessa mai di riempire di vita la Chiesa! Attraverso la grazia dei Sacramenti della Chiesa, questa forza fluisce anche nel nostro intimo, come un fiume sotterraneo che nutre lo spirito e ci attira sempre più vicino alla fonte della nostra vera vita, che è Cristo. Sant’Ignazio di Antiochia, che morì martire a Roma all’inizio del secondo secolo, ci ha lasciato una splendida descrizione della forza dello Spirito che dimora dentro di noi. Egli ha parlato dello Spirito come di una fontana di acqua viva che zampilla nel suo cuore e sussurra: “Vieni, vieni al Padre!” (cfr Ai Romani, 6,1-9).
Tuttavia questa forza, la grazia dello Spirito, non è qualcosa che possiamo meritare o conquistare; possiamo solamente riceverla come puro dono. L’amore di Dio può effondere la sua forza solo quando gli permettiamo di cambiarci dal di dentro. Noi dobbiamo permettergli di penetrare nella dura crosta della nostra indifferenza, della nostra stanchezza spirituale, del nostro cieco conformismo allo spirito di questo nostro tempo. Solo allora possiamo permettergli di accendere la nostra immaginazione e plasmare i nostri desideri più profondi. Ecco perché la preghiera è così importante: la preghiera quotidiana, quella privata nella quiete dei nostri cuori e davanti al Santissimo Sacramento e la preghiera liturgica nel cuore della Chiesa. Essa è pura ricettività della grazia di Dio, amore in azione, comunione con lo Spirito che dimora in noi e ci conduce, attraverso Gesù, nella Chiesa, al nostro Padre celeste. Nella potenza del suo Spirito, Gesù è sempre presente nei nostri cuori, aspettando quietamente che ci disponiamo nel silenzio accanto a Lui per sentire la sua voce, restare nel suo amore e ricevere la “forza che proviene dall’alto”, una forza che ci abilita ad essere sale e luce per il nostro mondo.
Nella sua Ascensione, il Signore risorto disse ai suoi discepoli: “Sarete miei testimoni... fino ai confini del mondo” (At 1,8). Qui, in Australia, ringraziamo il Signore per il dono della fede, che è giunto fino a noi come un tesoro trasmesso di generazione in generazione nella comunione della Chiesa. Qui, in Oceania, ringraziamo in modo speciale tutti quegli eroici missionari, sacerdoti e religiosi impegnati, genitori e nonni cristiani, maestri e catechisti che hanno edificato la Chiesa in queste terre. Testimoni come la Beata Mary MacKillop, San Peter Chanel, il Beato Peter To Rot e molti altri! La forza dello Spirito, rivelata nelle loro vite, è ancora all’opera nelle iniziative di bene che hanno lasciato, nella società che hanno plasmato e che ora è consegnata a voi.
Cari giovani, permettetemi di farvi ora una domanda. Che cosa lascerete voi alla prossima generazione? State voi costruendo le vostre esistenze su fondamenta solide, state costruendo qualcosa che durerà? State vivendo le vostre vite in modo da fare spazio allo Spirito in mezzo ad un mondo che vuole dimenticare Dio, o addirittura rigettarlo in nome di un falso concetto di libertà? Come state usando i doni che vi sono stati dati, la “forza” che lo Spirito Santo è anche ora pronto a effondere su di voi? Che eredità lascerete ai giovani che verranno? Quale differenza voi farete?
La forza dello Spirito Santo non ci illumina soltanto né solo ci consola. Ci indirizza anche verso il futuro, verso l’avvento del Regno di Dio. Che magnifica visione di una umanità redenta e rinnovata noi scorgiamo nella nuova era promessa dal Vangelo odierno! San Luca ci dice che Gesù Cristo è il compimento di tutte le promesse di Dio, il Messia che possiede in pienezza lo Spirito Santo per comunicarlo all’intera umanità. L’effusione dello Spirito di Cristo sull’umanità è un pegno di speranza e di liberazione contro tutto quello che ci impoverisce. Tale effusione dona nuova vista al cieco, manda liberi gli oppressi, e crea unità nella e con la diversità ( cfr Lc 4,18-19; Is 61,1-2). Questa forza può creare un mondo nuovo: può “rinnovare la faccia della terra” (cfr Sal 104, 30)!
Rafforzata dallo Spirito e attingendo ad una ricca visione di fede, una nuova generazione di cristiani è chiamata a contribuire all’edificazione di un mondo in cui la vita sia accolta, rispettata e curata amorevolmente, non respinta o temuta come una minaccia e perciò distrutta. Una nuova era in cui l’amore non sia avido ed egoista, ma puro, fedele e sinceramente libero, aperto agli altri, rispettoso della loro dignità, un amore che promuova il loro bene e irradi gioia e bellezza. Una nuova era nella quale la speranza ci liberi dalla superficialità, dall’apatia e dall’egoismo che mortificano le nostre anime e avvelenano i rapporti umani. Cari giovani amici, il Signore vi sta chiedendo di essere profeti di questa nuova era, messaggeri del suo amore, capaci di attrarre la gente verso il Padre e di costruire un futuro di speranza per tutta l’umanità.
Il mondo ha bisogno di questo rinnovamento! In molte nostre società, accanto alla prosperità materiale, si sta allargando il deserto spirituale: un vuoto interiore, una paura indefinibile, un nascosto senso di disperazione. Quanti dei nostri contemporanei si sono scavati cisterne screpolate e vuote (cfr Ger 2,13) in una disperata ricerca di significato, di quell’ultimo significato che solo l’amore può dare? Questo è il grande e liberante dono che il Vangelo porta con sé: esso rivela la nostra dignità di uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio. Rivela la sublime chiamata dell’umanità, che è quella di trovare la propria pienezza nell’amore. Esso dischiude la verità sull’uomo, la verità sulla vita.
Anche la Chiesa ha bisogno di questo rinnovamento! Ha bisogno della vostra fede, del vostro idealismo e della vostra generosità, così da poter essere sempre giovane nello Spirito (cfr Lumen gentium, 4). Nella seconda Lettura di oggi, l’apostolo Paolo ci ricorda che ogni singolo Cristiano ha ricevuto un dono che deve essere usato per edificare il Corpo di Cristo. La Chiesa ha specialmente bisogno del dono dei giovani, di tutti i giovani. Essa ha bisogno di crescere nella forza dello Spirito che anche adesso dona gioia a voi giovani e vi ispira a servire il Signore con allegrezza. Aprite il vostro cuore a questa forza! Rivolgo questo appello in modo speciale a coloro che il Signore chiama alla vita sacerdotale e consacrata. Non abbiate paura di dire il vostro “sì” a Gesù, di trovare la vostra gioia nel fare la sua volontà, donandovi completamente per arrivare alla santità e facendo uso dei vostri talenti a servizio degli altri!
Fra poco celebreremo il sacramento della Confermazione. Lo Spirito Santo discenderà sui candidati; essi saranno “segnati” con il dono dello Spirito e inviati ad essere testimoni di Cristo. Che cosa significa ricevere il “sigillo” dello Spirito Santo? Significa essere indelebilmente segnati, inalterabilmente cambiati, significa essere nuove creature. Per coloro che hanno ricevuto questo dono, nulla può mai più essere lo stesso! Essere “battezzati” nello Spirito significa essere incendiati dall’amore di Dio. Essersi “abbeverati” allo Spirito (cfr 1 Cor 12,13) significa essere rinfrescati dalla bellezza del piano di Dio per noi e per il mondo, e divenire a nostra volta una fonte di freschezza per gli altri. Essere “sigillati con lo Spirito” significa inoltre non avere paura di difendere Cristo, lasciando che la verità del Vangelo permei il nostro modo di vedere, pensare ed agire, mentre lavoriamo per il trionfo della civiltà dell’amore.
Nell’elevare la nostra preghiera per i confermandi, preghiamo anche perché la forza dello Spirito Santo ravvivi la grazia della Confermazione in ciascuno di noi. Voglia lo Spirito riversare i suoi doni in abbondanza su tutti i presenti, sulla città di Sydney, su questa terra di Australia e su tutto il suo popolo. Che ciascuno di noi sia rinnovato nello spirito di sapienza e d’intelletto, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di scienza e di pietà, spirito di santo timore di Dio!
Attraverso l’amorevole intercessione di Maria, Madre della Chiesa, possa questa XXIII Giornata Mondiale della Gioventù essere vissuta come un nuovo Cenacolo, così che tutti noi, ardenti del fuoco dell’amore dello Spirito Santo, possiamo continuare a proclamare il Signore risorto e attrarre ogni cuore a lui. Amen!

Fonte: vatican.va, 20 luglio 2008

9 - GMG 4 - PROSSIMA GMG NEL 2011 A MADRID (SPAGNA)

Autore: Benedetto XVI - Fonte: vatican.va, 20 luglio 2008

Cari giovani amici,
ci apprestiamo ora a recitare insieme la bella preghiera dell’Angelus.  In essa rifletteremo su Maria, giovane donna in colloquio con l’angelo che la invita a nome di Dio ad una particolare donazione di se stessa, della propria vita, del proprio futuro di donna e di madre. Possiamo immaginare come dovette sentirsi in quel momento: piena di trepidazione, completamente sopraffatta dalla prospettiva che le era posta dinanzi.
L’angelo comprese la sua ansia e immediatamente cercò di rassicurarla:  “Non temere, Maria... Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo” (Lc 1, 30, 35). Fu lo Spirito a darle la forza e il coraggio di rispondere alla chiamata del Signore. Fu lo Spirito ad aiutarla a comprendere il grande mistero che stava per compiersi per mezzo di lei. Fu lo Spirito che la avvolse con il suo amore e la rese capace di concepire il Figlio di Dio nel suo grembo.
Questa scena costituisce forse il momento cardine nella storia del rapporto di Dio con il suo popolo. Nell’Antico Testamento, Dio si era rivelato in modo parziale, in modo graduale, come tutti noi facciamo nei nostri rapporti personali. Ci volle tempo perché il popolo eletto approfondisse il suo rapporto con Dio. L’Alleanza con Israele fu come un periodo di corteggiamento, un lungo fidanzamento. Venne quindi il momento definitivo, il momento del matrimonio, la realizzazione di una nuova ed eterna alleanza. In quel momento Maria, davanti al Signore, rappresentava tutta l’umanità. Nel messaggio dell’angelo, era Dio ad avanzare una proposta di matrimonio con l’umanità. E a nome nostro, Maria disse di sì.
Nelle fiabe, i racconti terminano qui, e tutti “da quel momento vivono contenti e felici”. Nella vita reale non è così facile. Molte furono le difficoltà con cui Maria dovette cimentarsi nell’affrontare le conseguenze di quel “sì” detto al Signore. Simeone profetizzò che una spada le avrebbe trafitto il cuore. Quando Gesù ebbe dodici anni, ella sperimentò i peggiori incubi che ogni genitore può provare, quando, per tre giorni, suo figlio si era smarrito. E dopo la sua attività pubblica, ella soffrì l’agonia di essere presente alla sua crocifissione e morte. Attraverso le varie prove ella rimase sempre fedele alla sua promessa, sostenuta dallo Spirito di fortezza. E ne fu ricompensata con la gloria.
Cari giovani, anche noi dobbiamo rimanere fedeli al “sì” con cui abbiamo accolto l’offerta di amicizia da parte del Signore. Sappiamo che egli non ci abbandonerà mai. Sappiamo che Egli ci sosterrà sempre con i doni dello Spirito. Maria ha accolto la “proposta” del Signore a nome nostro. Ed allora, volgiamoci a lei e chiediamole di guidarci nelle difficoltà per rimanere fedeli a quella relazione vitale che Dio ha stabilito con ciascuno di noi. Maria è il nostro esempio e la nostra ispirazione; Ella intercede per noi presso il suo Figlio, e con amore materno ci protegge dai pericoli.
Dopo l'Angelus:
Cari amici,
è ora giunto il momento di dirvi addio, o piuttosto, arrivederci! Vi ringrazio tutti per aver partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù 2008, qui a Sydney, e spero di rivedervi fra tre anni. La Giornata Mondiale della Gioventù 2011 si svolgerà a Madrid, in Spagna. Fino a quel momento, preghiamo gli uni per gli altri, e rendiamo davanti al mondo la nostra gioiosa testimonianza a Cristo. Dio vi benedica tutti.

Fonte: vatican.va, 20 luglio 2008

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