BastaBugie n�63 del 02 gennaio 2009

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1 DIGNITAS PERSONAE
I sì della Chiesa molto più grandi dei no
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire
2 JEROME LEJEUNE
Il grande scienziato che perse il nobel perche' difese gli handicappati
Fonte:
3 A LONDRA NASCERÀ UNA BIMBA SELEZIONATA SANA
(Saranno pero' sacrificati 10 suoi fratellini)
Autore: Elisabetta Del Soldato - Fonte: 20 DICEMBRE 2008
4 COMBATTI E DENUNCI I PEDOFILI IN INTERNET?
Grazie tante, pero' noi ti facciamo 1.200 euro di multa
Fonte: 7 dicembre 2008
5 IDOLATRIA DELL’AUDIENCE
In Inghilterra trasmesso il suicidio in tv
Fonte: 11 dicembre 2000
6 IL FALLIMENTO DELLA LEGGE 40
Se il primario cattolico promuove la fivet buona...
Autore: Mario Palmaro - Fonte: 10 Dicembre 2008
7 ABORTO IN SPAGNA
Le cliniche private fanno affari d'oro
Autore: Michela Coricelli - Fonte: 20 dicembre 2008
8 ABORTO IN SERBIA
Dopo 50mila aborti, medico dice basta
Autore: Lorenzo Fazzini - Fonte: 24 Novembre 2008
9 L'IDEOLOGIA CHE TRASFORMA LA DIGNITA' UMANA IN UNA PATENTE A PUNTI

Autore: Mario Melazzini - Fonte: Presidente nazionale Aisla Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica.

1 - DIGNITAS PERSONAE
I sì della Chiesa molto più grandi dei no
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: Avvenire, 17-12-2008

 Secondo Pietro Citati, su Repubblica di qualche giorno fa, la Chiesa pensa che «bisogna alzare muri, muretti, scavare fossati, puntare cannoni o piccoli fucili, alzare il dito, proclamare principi e assiomi». È un modo di pensare la Chiesa molto diffuso, rinforzato da numerosi commenti alla Dignitas personae (chissà se Citati l’aveva in mente), la recente istruzione vaticana concernente alcune questioni di bioetica. Secondo molti «la Chiesa dice solo dei no». Tuttavia, la Chiesa non parla solo di etica, ma anche di Dio e della vita eterna, per fare solo due esempi. Inoltre, i 'no' della Chiesa sono il risvolto, quasi mai spiegato dai media, di un’etica del 'sì' e, ancora più a fondo, di un’etica dell’amore. Infatti, fedele al 'comandamento dell’amore' di Gesù – «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10,27) – l’etica proclamata dalla Chiesa non può non difendere la dignità di ogni essere umano: concepito, malato terminale, disabile in stato 'vegetativo', ecc. Ovviamente, si può discutere sullo status di questi esseri umani; ma, a chi vuol vedere le cose, dovrebbe essere almeno chiara l’intenzione della Dignitas personae,  visto che è esplicitata fin dall’inizio: «ad ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale, va riconosciuta la dignità di persona. Questo principio fondamentale [...] esprime un grande 'sì' alla vita umana ». È l’amore (nella forma del rispetto e del desiderio-realizzazione del bene altrui) per l’uomo che anima il magistero morale della Chiesa. È l’interesse affettuoso verso ognuno di noi, in particolare se indifeso, debole, inerme, solo. Gli uomini di Chiesa, senza venir meno alla laicità dello Stato, dunque senza svolgere ruoli politici, bensì attraverso l’annuncio, hanno il dovere di pronunciarsi quando è minacciata la dignità dell’uomo.
  Benedetto XVI lo ha chiarito qualche tempo fa: «Se ci si dice che la Chiesa non dovrebbe ingerirsi in questi affari, allora noi possiamo solo rispondere: forse che l’uomo non ci interessa?». La Chiesa, piuttosto, ha il «dovere di alzare la voce per difendere l’uomo», e, quando interviene sui temi etici, lo fa con argomenti ricavati dalla Rivelazione, ma anche con ragionamenti laici, che ovviamente si possono discutere, ma che si rivolgono a tutti. Poiché l’amore è il cuore dell’etica della Chiesa, non c’è da stupirsi che essa non stabilisca solo dei doveri e che gli atti moralmente più eccellenti non siano considerati doverosi. Per esempio, dare la vita per gli altri non è, salvo rari casi, un dovere e «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» ( Gv 15,13). Quanto ai doveri, essi possono essere affermativi (onora i tuoi genitori, ama il tuo prossimo, ecc.), oppure negativi (non assassinare, non rubare, ecc.). Ma i media quasi sempre riducono l’insegnamento della Chiesa ai doveri negativi, senza far presente che questi precetti sono la conseguenza ineludibile del precetto dell’amore, di un amore che dice un grande 'sì' all’uomo. Infatti, se amo il prossimo non lo devo calunniare, derubare, assassinare, ecc. Come dice s. Paolo: «il precetto: non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: amerai il prossimo tuo come te stesso. L’amore non fa nessun male al prossimo» ( Rm 1, 13, 8-10). E se amo il mio prossimo più indifeso, cioè il concepito, non lo devo abortire, fabbricare, manipolare.

Fonte: Avvenire, 17-12-2008

2 - JEROME LEJEUNE
Il grande scienziato che perse il nobel perche' difese gli handicappati
articolo non firmato

Il più grande difensore della vita: Movimenti per la vita europei concordi nella scelta del grande genetista come «simbolo» da proporre a un continente confuso.

Scriveva Giovanni Paolo II, in una lettera al cardinale Lustiger, arcivescovo di Parigi, in occasione della morte di Jérôme Lejeune: « Nella sua condizione di scienziato e di biologo era un appassionato della vita. Arrivò ad essere il più grande difensore della vita, specialmente della vita dei nascituri, così minacciata nella società contemporanea da pensare che sia una minaccia programmata.  Lejeune assunse pienamente la particolare responsabilità dello scienziato, disposto ad essere segno di contraddizione, senza fare caso alle pressioni della società permissiva e all’ostracisimo di cui era vittima». Parole che dicono molto di una delle più straordinarie figure di ricercatore e di credente del ’900, di cui nel 2007 è stata tra l’altro aperta la fase diocesana della causa di beatificazione.
A  lui ieri a Strasburgo i Movimenti per la vita europei hanno assegnato – in memoria – il loro premio continentale intitolato a Madre Teresa (se ne riferisce in questa pagina). Una scelta carica di forza simbolica al cospetto di un continente in pieno oblio di se stesso.
  Nato nel 1926 in Francia, a Montrouge sur Seine, dopo la laurea in medicina Lejeune diventa ricercatore al Centre national de la recherche scientifique e in seguito verrà nominato esperto internazionale per la Francia sull’effetto biologico delle radiazioni nucleari. A 32 anni, nel 1958, scopre l’anomalia genetica che causa la sindrome di Down – la trisomia del cromosoma 21 – malattia a cui da sempre è interessato anche per un suo fratello nato, come si diceva un tempo, 'mongoloide'.
 Seguono altre scoperte: la monosomia 9, la trisomia 13. Guadagna una grande notorietà, aprendo la via alla moderna citogenetica. E nel 1962 è nominato esperto di genetica umana dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel 1972, però, si apre in Francia il dibattito sulla legalizzazione dell’aborto e Lejeune prende apertamente posizione in favore dei tanti 'Pollicino' – come chiama affettuosamente l’essere umano in gestazione – che rischiano di essere sacrificati alla menzogna del politicamente e scientificamente corretto. A New York, alla Sede dell’Onu, in una seduta in cui si parla di aborto, interviene sostenendo che un’istituzione per la salute non può trasformarsi in un’istituzione di morte. La sera stessa scrive alla moglie: «Oggi pomeriggio ho perduto il Nobel».
Da quel momento, racconta Carlo Casini nella prefazione a La vita è una sfida (Cantagalli, pagine 166, euro 13), ritratto dello scienziato francese scritto dalla figlia Carla, comincia la sua «emarginazione»: «La scienza ufficiale non lo chiama più; i finanziamenti per le sue ricerche vengono ritirati; in qualche modo è costretto a mendicare per continuare i suoi studi; talvolta, anche con minacce, gli viene impedito di prendere la parola; sul muro della facoltà di medicina compaiono scritte come 'Lejeune trema... Lejeune assassino. A morte Lejeune' e anche 'A morte Lejeune e i suoi mostricciattoli'....
  L’intolleranza 'laica' lo colpisce proprio nella sua specifica vocazione di scienziato che vuole servire insieme la verità e la vita, che scopre l’intimità biologica dell’uomo per guarire i suoi malati. Ma Lejeune risponde con serenità e 'forza tranquilla'».
E con tale tranquillità diventa presidente onorario dell’associazione 'Sos futures mères' (il primo movimento pro-vita francese), opponendosi all’aborto e alla Ru486, che definisce «il primo pesticida umano».
  «Ha conosciuto la rinuncia alle cose del mondo, alla gloria, alla celebrità, ai riconoscimenti scientifici – scrive la figlia Carla –. Ha conosciuto il tradimento di amici, il logorio amministrativo, la moderna condanna esercitata dalla stampa... se ha sofferto non lo ha mai fatto capire. Davanti ai soprusi, sorrideva dicendo: 'Non combatto per me, allora gli attacchi non hanno importanza'».
Nel 1992 iniziano i lavori che porteranno alla nascita della Pontificia Accademia per la Vita, che viene ufficialmente istituita da Giovanni Paolo II l’11 febbraio 1994. Pochi giorni dopo, il 26 febbraio, Lejeune riceve, mentre già si trova sul letto di morte, la nomina a Presidente. Muore la domenica di Pasqua, il 3 aprile.


3 - A LONDRA NASCERÀ UNA BIMBA SELEZIONATA SANA
(Saranno pero' sacrificati 10 suoi fratellini)
Autore: Elisabetta Del Soldato - Fonte: 20 DICEMBRE 2008

E' prossima alla nascita la prima bambina selezionata geneticamente affinché non contragga il tumore al seno. Un team di medici dell’University College Hospital, infatti, ha analizzato il patrimonio genetico degli embrioni prodotti in vitro da una donna di 27 anni, salvando e impiantando solo quelli privi del gene responsabile del cancro al seno. Un 'avanzamento' della scienza a prezzo del sacrificio di più di una vita umana, ha commentato ieri Josephine Quintavalle di Core (Comment on Reproductive Ethics). «Per ottenere un embrione – ha dichiarato – ne sono stati scartati altri innocenti e non è detto poi che la bambina non potrà sviluppare altre malattie gravi». La madre aveva deciso la selezione degli embrioni perché molte donne della famiglia del marito avevano contratto il cancro al seno e la loro bambina, ereditando il patrimonio genetico del padre, avrebbe avuto il 50 per cento di probabilità di ammalarsi. Per arrivare a selezionare un embrione privo del gene BRCA1, la coppia ha dovuto concepire ben undici embrioni sottoponendosi all’inseminazione in vitro nonostante non avesse problemi di fertilità. Cinque di questi sono stati trovati privi del gene; due embrioni sono stati impiantati nel grembo della donna e uno si è sviluppato. Per i medici si tratta di «un passo avanti che segna una pietra miliare nella lotta al cancro», ha detto Paul Serhal, il ginecologo che ha avuto in cura la donna, «una tecnica che potrà esser offerta come ottima opzione ad altre coppie». «Non si può giocare con la vita in questo modo», ha commentato invece Julia Milligan dell’associazione Pro-life. «Come è possibile eliminare una persona solo perché corre il rischio di ammalarsi?»

Fonte: 20 DICEMBRE 2008

4 - COMBATTI E DENUNCI I PEDOFILI IN INTERNET?
Grazie tante, pero' noi ti facciamo 1.200 euro di multa
Fonte 7 dicembre 2008

Oltre dieci anni trascorsi, da presidente del Coordinamento internazionale delle associazioni a tutela dei diritti dei minori, a scovare siti pedopornografici e a denunciarli alla polizia e come «premio» finale ecco arrivare una condanna a 1.200 euro di multa per la «detenzione» di materiale hard. Lo stesso sempre «girato» agli investigatori come prova. Ma Aurelia Passaseo, «profondamente amareggiata» per la sentenza del tribunale di Pordenone, promette di passare al contrattacco: «Faremo appello, non finisce qui». «È una sentenza che mi lascia basito», ha commentato don Di Noto, fondatore dell’associazione Meter, da anni impegnato nella lotta alla pedofilia on line. «Naturalmente parlo senza conoscere gli atti - ha poi aggiunto -, ma in compenso conosco da anni Aurelia Passaseo, la serietà del suo impegno e la dedizione con cui lavora». Aldilà della sentenza, però, sono gli eventuali effetti a preoccupare. «È un precedente gravissimo, così si uccide il volontariato», ha detto la presidente del Coordinamento condannata ricordando che adesso anche i singoli cittadini-internauti che dovessero imbattersi in immagini o filmati hard potrebbero far finta di niente («chi glielo farà fare di denunciare se il rischio è quello di ritrovarsi indagati?»). L’incubo della Passaseo iniziò nel 2003, quando finì tra gli oltre 300 indagati dell’inchiesta Pedoland. «Ricordo bene quella mattina - ha ammesso la Passaseo-: i carabinieri mi tirarono giù dal letto all’alba, sventolandomi sotto il naso un mandato di perquisizione della procura di Acqui Terme e portandosi via due pc, floppy e carte. La mia colpa? Aver visitato un sito contenente un listino dettagliato di video pedopornografici, con tanto di prezzi e condizioni di acquisto. Sito naturalmente denunciato alla polizia postale e alla procura di Ivrea». Era però convinta «che tutto si sarebbe chiarito», e invece tra richieste di archiviazione respinte, udienze e perizie ieri è arrivata la condanna.
  «Per il giudice - spiega Renato Cattarini, difensore della Passaseo - il materiale è stato scaricato e salvato, quindi il reato esiste. L’evidente buona fede? Non vale niente. Così come il fatto che un pm si sia presentato in aula: “Sapevamo del suo lavoro, anzi la incoraggiavamo a proseguire”. Tutto inutile».

Fonte: 7 dicembre 2008

5 - IDOLATRIA DELL’AUDIENCE
In Inghilterra trasmesso il suicidio in tv
Fonte 11 dicembre 2000

Ieri sera la televisione britannica ha mandato in onda un documentario che mostra la morte in diretta di un uomo di 59 anni affetto da sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Il filmato, diretto dal regista canadese e vincitore di Oscar John Zaritsky, si intitola Right to die (diritto di morire) e ripercorre il viaggio di Craig Ewert, un ex professore universitario americano residente in Inghilterra; l’uomo, accompagnato dalla moglie, nel settembre 2006 era andato in Svizzera, in un centro di «Dignitas», dove fu guidato dai medici dell’associazione elvetica pro-eutanasia nel praticare il suicidio assistito. I telespettatori hanno visto l’uomo ingerire la dose di farmaci sedativi offerta dai medici e poi staccare con i denti l’interruttore che alimenta il ventilatore artificiale.
Il documentario – del quale anche qualche tg italiano ha mandato in onda ieri alcune scene – ha suscitato ovviamente polemiche ancora prima di andare in onda, e ora il dibattito si sta allargando. La moglie di Ewert ieri ha difeso il filmato dall’accusa di sensazionalismo. «Per mio marito – ha detto la donna – permettere di essere filmato ha significato affrontare la fine con onestà. Questo non è un film su di lui. Diceva che voleva mostrare la sua morte perché quando essa è nascosta e rimane privata le persone ne hanno paura.
  Non vogliono sapere cosa accadrà, non ci riflettono, non ci vogliono pensare. È un tabù».
Ma per Peter Saunders, direttore dell’associazione «Care Not Killing», il filmato non è altro che «un cinico tentativo di alzare i numeri dell’audience». «Il pubblico britannico ha un crescente appetito di programmi televisivi bizzarri. Mi sembra che ci troviamo di fronte al solito dirupo, e che il pericolo sia soprattutto quello di cominciare a credere che esista davvero una vita che non valga la pena vivere». Membri di altre associazioni contro l’eutanasia hanno fatto sapere di essere rimasti profondamente scioccati dalle immagini. Hanno parlato di irresponsabile «voyerismo dell’eutanasia» che creerà la falsa impressione di una domanda sempre più consistente di suicidi assistiti.
 «Questo documentario - ha detto un portavoce del gruppo ProLife - intensifica la pressione sui malati terminali, quella concreta e quella immaginata.
  Queste persone possono diventare più portate a pensare di togliersi la vita non per un loro beneficio ma per quello dei familiari, degli assistenti e per quello della società stessa che è a corto di risorse». Il portavoce ha poi sottolineato come sia importante investire di più nel settore delle cure palliative, tradizionalmente sottovalutato. «Dobbiamo far capire alla società che il malato non è un peso ma un essere umano bisognoso di cure. Purtroppo ci dirigiamo nella direzione sbagliata e i più vulnerabili, i malati terminali, sono i primi a sentirsi di troppo».
  Il suicidio assistito è illegale in Gran Bretagna ma è permesso in Svizzera se condotto da un medico che non abbia alcun interesse nella morte del paziente. Dignitas e un’altra associazione svizzera, Exit, usano farmaci letali (ma anche semplici sacchetti di plastica con elio) per mettere fine alla vita dei loro clienti. Il 91 per cento delle persone che decidono di morire con Dignitas arriva in Svizzera dall’estero, soprattutto da Germania, Francia e Gran Bretagna.
  Barbara Gibbon, direttore di Sky Real Lives, il canale che ieri sera ha mandato in onda il filmato, ha difeso la sua decisione: «Il suicidio assistito è un argomento sul quale sempre più persone si mettono a confronto – ha detto – e questo documentario è informativo, articolato e istruttivo delle decisioni che alcune persone devono prendere. Penso sia importante che la televisione, e in particolare Sky Real Lives, stimoli un dibattito sul tema attraverso il racconto di storie individuali».
  In Gran Bretagna aiutare una persona a morire, prescrivendo farmaci, aiutandola a prenderli o semplicemente organizzando il viaggio sino alla clinica, è un reato punibile con la reclusione fino a quattordici anni. Lo stesso premier Gordon Brown ha dichiarato ieri di essere contrario a cambiamenti nella legge che vieta l’eutanasia nel Regno Unito.

Fonte: 11 dicembre 2000

6 - IL FALLIMENTO DELLA LEGGE 40
Se il primario cattolico promuove la fivet buona...
Autore: Mario Palmaro - Fonte: 10 Dicembre 2008

 All’ospedale di Cantù arriva la fecondazione in vitro in nome della legge 40.

La stampa locale ha salutato la notizia con squilli di tromba e toni celebrativi: finalmente a Cantù (Como) la prima gravidanza ottenuta con la fecondazione artificiale. La gravidanza - dicono le cronache - è ancora in corso, ma già si respira aria di successo perché - finalmente - le tecniche in provetta sono approdate nel nosocomio in provincia di Como. Già da due anni a Cantù si operavano inseminazioni intrauterine che, com’è noto, non prevedono la produzione di embrioni fuori dal corpo della madre. Ma secondo qualcuno occorreva fare “un salto di qualità”, e ottenere dalla Regione Lombardia l’accreditamento come struttura di “secondo livello”; cioè, iniziare a fare fecondazione artificiale extracorporea.
Ovviamente, come precisa la stampa locale, “nel rispetto della vigente legge 40: al massimo tre embrioni impiantati”.
Le cronache non raccontano, però, alcuni piccoli dettagli; come il fatto che la fecondazione è operata da un tecnico e non dall’abbraccio dei genitori; che queste tecniche implicano la morte di decine e decine di embrioni che non nasceranno mai; che l’essere umano è trattato come un oggetto del desiderio; che le percentuali di successo sono modeste; che l’iperstimolazione ovarica cui si deve sottoporre la donna ha serie controindicazioni per la sua salute. Eccetera eccetera. E che la Chiesa dice ai cattolici di girare alla larga da queste porcherie. Insomma: quisquilie.
Verità scomode, ignote alla gran parte dell’opinione pubblica, ma che non sfuggono certo alle competenze dei medici. Verità che non possono essere ignote a quel medico, primario dell’unità di ostetricia e ginecologia di Cantù - che è un professionista serio e stimato, cattolico, molto vicino a Comunione e Liberazione, formatosi al San Raffaele di Milano; questo stesso medico che in questi anni ha partecipato a più di un’iniziativa pubblica organizzata da Scienza e Vita e da un’associazione seria come Medicina e Persona.
Questo primario - come scrive il sito “Cercounbimbo”, favorevole alla fivet - si è dato un gran daffare per ottenere che si facessero figli in provetta a Cantù. Tanto ha fatto, che c’è riuscito. In fondo, che male faceva: doveva applicare la legge 40, quella della “fivet buona”. Quella che - anche in casa cattolica - non si può criticare, sennò guai, la peggiorano. Quella che prevede l’obiezione di coscienza per i medici che non vogliono fare la fivet (in primis dovrebbero farla tutti i medici cattolici), ma di questa obiezione nessuno parla, nessuno l’ha chiesta, anche da scranni autorevoli.
Il caso-Cantù è una vicenda esemplare dei frutti della legge 40 del 2004: doveva funzionare come argine alla provetta selvaggia; si è trasformata in legittimazione della fecondazione artificiale omologa, che medici cattolici sentono il dovere di promuovere nei reparti di propria competenza.
Come certe vignette, una storia senza parole. Che si commenta benissimo da sé.
Qualcuno parla per denunciare il fattaccio? La Chiesa locale dice qualche cosa? I movimenti ecclesiali scrivono un volantino per censurare? Macchè. Peccato che ci sia Verità e Vita a denunciare la cosa. Peccato davvero: altrimenti, tutti avrebbero potuto continuare a dormire sonni tranquilli. Evviva la legge 40. Evviva il male minore. Massì: continuiamo a farci del male.

Fonte: 10 Dicembre 2008

7 - ABORTO IN SPAGNA
Le cliniche private fanno affari d'oro
Autore: Michela Coricelli - Fonte: 20 dicembre 2008

 Nel 2007 in Spagna hanno abortito 112.138 donne. Una strage, ma anche un macabro business da oltre 50 milioni di euro. Nel Paese iberico quasi il 90% degli interventi avviene nelle cliniche private: l’obiezione di coscienza invocata dalla maggior parte dei medici e infermieri della sanità pubblica impedisce che gli aborti vengano realizzati negli ospedali statali. Questa situazione ha favorito un lucrativo affare per le cliniche abortiste: lo scorso anno hanno registrato un fatturato di 50 milioni e 370.170 euro, secondo cifre pubblicate qualche giorno fa dal quotidiano Gaceta de Negocios.
  Le tariffe fanno rabbrividire: per interrompere una gravidanza di 12 settimane bastano 345 euro, mentre se la gestazione è più avanti con il tempo l’operazione è più cara. «Eliminare un feto » di 21 settimane costa 1.655 euro. I soli 2.614 aborti realizzati quando il bimbo aveva più di cinque mesi – denuncia il giornale – hanno fatto incassare alle cliniche tre milioni e mezzo di euro. La sottocommissione parlamentare creata per preparare il terreno alla riforma della legge sull’aborto ha chiuso i battenti ieri.
  Dopo aver ripetuto per anni che la modifica di tale norma non era una necessità urgente in Spagna, il governo di José Luis Rodriguez Zapatero – in difficoltà su altri fronti, a causa della crisi economica – ora ha ridato un nuovo slancio a questa vecchia richiesta socialista. Secondo il Partito popolare (centrodestra), i lavori della commissione sono stati troncati troppo in fretta. Le associazioni pro-vita denunciano che gli esperti chiamati dai socialisti sono noti difensori dell’aborto (nessuna voce contraria). In commissione sono stati ascoltati i rappresentanti delle cliniche per l’interruzione della gravidanza, mentre non hanno potuto offrire la loro opinione le associazioni dei disabili.
  Attualmente in Spagna è possibile abortire in tre casi: stupro (entro 12 settimane di gravidanza), malformazione del feto (22 settimane ) e rischio fisico e psicologico per la madre (nessun tetto temporale). A questo terzo criterio si rifanno il 97% degli aborti.
Il governo di Zapatero ha promesso una nuova legge, che liberalizzerà completamente l’aborto entro le prime 12 o 14 settimane (non sarà necessario altro che la volontà della donna). L’opposizione assicura che con questa riforma gli aborti aumenteranno e accusa l’esecutivo di aver fallito in materia di aiuti alle donne e nella prevenzione delle gravidanze indesiderate.

Fonte: 20 dicembre 2008

8 - ABORTO IN SERBIA
Dopo 50mila aborti, medico dice basta
Autore: Lorenzo Fazzini - Fonte: 24 Novembre 2008

Da recordman di aborti a primo obiettore di coscienza serbo. La parabola di Stojan Adasevic.

Bimbo scampato ad un aborto chirurgico; medico conosciuto in tutto il paese come «recordman» di interruzioni di gravidanza (anche 35 operazioni al giorno, 9 ore quotidiane di «mortifera» sala operatoria); quindi cristiano ortodosso e attivista pro life convertito da San Tommaso d’Aquino. Se non fosse vera, la vicenda di Stojan Adasevic parrebbe uscita dalla fervida mente di uno sceneggiatore ipercattolico abituato a copioni strappalacrime. E invece la storia di questo medico serbo di Belgrado è tutt’altro che cinematografica. «Non voglio discutere i miei convincimenti teologici o quello che ho sognato, ma solo parlare dei fatti puramente materiali, come i metodi tecnici usati nelle interruzioni di gravidanza» ha scritto Adasevic su Saint Lazarus, pubblicazione della Chiesa ortodossa serba. Adasevic è cresciuto alla scuola marxista per cui l’aborto era solo «l’asportazione di una massa indistinta di tessuti», come recitavano i libri di medicina nella Jugoslavia comunista sui quali si formò l’ex dottor Morte. Dopo 26 anni da grande fautore di aborti – ne ha conteggiati tra i 48 e i 62 mila – Adasevic ha detto basta. E si è tramutato in un alfiere della difesa della vita fin dal suo concepimento.
La sua storia professionale visse uno snodo importante nel giorno in cui, giovane universitario, sentì alcuni ginecologi parlare di un’interruzione di gravidanza riuscita male, operazione che aveva riguardato una donna, dentista in una clinica vicino all’ateneo: in lei Stojan riconobbe la propria madre e nell’aborto «malriuscito» nientemeno che se stesso. «Lei è morta, ma chissà cosa sarà stato di quel bambino?» si chiesero i medici tra un caffè e una sigaretta. «Sono io quel bambino!» gridò Adasevic. Nonostante, o forse proprio per via di quell’episodio, il giovane dottore decise di dedicarsi quasi esclusivamente all’interruzione di gravidanza, nella convinzione – maturata grazie all’educazione di stretta osservanza comunista – che si trattasse «solo di una procedura medica, non diversa dal rimuovere un’appendice. La sola differenza era il tipo di organo asportato: un pezzo di intestino nel primo caso, un tessuto embrionale nel secondo».
I primi dubbi sorsero in Adasevic con l’avvento delle tecniche di diagnosi ad ultrasuoni, approdate nell’allora Jugoslavia negli anni Ottanta: per la prima volta gli fu visibile quello che non aveva mai visto, il feto adagiato nel grembo della madre, che succhiava il dito e si muoveva. La svolta vera, tuttavia, arrivò una notte di 26 anni fa, quando Stojan sognò un campo «pieno di bambini e di giovani che giocavano e ridevano; avevano dai 4 ai 24 anni, scappavano da me con tanta paura» ha raccontato il medico al quotidiano spagnolo La Razon. Fino a quando – sempre nel sogno – Adasevic riuscì ad afferrare un bimbetto, che però gridò: «Aiuto! Un assassino! Salvatemi da questo assassino!». Fu allora che, sempre durante il sonno, comparve al medico di Belgrado «un uomo vestito di nero e di bianco», che si presentò come Tommaso d’Aquino. Ad Adasevic, cresciuto sui libri del regime ateo di Tito, il nome del Dottore Angelico non disse nulla: «Perché non chiedi a questi bambini chi sono?» gli chiese il santo, senza dargli il tempo di rispondere. «Sono quelli che tu hai ucciso quando facevi gli aborti. Vedi questo ragazzo di 22 anni? L’hai ammazzato quando aveva 3 mesi nel grembo di sua madre».
Dopo questi sogni Adasevic continuò per qualche tempo a portare avanti la sua attività abortiva. Fino ad un giorno cruciale, quando durante un intervento di questo tipo estrasse dall’utero di una donna i pezzi di un feto: «La mano si muoveva ancora, il cuore pulsava». La donna in questione iniziò ad avere perdite di sangue di notevoli proporzioni e la sua vita era in pericolo: fu allora che, per la prima volta dopo decenni – Adasevic era stato battezzato da bambino, ma era cresciuto come un ateo doc – si ritrovò a pregare: «Signore, salva questa donna, non me!». Quello divenne il suo ultimo aborto.
Dagli anni Novanta Adasevic inizia a viaggiare in tutto il paese, tenendo conferenze e scrivendo articoli pro life. Per due volte riesce addirittura a far trasmettere sulle televisioni nazionali il celebre video del ginecologo americano Bernard Nathanson, Il grido silenzioso, che a metà degli anni Ottanta denunciava l’atrocità delle vite umane stroncate nel grembo materno. Addirittura l’attivismo dell’ex medico abortista portò il parlamento della Jugoslavia post-Tito ad approvare un decreto a favore dei diritti del concepito: solo il veto dell’allora presidente Slobodan Milosevic bloccò questa decisione a tutti gli effetti pionieristica.
VICINO ALLE DONNE
In Serbia, afferma Adasevic, le statistiche dell’aborto fanno paura: «Non abbiamo nessuna cifra ufficiale, ma dai calcoli e le osservazioni che ho potuto fare in base alla mia esperienza, posso affermare che a metà anni Novanta ci sono stati 6 aborti per ogni nato nel paese. Negli anni Duemila la situazione è addirittura peggiorata: i reparti di maternità sono vuoti, le cliniche per aborti strapiene. Praticamente non esiste nessuna famiglia serba che non sia stata toccata da almeno un’interruzione di gravidanza. Questa è una guerra vera, dichiarata da chi è nato contro chi non è ancora nato. In questa guerra io ho passato la linea del fronte più volte: prima come bimbo non ancora nato condannato a morte, quindi come abortista, e ora come attivista pro-life». La scelta di schierarsi dalla parte della vita è costata vari sacrifici ad Adasevic: quando comunicò al suo ospedale di Belgrado che non avrebbe più fatto operazioni di questo tipo, i funzionari lo guardarono straniti: in Serbia nessun ginecologo si era mai rifiutato di compiere un aborto. Dopo la scelta, lo stipendio gli venne decurtato della metà, la figlia venne licenziata dal lavoro, il figlio non fu ammesso all’università.
Per il medico «convertito» alla vita è Madre Teresa di Calcutta ad aver ragione quando diceva: «Se una madre può uccidere il proprio figlio, cosa ci impedirà di ucciderci gli uni gli altri?». «La diffusione dell’aborto in Serbia è determinata anche dalla mancanza di educazione religiosa», annota. E Adasevic, da vero pro-life e sostenitore delle donne punta il dito contro gli uomini, responsabili anch’essi delle vite stroncate prima di nascere: «Troppo spesso hanno stili di vita da playboy. Seducono il maggior numero di donne possibile e dopo, proprio quando la paternità sarebbe la cosa più necessaria per loro e i loro figli, le abbandonano a se stesse».

Fonte: 24 Novembre 2008

9 - L'IDEOLOGIA CHE TRASFORMA LA DIGNITA' UMANA IN UNA PATENTE A PUNTI

Autore: Mario Melazzini - Fonte: Presidente nazionale Aisla Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica.

 «Man mano che il corpo perde funzionalità, diminuisce il punteggio, finché non viene revocato il diritto a vivere. È un’offesa per tutti, ma soprattutto per noi malati».

Ancora una volta una persona, un essere umano, diventa strumento di una ideologia. Dalla sentenza della Corte di cassazione non escono né vincitori né vinti ma solo una grande sconfitta: la vita, che non viene più riconosciuta bene inalienabile e indisponibile, dotata intrinsecamente di dignità. In questa sentenza, invece, la dignità della vita viene subordinata al concetto di qualità, determinata da alcuni parametri arbitrariamente precostituiti. La vita non è più considerata degna di essere vissuta a prescindere, non è più un valore assoluto ma diventa paragonabile a una sorta di patente a punti. Quasi che, a mano a mano che il corpo perde funzionalità, i punti debbano diminuire fino a quando viene revocato il diritto di vivere perché la vita ha ormai perso la sua ragione di essere e la persona la sua dignità di esistere.
 La morte non è un diritto, è un fatto. Non sussiste la necessità di garantirla da parte di uno Stato di diritto. Il vero diritto che bisogna in primo luogo garantire a tutti i cittadini è quello alla vita, definito 'inalienabile' anche dalla Costituzione.
  Invece nel caso di Eluana e in tutte quelle situazioni cui le persone si trovano in condizioni di grave disabilità che richiedono sforzi adeguati per garantire assistenza, presa in carico e sostegno anche economico ai malati e alle famiglie sembra quasi che non si voglia raccogliere la sfida. Meglio scegliere, forse per opportunità, di mettere per sempre fine al problema, privando una persona del suo sacrosanto diritto di vivere. Non possiamo, nel caso specifico di Eluana, certo parlare di accompagnamento al morire. Se venisse davvero compiuto l’ultimo atto, sarebbe un vero e proprio omicidio! Non essendo Eluana malata terminale, ma solo una grave disabile, non possiamo affermare che l’alimentazione e l’idratazione artificiale siano strumenti terapeutici e come tali potenzialmente identificabili come accanimento terapeutico. Non è stata considerata la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità: infatti tale sentenza contrasta inevitabilmente con il punto F dell’articolo 25 , dove si afferma il dovere da parte degli Stati di «prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazioni di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità».
  Nel caso si procedesse all’ultimo atto, quindi, Eluana morirà di fame e di sete. Io penso che attraverso un’adeguata assistenza si può evitare che lo scafandro in cui si trasforma il corpo di chi ha perso le proprie funzioni motorie imprigioni un’anima che nonostante tutto può continuare a volare. È questo il messaggio che una società che ambisca ad essere a misura d’uomo deve raccogliere.
 Un corpo malato o disabile non può diventare un fattore di isolamento, esclusione ed emarginazione dal mondo. È inaccettabile avallare l’idea che alcune condizioni di salute o di disabilità rendano indegna la vita e trasformino il malato o la persona con disabilità in un peso sociale. Si tratta di un’offesa per tutti, ma in particolar modo per chi vive una condizione di malattia, come la vivo io, malato di Sclerosi laterale amiotrofica; questa idea, infatti, aumenta la solitudine dei malati, dei disabili e delle loro famiglie, introduce nelle persone più fragili il dubbio di poter essere vittima di un programmato disinteresse da parte della società. Purtroppo, oggi, una certa corrente di pensiero ritiene che la vita in certe condizioni si trasformi in un accanimento e in un calvario inutile, dimenticando che un’efficace presa in carico e il continuo sviluppo della tecnologia consentono anche a chi è stato colpito da patologie altamente invalidanti di continuare a guardare alla vita come a un dono ricco di opportunità. Non bisogna lasciare che siano la trascuratezza, l’abbandono e la solitudine a decretare una vita indegna di essere vissuta. È necessario aprire una concreta discussione su che cosa si stia facendo per evitare l’emarginazione delle persone con gravi patologie invalidanti e su quanto realmente si sta investendo nel percorso medico e nella continuità assistenziale domiciliare, chiedendosi con molta sincerità se proprio dalla mancanza sempre più evidente di assistenza domiciliare qualificata, supporto adeguato alla famiglia, reti di servizi sociali e sanitari organizzati, solidarietà, coinvolgimento e sensibilità da parte dell’opinione pubblica scaturiscano quelle condizioni di sofferenza e di abbandono a causa delle quali alcuni malati chiedono di porre fine alla propria vita.
 In definitiva, non credo che i cittadini di un Paese che voglia dirsi civile possano accettare passivamente il fatto di poter disporre o meno del proprio diritto alla vita in base a un semplice strumento giuridico. Altrimenti, paradossalmente viene più tutelata la decisione di interrompere una vita che non la scelta di chi vuole continuare ad esercitare il proprio diritto alla vita. E chi volesse essere davvero libero di vivere dovrebbe continuare ad affrontare una vera e propria battaglia quotidiana per avere a disposizione tutti quegli strumenti attraverso cui poter raggiungere il bene più grande che, invece, dovrebbe essere garantito in partenza e a tutti: la vita.

Fonte: Presidente nazionale Aisla Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica.

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