BastaBugie n�25 del 18 aprile 2008

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1 GLI INTERESSI CHE SONO DIETRO LA DEFINIZIONE DI MORTE CEREBRALE
Intervista al professor Paul Byrne: morte cerebrale... o eutanasia?
Autore: Veronica Rasponi - Fonte: Radici Cristiane
2 GAZA, TEATRINO-CHOC SU TV DI HAMAS
Bambino uccide la marionetta-Bush
Fonte: Fonte non disponibile
3 RIFIUTA DI CURARSI PER NON ABORTIRE: MUORE DOPO IL PARTO
Ha rifiutato anche le cure rischiose per il bimbo: è spirata a 45 giorni dalla nascita del bambino. La giovane donna era attiva nel volontariato e faceva parte di una associazione che aiutava i bambini di strada della città di Recife in Brasile.
Autore: Paolo Ferrario - Fonte:
4 ICEBERG E RISCALDAMENTO GLOBALE

Autore: Rino Cammilleri - Fonte:
5 L'INVENTORE DEL TELEFONO E' ITALIANO
Meucci e la memoria riabilitata
Autore: Franco Gabici - Fonte:
6 STORIA DI UNA PENOSA RIUNIONE DI UNIVERSITARI CONTRO LA CHIESA

Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BASTABUGIE
7 ANTONIETTA MEO, TESTIMONE DI GESU' CROCIFISSO A 6 ANNI
Potrebbe essere la più piccola beata non martire della storia della Chiesa
Autore: Piersandro Vanzan S. I. - Fonte:
8 PADRE MARCIAL MACIEL, FONDATORE DEI LEGIONARI DI CRISTO

Autore: Gianpaolo Barra - Fonte:

1 - GLI INTERESSI CHE SONO DIETRO LA DEFINIZIONE DI MORTE CEREBRALE
Intervista al professor Paul Byrne: morte cerebrale... o eutanasia?
Autore: Veronica Rasponi - Fonte: Radici Cristiane, n. 33 Aprile 2008

Paul Byrne, neonatologo, è professore di Pediatria presso la Facoltà di Medicina dell'Università dell'Ohio (Stati Uniti) e direttore del reparto di Neonatologia e Pediatria al St Charles Mercy Hospital dell'Ohio.
Dopo una vita dedicata a fare nascere bambini, a salvare neonati in difficoltà e a combattere contro la piaga dell'aborto, lo abbiamo incontrato a Roma, durante un convegno, nel quale difendeva un altro momento fondamentale della vita umana: la morte. Finis Vitae, il libro che veniva presentato al Consiglio Nazionale delle Ricerche, comprende una serie di saggi sul tema della "morte cerebrale" tra i quali quello del dott. Byrne su: Morte: l'assenza della vita. Gli abbiamo dunque posto alcune domande.
Dott. Byrne, sappiamo che lei è qui per presentare l'edizione italiana di un libro sul tema della "morte cerebrale" Ci può anzitutto dare una definizione di "morte cerebrale"?
Il termine "morte cerebrale" può voler significare almeno tre cose diverse: 1) potrebbe trattarsi di una vera morte; 2) il paziente potrebbe avere la totalità del cervello, o parte di esso, distrutta; 3) ci potremmo trovare di fronte alla cessazione solo di alcune funzioni del cervello.
Se così è, perché oggi quando si parla di "morte cerebrale" si tende a credere che ci si trovi di fronte ad una "vera"morte?
La ragione per cui si è sviluppato il concetto di "morte cerebrale", intesa come "vera" morte, è per poter prelevare organi vitali per i trapianti. Prima del 1968 non vi era alcuna possibilità di recuperare organi per i trapianti. Gli unici organi che venivano trapiantati erano i reni. Poi è stato inventato il concetto di "morte cerebrale" con il quale si possono ottenere altri organi vitali come il cuore e il fegato.
Il fondamento di questo concetto non era però in accordo con la scienza medica ordinaria che si sviluppa sulle ricerche della scienza di base. Partendo da questi studi, viene svolta con precauzione la ricerca clinica che deve prestare molta attenzione alla protezione dei pazienti ai quali vengono somministrati i nuovi trattamenti in via sperimentale. Ebbene, questo approccio precauzionale non è stato seguito con la "morte cerebrale".
Ma come e quando è nato questo concetto?
Il concetto di "morte cerebrale" è stato sviluppato nel 1968 da un comitato dell'Università di Harvard il cui rapporto finale è molto chiaro fin dal suo incipit. «La nostra intenzione principale è definire il coma irreversibile come nuovo criterio di morte». Ma nessuno studio scientifico serio aveva dimostrato questo fatto. Era stata solo osservata l'assenza di riflessi di alcune cellule cerebrali su pazienti che erano attaccati a dei ventilatori.
I ventilatori venivano dunque staccati per vedere se i pazienti erano in grado di respirare senza. Quando il paziente non riusciva da solo a respirare veniva allora dichiarata la "morte cerebrale" che diventava il segnale per poter procedere all'espianto degli organi. Questo è stato fatto senza aver svolto degli studi di scienza di base e senza pubblicare i risultati delle ricerche effettuate sui primi pazienti.
Successivamente, furono stabiliti nel 1971 i "criteri del Minnesota": su nove pazienti sui quali venivano registrate le onde cerebrali, due avevano effettivamente dimostrato attività "biologica". La conclusione dell'esperimento è stata che non era più necessario studiare le onde cerebrali prima di dichiarare la "morte cerebrale" di una persona.
Successivi approfondimenti e studi furono fatti su 500 pazienti: 44 di essi non morirono e di quelli che morirono, il 10% non aveva nessun problema con il cervello. Questi risultati vennero pubblicati nel 1977 sul giornale dell'Associazione Medica americana. I ricercatori raccomandarono criteri validi per poter giungere a un esperimento medico più ampio ed approfondito che non venne però mai eseguito. E questo perché, avendo già iniziato il prelevamento di organi, nessuno voleva approfondire una questione che avrebbe potuto bloccare un'attività già in piena espansione.
Ma questo non va contro l'etica medica?
L'antico giuramento ippocratico esorta il medico: «aiuta, guarisci, non nuocere, non uccidere». L'etica medica impone che la vita venga protetta e preservata dal concepimento fino alla fine naturale.
La morte è l'evento che pone fine alla vita, così come la nascita è l'inizio della vita. I sostenitori della "morte cerebrale" considerano la morte come un "processo" che si sviluppa nel tempo. Ma se così fosse, finché siamo nel processo, vi è ancora vita.
Ma noi dobbiamo stabilire un momento della morte e così come era evidente nel passato, non lo è più con il nuovo concetto di "morte cerebrale". Non possiamo essere sicuri fisicamente di questa morte perché vi è ancora il cuore che batte, vi è ancora la respirazione, anche se aiutata da un ventilatore, vi sono ancora i movimenti del corpo o qualche forma di azione. Non possiamo dunque definire queste persone "morte".
Il medico dovrebbe proteggere la vita e confortare i parenti che a lui si affidano. Non può dichiarare "morto" ciò che morto non è. Non si può contraddire la verità applicata da sempre nel campo medico. Purtroppo però i fautori della "morte cerebrale" non sono interessati a conoscere la verità ma si preoccupano solo di ottenere organi.
Siamo dunque all'eutanasia?
L'eutanasia è una morte imposta dal dottore, dai parenti o dal paziente stesso. Quando qualcosa è fatta deliberatamente al paziente per provocarne la morte, si può definire eutanasia. Il termine "eutanasia" è un termine che crea confusione perché "eu" viene dal greco e vuoi dire "buono" e "thanatos", di stessa matrice greca, vuoi dire "morte".
In realtà, piuttosto che usare il termine di "buona morte", sarebbe più opportuno utilizzare quello di "morte imposta", che, applicata ai non-nati, si chiamerebbe "aborto", applicata ai bambini appena nati sarebbe l'"infanticidio", applicata agli adulti si chiamerebbe "assistenza medica al suicidio". In questo senso la "morte cerebrale" può essere definita come una "morte imposta" per recuperare organi vitali.
Lei ha citato l'aborto. In fondo la sua professione è legata all'inizio della vita, non alla fine. Cosa prova ogni volta che fa nascere un bambino?
Non si smette mai di essere meravigliati dalla bellezza della vita. Ogni persona è unica e irripetibile e identificabile da molte caratteristiche: dal colore della pelle, degli occhi, dei capelli, e così via. Il DNA identifica geneticamente ognuno di noi fin dal primo momento della concezione e il DNA lo troviamo in tutte le nostre cellule, in tutti i nostri organi.
Bisognerebbe portare le persone a capire l'unicità e l'irripetibilità della vita umana, fatta ad immagine e somiglianza di Dio. Con il dono della vita, noi riceviamo anche quello dell'intelligenza e della libertà che di per sé dovrebbe spingerci a cercare il bene e ad evitare il male.
Come noi dobbiamo preservare la nostra vita, e siamo portati a farlo naturalmente, così dobbiamo preservare quella delle altre persone, principalmente dei più deboli e indifesi. La vita va dunque protetta fin dal primo istante.
Qual è l'impatto sulla società dei movimenti pro-vita americani?
A me sembra che i giovani siano molto più attivi e convinti delle persone della mia età. Basti pensare alla March for Life che si svolge a Washington ogni 22 gennaio per protestare contro la legge che legalizzò l'aborto in America: la maggior parte dei partecipanti ha meno di 40 anni.
Ma purtroppo vi sono attivisti in tutti e due gli schieramenti. Molti sono coloro che sono contrari all'aborto ma solo in parte, con dei distinguo. Tra queste persone vi sono molti politici che per questo motivo non fanno una vera campagna contro. A me questa sembra una posizione non razionale.
I movimenti pro-vita sono comunque molto attivi sia a livello nazionale, come l'American Life League o il Human Life International, che a livello locale. Per esempio nel South Dakota, il governo locale aveva votato in favore della liberalizzazione di qualsiasi tipo di aborto, senza restrizioni. I gruppi pro-vita non si sono dati per vinti e hanno ottenuto di andare al referendum che ha respinto la legge.
E in questa attività di sensibilizzazione, quale ruolo svolge il clero cattolico?
La posizione ufficiale della Chiesa è contraria all'aborto ma purtroppo solo pochi sacerdoti e vescovi osano parlare chiaramente. Le chiese, negli Stati Uniti, beneficiano di un regime "esentasse", ma questo presuppone che non debbano parlare di questioni politiche. Se lo fanno, vengono "minacciati" di perdere questo status. Questo fa sì che molti hanno paura di parlare ufficialmente, anche se in privato la maggior parte dei vescovi e dei sacerdoti sono assolutamente contrari.

DOSSIER "DONAZIONE DI ORGANI"
L'inquietante concetto di "morte cerebrale"

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Fonte: Radici Cristiane, n. 33 Aprile 2008

2 - GAZA, TEATRINO-CHOC SU TV DI HAMAS
Bambino uccide la marionetta-Bush
Fonte Fonte non disponibile

Un teatrino, due pupazzi. Il primo rappresenta un bambino palestinese. L’altro simboleggia il presidente degli Stati Uniti George W. .
  Bush. I due iniziano a discutere: il bambino accusa Bush: «Tu e i tuoi amici israeliani avete assassinato mio padre in Iraq, avete ucciso mia madre in Libano, i miei fratelli e le mie sorelle a Gaza: io sono orfano, tu sei un assassino». «Devo vendicarmi con la spada dell’islam», dice l’attore che dà la voce al piccolo palestinese, il quale comincia a colpire più volte la marionetta-Bush. «Mi pento, non uccidermi», prega il presidente Usa che invita il bambino alla Casa Bianca (riprodotta sulla scena). Alla fine «l’impuro» Bush muore e il bambino chiede che la Casa Bianca sia trasformata in una moschea. È l’ultima provocazione della televisione di Hamas “alAqsa” nella Striscia di Gaza, che da tempo utilizza questa trasmissione destinata ai più piccoli come strumento di propaganda politica. In passato c’era stato “Farfur”, una specie di Topolino poi morto in scena ucciso dai pugni di un agente israeliano. Più di recente altri pupazzi che incitavano al ruolo dei kamikaze e agli attacchi suicidi.

Fonte: Fonte non disponibile

3 - RIFIUTA DI CURARSI PER NON ABORTIRE: MUORE DOPO IL PARTO
Ha rifiutato anche le cure rischiose per il bimbo: è spirata a 45 giorni dalla nascita del bambino. La giovane donna era attiva nel volontariato e faceva parte di una associazione che aiutava i bambini di strada della città di Recife in Brasile.
Autore: Paolo Ferrario - Fonte:

Ha scelto la vita senza esitare, felice di diventare madre ancora una volta. Nemmeno per un istante ha pensato di sacrificare la nuova creatura che le stava crescendo in grembo per salvare se stessa. Così, nel giorno del Venerdì Santo, è morta Stefania Dal Cer, 36 anni di Saronno, uccisa da un melanoma maligno scoperto tre giorni dopo aver saputo di essere incinta di Misael, nato l’8 febbraio. Per suo amore ha rifiutato le cure che i medici le avevano consigliato, ma che avrebbero irrimediabilmente compromesso la vita del bambino.
  «Ha affrontato tutto con determinazione e coraggio, sempre con il sorriso sulle labbra», ricorda la sorella Simona, che con la famiglia ha accompagnato gli ultimi sei mesi di Stefania, educatrice di scuola materna e già mamma di Gloria, una bimba di tre anni. Dopo la morte della madre, sarà proprio Simona a prendersi cura della piccola, mentre Misael starà col padre e con la nonna. «Naturalmente – aggiunge – la speranza di Stefania e di noi tutti era che, alla fine, le cose andassero bene, che tutto si risolvesse positivamente. Ed è stata proprio questa speranza, questa voglia di vedere che cosa sarebbe successo dopo, che l’ha sostenuta, dandole forza e coraggio, aiutandola anche quando il dolore fisico sembrava avere il sopravvento».
  Quando, a poco a poco, le forze l’hanno abbandonata e la stanchezza era sempre più grande, Stefania si è affidata con ancora più convinzione alla preghiera, continuando a combattere così la propria battaglia con la malattia. «Gli ultimi giorni accanto a lei – dice ancora la sorella – sono stati una vera esperienza spirituale. Stefania sperava e pregava, senza un lamento, senza una parola di rimpianto, ma, anzi, felice della scelta compiuta. Fin dal primo istante sapeva che cosa rischiava e ha affrontato anche questa prova da vera combattente qual era».
  Un esempio che ha lasciato il segno nella comunità della Sacra Famiglia di Saronno, che sabato mattina ha gremito la parrocchiale per l’ultimo saluto a Stefania. Nell’omelia, il parroco don Alberto Corti ha parlato del «sepolcro che si apre alla Resurrezione», sottolineando così l’approdo definitivo che attende questa giovane madre coraggiosa. «Come la santa Gianna Beretta Molla – aggiunge il vicario episcopale di Zona, monsignor Angelo Brizzolari – anche questa giovane madre, illuminata dalla Grazia di Dio, ha messo al primo posto il rispetto assoluto per la vita. È un altro esempio di testimonianza di fede, silenziosa e discreta, senza clamore ma molto convinta e convincente, dalla quale la comunità può trarre insegnamento».
  Anche gli amici dell’associazione “Pe ’no chao”, che si occupa di bambini di strada a Recife, in Brasile, di cui Stefania era volontaria molto attiva, hanno voluto leggere una lettera per testimoniare a tutti il suo grande impegno accanto ai deboli, agli ultimi della Terra. «Ho conosciuto Stefania durante il suo soggiorno a Recife – dice Paolo Cremonesi, che in Brasile ha trascorso quattro anni – e ricordo una persona molto aperta e desiderosa di mettere al servizio degli altri le proprie capacità. Era felice di stare coi ragazzi e di poter conoscere, da vicino, i progetti che, con gli altri volontari del gruppo, aveva contribuito a sostenere attraverso le iniziative che solitamente promuoviamo sul territorio durante l’anno».
 Stefania Dal Cer, 36 anni, ha scoperto di essere affetta da un melanoma maligno tre giorni dopo avere saputo di attendere il suo secondo figlio.


4 - ICEBERG E RISCALDAMENTO GLOBALE

Autore: Rino Cammilleri - Fonte:

Sulla newsletter n. 66 dell’agenzia SviPop, a proposito dell’iceberg staccatosi dall’Antartide in questi giorni e riportato con enfasi in tutti i media come effetto del «riscaldamento globale», Riccardo Cascioli ha scritto: «Problema: se un iceberg alla deriva è lungo 41 km e largo 2,4 km, quale sarà la sua superficie?». Risposta (da elementari): 98,4 km. Bene. Allora perché «tutti i giornali» hanno parlato di 405 kmq? Risposta: «Tanti giornalisti, dimentichi delle regole base del mestiere, non verificano più le notizie.

Così basta che il primo traduca male dall’inglese una notizia e tutti ripetono l’errore all’infinito. In effetti, nella notizia originale  che arriva dall’University of Colorado's National Snow and Ice Data Center, i 405 kmq non si riferiscono alla superficie dell’iceberg ma alla superficie totale del Wilkins Ice Shelf disintegratasi come conseguenza del distacco dell’iceberg». Ora, se i giornali hanno riportato tutti i numeri menzionati qui sopra, vuol dire che non ci si è presi neanche la briga di verificare la moltiplicazione 41 x 2,4.

E che, anche, ormai «la stragrande maggioranza dei lettori beve tutto quello che legge e vede, senza neanche più porsi delle domande». Ma c’è di più. In Antartide si è alla fine dell’estate e la formazione di iceberg è normale (nel 2000 se ne staccò uno di 11mila kmq; nel 1956 addirittura uno di 31mila).

Gli iceberg si formano quando il ghiaccio è in aumento, non il contrario. Cascioli: «Già, ma allora bisognerebbe anche ammettere che l’iceberg con il riscaldamento globale non c’entra niente. E allora addio soldi a chi – scienziati, giornalisti e politici - sugli allarmismi ci campa». Un’ultima cosa (che devo alla stessa agenzia) se il c.d. riscaldamento globale è un allarme del Terzo Millennio, cosa ci faceva nel 1912 al largo di New York (che è alla stessa latitudine di Napoli) l’iceberg che nel 1912 affondò il Titanic?


5 - L'INVENTORE DEL TELEFONO E' ITALIANO
Meucci e la memoria riabilitata
Autore: Franco Gabici - Fonte:

Antonio Santi Giuseppe Meucci, il padre del telefono del quale ricorrono quest’anno i duecento anni della nascita, non ha potuto godere in vita il riconoscimento della sua invenzione. Fin dall’inizio, infatti, ha dovuto fare i conti prima con il 'télégraphe parlant' del connazionale Innocenzo Manzetti, uno strumento basato sull’induzione magnetica che consentiva di trasmettere la voce a distanza, e successivamente con il potente Alexander Graham Bell che aveva brevettato una invenzione simile. Meucci , che navigò sempre in cattive acque, aveva presentato nel 1871 un brevetto provvisorio del suo 'teletrofono', ma non riuscì mai a racimolare il denaro necessario per ottenere il brevetto definitivo e così per molto tempo il merito dell’invenzione del telefono andò all’americano. Ma pochi anni fa, l’11 giugno del 2002, il Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto finalmente la paternità dell’invenzione del telefono all’italiano Antonio Meucci, chiudendo così un contenzioso che andava avanti da molti anni.
  Nato a Firenze, nel quartiere di San Frediano, il 13 aprile del 1808, Meucci si formò alla Accademia di belle arti e dopo una breve parentesi come impiegato della dogana si guadagnò da vivere al Teatro della Pergola come tecnico di scena, un mestiere che avrebbe praticato anche al teatro Tacon dell’Avana dove fu costretto ad emigrare nel 1835 dopo aver partecipato ai moti risorgimentali del 1831 nel corso dei quali fu anche arrestato insieme a Francesco Domenico Guerrazzi.
  Lavorava con lui anche la moglie Ester Mochi, capo costumista del teatro. Pochi anni dopo, però, il teatro veniva distrutto da un incendio e Meucci si trovò senza lavoro. Pur senza sapere nemmeno una parola di inglese si trasferì a New York e la sua casa diventò ben presto un rifugio per tanti italiani. Avviò anche la prima fabbrica di candele steariche.
  Meucci, che definì la propria invenzione «il miglior strumento della mia vita», aveva costruito il primo prototipo di telefono nel 1854 per collegare il proprio ufficio con la camera della moglie costretta a letto da una grave malattia. Di questo suo primo esperimento esiste anche un disegno dell’artista e scultore Nestore Corradi che testimonia la paternità dell’invenzione di Meucci. L’esperimento in realtà costituiva il perfezionamento di una precedente idea. Durante la sua esperienza in teatro, infatti, Meucci aveva inventato un congegno per trasmettere ordini dalla cabina di regia alle zone del palcoscenico dove lavoravano gli operai. La vita dell’inventore non fu facile. Nonostante avesse accumulato una discreta fortuna quando lavorava all’Avana, a seguito di consigli sbagliati si ritrovò in gravi strettezze finanziarie. Patì anche una lunga infermità causatagli dallo scoppio del Westfield, il traghetto che collegava New York a State Island, e in quell’occasione la moglie vendette a sua insaputa i modelli del telefono per poter far fronte alle spese mediche e alle necessità della vita quotidiana.
  Oltre al telefono Meucci si distinse anche per altre invenzioni. Fra queste ricordiamo una particolare materia plastica per costruire palle da biliardo in sostituzione dell’avorio. Antonio Meucci morì a Staten Island il 18 ottobre 1889 poco più che ottantenne.


6 - STORIA DI UNA PENOSA RIUNIONE DI UNIVERSITARI CONTRO LA CHIESA

Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BASTABUGIE

Il 5 marzo scorso è stato organizzato dagli studenti nella facoltà di Lettere e Filosofia di Siena un incontro intitolato "Tuteliamo la legge 194 per un mondo migliore", sottotitolo "Ragazze, sveglia! C'è chi vuole decidere per noi. Incontriamoci". Nei primi venti minuti è stato proiettato un filmato: si è così inteso evidenziare il percorso storico che ha portato all'approvazione in Italia della legge 194 con cui è stato legalizzato l'aborto.
Ciò che mi ha più colpita è che, negli interventi successivi al filmato, è stato fin da subito evidenziato apertamente e senza mezzi termini qual è il vero punto cruciale della battaglia a favore dell'aborto: un intenso odio contro tutti i valori cattolici e soprattutto contro la Chiesa e il Papa.
I presenti, una trentina di ragazzi, dandosi man forte a vicenda, hanno fin dal primo intervento sostenuto con chiarezza che se l'Italia è stata così tardiva rispetto alle altre nazioni, sempre più all'avanguardia di noi, nell'approvazione della libertà di abortire della donna è colpa solo dei cattolici. Per essere ancora più precisi, la risaputa arretratezza dell'Italia (da loro sostenuta) è causata da un solo cancro: la presenza dello Stato Vaticano proprio al centro della nostra sfortunata nazione. E ancora: adesso che la RU486, la pillola che procura l'aborto chimico, già in commercio in alcuni Paesi, sta diventando una realtà che richiama sempre più attenzione anche in Italia, "dobbiamo difenderci da Benedetto XVI che, purtroppo, non è Giovanni Paolo II".
Le riflessioni da fare sarebbero molteplici: l'aborto e la legge 194 che lo legalizza sono una libertà della donna o piuttosto una pressione culturale che ostacola la piena realizzazione di un naturale istinto femminile (avere figli)? Lo Stato che legalizza l'aborto asseconda la libertà della donna o "se ne lava le mani" davanti ad un problema sociale molto grande, abbandonando la mamma al proprio destino (ricorda un certo Pilato che per non aver impicci...)? Perché gli aborti sono gratuiti, finanziati con le tasse, i soldi dei cittadini, mentre non viene stanziato nessun centesimo nei confronti di una mamma che, pur con notevoli difficoltà economiche, decide con coraggio di partorire? La Chiesa ha contribuito alla chiusura mentale degli italiani oppure testimonia e promuove la cultura e l'apertura al rispetto della dignità umana?
Potrei dilungarmi ancora molto con queste domande, che avrei voluto porre ai presenti e che mi piace rivolgere almeno a voi che leggete e a me stessa. Nel contesto della riunione, però, mi interessa porre l'attenzione sul punto che mi ha scossa: ma la riunione promossa dagli studenti non doveva parlare della legge 194? Eppure ogni intervento aveva un solo obiettivo: attaccare la Chiesa Cattolica. La legge era solo un pretesto. Possibile che esista un esercito di persone che odia a tal punto i sani e razionali valori del diritto naturale? Possibile che nessuno dei presenti abbia mai sentito dire che è proprio grazie a Gesù e conseguentemente alla Chiesa che è stata riconsegnata alla donna la dignità di persona? Possibile che si abbia la percezione che il Papa abusi e strumentalizzi la donna e non che continui a difendere il suo diritto alla maternità, nonostante la cultura e la società contemporanee remino in senso contrario?
Il paradosso era anche che durante la riunione era chiaro che, pur condividendo uno scopo comune (contrastare con tutte le proprie forze la Chiesa Cattolica) per il resto la confusione era grande. Ad esempio, alcuni dei presenti sostenevano che la donna è libera di scegliere l'aborto solo nei primi tre mesi di gravidanza; altri però ribattevano che "forse" doveva poterlo scegliere fino a sei. Un ragazzo infine sosteneva che fino all'ultimo giorno prima del parto la donna doveva essere lasciata libera di scegliere fra una maternità responsabile oppure un aborto; e non si capiva perché molti gli dessero contro, sostenendo che la scelta dell'aborto può avvenire solo all'inizio di una gravidanza. Qualcuno sosteneva che bisogna stare attenti a parlare di "vita", perché anche quella di un albero è una vita, ma nessuno ne chiede il funerale se si abbatte.
Poi l'incontro ha toccato un vertice di involontaria comicità quando una ragazza urlando ha detto: "Vogliono costringerci a partorire e magari con ciò a smettere di lavorare! Ad esempio mia madre ha rinunciato alla carriera per partorire me! Vi sembra giusto?". Né la ragazza, né i presenti si sono accorti dell'autolesionismo contenuto in tali affermazioni...
Soltanto gli ultimi due minuti della tristissima e superficiale riunione si è arrivati al punto cruciale della questione: quando si può dire che inizia la vita umana? Ovvero: quando un aborto diventa omicidio? Ma l'argomento non è stato considerato sufficientemente degno di interesse. Così solo un ragazzo si è azzardato a dire che "qualcuno" dovrebbe prendersi la responsabilità di identificare il momento preciso in cui inizia la vita. Magari però non la scienza perché quella troppo spesso cambia opinione... Ma ormai il tempo a disposizione per la riunione era finito ed evidentemente i presenti se ne sono andati appagati con la convinzione che i temi importanti e fondamentali fossero già stati ampiamente trattati.

Fonte: Redazione di BASTABUGIE

7 - ANTONIETTA MEO, TESTIMONE DI GESU' CROCIFISSO A 6 ANNI
Potrebbe essere la più piccola beata non martire della storia della Chiesa
Autore: Piersandro Vanzan S. I. - Fonte:

Nennolina nasce in una famiglia di solidi principi morali e religiosi, dove si recita il Rosario ogni giorno. E' una bambina molto vispa, sempre allegra, che ama cantare. Un giorno cade sbattendo il ginocchio su un sasso. Ma il dolore sembra non voler passare. I medici, che inizialmente non capiscono la natura del suo male, alla fine le diagnosticano un "osteosarcoma", un tumore alle ossa. Le viene quindi amputata la gamba. Nennolina, che ha poco più di cinque anni, mette allora una pesante protesi ortopedica; comincia la salita al calvario, ma la vivacità è quella di sempre...
Il 17 dicembre 2007 il Santo Padre, Benedetto XVI, ha autorizzato la Congregazione delle cause dei santi a promulgare il decreto sulle virtù eroiche di Antonietta Meo, così la piccola è stata dichiarata "Venerabile". Potrebbe presto diventare la più giovane beata non martire nella storia della Chiesa, è infatti già allo studio una presunta guarigione miracolosa, segnalata negli Stati Uniti.
Il suo corpo, dal 5 luglio del 1999, riposa in una piccola cappella adiacente a quella dove si conservano le reliquie della Passione di Gesù, all'interno della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Quella di Nennolina è una storia dolorosa, un'apparente storia ordinaria di quel vasto mondo dell'infanzia sofferente, ma è anche una storia rischiarata da una luce straordinaria, che illumina chi vi si accosta, introducendo al senso di quel grande mistero della vita che è il "dolore innocente"...

ANTONIETTA MEO, DETTA NENNOLINA: UNA MISTICA DI SEI ANNI
[...] Tra i piccoli grandi santi vogliamo ricordare Antonietta Meo (Roma, 1 dicembre 1930 - 5 luglio 1937)  detta Nennolina perché, come scrive la mamma nel diario, "Antonietta sembrava troppo lungo. Allora pensammo di chiamarla con un diminutivo e dopo diversi pareri decidemmo per Nenne. Di qui poi il vezzeggiativo Nennolina". [...]
Battezzata nella festa dei Santi Innocenti in Santa Croce di Gerusalemme, chiesa parrocchiale della famiglia, mai data e luogo furono più carichi di significato alla luce di quanto successe poi a questa bimba. Una vicenda profondamente segnata dalla croce di Cristo, abbracciata nella gioiosa convinzione dell'adimpleo paolino - "Completo in me quanto manca alle sofferenze di Cristo" (Col 1,24) - e costellata di fatti straordinari, generalmente riferiti nelle letterine che Antonietta dettò alla mamma. I contenuti di queste letterine, uniti ai fatti straordinari che vedremo più avanti, rivelano, secondo gli specialisti, un'autentica tipologia di esperienza mistica. Tanto più singolare in quanto Antonietta è una bimba normalissima: a 3 anni frequenta l'asilo delle suore, a 5 iscritta nelle "piccolissime" della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, a 6 inizia la prima elementare dalle stesse religiose e diventa "beniamina" della Gioventù Femminile. Ma già nell'aprile 1936 un osteosarcoma richiede l'amputazione della gamba sinistra e così inizia la sua dolorosissima via crucis, ma anche la sua ineffabile esperienza di Dio.
Nel settembre 1936 va in prima elementare con una protesi che le dà molto fastidio, come dice a Gesù: "Ogni passo che faccio sia una parolina d'amore" (26 marzo 1937). Pure allacciargliela era difficile, perché non stava mai ferma, e Caterina, la domestica, ricorda che una volta le disse: "Tu vuoi sempre giocare e io non ho tempo da perdere; non ti metto più l'apparecchio". Nennolina allora tutta seria rispose: "Sii buona; starò ferma [...] Io lo porto per amor di Gesù e tu mettimelo per amore di Gesù". Infine, sconcertante per noi è leggere che il 25 aprile, anniversario dell'amputazione, lo volle celebrare con una novena alla Madonna di Pompei, perché le aveva ottenuto la grazia di offrire la sua gamba a Gesù, e con "un gran pranzo e aprire la bottiglia per fare il brindisi".
Colpiti da quelle letterine e dalla maturità spirituale di Nennolina, preti e amici consigliarono la famiglia di anticipare la Prima Comunione alla notte di Natale 1936, nella cappella delle religiose sue insegnanti. Il 19 maggio 1937 ricevette pure la Cresima, alla quale è legata non solo un'impressionante, nuova conoscenza esperienziale dello Spirito Santo, ma anche la sua eccezionale insistenza nel chiedere i Sette doni. Era ormai la vigilia degli ultimi tremendi 40 giorni, e quello della fortezza si manifestò come il dono più vistoso. L'amputazione della gamba, purtroppo, non aveva fermato il tumore che, a metà giugno, si rivelò con metastasi al capo, a una mano e al piede, cistite, mughetto alla bocca e alla gola. Lancinanti i mali e ancor più le terapie: puntura esplorativa al polmone sinistro, estrazione di liquido dallo stesso, resezione di tre costole effettuata con semplice anestesia locale, data l'insufficienza cardiaca.
In breve, nella vicenda di Antonietta si coniuga l'irruzione di una Grazia "tremenda e fascinosa" con una risposta generosa al massimo, e si rivelano così le meraviglie che il Dio e Padre di Gesù Cristo, nella potenza dello Spirito Santo, ama compiere sia nei "piccoli" come Maria (cfr. Magnificat), sia in quelli la cui età viene considerata immatura e nella quale invece si confermano le parole di Gesù: "Ti ringrazio, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai dotti e le hai rivelate ai piccoli" (Me 11,25). Insomma, quello che sconcerta psicologi veterofreudiani o teologi iperscolastici è che Dio arricchisca di grazie speciali anche una Nennolina e che, senza forzarne la natura ma perfezionandola con la Grazia, realizzi in lei tanto una squisita finezza nelle cose dello Spirito quanto una eroicità nel patire-offrire che difficilmente si trova in persone di età matura e dopo un lungo cammino di fede.

COEFFICIENTI UMANI NELL'EVOLUZIONE SOPRANNATURALE DI NENNOLINA
Per valutare adeguatamente le meraviglie che Dio ha operato in questa bimba - e non restare sconcertati dalla via crucis percorsa nel cammino verso il Padre -, giova ricordare i fattori umani che ne accelerano la crescita spirituale e mistica: la famiglia, la parrocchia, l'associazionismo - nella fattispecie la Gioventù Femminile - e la scuola cattolica. Da questi ambiti la bimba ricavò linfe spirituali e apostoliche, tipiche nella teologia e pastorale degli anni trenta, che lei però ha sintetizzato in modo originale, tanto a livello del vissuto, quanto nella traduzione orante di esso. Volendo concentrarci di più sulla famiglia, alla parrocchia, alla scuola e all'associazionismo riserviamo poche cenni, sufficienti tuttavia per cogliere l'ottima sinergia esistente tra queste agenzie educative.
Circa i sacerdoti, ricordiamo l'incontro di Nennolina con p. B. Orlandi (12 settembre 1936) - decisivo ai fini della Prima Comunione - e l'importanza del suo confessore, mons. Dottarelli (già famoso per il ruolo avuto nell'ordinazione sacerdotale di G. De Luca).
Nennolina domandava spesso a Gesù di farle trovare un buon confessore, perché "vorrei farmi santa" (8 novembre e 21 dicembre 1936). Poi, trovatolo, raccomanda continuamente a Gesù "di fargli tutte le grazie necessarie" (2 giugno 1937). Di fatto, nei processi canonici vediamo quanto tatto mons. Dottarelli usò con Antonietta, non solo durante la via crucis - insegnandole a soffrire e offrire -, ma anche nel discernere le grazie straordinarie dell'ultimo periodo e nel raccomandarle di far silenzio con tutti.
Per quanto riguarda l'associazionismo - mamma e papà ne davano continui esempi - i biografi sottolineano l'entusiasmo di Nennolina per ogni iniziativa, medaglia o pagellina della Gioventù Femminile, mentre per l'influsso delle suore, oltre alla gioia di Antonietta nel frequentare la scuola e il catechismo - lo dice ripetutamente a Gesù: "Ci vado volentieri, perché si imparano tante belle cose di Te e dei tuoi Santi" -, trapela spesso un evidente fascino imitativo, come quando scrive: "Voglio farmi suora, per essere la tua sposa, caro Gesù, e salvare molte anime" (5 e 21 dicembre 1936). Infine, nelle varie testimonianze raccolte al processo, le suore ricordano una caratteristica, anche un po' spettacolare, di Nennolina: chiedeva perdono, mettendosi in ginocchio e baciando la mano di chi la perdonava.
Ma veniamo al fattore principale, la famiglia. Come quasi sempre accade - lo ricordava anche il Papa nella sua Lettera ai bambini -, la santità di Nennolina attecchisce nel buon terreno di una famiglia romana degli anni trenta, in cui regna un'atmosfera di serenità amorosa e di profonda fede. E' una famiglia che gode un certo benessere (il papà lavora alla Presidenza del Consiglio), tanto da permettersi una "ragazza alla pari" (dal 1933, Caterina: 17 anni di Colfiorito). Religiosissimi, i Meo non solo pregano molto - nei vari momenti del giorno e a sera recitando, tutti assieme, il Rosario -, ma sono anche caritatevoli verso i poveri, sicché non meraviglia il contagio riportatone da Nennolina. Ricorda la mamma che, quando incontrava un povero, "voleva un soldino bianco [di nichel] e glielo porgeva con tanta grazia: i suoi occhi sfavillavano di gioia alle benedizioni del beneficato. A casa, era sempre lei che voleva porgere l'elemosina ai poveri che venivano a bussare".
Eppure questa famiglia tanto buona e religiosa conosce molto presto il dolore: due figli muoiono prematuramente e, quando nasce, Antonietta troverà soltanto Margherita, la sorellina di otto anni. Emblematicamente sul comodino del papà c'è sempre il libro della passione e morte di Gesù. Sono meditazioni che Nennolina si fa leggere e da cui impara questa massima: "Il dolore è come la stoffa, più è forte più vale!". Insomma, da subito Nennolina respirò un forte, tenero amore verso Dio e il prossimo, senza tuttavia rimuovere la croce, per cui la sua natura intelligente e pronta ha sentito - in famiglia e poi a scuola, in parrocchia e nell'associazionismo - non solo parlare di Gesù, di Maria, della Chiesa, del Papa, delle missioni, dell'Azione Cattolica e, in genere, delle varie attività ecclesiali, ma ha imparato anche quella prudenza e dolcezza che, insieme alla fermezza, sono necessarie per favorire l'opera dello Spirito, ossia "la Grazia a caro prezzo".

CARATTERISTICHE SPIRITUALI E MISTICHE DI NENNOLINA
Tra le caratteristiche, spirituali e mistiche, individuabili nella brevissima vita di Antonietta e che la sostennero nella dolorosa via crucis, percorsa con forza oblativa e addirittura gioiosa [come testimonia il dott. Vecchi, medico di famiglia, "sopportò l'intervento chirurgico e la diminuzione fisica che ne seguì, con non comune fortezza e letizia, mantenendo il suo carattere giulivo"], va ricordata sia la composita dimensione apostolica - fatta di preghiere e sofferenze riparatrici, come aveva insegnato Pio XI, immedesimandosi al Crocifisso -, sia la dolce relazione con le singole Persone divine e la Trinità nel suo insieme, da cui è venuto a Nennolina il sostegno di luce e forza umanamente incalcolabile che, specie nell'ultimo periodo, conobbe estasi, visioni e altri fatti straordinari.
Il primo aspetto - reso bene in varie letterine, specialmente quando si avvicinava il momento della Prima Comunione (18, 21 e 23 settembre 1936) - consiste in uno scambio d'amore, così formulato: "Caro Gesù, dammi anime, io ti do il cuore". Ma Antonietta non dimentica il plusvalore della sofferenza, come aveva imparato frequentando le "beniamine", lasciandoci però sconcertati quando dice al confessore: "Mi corico sulla ferita, perché in quel momento posso offrire più dolore a Gesù", o quando spiega a una religiosa, meravigliata perché era coricata sulla ferita, "così posso soffrire di più e offrire di più al Signore per i peccatori". Il 29 giugno, cinque giorni prima della morte, confida al papà: "Durante il giorno alle volte mi faccio mettere sulla ferita e vi premo sopra per sentire più dolore e offrirlo a Gesù". Realizzava così il suo ardente desiderio: stare sul Calvario, con Gesù e Maria.
Circa poi il suo originalissimo rapporto col Padre, il Figlio - pregato come bambino, adulto, flagellato, crocifisso, risorto, eucaristico, ma anche visto intimamente unito a Maria - e lo Spirito Santo, basta qualche passo delle ultime letterine: "Caro Dio Padre, che bel nome: Padre! [...]. Caro Dio Padre, io voglio fare tanti sacrifici per riparare i peccati [...]. Caro Dio Padre, perdona a tanti peccatori e fa che pentiti vengano in Paradiso a glorificare la SS. Trinità. [...] Caro Gesù, io non posso venire a riceverti sacramentalmente tutti i giorni, ma tu vieni almeno spiritualmente. [...] Caro Gesù, io voglio stare sempre sul Calvario, sotto la tua Croce, e anche voglio essere la tua lampada che arde giorno e notte davanti al SS. Sacramento dell'altare. [...] Caro Spirito Santo, tu sei l'amore che unisce il Padre al Figlio, santifica il mio corpo e la mia anima e fammi venire presto presto in Paradiso. [...] Cara SS. Trinità, benedici la Chiesa, il Papa, il Clero, la mia famiglia e tutto il mondo. Saluti e baci dalla tua Antonietta di Gesù" (4 febbraio 1937). E due giorni dopo: "Carissima SS. Trinità [...]. Caro Dio Padre! Io ti voglio tanto tanto ma proprio tanto bene! Caro Dio Padre, salva molte anime [...]. Caro Dio Padre! Mi ha detto mamma che domani si riunisce della gente e si vogliono chiamare "senza Dio". Che brutto nome! Dio c'è anche per quelli che non lo vogliono. Ma tu falli convertire e mandagli la tua Grazia. [...] Caro Gesù! Io domani farò la Comunione in riparazione dei peccati di quegli uomini che si vogliono chiamare "senza Dio". [...] Caro Spirito Santo! Benedicimi e illumina il mio corpo e la mia anima e fa che diventi sempre più buona. [...] Carissima SS. Trinità, io vi saluto e vi adoro e vi manda tanti baci la vostra Antonietta di Gesù".
Una parola infine sui fenomeni mistici, o comunque straordinari, registrati nella vita di Antonietta. È noto quanto la Chiesa sia guardinga in proposito, temendo non solo l'autosuggestione - particolarmente forte nei bimbi -, ma anche l'illusione diabolica. Perciò le meticolose indagini canoniche sulle visioni di Bernardetta a Lourdes, e dei tre pastorelli a Fatima. Ma tutta questa prudenza non significa escludere che Dio possa operare meraviglie quando vuole e anche nei bambini. Sarà la Congregazione per le cause dei santi a dirimere la questione riguardante le estasi (accertate quattro), le visioni (almeno sette) e gli altri fatti straordinari. Limitandoci a questi ultimi due fenomeni, la mamma riferisce che, nel gennaio 1937, Antonietta era a letto per un attacco di tonsillite e a un tratto le disse: "Mamma, io delle volte vedo Gesù !". La mamma domandò come lo vedesse e Nennolina: "Lo vedo confitto in croce". Fingendo indifferenza le disse: "Via cara! È la tua fantasia", ma Antonietta: "No, mamma: lo vedo bene. Qualche volta Gesù mi guarda, altre volte abbassa gli occhi o li chiude". E spiegò che vedeva anche la Madonna e, talvolta, l'apostolo Giovanni e la Maddalena. La mamma obiettò: "Sono i tuoi occhi; tu pensi a Gesù e così lo vedi", ma Antonietta: "No, mamma, lo vedo vivo, di carne [...] come vedo te". Una domenica poi, è sempre la mamma che racconta, terminata la Messa parrocchiale e uscendo da Santa Croce in Gerusalemme, Nennolina «si fermò a contemplare il Crocifisso situato al lato destro di chi esce. Lasciai fare, ma poi domandai se era così il Gesù che vedeva. Rispose: "No! [...] Quello che vedo io non ha i piedi inchiodati uno sopra l'altro, ma vicino" e, accostando le manine, cercava di spiegarmi il modo con cui erano confitti sulla Croce». (Né vanno sottovalutate queste due conferme. La mamma, incredula, più di una volta le chiese di sottoporre a Gesù qualche scelta da compiere; ne ebbe chiara e pronta risposta; non volle tenerne conto, ma pagò le conseguenze di aver fatto la scelta opposta a quella che le era stata indicata. L'altra verifica è fondata sull'assennatezza e istintiva veridicità di Antonietta, che rifuggiva anche dalle bugie per gioco. Ebbene, come riferisce la mamma, dieci giorni prima della fine, vedendo il marito tanto angosciato e volendo consolarlo «gli dissi che Antionietta vedeva Gesù e gli raccontai qualcosa. Non mi ero sbagliata: ne provò una vera consolazione. Dopo, gli dissi: "Vieni, te lo farò dire da lei". Ci avvicinammo al suo lettino e, un po' timorosa di aver rivelato quel segreto, dissi: "Antonietta, ho detto a papà che tu vedi Gesù. Papà vuol sapere da te se è vero". La piccola mi guardò; poi rivolta al babbo: "Sì, papà; però non lo dire a nessuno"». Ma più tardi disse severa: «Mamma, tu parli troppo». Anche in questo obbediva fedelmente al suo confessore, mons. Dottarelli, che le aveva raccomandato di mantenere il segreto con tutti).
Circa gli altri fatti straordinari, limitiamoci a questi due. Uno riguarda la predizione esatta della sua morte, come racconta la mamma: «Dopo la resezione delle tre costole il Dr. Vecchi, medico di famiglia, visitò Antonietta in clinica e mostrò di sperare ancora. Uscito, sedetti vicino a Nennolina e le dissi: Sai? Il dottore ci assicura che guarirai; ormai il peggio è passato; dopo andremo al mare. [...] Ora resta da vedere quanti giorni dovrai stare in clinica. La piccola, con gli occhi fissi nel vuoto, pensò un istante e poi disse: "Vi resterò 10 giorni meno qualcosa". Quando morì mancavano 11 ore ai 10 giorni». L'altro fatto straordinario accadde nel dicembre 1938: il papà volle che la gamba, amputata 31 mesi prima e sepolta al Verano, fosse ricongiunta alla salma. L'arto venne trovato intatto e, rinchiuso in una cassettina, fu posto vicino alla bara di Nennolina, che ora si trova in Santa Croce in Gerusalemme ed è mèta di numerosi pellegrinaggi.
Infine, anche Nennolina sperimentò la mistica "notte dello spirito": Gesù non si faceva più vedere. Se ne lamentava con la mamma che, nel diario, osserva giustamente: "Quindi, non le bastava pensarci per vederlo". Il 9 aprile 1937 dettò questa letterina: "Caro Gesù, desidero tanto di vederti [...] e vorrei che tutti potessero vederti. Allora sì che ti vorrebbero più bene!". Il 25 dello stesso mese, anniversario dell'amputazione della gamba, si lamenta con Gesù perché "sono diversi giorni che non ti vedo più! Ma, tu, fatti vedere ancora perché ti amo tanto; e oggi proprio vorrei vederti". Di fatto lo rivide ai primi di maggio (come racconta la mamma, appena tornata da scuola Nennolina le disse: «"Oggi l'ho veduto!" Come distratta le domandai: Chi! "Gesù!" Dove? "Nella chiesa delle le suore, quando sono andata, come al solito, a fare una visitina". Dove stava? "Sulla predella dell'altare". Come? "Sulla Croce". Ricordandomi della proibizione di mons. Dottarelli, e pensando di avervi già mancato, rimasi muta») e poi il venerdì 2 luglio. Era gravissima e la mamma ricorda che al mattino, «quando andai in clinica, benché non dicesse ormai più nulla, non potei trattenermi dal domandarle da quanto tempo non vedesse Gesù. Rispose a stento: "L'ho veduto questa mattina quando ho fatto la Comunione". Era il primo venerdì del mese, e fu la sua ultima Comunione».
"La sua esistenza, così semplice e al tempo stesso così importante, dimostra che la santità è per tutte le età: per i bambini e per i giovani, per gli adulti e per gli anziani. Ogni stagione della nostra esistenza può essere buona per decidersi ad amare sul serio Gesù e per seguirlo fedelmente. In pochi anni, Nennolina ha raggiunto la vetta della perfezione cristiana che tutti siamo chiamati a scalare, ha percorso velocemente la "superstrada" che conduce a Gesù" (Benedetto XVI, Discorso ai ragazzi e ragazze dell'Azione Cattolica Italiana, 20 dicembre 2007)


https://www.youtube.com/watch?v=WRH_Nby_8lA


8 - PADRE MARCIAL MACIEL, FONDATORE DEI LEGIONARI DI CRISTO

Autore: Gianpaolo Barra - Fonte:

Padre Marcial Maciel, fondatore della Congregazione dei Legionari di Cristo e del Movimento Regnum Christi, è morto il 30 gennaio scorso. Aveva 88 anni. Lascia in eredità un "patrimonio" cristiano di oltre 700 sacerdoti, 2.500 seminaristi, un migliaio di laici consacrati, 65.000 membri del Regnum Christi, una ventina di centri universitari, 158 istituti scolastici e centinaia di migliaia di cooperatori e volontari.
Un'opera immensa, cominciata nel 1941 nella povertà di una cantina di Città del Messico, e diffusasi in decine di Paesi in tutto il mondo. Opera marcata da una incondizionata fedeltà al romano Pontefice e dal desiderio di guadagnare uomini e donne, di ogni ceto sociale e formazione culturale, a Cristo e al Vangelo.
Se lo ricordo qui è perché Padre Maciel ha avuto a che fare con il Timone. Non solo perché chi scrive questo editoriale appartiene al Movimento da lui fondato, ma perché a lui mi sono rivolto diverse volte per un consiglio, un incoraggiamento, una richiesta di aiuto. Ed è giusto che i lettori sappiano che il sostegno di Padre Maciel è stato importante.
Pregate dunque per la sua anima, affidandola a Dio perché la conduca in Cielo, dove possa godere di quel premio destinato a chi ha «combattuto la buona battaglia». Se leggete e apprezzate queste pagine, un grazie enorme lo dovete anche a lui.
Tra i tanti, affiora nei miei ricordi un episodio "strano", che vorrei raccontarvi. Risale alla fine degli anni Novanta. Allora il progetto di dar vita al Timone era agli inizi e ne parlavo discretamente con pochi amici. Primo tra tutti, è ovvio, con il mio direttore spirituale, che allora era un sacerdote Legionario, Padre Hernan Jimenez, oggi missionario in Messico.
Un giorno padre Hernan mi avvertì che padre Maciel voleva incontrami per avere notizie sul mio progetto. Lo vidi a Gozzano, nel novarese, dove ha sede il Noviziato dei Legionari. In una saletta riservata, parlai per più di un'ora, interrotto saltuariamente da Padre Maciel che voleva qualche chiarimento. Ogni tanto si lasciava scappare frasi come queste: «È un progetto che si deve realizzare».
 Eravamo in tre: io, lui e il mio direttore spirituale. O meglio, io vedevo insieme a me solo loro due. Ma, forse, non eravamo soli.
Infatti, ad un certo punto, mentre stavo parlando, proveniente da un quadro appeso alla parete, un dipinto piuttosto grande con una bella cornice in legno, sentimmo distintamente un botto, una specie di scoppio, forte, secco, improvviso.
Ci voltammo, sorpresi, poi ci guardammo in faccia. Non c'era nessuno e il quadro non si era mosso. Che cosa poteva essere stato? Padre Maciel non si scompose, alzò la mano verso il quadro, tracciò un ampio segno di Croce benedicente e, con un sorriso appena abbozzato, ma tanto rassicurante, mi invitò a continuare la mia esposizione. Cosa che feci, senza pensare - in quel momento - all'accaduto.
Ci pensai dopo, conversando con il direttore spirituale. Secondo me (e anche secondo lui) forse un significato c'era, inquietante - è vero - ma per certi versi "incoraggiante". Senza giri di parole: a parer nostro il diavolo aveva "detto la sua", scocciato per quell'incontro e contrariato per quel progetto. Una benedizione lo aveva messo a tacere.
Non so che cosa ne pensiate, cari amici. Ma io sono convinto di una cosa: quando si lavora per la gloria di Dio e per il bene delle anime (come fa il Timone) il Nemico se la prende a male.
Qualche volta lo fa capire esplicitamente. Potrei sbagliarmi, ma quell'incontro era una di queste.


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