BastaBugie n�171 del 17 dicembre 2010

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1 DIETRO L'ASSEGNAZIONE DEL PREMIO NOBEL AL DISSIDENTE CINESE SI GIOCA SOPRATTUTTO UNA PARTITA DIPLOMATICA E POLITICA
Oltre le apparenze, sui diritti umani l'Occidente è d'accordo con la Cina: non esiste il diritto naturale, per cui il regime di turno può fare ciò che vuole (con tanti saluti alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo)
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Bussola Quotidiana
2 IL SUICIDIO DI MARIO MONICELLI E IL COMMENTO PRO-MORTE DI NAPOLITANO
Ennesima uscita mortifera del presidente della Repubblica che, dopo aver chiesto al Parlamento di dibattere sulle questioni sollevate da Welby, rifiutò di firmare il decreto per salvare Eluana
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: La Bussola Quotidiana
3 SU WIKILEAKS I CONTI NON TORNANO: QUALCUNO CI GUADAGNA
Ipotizziamo che tutto torni a vantaggio di Obama...
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Bussola Quotidiana
4 GRAZIE AL TERZO BIG-BANG, CIOE' AL PASSAGGIO ALLA VITA DOTATA DI RAGIONE, L'UOMO PUO' VANTARE TRE CLAMOROSE CONQUISTE: IL LINGUAGGIO, LA LOGICA RIGOROSA E LA SCIENZA
Ecco perché nessun animale scrive o fa calcoli matematici; ed ecco perché doveva toccare a un cattolico credente, come Galilei, scoprire le prime Leggi Fondamentali della Natura
Autore: Antonino Zichichi - Fonte: Il Timone
5 OGGI VA DI MODA IL CULTO, L'OSTENTAZIONE E IL COMMERCIO DEL CORPO
Il pudore invece custodisce il mistero delle persone e del loro amore
Autore: don Leonardo Pompei - Fonte: Il settimanale di Padre Pio
6 L'IPOCRISIA DELLA BELLA IDEA DI UMBERTO ECO RIGUARDO LA PENA DI MORTE (DEI COLPEVOLI)
A quando l'applicazione dello stesso principio alla pena di morte per gli innocenti (aborto, eutanasia, ecc.)?
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Libertà e Persona
7 IN CINA QUASI TUTTI I VESCOVI, CLANDESTINI E UFFICIALI, SONO IN COMUNIONE CON IL PAPA: ECCO PERCHE' IL REGIME STA INTERVENENDO PESANTEMENTE
Oggi appare cresciuta nel popolo dei cattolici cinesi la consapevolezza che la comunione con il Papa è un elemento fondamentale
Autore: Andrea Tornielli - Fonte: La Bussola Quotidiana
8 IL TEXAS SI RIBELLA AL PREGIUDIZIO ANTI-CRISTIANO E PRO-ISLAMICO PRESENTE NEI LIBRI DI SCUOLA
Diffidati gli editori dei libri di testo di tutto il Paese che riportano mezze verità, disinformazione selettiva e falsi stereotipi editoriali
Fonte: Corrispondenza Romana
9 NAPOLEONE, CAVOUR E GARIBALDI: ECCO COME LA MASSONERIA INTERVENNE IN ITALIA
Ecco i tre aspetti che non consentono di escludere l'influenza massonica durante il Risorgimento
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Bussola Quotidiana
10 IL CONCILIO VATICANO II, UNA STORIA MAI SCRITTA (LA CRITICA)
A proposito del Vaticano II, Benedetto XVI ha distinto un'errata ermeneutica della discontinuità e della rottura, da una giusta ermeneutica della continuità
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Avvenire
11 IL CONCILIO VATICANO II, UNA STORIA MAI SCRITTA (LA DIFESA)
Ecco perché Roberto De Mattei ha ragione: l'ermeneutica della continuità ha due interpretazioni (minimalista e massimalista)
Fonte: Corrispondenza Romana
12 OMELIA PER LA IV DOMENICA DI AVVENTO - ANNO A - (Mt 1,18-24)
Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - DIETRO L'ASSEGNAZIONE DEL PREMIO NOBEL AL DISSIDENTE CINESE SI GIOCA SOPRATTUTTO UNA PARTITA DIPLOMATICA E POLITICA
Oltre le apparenze, sui diritti umani l'Occidente è d'accordo con la Cina: non esiste il diritto naturale, per cui il regime di turno può fare ciò che vuole (con tanti saluti alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo)
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Bussola Quotidiana, 10-12-2010

Venti Paesi boicottano oggi la cerimonia di consegna del Premio Nobel al dissidente cinese Liu Xiaobo, per paura di ritorsioni di Pechino. Il governo cinese attacca i Paesi occidentali e si inventa il Premio Confucio. Dall’altra parte Usa ed Europa rispondono chiedendo – peraltro neanche a voce troppo alta - il rispetto dei diritti umani. Ma dietro l’assegnazione del Premio Nobel si gioca soprattutto una partita diplomatica e politica, per la quale la questione dei diritti umani è solo un pretesto. Al di là della scelta degli accademici norvegesi, tra Cina e Occidente è in corso una battaglia per il controllo delle relazioni internazionali per cui ogni pretesto è buono: dalle politiche climatiche ai diritti umani, dalla nomina di un vescovo alla crisi nucleare coreana.
Sul tema dei diritti umani, invece, già da anni l’Occidente si è allineato al pensiero del regime comunista cinese. Qual è infatti la posta in gioco quando si parla di diritti umani? La loro universalità o meno. Vale a dire che si tratta di decidere se ci sono diritti naturali che appartengono a ogni singolo uomo per il solo fatto di esistere, in qualsiasi cultura e in qualsiasi tempo, oppure se i diritti dipendono dalle situazioni locali e dalle singole culture. Ad esempio: il diritto alla vita è un valore assoluto per tutti o dipende dalle circostanze? La libertà religiosa e di coscienza è un diritto inalienabile di ogni essere umano oppure può essere ridotta per cause di forza maggiore?
Il regime cinese ha sempre sostenuto che i diritti umani dipendono dalla cultura: in quella cinese, si dice, il diritto alla ciotola di riso viene prima della possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero, ed è meglio rinunciare a parlare se questo può aiutare a sfamarsi. Questa è anche la prassi seguita da tanti paesi africani e islamici, dove la poligamia o la mutilazione genitale femminile – tanto per fare un esempio – vengono giustificate con le culture tradizionali di quei paesi. Con il risultato – va notato – che si perpetua in questo modo il potere nelle mani di chi ce lo ha sempre avuto, siano essi imperatori, capi di partito o capi tribù.
Contro questa concezione sta la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, promulgata nel 1948 all’ONU, secondo cui invece ogni uomo, per il solo fatto di venire al mondo, è titolare di diritti che valgono in qualsiasi epoca e in qualsiasi cultura. E allora sembrò evidente che era proprio questo riconoscimento – insieme a quello che considera la famiglia come cellula fondamentale della società – a poter evitare altre tragedie come il nazismo e il comunismo, dove era lo Stato a determinare la gerarchia dei diritti. Ma già da molti anni i Paesi occidentali hanno abbandonato questa visione in nome del diritto positivo, arrivando ai giorni nostri a battersi per quelli che vengono definiti “nuovi diritti”. Dall’aborto all’eutanasia, dall’identità di genere all’espropriazione della famiglia nei compiti educativi, Europa e amministrazioni “liberal” Usa combattono al loro interno e nelle sedi internazionali per affossare il diritto naturale e il primato della persona sullo Stato. E oggi anche la libertà di coscienza viene apertamente attaccata, come abbiamo visto recentemente al Consiglio d’Europa, per poter imporre l’aborto come diritto fondamentale. Un esempio evidente di questa deriva la si può constatare anche nella resa incondizionata del nostro sistema giuridico davanti alle “pretese culturali” delle comunità di immigrati: dall’accettazione della poligamia, alla tolleranza delle mutilazioni genitali femminili fino all’introduzione della legge coranica nei tribunali europei.
E dunque, come potrebbe oggi l’Occidente opporsi seriamente a Pechino in nome dei diritti universali? Infatti lo fa solo brandendo alcuni diritti particolari (come l’instaurazione di un sistema democratico) contro altri diritti particolari (il diritto alla stabilità di un grande Paese come la Cina), in realtà giocando un’altra partita. E questo spiega anche il perché da decenni nel rapporto con la Cina la questione dei diritti umani, al di là delle dichiarazioni di principio, passa in secondo piano rispetto alle ragioni economiche.
Il Premio Nobel per la Pace a Liu Xiaobo allora, oltre le scaramucce diplomatiche, diventa occasione per prendere coscienza della necessità di ricostruire la società a partire dal diritto naturale, prima che finiamo tutti nella rete del totalitarismo globale.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 10-12-2010

2 - IL SUICIDIO DI MARIO MONICELLI E IL COMMENTO PRO-MORTE DI NAPOLITANO
Ennesima uscita mortifera del presidente della Repubblica che, dopo aver chiesto al Parlamento di dibattere sulle questioni sollevate da Welby, rifiutò di firmare il decreto per salvare Eluana
Autore: Giacomo Samek Lodovici - Fonte: La Bussola Quotidiana, 08-12-2010

Dopo il suicidio di Mario Monicelli sono stati molti i commenti, alcuni davvero gravi e stigmatizzabili. Silvio Viale e i radicali hanno strumentalizzato il fatto per perorare la depenalizzazione dell’eutanasia; Bernardo Bertolucci ha parlato del suicido di Monicelli come «gesto vitale, quasi festoso»; per Ettore Scola questa fine suicida è «spavalda»; per Paolo Villaggio è «straordinaria, eroica, magnifica». Alcuni commentatori, ancora, hanno chiamato «scelta di volare» il suo buttarsi dal quinto piano dell’ospedale e sfracellarsi al suolo.
Ma l’affermazione più influente in questa vicenda l’ha fatta Giorgio Napolitano: «Se n’è andato con una ultima manifestazione della sua forte personalità, un estremo scatto di volontà che bisogna rispettare». Il capo dello Stato aveva già fatto deflagrare pubblicamente il caso Welby – chiedendo al Parlamento di dibattere sulle questioni sollevate da Welby stesso, dopo che quest’ultimo gli aveva rivolto una lettera – e non ha voluto firmare il decreto per salvare Eluana.
Napolitano ha fatto trasparire un giudizio positivo sull’ultimo atto della fine del regista («uno scatto di volontà» è infatti un’espressione che esprime positività). Speriamo davvero che altri non si sentano incoraggiati dal Presidente della Repubblica a fare come Monicelli.
Ora, bisogna aver pietà e compassione per un uomo che si suicida, spesso nella sofferenza e nella solitudine. Tra l’altro il regista quasi di sicuro, e comprensibilmente, è rimasto segnato dal fatto che suo padre si suicidò. Inoltre, è umanamente impossibile sapere che cosa gli sia passato per la mente prima del suicidio. Non possiamo sapere se e quanto in quel momento fosse disperato, se e quanto fosse lucido oppure no. In quest’ultimo caso il suicidio non gli sarebbe imputabile e non sarebbe nemmeno una vera scelta, non sarebbe «uno scatto di volontà». E, qualora sia stato da lui scelto, non possiamo affatto sapere se sia stato un atto di coraggio oppure di viltà, quella descritta ben prima del cristianesimo da Aristotele: «Il morire per fuggire la povertà o l’amore o una sofferenza qualsiasi non è da uomo coraggioso, ma piuttosto da vile: infatti, è una debolezza quella di fuggire i travagli».
Ma, nondimeno, non possiamo non dire che, sebbene a volte non sia imputabile perché non viene scelto con consapevolezza, il suicidio in sé è gravemente malvagio; e quando è scelto con l’intenzione di affermare un valore - e non per viltà - esprime un coraggio malvagio, che sarebbe meglio chiamare temerarietà. Infatti, il suicidio è la distruzione della vita di un essere umano, il quale ha un valore incommensurabile, una dignità preziosissima che viene calpestata da chi si toglie la vita. Perciò anche il filosofo Immanuel Kant, che ha inteso separare nettamente la filosofia dalla fede, scrive che «il suicidio rimane sempre un fatto mostruoso».
Da che cosa deriva la dignità umana? Dalle caratteristiche peculiari che innalzano l’uomo al di sopra di ogni altro essere: la sua natura razionale, la libertà (malamente usata da chi si autodistrugge), il senso etico, il senso estetico, ecc. La dignità è costituita già da queste caratteristiche, che non richiedono alcuna fede religiosa per essere colte. Dopodichè, sia la fede nel Dio cristiano sia la filosofia, che può dimostrare laicamente l’esistenza di Dio, possono ancor più farla risaltare. Ma per coglierla non è necessario fare appello - religiosamente o filosoficamente - all’esistenza di Dio. Tornando a Bertolucci, su una cosa siamo d’accordo, tra quelle che ha affermato: come lui, anche noi ci chiediamo se il regista, prima di farla finita, «avesse visto “Vieni via con me”», il programma di Roberto Saviano e Fabio Fazio che ha recentemente celebrato come esemplari le scelte di Piergiorhio Welby e di Beppino Englaro. Non lo sappiamo, ma il dubbio ci assale. E ci auguriamo che quella visione non abbia incoraggiato il regista a suicidarsi.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 08-12-2010

3 - SU WIKILEAKS I CONTI NON TORNANO: QUALCUNO CI GUADAGNA
Ipotizziamo che tutto torni a vantaggio di Obama...
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Bussola Quotidiana, 14-12-2010

«Ci sono troppi conti che non tornano in questa vicenda di Wikileaks, e qualcuno che ci guadagna». Gianandrea Gaiani, uno dei massimi esperti italiani di difesa e direttore della rivista Analisi Difesa, ha molti dubbi sulla storia che da mesi occupa le prime pagine dei giornali di tutto il mondo e promette di farlo ancora per molti mesi. Rivelazioni su montagne di documenti riservati del Pentagono, la cui pubblicazione viene centellinata in modo da tenere sempre centrata l’attenzione ma il cui contenuto ha valore quasi nullo.
DOTTOR GAIANI, COS’È CHE NON LA CONVINCE?
Fondamentalmente la sproporzione tra gli allarmismi lanciati dall’amministrazione Usa e le risorse messe in campo per porre riparo alla situazione.
SI SPIEGHI MEGLIO.
Vede, gli Usa hanno migliaia di militari addestrati per la cyberwar, la guerra cibernetica. Non dimentichi che nel 1999, prima dell’attacco alla Serbia, e nel 2003, prima dell’attacco all’Iraq, queste unità furono in grado di oscurare le infrastrutture elettroniche e anche elettriche di questi Paesi. Le sembra possibile che le stesse unità non siano in grado di bloccare un sito che ha annunciato le rivelazioni diversi mesi prima di pubblicarle? Non solo, Julian Assange non viene perseguito per spionaggio, ma si cerca di incastrarlo con un’accusa per stupro che, per chi ha letto i dettagli della denuncia, appare francamente surreale.
NON È POSSIBILE CHE ASSANGE SIA UN PERSONAGGIO MOLTO SCALTRO?
Ma qui non si tratta di un’azione a sorpresa, è stato tutto annunciato con grande anticipo, c’era tutto il tempo di provvedere se si fosse voluto. E poi, comunque, una volta consumato il misfatto, le sembra realistico che nessun responsabile del Pentagono e il ministro stesso, non abbiano sentito il dovere di dimettersi o che il presidente Obama non li abbia costretti alle dimissioni? Pensi che in Corea del Sud la scorsa settimana si è dimesso il ministro della Difesa per la risposta troppo debole data alla Corea del Nord in occasione dell’attacco militare dello scorso mese. E qui ha è andato in carcere solo un oscuro caporale di 22 anni, accusato di aver scaricato i documenti. Ma qui stiamo parlando di oltre 500mila files, il rovescio più grave della storia per una struttura di difesa. E nessun responsabile viene chiamato in causa. Ce ne è abbastanza per sentire puzza di bruciato.
MA CHI AVREBBE ORGANIZZATO UNA TALE MESSA IN SCENA?
Non è possibile accusare nessuno, in questo momento, né pensare a qualche complotto. Si può solo guardare ai fatti e rilevare alcune incongruenze, così come chiedersi chi ci guadagna in tutto questo polverone.
E CHI CI GUADAGNA?
Mi limito a osservare che quanto finora uscito pare faccia il gioco dell’amministrazione Obama, e all’interno dell’amministrazione del presidente a scapito del segretario di Stato Hillary Clinton che, sullo spionaggio alle Nazioni Unite, ha rischiato grosso.
IN COSA CI GUADAGNA L’ATTUALE INQUILINO DELLA CASA BIANCA?
Ad esempio, le rivelazioni sugli abusi in Afghanistan e Iraq rovesciano le responsabilità sull’amministrazione Bush; le rivelazioni sui rapporti tra Berlusconi e Putin, colpiscono la politica energetica dell’Italia, sgradita a Washington; le rivelazioni sugli intrecci dell’Iran con altri Paesi a rischio, che pure non sono niente di nuovo per gli addetti ai lavori, contribuiscono a creare nell’opinione pubblica un clima favorevole alla «punizione» contro il regime di Teheran. E quando a gennaio, come annunciato da Assange, usciranno rivelazioni compromettenti su alcune grandi banche, sicuramente sarà più facile scaricare sui banchieri la responsabilità della crisi economica e finanziaria assolvendo i politici.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 14-12-2010

4 - GRAZIE AL TERZO BIG-BANG, CIOE' AL PASSAGGIO ALLA VITA DOTATA DI RAGIONE, L'UOMO PUO' VANTARE TRE CLAMOROSE CONQUISTE: IL LINGUAGGIO, LA LOGICA RIGOROSA E LA SCIENZA
Ecco perché nessun animale scrive o fa calcoli matematici; ed ecco perché doveva toccare a un cattolico credente, come Galilei, scoprire le prime Leggi Fondamentali della Natura
Autore: Antonino Zichichi - Fonte: Il Timone, dicembre 2010

Grazie al “terzo Big-Bang”, cioé al passaggio da un universo con vita priva di ragione ad un universo con vita dotata di ragione, possiamo scrivere libri, esprimere opinioni, discutere di problemi. Eppure, si parla quasi sempre del primo Big-Bang, quello grazie al quale il vuoto si è trasformato in qualcosa che, dopo circa venti miliardi di anni, noi chiamiamo universo, fatto con galassie, stelle e satelliti, su uno dei quali, la Terra, ci troviamo.
L’universo, tuttavia, avrebbe potuto essere esattamente com’è, con le stesse strutture e gli stessi dettagli, ma privo della nostra presenza.
L’evoluzione cosmica parte dal Big-Bang n. 1 e arriva oggi ad un numero di galassie pari a circa duecento miliardi, ciascuna delle quali consta mediamente di duecento miliardi di stelle. Molti dettagli sulla struttura dell’universo ci sono ignoti. Non sappiamo, per esempio, quanti satelliti ha ciascuna stella e quante stelle siano identiche al nostro Sole. Sappiamo che solo una parte delle stelle è come il Sole, anche se nessuna è identica a un’altra. Non è un dettaglio di poco conto: se il nostro Sole fosse più grande, moriremmo di caldo; più piccolo, moriremmo di freddo; ferma restando la condizione di rimanere alla stessa distanza dal Sole nella quale ci troviamo ora.
Non siamo stati noi a scegliere questa distanza. Né a stabilire quale dovesse essere la massa del Sole. Ciò di cui siamo sicuri è che se la distanza fosse più piccola avremmo troppo caldo; se fosse più grande avremmo troppo freddo. Ecco perché vorremmo sapere quante stelle come il nostro Sole esistono nell’universo e quante di queste stelle hanno un satellite come la nostra Terra, le cui caratteristiche sono di vitale importanza per noi.
Non solo: se la Terra fosse più piccola, quindi più leggera, non potrebbe tenere legato a sé quello strato d’aria cui diamo il nome di atmosfera e che ci permette di vivere. Se la Terra fosse più pesante, dovremmo avere una struttura ossea e muscolare adeguata alla forza gravitazionale in gioco.
Vorremmo sapere se certi dettagli, come la massa del Sole, quella della Terra, la distanza Terra-Sole e molte altre peculiarità della nostra esistenza materiale esistono in altre parti dell’universo. Il numero di dettagli necessari per essere come la nostra Terra sono molti. Moltissimi. Sappiamo che ci sono nell’universo – come detto – duecento miliardi di galassie, ciascuna contenente duecento miliardi di stelle. Il totale fa quarantamila miliardi di miliardi di posti in cui potrebbe esserci la vita così come è da noi, sulla Terra. Questo numero deve, però, essere messo a confronto con i dettagli necessari per dar vita a qualcosa di analogo alla nostra forma di materia vivente, dotata di quella proprietà cui diamo il nome di “ragione”. Allora, il problema è quello di capire quanti dettagli debbono essere presenti per arrivare a una forma di materia vivente capace di una attività intellettuale simile alla nostra, in grado di scoprire le grandi conquiste cui è arrivata la nostra forma di materia  vivente. Conquiste che si riducono ad appena tre cose: il Linguaggio, la Logica rigorosa e la Scienza. Conquiste che nascono dalla straordinaria proprietà di cui è dotata la nostra forma di materia vivente: la ragione.
Sulla Terra si sono sviluppate centinaia di migliaia di forme diverse di materia vivente. Nessuna di esse, però, è riuscita a scoprire la memoria collettiva permanente (meglio nota come “Scrittura”, che è linguaggio scritto), la Logica rigorosa e la Scienza. Calcolando tutte le condizioni necessarie per arrivare alla materia vivente dotata di ragione, se ne deduce che le stelle presenti nel nostro universo sono troppo poche. Ce ne vorrebbe un numero di gran lunga superiore a quello prima citato – quarantamila miliardi di miliardi – per potere realizzare quell’enorme quantità di “dettagli” necessari all’esistenza della materia vivente dotata di Ragione.
Un leone, un pesce, un’aquila, sono forme di materia vivente prive di ragione. Non v’è traccia di “scrittura” che possa essere legata all’esistenza di una qualsiasi forma di materia vivente, eccetto quella cui noi apparteniamo.
A conti fatti, risulta che, con il numero di stelle e galassie che compongono l’universo, l’esistenza della materia vivente dotata di ragione è davvero un miracolo. Dovrebbero esistere centomila miliardi di miliardi di miliardi di universi per averne uno dotato di vita come la nostra.
Il Big-Bang n. 3 è quello necessario per passare dall’universo dotato di vita “priva di ragione” all’universo in cui c’è vita “con ragione”. Alcuni sostengono che tutte le forme di materia vivente debbono essere dotate di ragione, per via del fatto che questa proprietà è necessaria per poter vivere. Un serpente, un pesce, un’aquila, tutte le forme di materia vivente avrebbero proprietà di ragione simili – dicono – alla nostra.
È vero: anche noi dobbiamo mangiare, dormire, e fare altre cose per sopravvivere, al pari delle altre forme di materia vivente. Ma questo livello di “ragione” si riferisce solo al problema legato a ciò che una forma di materia vivente deve fare per poter vivere. Ma – come già detto – nessun leone, né tigre, nessun pesce, né alcun tipo di uccello hanno lasciato tracce di quella cosa cui diamo il nome di “scrittura” e che di fatto è la “memoria collettiva permanente”.
Sappiamo che cosa pensava Platone perché possiamo leggere cosa ha scritto. Nessuna scimmia si è mai posta il problema di capire come si fa a dividere una figura geometrica semplicissima qual è un quadrato in due quadrati. Lo fece Pitagora, con il suo famoso teorema. Nessun cavallo ha mai pensato al problema di quanti granelli di sabbia potrebbero esserci nell’universo. I Pitagorici scoprirono che questo numero era talmente grande da non essere esprimibile – usando la loro matematica – in termini finiti e conclusero che era infinito. Venne Archimede e riuscì a calcolarlo, dimostrando che era possibile esprimerlo in termini finiti, usando una matematica rigorosa più avanzata di quella cui erano arrivati i Pitagorici.
Nessun leopardo o altra forma di materia vivente si è mai occupata di capire com’è fatto il mondo: se siamo figli del caos o se c’è una Logica rigorosa alla base della nostra esistenza materiale. Fu Galilei a scoprire che questa Logica rigorosa esiste. Ad essa si dà il nome di Scienza.
Il Big-Bang n. 3 riguarda esclusivamente la forma di materia vivente cui noi apparteniamo. Nessuna forma di materia vivente è interessata a discutere con noi del profondo rapporto che esiste tra Scienza e imprevisto.
Tutte le grandi scoperte scientifiche sono state rese possibili da eventi inaspettati. La storia della scienza dimostra che le grandi scoperte scientifiche, a qualsiasi livello, sono state tutte inaspettate. Chi aveva previsto l’esistenza dei raggi cosmici? Nessuno. Chi aveva previsto le forze deboli (oggi dette di Fermi)? Nessuno. Con le forze di Fermi oggi possiamo fare previsioni. Ma come nascono le forze di Fermi? Da un evento totalmente inaspettato e non previsto: la radioattività.
Tutte le scoperte scientifiche importanti sono venute in modo del tutto inaspettato. Le previsioni avvengono dopo che una scoperta inattesa ha dato vita ad una formulazione matematica che mette insieme le diverse scoperte inaspettate; e da questa matematica emergono le previsioni.
Sta nelle origini il fulcro del problema. Se le scoperte scientifiche fossero alle origini non previste – come di fatto ci dicono questi quattro secoli di Scienza galileiana – la spiegazione del mistero è semplice. Ed era già nota ai tempi di Galileo Galilei. Fu lui a dire che “Colui che ha fatto il mondo” è più intelligente di tutti. Nessuno escluso. Da questa osservazione è nata la Scienza galileiana. Non c’è infatti altro modo per decifrare la Logica del Creatore: porGli domande. È questo il vero significato di esperimento galileiano. Per fare questo, c’è bisogno di umiltà intellettuale. Rendersi conto che non basta essere intelligenti per capire com’è fatto il mondo. Tutte le civiltà avevano peccato di questa forma di arroganza intellettuale. Ecco perché doveva toccare a un cattolico credente, come Galileo Galilei, scoprire le prime Leggi Fondamentali della Natura da lui chiamate “le prime impronte del Creatore”.
Dopo appena quattro secoli da questo atto di umiltà intellettuale, abbiamo la certezza di avere capito “quasi” tutto sulla Logica che regge il mondo. In quel “quasi” c’è il futuro della Scienza, che nessuno al mondo sa prevedere. Per il semplice motivo che il Creatore di tutte le cose visibili e invisibili è più intelligente di tutti: filosofi, pensatori, artisti, poeti e anche di noi scienziati.

Nota di BastaBugie: il professor Zichichi aveva promesso di fare questo articolo per il Timone al Giorno del Timone della Toscana 2010. Per vedere cosa disse in quella occasione clicca qui http://www.amicideltimone-staggia.it/it/edizioni.php?id=43

Fonte: Il Timone, dicembre 2010

5 - OGGI VA DI MODA IL CULTO, L'OSTENTAZIONE E IL COMMERCIO DEL CORPO
Il pudore invece custodisce il mistero delle persone e del loro amore
Autore: don Leonardo Pompei - Fonte: Il settimanale di Padre Pio, 22 agosto 2010

La nostra società, "la civiltà dell'immagine", ricorda per certi versi i tempi pagani dei cristiani dei primi secoli. Il cristiano, anche oggi, è chiamato a combattere la battaglia della purezza. Ascoltiamo gli insegnamenti della Chiesa e la voce di autorevoli testimoni.
Con i termini "pudore" e "modestia" si fa riferimento ad alcuni aspetti particolari della virtù cristiana della purezza, inerenti il rapporto che ciascuno di noi ha con il proprio corpo, il quale, come affermano sociologi, filosofi e psicologi, è un elemento costitutivo e determinante delle nostre relazioni umane. Il pudore è un atteggiamento volto a custodire e preservare l'intimità della persona e del suo corpo, in tutti i suoi atti; la modestia, invece, si riferisce in particolare al modo (da cui modestia) con cui una persona si veste. Direi che oggi viviamo in una società che ha fatto del culto, dell'ostentazione e del commercio del corpo un vero e proprio modo generalizzato e condiviso di essere, fare e pensare sembra addirittura banale, scontato e retorico; così come è noto che la nostra civiltà è stata definita "la civiltà dell'immagine", anche per la straordinaria diffusione e forza incisiva dei mezzi di comunicazione sociale: cinema, televisione, internet. Tutto questo ha creato "cultura" o, se si preferisce, "costume", imponendo comportamenti, modi di fare e mode nel vestire che, pur essendo largamente praticati e condivisi, sono tuttavia assolutamente contrari alla Morale cattolica, come l'abbiamo ricevuta dalla Sacra Scrittura, dal Magistero della Chiesa e dalla testimonianza dei Santi. Qualcuno ha detto che uno dei segni distintivi del vero cristiano è "camminare contro corrente"; e dato che i nostri tempi sono stati autorevolmente definiti come "neopagani", i seguaci di Gesù devono prendere coscienza di trovarsi in una situazione analoga a quella in cui i nostri fratelli si trovarono nei primi tre secoli. Allora imperava un'altissima immoralità nei costumi, sia nella parte occidentale dell'Impero romano che, ad Oriente, nella Grecia e nell'area ad essa attigua, patria e culla, solo qualche secolo prima, del pensiero occidentale. In questo contesto i cristiani imposero, con l'esempio e con il sacrificio di moltissime vite, uno stile di vita e di costumi diametralmente opposto. A quei tempi si commettevano non pochi scandali e oscenità, ma, a quanto sembra, si aveva una certa riservatezza; non c'era il grado di sfacciata ostentazione che si può osservare oggi praticamente dovunque. Parlando di questi tempi, la Madonna a Fatima profetizzò in modo lapidario: «Verranno certe mode che offenderanno molto Gesù» e San Pio da Pietrelcina, quasi nello stesso periodo, riferendosi agli scandali ed alle offese al pudore di cui allora si intravedeva appena qualche timido prodromo diceva: «Non potevamo nascere in un secolo peggiore!».

SACRA SCRITTURA E MAGISTERO DELLA CHIESA
A fianco ai numerosi passi del Nuovo Testamento che condannano esplicitamente alcuni gravi peccati di impurità quali la fornicazione (cioè i rapporti sessuali prima del matrimonio), l'adulterio, i rapporti contro natura e l'omosessualità (si veda per la fornicazione: 1Cor 6,15-20; Gal 5,19-21; Col 3,5-6; Ef 5,3-5; per l'adulterio: Mt 5,27-31; Eb 13,4; per i rapporti contro natura omo ed eterosessuali: Rm 1,24-28; Gdt 1,5-7), esistono almeno due passi di san Paolo che ammoniscono severamente di guardarsi dal profanare il proprio corpo. Si trovano nella prima lettera ai Corinzi e nella prima lettera ai Tessalonicesi: «Fratelli il corpo non è per l'impudicizia, ma per il Signore. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? Prenderò dunque le membra di Cristo e ne farò membra di una prostituta? Non sia mai!» (1Cor 6,13); «La volontà di Dio è la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda o inganni in questa materia il proprio fratello, perché il Signore è vindice di queste cose, come vi abbiamo già detto e attestato. Dio non ci ha chiamati all'impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito» (1Ts 4,3-7). Per impudicizia, san Paolo intende le offese al pudore (dal latino "pudere", che significa "provare vergogna"), ovvero quel "senso di riserbo, vergogna e disagio nei confronti di parole, allusioni, atti o comportamenti che riguardano la sfera sessuale" (enciclopedia Treccani). Quando dunque si viola il riserbo dovuto a tutto ciò che circonda la sfera sessuale con parole (discorsi osceni), allusioni (discorsi a doppio senso), atti o comportamenti (quali il vestire in maniera indecente) si pecca di impudicizia. Più specificamente l'Apostolo esorta a mantenere il corpo con santità e rispetto, ricordando che Dio punisce severamente («è vindice») qualunque mancanza relativa a questa materia e raccomandando di non ingannare nessuno su questa materia, onde non incorrere, a propria volta, nel castigo di Dio.
A questi chiari e molto espliciti insegnamenti della Sacra Scrittura, va aggiunta la testimonianza ininterrotta del Magistero della Chiesa e dei Santi. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica si legge: «Il pudore custodisce il mistero delle persone e del loro amore [...]. Il pudore è modestia. Ispira la scelta dell'abbigliamento. Conserva il silenzio o il riserbo là dove trasparisse il rischio di una curiosità morbosa. Esiste un pudore del corpo che insorge, per esempio, contro l'esposizione del corpo umano in funzione di una curiosità morbosa in certe pubblicità o contro la sollecitazione di certi mass-media a spingersi troppo in là nella rivelazione di confidenze intime. Il pudore detta un modo di vivere che consente di resistere alle suggestioni della moda ed alle pressioni delle ideologie dominanti [...]. La permissività dei costumi si basa su una erronea concezione della libertà umana [...]. Bisogna chiedere ai responsabili dell'educazione, di impartire alla gioventù un insegnamento rispettoso della verità, delle qualità del cuore e della dignità morale e spirituale dell'uomo» (cf CCC, nn. 2522, 2523, 2526). Il Catechismo di san Pio X ricordava, con la consueta semplicità e chiarezza, che «il sesto comandamento ci ordina di essere casti e modesti negli atti, negli sguardi, nel portamento e nelle parole, mentre il nono comandamento ci ordina di esserlo anche nell'interno, cioè nella mente e nel cuore [...]. Per mantenerci casti conviene fuggire l'ozio, la lettura dei libri e dei giornali cattivi, l'intemperanza, il guardare le immagini indecenti, gli spettacoli licenziosi, le conversazioni pericolose e tutte le altre occasioni di peccato» (Catechismo Maggiore, 428 430).

LA VOCE DEI TESTIMONI DELLA FEDE
Su questi argomenti, i Santi convergono all'unisono in un medesimo coro che eleva a Dio un magnifico canto di lode della purezza e del pudore ed un accorato lamento per ogni trasgressione a queste importanti virtù. Ci limiteremo a riportare gli esempi e gli insegnamenti di alcuni maestri contemporanei, come il grande San Pio da Pietrelcina, che era notoriamente severissimo contro ogni anche lievissima mancanza al pudore ed alla modestia. Una volta fu detto a Padre Pio: «Padre, Lei sta esagerando con le donne... le manda via anche con la gonna fino alle ginocchia! Niente confessione per loro!». «Fino alle ginocchia? - rispose il Padre - Vedrete, vedrete, si spoglieranno anche per la strada!».
Ad una donna che portava una maglia con le maniche corte (fino all'avambraccio...) disse: «Ti segherei le braccia [...] perché soffriresti di meno di quello che soffrirai in Purgatorio [...] le carni nude bruceranno». Quando gli confessavano peccati di impurità, congedava i peccatori gridando loro: «Non lordatevi!». Si rifiutava di confessare un uomo, che gli mandò a chiedere da un suo amico il perché. Il Padre rispose: «Digli che o si taglia le braccia, o si allunga le maniche della camicia». Infine si può narrare il seguente episodio (sicuramente sconcertante per più di qualcuno). Una mattina un bambino di 11 anni si recò da Padre Pio dicendogli: "Padre, il mio papà vi ricorda quella grazia, non dimenticate!". Rispose: "Chiama tuo padre, fammelo venire". "Papà, ti vuole Padre Pio!". Il papà si avvicina e Padre Pio gli grida: «Maiale, non ti vergogni di far vestire tuo figlio in quel modo? Calzoncini corti, e se lo vedesse qualche ragazzina? Ricordati, noi pagheremo anche i peccati di pensiero fatti fare da altri. Maiale che sei!». Padre Pio, tuttavia, era praticamente solo in questa battaglia, tant'è che un suo figlio spirituale scrisse: «La voce di protesta contro la moda si leva solo dalla bocca di Padre Pio. A Roma tutti i sacerdoti chiudono gli occhi e passano avanti». Al che il Padre rispondeva ironicamente: «Il pesce puzza dalla testa!...».

NON È TEMPO DI VERGOGNARSI DEL VANGELO...
Alcuni gruppi di cattolici del Canada hanno lanciato una vera e propria "crociata per la modestia", suggerendo alle donne di vestire sempre in maniera "femminile", con gonne almeno un palmo al di sotto del ginocchio, maniche fino al gomito, niente scollature, niente trasparenze o aderenze che mettano in risalto le forme femminili e capo velato in chiesa, rinunciando alle tenute maschili (cioè bandendo l'uso dei pantaloni) per amore dell'Immacolata, amante della modestia e della sana e santa femminilità. Inoltre prendono l'impegno di educare, con l'esempio e la parola, i figli, fin da piccoli, ad imparare il pudore e la modestia, vestendoli in maniera conveniente fin dalla tenera età. Se molte figlie di Dio seguissero queste indicazioni, che costituivano prassi indiscussa nella Chiesa primitiva, ben presto la nostra Europa tornerebbe ad essere la casa e la culla della santa Fede cattolica ed il mondo tornerebbe a respirare il dolce profumo della modestia, della castità e della purezza.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, 22 agosto 2010

6 - L'IPOCRISIA DELLA BELLA IDEA DI UMBERTO ECO RIGUARDO LA PENA DI MORTE (DEI COLPEVOLI)
A quando l'applicazione dello stesso principio alla pena di morte per gli innocenti (aborto, eutanasia, ecc.)?
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Libertà e Persona, 4 novembre 2010

Proposta interessante di Umberto Eco:”Se esistono le condanne a morte, devono essere fatte vedere in televisione alle otto di sera, mentre la gente mangia. Dice:”mai poi vomitiamo”. Benissimo. Almeno si vede cosa vuol dire ammazzare una persona” (La Repubblica, 1/11/2010, p.38). Potrà sembrare provocatoria, ma l’idea avanzata dal celebre semiologo, in realtà, rispecchia una posizione cristallina e difficilmente contestabile: sei favorevole a questa o a quella pratica? Perfetto, allora abbi la decenza di sorbirti, anche visivamente, ciò che approvi.  Così, tanto per assumere più consapevolezza delle tue convinzioni, per chiarirti meglio le idee. Un ragionamento che non fa una grinza. Qualcuno può obbiettare, semmai, che l’idea di mandare in onda le esecuzioni capitali sarebbe, almeno in Italia, fuori luogo dal momento che qui la condanna a morte è stata abolita da tempo. Ma la sostanza del pensiero di Eco rimane comunque intatta: chiunque ritenesse opportuna una data pratica, foss’anche la più cruenta, avrebbe tutto il diritto – e il dovere – di rendersi conto pienamente delle proprie posizioni. Perchè impedirlo?
Per analogia, non sarebbe male estendere l’idea di Eco anche all’aborto. Che, a differenza della pena di morte, è una realtà assolutamente attuale nell’Italia di oggi: ogni giorno oltre 350 madri, assistite gratuitamente presso le strutture sanitarie pubbliche, ricorrono all’interruzione volontaria di gravidanza. Un’operazione, questa, che ha un costo ad intervento che oscilla, a seconda della regione, da un minimo di 1.000 a circa 2.500 euro. Ecco perché filmare e mandare in onda un aborto - ovviamente preservando in toto la privacy della donna di turno mediante l’oscuramento del volto – non sarebbe solo il modo migliore per consapevolizzare maggiormente quanti sposano la causa abortista, ma servirebbe anche ad informare meglio i contribuenti italiani su come lo Stato “investe”, per così dire, i loro denari. Tutto questo, ovviamente, alle otto di sera, mentre la gente mangia. Eco ci sta?

Fonte: Libertà e Persona, 4 novembre 2010

7 - IN CINA QUASI TUTTI I VESCOVI, CLANDESTINI E UFFICIALI, SONO IN COMUNIONE CON IL PAPA: ECCO PERCHE' IL REGIME STA INTERVENENDO PESANTEMENTE
Oggi appare cresciuta nel popolo dei cattolici cinesi la consapevolezza che la comunione con il Papa è un elemento fondamentale
Autore: Andrea Tornielli - Fonte: La Bussola Quotidiana, 10-12-2010

Il presidente cinese Hu Jintao, nel corso della sua visita a Londra dell'aprile 2009, durante un cocktail di benvenuto, si era mostrato particolarmente interessato al sistema di elezione dei vescovi anglicani che vengono almeno formalmente nominati dall'autorità civile, essendo il sovrano il capo della Chiesa d'Inghilterra.
Ieri si è conclusa a Pechino l'ottava Assemblea dei rappresentanti cattolici, sono stati votati ed eletti i nuovi responsabili del Consiglio dei vescovi cinesi (una conferenza episcopale non riconosciuta dalla Santa Sede) e dell'Associazione Patriottica (un organismo di controllo governativo sulla Chiesa, che la Santa Sede ha definito «incompatibile» con la fede cattolica). Lo scenario è stato per molti versi deludente: Giuseppe Ma Yinglin, vescovo illecito di Kunming, è stato designato presidente del Consiglio dei vescovi cinesi; tra i vicepresidenti c'è un altro vescovo illecito, Zhan Silu di Mindong, mentre come segretario generale è stato eletto Giuseppe Guo Jincai, consacrato illecitamente vescovo a Chengde lo scorso 20 novembre.
I vescovi ufficialmente riconosciuti dal governo di Pechino e dunque aventi diritto a partecipare all'Assemblea sono 64. Tutti - tranne cinque o sei - hanno chiesto e ottenuto la comunione con il Papa. È indicativo il fatto che ben tre dei pochissimi rimasti vescovi illeciti senza la comunione con Roma siano stati eletti (o meglio imposti) ai vertici del Consiglio episcopale cinese.
Quanto accaduto nell'ultimo mese fa tornare indietro di quattro anni le relazioni tra Vaticano e Cina. Dal 2006 a oggi, infatti, la Santa Sede e il governo di Pechino avevano raggiunto taciti accordi per la nomina e la consacrazione di vescovi - una decina - che venivano designati con il consenso del Papa. Ma lo scorso novembre, proprio in previsione dell'Assemblea, le autorità cinesi hanno forzato la mano e nonostante la contrarietà vaticana, fatta sapere per tempo pubblicamente, hanno fatto consacrare illecitamente Guo Jincai per poi farlo diventare segretario generale del Consiglio episcopale.
È probabile che ora avverranno altre ordinazioni illecite: Pechino vuole una Chiesa dipendente dal governo, una Chiesa patriottica e nazionale, autogestita. Diversi vescovi che hanno partecipato all'Assemblea sono stati costretti a farlo: trascinati a forza, prelevati dalle loro abitazioni dalla polizia, messi sotto pressione. Hanno partecipato in 45, dovendo votare per alzata di mano e dunque con voto palese, candidati unici imposti.
In mezzo a queste cattive notizie, quella buona è il giubilamento del potente vicepresidente dell'Associazione Patriottica, il laico Liu Bainian, che il duro comunicato della Santa Sede dopo l'ordinazione illegittima di Guo Jincai indicava come uno dei principali problemi per la Chiesa cinese. C'è il rischio, di fronte alle nuove chiusure e alle provocazioni di un regime che non riconosce alla Chiesa la libertà religiosa e pretende di controllarne le gerarchie, di portare indietro l'orologio della storia agli anni in cui si parlava della presenza di due Chiese in Cina: una clandestina e sotterranea fedele a Roma, e una ufficiale debole con il regime.
La realtà non è questa, la Chiesa cinese è una, quasi tutti i vescovi, clandestini e ufficiali, sono in comunione con il Papa. E anche i vescovi della Chiesa ufficiale hanno sofferto il carcere e le pressioni del regime. Benedetto XVI, nel libro intervista con Peter Seewald, Luce del mondo, riferendosi alla situzione cinese, aveva spiegato: «Non appena uno di questi vescovi (consacrati illecitamente, ndr) dichiara di riconoscere il Primato in generale nonché quello del Pontefice regnante in particolare, la sua scomunica viene revocata perché non è più giustificata». Oggi appare cresciuta nel popolo dei cattolici cinesi la consapevolezza che la comunione con il Papa è un elemento fondamentale e dunque gli stessi pastori sanno che senza questa comunione vengono rifiutati dai loro fedeli.
Nelle stesse ore in cui iniziava l'ottava Assemblea dei rappresentanti cattolici di Pechino una notizia giungeva da Hebei, dove un centinaio di seminaristi si sono opposti alla nomina di un nuovo vicerettore del seminario organico al Partito comunista, e sono riusciti ad avere la meglio. Appare dunque importante sostenere la Chiesa cinese, e la linea della Santa Sede, che è ferma sui principi ma al contempo continua ad essere aperta al dialogo con le autorità di Pechino, per cercare di far sì che l'ordinazione di Guo Jincai resti un episodio isolato ed evitare che ricomincino - come molti temono - le consacrazioni illegittime.

Fonte: La Bussola Quotidiana, 10-12-2010

8 - IL TEXAS SI RIBELLA AL PREGIUDIZIO ANTI-CRISTIANO E PRO-ISLAMICO PRESENTE NEI LIBRI DI SCUOLA
Diffidati gli editori dei libri di testo di tutto il Paese che riportano mezze verità, disinformazione selettiva e falsi stereotipi editoriali
Fonte Corrispondenza Romana, 27/11/2010

La Sovrintendenza degli studi del Texas, con un voto di 7-6, ha adottato una risoluzione che diffida gli editori dal pubblicare testi di storia che rechino un pregiudizio anti-cristiano e pro-islamico.
La risoluzione precisa che «i libri di testo di tutto il Paese riportano mezze verità, disinformazione selettiva e falsi stereotipi editoriali, pro-islamici/anti-cristiani» ed elenca pagine di esempi specifici. Indica anche una serie di aggettivi che sminuiscono i cristiani mentre i musulmani sono descritti in termini favorevoli quando non superlativi: i crociati sono chiamati aggressori, «violenti» e «invasori» mentre la conquista musulmana di terre cristiane è segnalata come «migrazioni» effettuate da «costruttori di imperi».
Altri reclami citati dalla risoluzione riguardano lo spazio sproporzionato dedicato ai principi di fede, alle pratiche e alle scritture sacre dell’Islam: in genere all’Islam si dedica il doppio dello spazio riservato al cristianesimo e alle altre religioni del mondo. Uno dei testi citati afferma che l’Islam «portò ricchezze inenarrabili a migliaia di persone e una vita migliore a milioni di persone», mentre «a causa dello zelo religioso [cristiano europeo]… molte persone morirono e molte civiltà furono distrutte». Lo stesso libro paragona «l’attenzione musulmana alla pulizia» con quella degli svedesi in Russia che erano «le creature più zozze di Dio». La risoluzione del Texas critica anche «le defezioni edulcorate della jihad che evitano di menzionare l’intolleranza religiosa e la violenza contro i non-musulmani da parte dei terroristi musulmani».
L’analisi scritta ha dovuto limitarsi a libri sostituiti con altri fin dal 2003, perché le regole della Sovrintendenza vietano risoluzioni su libri di testo attualmente in uso, ma nella discussione erano emerse le stesse critiche anche a testi tuttora in uso. Prima del voto i critici hanno protestato dicendo che nessuno dei 15 consiglieri aveva sottoposto a studiosi esterni le accuse di pregiudizio, in particolare riguardo alle Crociate.
La consigliera Cynthia Dunbar, tuttavia, ha fornito una risposta sotto forma di una lunga lista di professori e storici accreditati che affermano che le Crociate furono un tentativo di fermare la diffusione rapida e violenta dell’Islam. Inoltre ha citato un rapporto dell’American Textbook Council del 2008, la cui conclusione era che i libri di testo americani riportano in genere una visione dell’islam che «travisa e sue fondamenta e le sfide alla sicurezza internazionale» (“Education Week”, 24 settembre 2010).

Fonte: Corrispondenza Romana, 27/11/2010

9 - NAPOLEONE, CAVOUR E GARIBALDI: ECCO COME LA MASSONERIA INTERVENNE IN ITALIA
Ecco i tre aspetti che non consentono di escludere l'influenza massonica durante il Risorgimento
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: La Bussola Quotidiana, 11-12-2010

Quando si parla dei rapporti fra Massoneria e Risorgimento si contrappongono due tesi opposte. Per alcuni – sia massoni, sia avversari della massoneria – il Risorgimento è opera diretta e principale dei massoni. Per altri la massoneria non ha avuto alcun ruolo nel Risorgimento, e la tesi contraria deriva o da vanterie infondate di massoni o da «teorie del complotto» dei loro nemici. Come, in realtà, non avviene sempre – ma questa volta è proprio così – la verità sta nel mezzo.
Vale la pena, anzitutto, di richiamare che cos’è la massoneria. Risultato dell’infiltrazione di esoteristi, alimentata dal mito dei Rosacroce, nelle corporazioni di origine medioevale e cattolica dei liberi muratori (freemasons in inglese, da cui i nostri «frammassoni» e «massoni»), la massoneria nasce nel 1717 a Londra al termine di un processo che si era sviluppato lungo tutto il Seicento. Le antiche corporazioni di mestiere sono trasformate in organizzazioni filosofiche, le quali insegnano attraverso un rituale una mentalità, dove non ci sono dogmi né principi non negoziabili, ma la verità – nella filosofia come nella morale – nasce sempre e solo dal consenso e dalla libera discussione. Questo metodo massonico è sostenuto in alcune logge dal razionalismo di tipo illuminista, in altre da un esoterismo che insegue l’unità trascendente e segreta di tutte le religioni.
A prescindere dall’esito, la Chiesa Cattolica – che crede invece nei dogmi e proclama i principi morali come non negoziabili – condanna nella massoneria il metodo, che conduce inevitabilmente al relativismo. Dalla prima condanna di Papa Clemente XII nel 1738 alla Dichiarazione sulla massoneria tuttora vigente della Congregazione per la Dottrina della Fede, allora presieduta dal cardinale Ratzinger, controfirmata dal venerabile Giovanni Paolo II nel 1983, secondo cui «i fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla Santa Comunione», il giudizio della Chiesa non è mai cambiato.
In Italia la massoneria è presente fin dal Settecento, sia nella sua «corrente calda» esoterica sia nella «corrente fredda» razionalista. Il suo autentico boom è con Napoleone, quando in Italia si arriva – secondo una stima per difetto – a 250 logge con circa ventimila massoni. Troppo legata a Napoleone, la massoneria italiana è però coinvolta nella sua caduta e alla Restaurazione è vietata in tutti gli Stati della penisola. Sarà formalmente ricostituita solo nel 1859 a Torino con la Loggia Ausonia, cui segue la fondazione del Grande Oriente d’Italia guidato da un uomo politico vicinissimo a Cavour, Costantino Nigra. Il Risorgimento sembrerebbe dunque avvenuto, in gran parte, in un periodo – dal 1815 al 1859 – in cui la massoneria in Italia non c’era.
Dunque la massoneria non c’entra con il Risorgimento? Non si può dire, per tre buoni motivi. Anzitutto, molti protagonisti del Risorgimento erano affiliati a logge straniere e la massoneria di Paesi diversi dall’Italia per ragioni sia politiche sia di avversione alla Chiesa Cattolica ha un ruolo importante nelle vicende risorgimentali. Emblematico è il caso di Garibaldi, che una volta ricostituita la massoneria italiana ne diventerà Gran Maestro. In secondo luogo, operavano in Italia altre società segrete – la più importante delle quali era la carboneria – che, nonostante l’uso specie nei gradi più bassi di simboli cristianeggianti, avevano molto in comune con la massoneria. Terzo – ed è l’aspetto più importante –: i ventimila massoni dell’epoca di Napoleone non erano tutti morti o andati in esilio, erano l’élite della borghesia e della nobiltà laica e anticlericale e la loro mentalità collettiva costituiva una vera massoneria senza logge.
Così – mentre l’ideale dell’unità d’Italia era coltivato anche in un senso certamente non massonico da cattolici come i beati Rosmini e Faà di Bruno – la massoneria, con o senza logge, riuscì a imprimere il suo marchio non organizzativo ma culturale sul Risorgimento, che è cosa diversa dall’unità. Il modo risorgimentale di costruire l’unità politica costruì un Paese a tavolino, in laboratorio, senza tenere conto dei suoi localismi – che avrebbero richiesto soluzioni federali, mentre si scelsero il centralismo e lo statalismo – e della sua storia, che era cattolica e come tale invisa agli anticlericali.
E l’ingegneria sociale che costruisce nazioni a tavolino è appunto tipica della massoneria, fin dalle antiche utopie dei Rosacroce. Gli effetti di questa egemonia massonica sul modo in cui fu fatta l’unità – un’egemonia che si aggraverà nell’epoca dei massoni Crispi e Carducci degli ultimi decenni dell’Ottocento, quando sarà soprattutto la massoneria a disegnare la nuova scuola pubblica e a occuparsi di «fare gli italiani» - si fanno sentire, purtroppo, ancora oggi.

Nota di BastaBugie: per chi abita in Toscana è assolutamente da non perdere l'incontro con Angela Pellicciari "Fu vera gloria? Vediamo l'ardua sentenza!" Venerdì 21 gennaio 2011 ore 21.00 a Staggia Senese http://www.amicideltimone-staggia.it/it/edizioni.php?id=8

Fonte: La Bussola Quotidiana, 11-12-2010

10 - IL CONCILIO VATICANO II, UNA STORIA MAI SCRITTA (LA CRITICA)
A proposito del Vaticano II, Benedetto XVI ha distinto un'errata ermeneutica della discontinuità e della rottura, da una giusta ermeneutica della continuità
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Avvenire, 1° dicembre 2010

Il 22 dicembre 2005, in un discorso ormai famoso alla Curia Romana, Benedetto XVI ha distinto a proposito del Vaticano II un’errata «ermeneutica della discontinuità e della rottura» rispetto al Magistero precedente, e una giusta «ermeneutica del rinnovamento nella continuità». Il 24 luglio 2007, ad Auronzo di Cadore, il Papa ha aggiunto che l’ermeneutica della rottura è praticata sia dal «progressismo sbagliato» sia dall’«anticonciliarismo». Entrambi affermano che il Vaticano II ha rotto con la Tradizione, i progressisti per applaudire questa presunta rottura e gli anticonciliaristi per deplorarla.
Ma in verità, per Benedetto XVI, non c’è nessuna rottura. Per decenni, l’ermeneutica della rottura è stata proposta principalmente dal fronte del «progressismo sbagliato». Di recente sono apparse diverse opere che ripropongono l’ermeneutica della rottura in chiave anticonciliarista e talora cercano di rivalutare la figura, emblematica per questa lettura del Concilio, di monsignor Marcel Lefebvre. Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta dello storico Roberto de Mattei (edito da Lindau) si presenta, già dal titolo e dalla mole (632 pagine), come un libro molto ambizioso e una vera summa delle tesi anticonciliariste. A differenza di altri autori, che condividono con lui l’accusa al Concilio di avere rotto con la Tradizione, de Mattei manifesta un maggiore distacco nei confronti di monsignor Lefebvre, rilevando che del cosiddetto «tradizionalismo» che rifiutava il Concilio il vescovo francese non fu mai «il capo», ma solo «l’espressione più visibile e alimentata dai mass­media ». De Mattei condivide però con i 'lefebvriani' la tesi secondo cui l’ermeneutica della continuità auspicata da Benedetto XVI è ultimamente impraticabile. Infatti, per interpretarli alla luce della Tradizione, i documenti conciliari dovrebbero essere separati dall’evento-Concilio, che consta della sua preparazione, delle discussioni in aula – ricostruite da de Mattei in modo minuzioso, usando però molto meno le relazioni delle commissioni –, delle presentazioni contemporanee dei media e delle applicazioni successive. Questa «artificiale dicotomia fra i testi e l’evento», secondo de Mattei, dal punto di vista dello storico e del sociologo non ha senso. Lo storico romano cita fra i sociologi che hanno applicato al Concilio le teorie dell’evento globale Melissa Wilde e il sottoscritto. Da queste teorie pensa di poter concludere che i documenti fanno parte dell’evento, fuori del quale perdono il loro significato.
Ma la teoria sociologica dell’evento non afferma che sia impossibile la distinzione fra un testo e il suo contesto. Se il testo fosse fagocitato dal contesto, il che applicando il metodo del libro potrebbe essere affermato di qualunque documento che si presenta come autorevole, saremmo di fronte a una sorta di strutturalismo, o a un’applicazione al Magistero di quelle teorie – pure criticate da de Mattei con riferimento alla Bibbia – che riducono la sacra Scrittura alla sua sola redazione e forma, dove ogni brano è smontato e decostruito in un gioco di riferimenti perpetuo in cui nulla ha più autorità. La buona scienza dovrebbe servire a spiegare i documenti, non a farli a pezzi. De Mattei nega la continuità dei documenti del Concilio con la Tradizione, ribadita dal Papa anche nella recente esortazione Verbum Domini. Ripropone così purtroppo, ancora una volta, quell’ermeneutica della rottura che Benedetto XVI denuncia come dannosa.

Fonte: Avvenire, 1° dicembre 2010

11 - IL CONCILIO VATICANO II, UNA STORIA MAI SCRITTA (LA DIFESA)
Ecco perché Roberto De Mattei ha ragione: l'ermeneutica della continuità ha due interpretazioni (minimalista e massimalista)
Fonte Corrispondenza Romana, 10 Dicembre 2010

Riportiamo un intervento del prof. Corrado Gnerre in risposta all’articolo comparso su “Avvenire” del 1° dicembre scorso a firma di Massimo Introvigne, critico nei confronti del recente testo pubblicato da Roberto de Mattei: Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, edito dalla casa editrice Lindau.

Le accuse che Massimo Introvigne muove al libro del prof. de Mattei sono fondamentalmente due: l’autore non avrebbe adeguatamente “separato” i testi conciliari dalla dimensione dell’“evento” Concilio e inoltre l’autore avrebbe rifiutato la cosiddetta “ermeneutica della continuità” (tanto raccomandata e sollecitata da Benedetto XVI) per sostenere invece un’“ermeneutica della rottura”.
Per quanto riguarda la prima accusa, Introvigne scrive: «[Roberto de Mattei] conclude che i documenti [del Concilio] fanno parte dell’evento, fuori del quale perdono significato. Ma la teoria sociologica dell’evento non afferma che sia impossibile la distinzione fra un testo e il suo contesto. Se il testo fosse fagocitato dal contesto, il che applicando il metodo del libro potrebbe essere applicato di qualunque documento che si presenta come autorevole, saremmo di fronte a una sorta di strutturalismo, o un’applicazione al Magistero di quelle teorie – pure criticate da de Mattei con riferimento alla Bibbia – che riducono la Sacra Scrittura alla sola redazione e forma, dove ogni brano è smontato e decostruito in un gioco di riferimenti perpetuo».
Mi sembra, però, che questo tipo di critica non centri bene la questione, perché se è vero, come dice Introvigne, che un testo può essere separato dal contesto, è pur vero che c’è testo e testo e qualsiasi indagine che voglia davvero dirsi scientifica deve prendere in considerazione anche come il testo in questione è scritto e soprattutto perché è stato scritto. Ora, sembra proprio che i testi conciliari non possano essere separati da una motivazione di fondo, che fu quella non solo di “avvicinarsi” alla modernità, ma anche di rilevare della modernità principalmente il positivo, trascurando la differenza tra il “moderno” come categoria filosofica e il “moderno” come semplice sviluppo della tecnica.
Quando Introvigne allude alla Sacra Scrittura fa un esempio che non regge, perché essa (la Sacra Scrittura) non è suscettibile di un’interpretazione strutturalista, in quanto nella sua stesura vi sono motivazioni secondo cui la Parola debba costituire salvezza del mondo e non viceversa. Dai testi conciliari, invece – come dicevo prima – si evince un intento di recuperare la modernità e di mettersi in ascolto dei segni dei tempi. Insomma, i documenti conciliari, optando per un’impostazione pastorale, utilizzano un tipo di linguaggio che è d’incontro con la modernità; un linguaggio che risente di quella tipica atmosfera degli anni ’60, cioè di fiducia per l’immediato futuro, che oggi è difficilmente proponibile e che la storia degli ultimi decenni ha anche chiaramente smentito. Ed è proprio l’impostazione pastorale di quei documenti che rende difficile ed anche impropria la separazione testo-contesto.
L’altro punto è senza dubbio più complesso ed è quello riguardante l’“ermeneutica della continuità”. Benedetto XVI lo ha detto chiaramente più volte, ma soprattutto nel famoso discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005: il Concilio Vaticano II deve essere interpretato alla luce della Tradizione di sempre della Chiesa, e quindi non può esserci rottura tra ciò che è stato insegnato prima e ciò che è stato insegnato con questo concilio. La questione però dov’è? Cosa significa davvero “ermeneutica della continuità”?
Ciò che dice il Papa è una constatazione di ciò che era davvero nell’intenzione di tutti i padri conciliari o invece di ciò che non poteva non accadere? Mi spiego meglio: i testi del Concilio sono davvero tutti nella continuità, oppure dobbiamo fare in modo che lo siano perché non può esserci rottura tra gli atti ufficiali del Magistero? Il celebre teologo, monsignor Brunero Gheraradini, decano della Lateranense, afferma nel suo Concilio Vaticano II. Un discorso da fare (Casa Mariana) che l’“ermeneutica della continuità” non può non essere anche “ermeneutica teologica”. E dal momento che i testi conciliari, per loro stessa ammissione, non sono dogmatici e definitori, si potrebbe anche intervenire su di essi, perlomeno per chiosarli con un documento chiarificatore in maniera che non possa su di essi essere applicata nessuna ermeneutica della rottura. Da qui anche l’auspicio con cui monsignor Gherardini conclude il suo libro indirizzando una supplica al Santo Padre: «Sembra, infatti, difficile, se non addirittura impossibile, metter mano all’auspicata ermeneutica della continuità, se prima non si sia proceduto ad un’attenta e scientifica analisi dei singoli documenti, del loro insieme e d’ogni loro argomento, delle loro fonti immediate e remote […].
A ciò ripensando, da tempo era nata in me l’idea – che oso ora sottoporre alla Santità Vostra – d’una grandiosa e possibilmente definitiva mess’a punto sull’ultimo Concilio in ognuno dei suoi aspetti e contenuti». Insomma, Introvigne dovrebbe capire che la definizione “ermeneutica della continuità” può essere suscettibile di due possibili interpretazioni: “minimalista” e “massimalista”. La “minimalista”, che afferma la continuità, ma conservando tutto com’è; la “massimalista”, che afferma ugualmente la continuità, ritenendo però necessario intervenire con un eventuale documento per annotare quelle parti dei testi conciliari che più difficilmente sono armonizzabili con i documenti del magistero precedente. È “ermeneutica della continuità” in entrambi i casi. Infatti, non mi sembra che né il testo di Roberto de Mattei né tantomeno ciò che affermano coloro che vogliono che il dibattito sulla storia e sui documenti del Vaticano II si sviluppi adeguatamente pretendano di cancellare ciò che è avvenuto. Il Concilio Vaticano II è un fatto. Piuttosto da parte di costoro si vuole prendere in considerazione l’opportunità di andare molto più a fondo per capire davvero le cause di un ormai troppo lungo “inverno” della Chiesa.
Pur essendo molto conosciute e frequentemente citate, voglio ugualmente ricordare alcune parole di Paolo VI: «Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio». Dunque, Paolo VI non evita di citare il Concilio, e ovviamente nessuno giudicherebbe quel Papa come un Papa anticonciliare. Certamente i segni della crisi erano già prima, ma indubbiamente sono esplosi da quell’“evento”.
Rimane poi una questione di non poco conto. Mi sembra che per la prima volta s’invochi da parte del Magistero un’ermeneutica per un atto del Magistero stesso, un atto per giunta pastorale, quindi che ha volutamente utilizzato un linguaggio che sarebbe dovuto essere quanto più possibile chiaro, semplice e aperto a tutti. Già questo dovrebbe far capire che la questione che pone il testo di Roberto de Mattei di andare ad approfondire la storia del Vaticano II per capirlo fino in fondo, sia una questione tutt’altro che irrilevante.

Fonte: Corrispondenza Romana, 10 Dicembre 2010

12 - OMELIA PER LA IV DOMENICA DI AVVENTO - ANNO A - (Mt 1,18-24)
Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 19 dicembre 2010)

Nell’ultima Domenica di Avvento la Chiesa ci invita a riflettere sugli avvenimenti che precedono il Natale del Signore. La scelta del brano evangelico cade perciò sulla pagina nella quale san Giuseppe è tormentato da un dubbio, un dubbio che non riguardava certamente l’onestà e l’innocenza di Maria, ma ciò che Dio domandava a lui personalmente.
Per comprendere questo dubbio bisogna capire bene come avveniva il matrimonio presso gli ebrei. Esso si svolgeva in due fasi distanziate un anno l’una dall’altra. La prima fase era il fidanzamento che, di fatto, riservava definitivamente la giovane al suo futuro marito. In un certo senso, si può dire che essi erano già marito e moglie ma non abitavano ancora insieme: dovevano aspettare ancora un anno. Durante quell’anno fervevano i preparativi per la cerimonia solenne che culminava con la riunione degli sposi nella loro nuova casa.
Il brano del Vangelo di oggi si colloca proprio durante quest’anno di preparativi. Giuseppe e Maria erano già promessi l’uno all’altra, e si stava preparando la solenne cerimonia nuziale. A questo punto avvenne qualcosa di imprevisto per l’ignaro Giuseppe: in Maria si vedevano sempre più evidenti i segni della maternità. Egli ancora non sapeva dell’Annuncio angelico avuto da Maria sua sposa e, quindi, non sapeva che Ella era stata prescelta da Dio per diventare la Madre del Messia. Egli, pertanto, si trovava in un dubbio molto grande: “Cosa vuole il Signore da me?”.
Si è tanto scritto su questo episodio evangelico e tante sono state le risposte date dai vari studiosi della Sacra Scrittura. Ritengo che la risposta più bella sia quella data da san Bernardo il quale, commentando questa pagina evangelica, insegnò che san Giuseppe, illuminato da Dio, comprese che Maria, sua sposa, era quella vergine di cui parlava il profeta Isaia: «La Vergine concepirà e partorirà un figlio» (Is 7,14). Egli conosceva bene la Sacra Scrittura e sapeva che il Messia sarebbe nato da una vergine, e in quel momento comprese che la vergine prescelta per questa altissima missione era proprio Maria, la sua sposa.
Sappiamo dal Vangelo che Maria e Giuseppe volevano mantenere la loro verginità. Questo lo deduciamo dalle parole che Maria disse all’Angelo allorquando egli le disse: «Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù» (Lc 1,31). A quelle parole, Maria rispose: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34). È chiaro che queste parole hanno senso solo se si ammette che i due santi Sposi avevano molto fermo il proposito di mantenere integra la loro verginità; o, per meglio dire, che avevano fatto un vero e proprio voto di verginità.
La prima domanda che sorge spontanea è la seguente: per quale motivo Maria non disse nulla a san Giuseppe riguardo il mistero che stava avvenendo in Lei? La riposta è semplice: il mistero che si stava compiendo in Lei era talmente grande che non si sentiva in grado di esprimerlo. Dio certamente avrebbe provveduto ad avvisare il suo sposo Giuseppe.
San Giuseppe, come dicevo prima, comprese che Maria stava diventando la Madre verginale del Messia e fu colto da un profondo senso di umiltà. Insegnava san Bernardo che per tal motivo egli si voleva ritirare nell’ombra, ritenendosi indegno di vivere accanto al Messia e alla Madre sua. Se avesse ritenuto Maria colpevole di qualche cosa, l’avrebbe accusata pubblicamente. Considerandola invece innocente, volle mandarla via in segreto, allontanandosi così da un Mistero che considerava troppo grande per lui. In questo modo, san Giuseppe avrebbe fatto ricadere tutte le colpe su di lui.
Ecco allora che intervenne l’Angelo a rassicurare il giusto Giuseppe e a dirgli: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20).
Uno dei vari messaggi di questo brano evangelico penso possa essere questo: come san Giuseppe, anche noi non dobbiamo temere di prendere Maria nella nostra vita. Prendere Maria nella nostra vita significa consacrarci interamente a Lei, affidandole la nostra vita, mettendoci sotto la sua materna protezione e pregandola con fervore. San Giuseppe deve diventare per noi il modello supremo della devozione mariana. Prendendo Maria nella nostra vita, andremo molto avanti e molto in alto.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 19 dicembre 2010)

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