LA BELLISSIMA STORIA DI CHIARA CORBELLA, LA GIOVANE ROMANA DI 28 ANNI CHE UNA SETTIMANA FA HA DONATO LA SUA VITA PER PORTARE A TERMINE LA GRAVIDANZA
La santità è stare ogni giorno al posto di combattimento, nella propria realtà così com'è, abbracciandola in ogni istante: sarà poi Gesù a decidere se farci morire a fettine o morire tutto insieme (ecco il video su Chiara)
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
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L'OMOSESSUALITA' E' SECONDO NATURA SEMPLICEMENTE PERCHE' LA PRATICANO ANCHE GLI ANIMALI?
Se è per questo tra gli animali si trovano anche la pedofilia, la necrofilia, gli stupri di gruppo, la divorazione del partner a rapporto avvenuto, ecc.
Autore: Rodolfo Casadei - Fonte: Tempi
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ARRESTATI ITALIANI CONVERTITI ALL'ISLAM CHE PROGETTAVANO ATTENTATI TERRORISTICI
Ormai dilagante il Jihad anche in Italia con la diffusione di manuali dal titolo ''Come fabbricare una bomba nella cucina di tua madre'' (vedi il film ''Il mercante di pietre'')
Autore: Bice Benvenuti - Fonte: Avvenire
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LA FRETTA DEI MEDICI A SENTENZIARE LA STERILITA'... DIMENTICANDO PREVENZIONE, DIAGNOSI E ADOZIONE
La crescente medicalizzazione della maternità chiude la porta a ogni speranza di concepimento naturale a tutto vantaggio della fecondazione artificiale (e di chi ci specula sopra)
Autore: Carlo Bellieni - Fonte: Avvenire
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SANTA GIOVANNA D'ARCO, LA PULZELLA INVIATA DA GESU' A SALVARE LA FRANCIA
Condannata da un tribunale inglese corrotto e riabilitata pochi anni dopo dal Papa, viene citata più volte dal Catechismo della Chiesa Cattolica
Autore: Benedetto XVI - Fonte: FilmGarantiti.it
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CONTRO IL BUDDISMO: IL VOLTO OSCURO DI UNA DOTTRINA ARCANA
Il libro di Roberto Dal Bosco che critica con esempi concreti il Dalai Lama e in generale il mondo dei monaci arancioni
Autore: Camillo Langone - Fonte: www.costanzamiriano.wordpress.com
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CARA RAGAZZA, IL PRINCIPE AZZURRO ESISTE SOLO NELLA TUA TESTA
Nell'amore bisogna buttarsi e rischiare: conosco un soggetto che diceva di non essere sicuro di volersi impegnare... adesso è mio marito e abbiamo fatto quattro figli
Autore: Costanza Miriano - Fonte: www.costanzamiriano.wordpress.com
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TERMINATA LA FASE DIOCESANA DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE DEL PROFESSOR JEROME LEJEUNE
Scoprì a soli 32 anni l'origine genetica della sindrome di Down e fu perciò candidato al Nobel, ma non gli fu assegnato perché si rifiutò di inaugurare l'era dell'eliminazione dei feti portatori di anomalie genetiche
Autore: Gian Luigi Gigli - Fonte: Avvenire
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IL RITORNO DELLE BALAUSTRE NELLE CHIESE: RICORDANO UN ARGINE SACRO
Per secoli hanno costituito una presenza regolare all'interno delle chiese: servirebbero fiumi d'inchiostro per descrivere tutte le funzioni e tutti i significati che essi hanno rivestito
Autore: Andrea De Meo - Fonte: Il Timone
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FAMIGLIA CRISTIANA, JESUS, CONCILIUM: LE RIVISTE APPARENTEMENTE ''CRISTIANE'', MA IN REALTA' MODERNISTE IN SALSA POLITICALLY CORRECT
Ciliegina sulla torta è ''L'Eco di san Gabriele'', la rivista dei passionisti, piena di articoli né formativi né edificanti fino all'errore vero e proprio
Autore: Fabrizio Cannone - Fonte: Corrispondenza Romana
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OMELIA NATIVITA' DI SAN GIOVANNI BATTISTA - ANNO B - (Lc 1,57-66.80)
Gli si sciolse la lingua e parlava benedicendo Dio
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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LA BELLISSIMA STORIA DI CHIARA CORBELLA, LA GIOVANE ROMANA DI 28 ANNI CHE UNA SETTIMANA FA HA DONATO LA SUA VITA PER PORTARE A TERMINE LA GRAVIDANZA
La santità è stare ogni giorno al posto di combattimento, nella propria realtà così com'è, abbracciandola in ogni istante: sarà poi Gesù a decidere se farci morire a fettine o morire tutto insieme (ecco il video su Chiara)
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 17 giugno 2012
Sono una privilegiata perché sabato mattina, nella Festa del Cuore Immacolato di Maria, ho assistito al funerale di Chiara Corbella Petrillo, e ho accompagnato una nuova sorellina in cielo, una sorella a cui vorrei andare dietro, mettendomi in fila, insieme alle mille persone che erano in chiesa, e alle migliaia che stanno imparando a conoscere la sua storia. Migliaia che presto saranno milioni, perché bonum est diffusivum sui, il bene è contagioso. Conoscevo indirettamente Chiara da anni, attraverso una comune amica che mi raccontava le tappe della sua vita quando ci incontravamo davanti all'asilo o al parco. Questo mi ha aiutato a raccapezzarmi un po', integrando con quello che sapevo l'omelia, della quale ho sentito credo una decima parte, a causa di un impianto audio difettoso ai piani superiori del matroneo. La chiesa infatti era stracolma, e noi sei – anche i bambini sono venuti e sono stati buoni oltre due ore, perché l'importanza del momento era evidente anche a loro – siamo riusciti a infilarci solo salendo le scale, e anche lì sopra solo la seconda fila era libera. Chiedo appunto a chi era sotto e ha sentito le parole di padre Vito e quelle del marito, Enrico, e quelle del cardinal Vallini di integrare con i commenti quello che ho perso, perché il chicco di frumento che ha accettato di morire porti più frutto possibile. A concelebrare c'erano oltre venti sacerdoti, tra cui il nostro don Fabio Bartoli, e don Fabio Rosini, e con loro il cardinal vicario di Roma Agostino Vallini, come segno della presenza materna della Chiesa nei suoi più alti livelli. La chiesa di santa Francesca Romana, nel quartiere Ardeatino, era piena soprattutto di giovani e di famiglie, con tanti bambini. Padre Vito, che negli ultimi tempi era andato a vivere con Chiara ed Enrico per sostenerli nella prova più dura, ha raccontato la storia di questa coppia. Si sono conosciuti a Medjugorje, e si sono presto sposati. La storia poi è nota, una prima bambina, nata senza cervello ma accolta fino alla morte naturale, arrivata a trenta minuti dalla nascita. Trenta minuti che sono stati sufficienti a battezzarla e circondarla d'affetto. Un secondo bambino che prima sembrava sano, poi a un'altra ecografia è apparso senza le gambe, e poi, in prossimità della nascita, si è scoperto destinato a morire subito. Di nuovo Chiara ed Enrico decidono di accoglierlo, lo mettono al mondo e lo battezzano. Due funerali celebrati senza smettere per un momento di credere, con "i nostri cuori innamorati sulla croce" che "solo Lui è la pace, e in Lui è la vita", sono le parole di Enrico. Poi il terzo bambino, finalmente è sano. Al quinto mese però diagnosticano a Chiara un carcinoma alla lingua, una forma grave e avanzata. Chissà se abortire per cominciare subito le cure avrebbe salvato la vita alla mamma, non lo sapremo mai, ma comunque per i genitori del piccolo Francesco la sua vita non si tocca. Ancora una volta c'è voluto coraggio per dire quest'altro sì, un sì che è stato possibile solo stringendo ancora di più l'alleanza con Dio. Un'alleanza che non viene dal nulla, che non è scienza infusa, ma qualcosa che si conquista giorno dopo giorno grazie a una regola che Chiara amava molto, quella delle tre p. Piccoli passi possibili. Francesco viene fatto nascere prima, ma comunque in modo che non sia in pericolo. Poi cominciano le cure. Ad aprile la sentenza: ormai Chiara è in fase terminale, inutile curarsi. Ha vinto quello che lei chiamava "il mio drago". Lei, però, non è morta per suo figlio, lei ha dato la vita a suo figlio, ha detto padre Vito, che è tutta un'altra cosa. E poi, dopo avergli dato la vita, ha lottato con tutte le sue forze per continuare a vivere. Quando torna a casa, dopo la sentenza, lei dice: "va bene tutto, la prova, la malattia, ma se voi fate queste facce, 'gnela posso fa'". Chiara infatti era sempre ironica e sorridente, sapeva scherzare anche in una situazione assurdamente tragica, se giudicata con parametri umani. Ma loro, venuti da un cammino di fede prima come singoli e poi come coppia [...] non guardavano niente da un punto di vista umano. Tutto sub specie aeternitatis. Però questa fede, ha detto più volte padre Vito, era stata conquistata piano piano, provata dalla croce e sempre rafforzata. E così Chiara è arrivata a dire che forse non chiedeva la propria guarigione, ma che suo marito e suo figlio fossero sereni durante la malattia e dopo la sua morte, e così tutte le persone che le vogliono bene. Per questo poco prima di morire Chiara aveva affrontato un viaggio a Medjugorje, al quale aveva invitato le famiglie degli amici: giovani coppie e tanti bambini. Era stata una grande fatica per lei, ormai molto malata, ma l'aveva fatta per aiutare gli altri ad accettare il dolore, a capire ai piedi della Madonna il senso della vita qui su questa terra. Poi è morta felice, sì, felice, dice padre Vito che è stato con lei ogni momento, ed è stata vestita con l'abito da sposa. Felice, perché chi l'ha detto che la malattia e la morte sono il male assoluto? Dove sta scritto? Chiara è andata incontro al suo sposo, e anche Enrico ha lo stesso sposo, il Signore, che è fedele, e – scrive Enrico – me lo ricorda il nostro bambino. "Ho pensato che fosse finita la gioia, ma poi Francesco me l'ha ricordato, lui è la fedeltà di Dio, è l'amore che non delude, è la follia della croce dell'Amore semplicemente donata". Questa mattina stiamo vivendo quello che visse il soldato romano che, vedendo morire Gesù, disse "Costui era veramente figlio di Dio", ha detto padre Vito. Chiara era "semplicemente" una figlia di Dio, che viveva in pienezza il suo abbandono nelle mani del Padre, e che da Lui ha accolto tutto con docilità, fermamente convinta che da Dio non potesse venire niente di male. Il marito ha cantato, con una voce strepitosa, tante canzoni che avevano composto insieme durante la loro storia (lei suonava anche il violino); solo per la comunione (la nostra con una fila di due rampe di scale) ne abbiamo ascoltate diverse. L'ultima è stata Perfetta Letizia. Alla fine Enrico ha letto una lettera scritta dalla mamma al bambino, adorato in questo anno che sono stati insieme (sotto l'altare una grande foto dei primi momenti di vita di Francesco, la mamma con la testa reclinata sul piccolo, addormentato): una lettera che un giorno lo renderà sicuro del grande amore ricevuto, ma un amore gioioso. "Vado in cielo ad occuparmi di Maria e Davide, e tu rimani con il papà. Io dal cielo prego per voi". Poi il marito ha ricordato che Chiara non avrebbe voluto fiori (però la chiesa ne traboccava), ma che ognuno si portasse un regalo a casa, e così per ogni famiglia (non bastavano per i singoli, eravamo in troppi) c'era una piantina da portare a casa. Alla fine il cardinale Vallini ci ha dato la sua benedizione solenne, e ha detto: "io non so cosa ha preparato Dio attraverso questa donna, ma è sicuramente qualcosa che non possiamo perdere, e ci ricorda di dare il giusto valore a ogni piccolo o grande gesto quotidiano". Ecco, da qui vorrei partire per aggiungere la mia piccola riflessione a quella che finora è stata – impianto audio permettendo – la cronaca. Ho ricevuto diverse chiamate e messaggi di amiche, e ho avuto un po' la sensazione che qualcuno rischi di sentirsi come schiacciato da un esempio di santità raccontato come ineguagliabile. E le persone che si sono dette più indegne di fronte a Chiara sono proprio quelle che a me sembrano invece a loro volta esempi di santità. Donne e uomini che vivono le loro vite in modo coerente, fedele, eroico a volte, quando richiesto. Solo che a loro, a noi, Dio (per ora) non ha chiesto di attraversare prove simili. Ma non dobbiamo giudicare Dio, e neanche noi stessi. Non credo, da quello che so dalla mia amica e da quello che ho sentito di lei in chiesa, che Chiara avrebbe voluto comunicare questa distanza, non avrebbe voluto il santino, o la deriva agiografica. Ognuno di noi è chiamato soltanto, e non mi pare poco, a stare ogni giorno al posto di combattimento, nella propria realtà così com'è, abbracciandola in ogni istante. Dio è il Dio del presente, Satana lo è del passato e del futuro. Non sappiamo perché a ciascuno di noi è chiesto quello che ci è chiesto, se morire a fettine o morire tutto insieme. I santi sono quelli che lasciano vivere Dio in sé, che gli danno spazio; perciò è bene guardare il loro esempio, ma solo se ci riporta più in alto lo sguardo, a Colui che ci ama così tanto che se lo sapessimo piangeremmo di gioia ("da soli non è possibile farcela", ha scritto Enrico). Dare la vita è la chiamata di tutti, stare nell'istante è la nostra unica possibilità di essere fedeli a Dio. E per farlo è necessaria una compagnia di amici nella fede, come quelli, numerosissimi, che hanno avuto Chiara ed Enrico, che aiutino a guardare insieme verso la meta comune. Il cristianesimo è per tutti, perché per tutti è possibile lasciarsi scolpire, poco per volta o tutto insieme, come ha fatto Chiara, con il sostegno di Enrico, un vero uomo dalle spalle larghe, larghissime. Sul perché del dolore, perché il male, perché la sofferenza degli innocenti, be', è bene ascoltarle, le domande che questa storia ci ha riportato prepotentemente al cuore. La risposta a queste domande stabilirà che uomini e che donne saremo. Adesso abbiamo un'alleata in più, nella comunione dei santi.
Nota di BastaBugie: ecco il video con il servizio di TV2000 su Chiara Corbella (per vederlo: clicca sul triangolino al centro del video)
http://www.youtube.com/watch?v=WdLdonkwNbo
Chiara e la passione per la musica Per vedere Chiara con il marito eseguire il canto "Ho bisogno di te" da loro composto ed eseguito al festival romano della canzone di ispirazione cristiana (Enrico è quello che suona la chitarra, mentre Chiara suona il violino), clicca qui sotto: http://www.youtube.com/watch?v=6i8SxM-SwBo
Fonte: Blog di Costanza Miriano, 17 giugno 2012
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L'OMOSESSUALITA' E' SECONDO NATURA SEMPLICEMENTE PERCHE' LA PRATICANO ANCHE GLI ANIMALI?
Se è per questo tra gli animali si trovano anche la pedofilia, la necrofilia, gli stupri di gruppo, la divorazione del partner a rapporto avvenuto, ecc.
Autore: Rodolfo Casadei - Fonte: Tempi, luglio 2007
Prendere a modello la "naturalità" degli animali per inquinare di meno e imparare la tolleranza verso i sessualmente "diversi". Lo predicano etologi come Giorgio Celli e siti internet come www.gay.tv. Si fa notare che comportamenti omosessuali sono stati osservati in 450 specie animali diverse, comprese giraffe, leoni, scimmie bonobo (bisessuali al 100 per cento), pappagalli (il cacatua rosa avrebbe un tasso di omosessualità del 44 per cento), eccetera. E ciò dimostrerebbe che l'omosessualità è un comportamento perfettamente naturale. Se lo fanno gli animali, perché dovrebbero farsi dei problemi i bipedi umani, che sono animali pure loro? Il sillogismo non fa una grinza: gli animali fan così e cosà, gli umani sono animali, dunque anche gli umani faran così e cosà. Vediamo allora cosa sarebbero legittimati a fare gli umani, limitandoci ai comportamenti sessuali, in base al principio della naturale imitazione di quel che fanno gli altri animali. Gli umani pedofili potrebbero ben rivendicare la naturalità delle loro pratiche: hanno l'abitudine di accoppiarsi con esemplari non ancora sessualmente maturi sia le talpe che gli ermellini. E lo stesso potrebbero fare gli stupratori, dato che il sesso forzato è molto diffuso in natura. È praticato sia fra gli insetti (da alcune varietà di ragni) che fra i mammiferi (da erbivori che presentano una forte differenza di stazza fra il maschio e la femmina). Per non parlare degli uccelli: soprattutto oche e anatre arrivano al rapporto sessuale vero e proprio con una serie di violenti assalti alla femmina. Fra gli scarabei d'acqua non esiste nessun sistema di corteggiamento, lo stupro è sistematico. I maschi quasi affogano le loro compagne, tenendole ferme sotto il pelo dell'acqua fino allo sfinimento. Quando si accorgono che la femmina sta per morire la lasciano un po' in pace a respirare, ma vigilando che non riprenda abbastanza forze da potersi accoppiare con altri maschi. Perfino lo stupro di gruppo ha i suoi estimatori nel regno animale: i delfini dal naso a collo di bottiglia inseguono in gruppo per settimane una sola femmina, e quando sono convinti che è arrivato il momento giusto, la sottomettono a turno alle loro voglie dopo averle chiuso ogni via di fuga. Colmo della perversione, i tempi morti del lungo inseguimento possono essere allietati da rapporti omosessuali fra i delfini maschi (spesso si tratta di una coppia). Gli stupri possono avvenire anche fra specie: dagli inizi degli anni Novanta nel Parco nazionale di Pilaneberg nella riserva naturale di Hluhluwe-Umfolozi Game Reserve in Sudafrica si registrano violenze sessuali da parte di giovani elefanti maschi ai danni di rinoceronti, spesso uccisi dopo l'atto. Altre riserve della regione hanno registrato casi analoghi. Il cannibalismo sessuale è un'altra pratica piuttosto diffusa nel mondo animale. In particolare fra i ragni e le mantidi l'uccisione e la divorazione del partner a rapporto avvenuto è molto comune: le femmine aracnidi, se non sono state opportunamente sedotte con doni alimentari o più banalmente immobilizzate con vari accorgimenti, tendono a uccidere e mangiarsi il partner maschio. Sia nel caso dei ragni che degli anfipodi (come per esempio la pulce d'acqua) la divorazione del maschio può avvenire sia durante che al termine della copula. Infine persino la necrofilia non è per nulla sconosciuta nel regno animale. Un famoso caso di tale pratica è stato osservato dall'etologo Kees Moeliker del Museo di storia naturale di Rotterdam a proposito di una coppia di germani reali. Una coppia di questi animali si schiantò in volo contro una vetrata del museo durante uno di quegli inseguimenti amorosi fra anatre che si concludono con lo stupro della femmina da parte del maschio. Moeliker uscì dal suo ufficio e osservò la seguente scena: dopo avere beccato più volte il germano deceduto a causa dell'incidente senza reazioni da parte di quest'ultimo, il germano sopravvissuto si unì carnalmente al morto ed ebbe un rapporto completo. L'atto di necrofilia durò 75 minuti, durante i quali l'anatra sospese la sua azione per due brevi intervalli per poi riprenderla. Una volta allontanatosi l'animale a rapporto consumato, un'ispezione del cadavere dell'anatra penetrata rivelò trattarsi di un maschio: trattavasi dunque di atto non solo necrofilo, ma omosessuale. Un altro animale sorpreso in connubi necrofili è il rospo delle canne, che oltre a unirsi a rospe defunte fa pure sesso con oggetti inanimati. Bisogna poi dire che anche alcuni degli animali con abitudini omosessuali dimostrano, come certi omosessuali umani, intense aspirazioni genitoriali. Non consiglieremmo però a tutti di realizzarle nello stesso modo. Per esempio ci sono coppie di cigni maschi australiani che attivano una relazione a tre con una femmina e poi, dopo che hanno ottenuto da lei la deposizione di uova, la cacciano dal nido e si occupano loro della cova e poi dell'accudimento dei piccoli. Coppie di pinguini gay dello zoo centrale di New York hanno ugualmente covato con successo uova rubate dal nido di pinguine femmine. Negli zoo di Giappone e Germania coppie di maschi omosex si sono più modestamente limitate a covare un sasso. Fra i maschi umani c'è poi chi invidia l'elefante marino: un esemplare di due tonnellate può conquistarsi un harem di cento femmine con le quali, nei tre mesi dell'accoppiamento, si unisce carnalmente senza tante cerimonie otto-dieci volte al giorno. C'è però un problema: solo gli elefanti marini più forzuti riescono a realizzare il loro sogno erotico, a prezzo di continue risse e battaglie coi maschi concorrenti. I quali alla fine restano, si può ben dire, con un palmo di naso. Morale: soltanto l'1 per cento dei maschi dell'elefante marino alla fine possono dire di aver avuto rapporti sessuali, contro praticamente il 100 per cento delle femmine. Qualcosa di simile alle orge è invece segnalato fra abitatori del mare che vanno dai delfini ai cavallucci marini, a lungo erroneamente considerati un modello di fedeltà coniugale fra gli animali, e fra primati come lo scimpanzé e il già citato bonobo. Per la serie "amore e morte", va infine ricordato che alcuni mammiferi uccidono i piccoli di primo letto della femmina o le provocano l'aborto quando è incinta di un altro maschio, quando intendono prendere il posto di quest'ultimo che nel frattempo è deceduto o scomparso. Volete davvero prendere a modello la sessualità del mondo animale per giustificare la pretesa di "normalizzare" le coppie omosessuali umane e altro ancora? Andate avanti prima voi, noi restiamo dove siamo.
Fonte: Tempi, luglio 2007
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ARRESTATI ITALIANI CONVERTITI ALL'ISLAM CHE PROGETTAVANO ATTENTATI TERRORISTICI
Ormai dilagante il Jihad anche in Italia con la diffusione di manuali dal titolo ''Come fabbricare una bomba nella cucina di tua madre'' (vedi il film ''Il mercante di pietre'')
Autore: Bice Benvenuti - Fonte: Avvenire, 24/04/2012
Un manuale dal titolo "Come fabbricare una bomba nella cucina di tua madre", ma anche le tecniche per sfruttare le mappe interattive presenti su internet per organizzare attentati e capire come aggirare le telecamere del traffico. Una vera e propria guida per il Jihad, tradotta e diffusa attraverso il web assieme ad altri documenti provenienti da ambienti vicini ad Al Qaida: è il materiale che ha permesso alla Direzione distrettuale antimafia e alla Digos di Cagliari di far scattare l'operazione «Niriya», culminata dopo due anni d'indagine nell'arresto a Pesaro di Andrea Campione, operaio di 28 anni, di Montelabbate, convertitosi all'Islam, catturato prima della fuga in Marocco. Dieci le persone indagate dal sostituto procuratore Danilo Tronci: avrebbero attivato su internet, attraverso siti e forum, una vera e propria rete di addestramento, traducendo manuali operativi e diffondendo materiale inneggiante il Jhiad ed il martirio attraverso attentati terroristici. Tra gli indagati anche un quarantenne cagliaritano, docente di latino e greco nei licei del capoluogo sardo, accusato di fare proselitismo e di contatti con presunte cellule terroristiche internazionali. L'estremista 28enne arrestato a Pesaro era convertito all'Islam assumendo il nome di Abdul Wahid As Siquili. Dalle indagini è emerso che aveva più volte confidato a un ristretto cerchio di internauti di voler partire appena possibile per l'Afghanistan, o verso altri territori di Jihad, per unirsi alle formazioni cobattenti che operano in quelle aree. Agenti di polizia e specialisti in telecomunicazioni sono entrati in azione anche a Cuneo, Milano, Brescia, Pesaro, Salerno e Palermo, dove sono stati recuperati computer e materiale considerato utile all'inchiesta. Per gli investigatori, la rete che si sviluppava su internet puntava al proselitismo della Jihad islamica, ma soprattutto alla divulgazione di testi operativi di Al Qaida: durante le perquisizioni nelle varie città è stato trovato anche un video di un attentato kamikaze. «Il Jihad non è solo violenza – hanno detto gli investigatori – ma anche il proselitismo e la ricerca di adepti disposti al sacrificio». Due, secondo gli investigatori, i giovani che avrebbero subito il fascino della dottrina divulgato nei siti, alcuni dei quali oscurati su richiesta della Procura di Cagliari. Tra questi, massima attenzione da parte degli inquirenti è stata posta al portale sunna-minbar.com (e altri siti ad esso collegati) che sarebbe stato ideato dai presunti terroristi Moez Garsallaoui e Malika El Aroud, coniugi tunisino e belga ritenuti ai vertici della nuova Jihad europea: il primo è fuggito nel 2007, mentre la moglie è stata condannata in Belgio a otto anni di reclusione. Il docente cagliaritano, secondo le indiscrezioni trapelate, avrebbe avuto collegamenti anche con ambienti dell'estremismo islamico internazionale. A far decollare l'inchiesta cagliaritana è stata una segnalazione arrivata dalla procura di Torino in merito all'attività svolta su internet dall'insegnante sardo ora indagato per apologia, ai sensi dell'articolo 270 quinques varato nel 2005 proprio per contrastare il terrorismo internazionale in Europa. Gli investigatori hanno documentato, in particolare, stretti rapporti tra il giovane pesarese e il marocchino Mohamed Jarmoune, il primo a finire in carcere il 15 marzo scorso a Brescia con l'accusa di voler pianificare un attentato contro la sinagoga di Milano.
Nota di BastaBugie: assolutamente da vedere il film "Il mercante di Pietre" del 2006. Viene palesato il fallimento del multiculturalismo (l'ideologia che si illude di far convivere pacificamente non solo popoli diversi, ma anche culture diverse). Per leggere la scheda del film, vedere il trailer e molto altro clicca qui sotto: http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=14
Fonte: Avvenire, 24/04/2012
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LA FRETTA DEI MEDICI A SENTENZIARE LA STERILITA'... DIMENTICANDO PREVENZIONE, DIAGNOSI E ADOZIONE
La crescente medicalizzazione della maternità chiude la porta a ogni speranza di concepimento naturale a tutto vantaggio della fecondazione artificiale (e di chi ci specula sopra)
Autore: Carlo Bellieni - Fonte: Avvenire, 23/02/2012
Attenti alle parole: si definisce «infertile» una coppia che non riesce a concepire entro 12 mesi di rapporti sessuali privi di trattamenti anticoncezionali. Tuttavia, alcune coppie concepiscono attendendo anche più tempo, e per questo andrebbero chiamate «sub fertili». Purtroppo in questo campo gli studi sono poco chiari, perché alle ricerche sul concepimento spontaneo sfuggono i casi che non riescono a concepire, e a quelli sulla fecondazione artificiale invece sfuggono le donne che non hanno problemi a concepire. Questo denuncia l'ultimo numero della rivista Fertility and Infertility, che parla di sterilità mettendo in chiaro che aspettare troppo per un concepimento naturale significa un alto rischio di insuccesso, e iniziare troppo presto un trattamento medico comporta un rischio di uso inutile di risorse mediche. Per approfondire questo dato, la rivista propone uno studio australiano su oltre 7mila donne, di cui il 18% definito infertile. Delle donne infertili, alcune si sono sottoposte a trattamento fecondativo extracorporeo, altre a induzione farmacologica dell'ovulazione, altre infine a nessun trattamento. Il tasso di gravidanze tra i tre gruppi è risultato sovrapponibile. La conclusione dello studio è che più del 40% delle donne ritenute infertili hanno avuto invece un figlio senza ricorrere a trattamenti medici perché si trattava di pura sub-fertilità. Arrivando a concepire da sola, il tasso di gemelli, con tutti i rischi annessi, è dieci volte più basso. Cosa ci dicono questi dati? Forse che prima di dare una coppia per infertile, bisogna essere più sicuri, e che siccome l'ansia su questi temi serpeggia, è facile da un allarme di infertilità passare di colpo alla ricerca del concepimento con mezzi medicalmente assistiti. La fertilità è una cosa seria, ma oggi sembra che l'unica risposta che la società sa dare è il ricorso a metodiche artificiali, senza ricordare che è lo stesso stile di vita di questa società a generare sterilità. Dunque prima di pensare alle scorciatoie e alle vie di fuga sarebbe bene pensare alla prevenzione. Come ho illustrato assieme alla chimica Nadia Marchettini nel libro Una gravidanza ecologica , molto di ciò che ci circonda induce la sterilità: molti degli insetticidi e dei solventi che usiamo quotidianamente interferiscono col nostro sistema ormonale, addirittura potendo arrivare a intaccare quello del feto se la madre li assume in gravidanza. Per questo alcune categorie sono particolarmente osservate per il rischio-sterilità: parrucchiere, addetti alle rotative di stampa, lavoratori dei campi, addetti alle lavanderie. Ma anche l'assunzione di metalli pesanti o di certi composti plastici avviene senza che ce ne rendiamo conto: il piombo con lo smog, il mercurio con certi pesci di alto mare. Ma soprattutto il primo fattore che fa aumentare la sterilità al 15% nei Paesi occidentali contro il 5% nei Paesi in via di sviluppo è l'età materna avanzata: con l'età cala la capacità di procreare, anche se si ricorre alle tecniche mediche. Perciò, stiamo attenti a non prendere per oro colato quello che leggiamo in certi giornali: la fecondazione artificiale può essere uno strumento troppo usato, o usato frettolosamente; e soprattutto – come quando il saggio indica la luna e la persona poco scaltra si limita a guardare il dito – sono uno solo dei possibili approcci alla sterilità: esistono strade retrocesse in serie B, quali la prevenzione, la diagnosi approfondita e l'adozione, surclassate ormai dalla medicalizzazione della maternità.
Fonte: Avvenire, 23/02/2012
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SANTA GIOVANNA D'ARCO, LA PULZELLA INVIATA DA GESU' A SALVARE LA FRANCIA
Condannata da un tribunale inglese corrotto e riabilitata pochi anni dopo dal Papa, viene citata più volte dal Catechismo della Chiesa Cattolica
Autore: Benedetto XVI - Fonte: FilmGarantiti.it
Vorrei parlarvi di Giovanna d'Arco, una giovane santa della fine del Medioevo, morta a 19 anni, nel 1431. Questa santa francese, citata più volte nel Catechismo della Chiesa Cattolica, è particolarmente vicina a santa Caterina da Siena, patrona d'Italia e d'Europa, di cui ho parlato in una recente catechesi. Sono infatti due giovani donne del popolo, laiche e consacrate nella verginità; due mistiche impegnate, non nel chiostro, ma in mezzo alle realtà più drammatiche della Chiesa e del mondo del loro tempo. Sono forse le figure più caratteristiche di quelle "donne forti" che, alla fine del Medioevo, portarono senza paura la grande luce del Vangelo nelle complesse vicende della storia. Potremmo accostarle alle sante donne che rimasero sul Calvario, vicino a Gesù crocifisso e a Maria sua Madre, mentre gli Apostoli erano fuggiti e lo stesso Pietro lo aveva rinnegato tre volte. La Chiesa, in quel periodo, viveva la profonda crisi del grande scisma d'Occidente, durato quasi 40 anni. Quando Caterina da Siena muore, nel 1380, ci sono un Papa e un Antipapa; quando Giovanna nasce, nel 1412, ci sono un Papa e due Antipapa. Insieme a questa lacerazione all'interno della Chiesa, vi erano continue guerre fratricide tra i popoli cristiani d'Europa, la più drammatica delle quali fu l'interminabile "Guerra dei cent'anni" tra Francia e Inghilterra.
LE FONTI: I PROCESSI DI CONDANNA E DI RIABILITAZIONE Giovanna d'Arco non sapeva né leggere né scrivere, ma può essere conosciuta nel più profondo della sua anima grazie a due fonti di eccezionale valore storico: i due Processi che la riguardano. Il primo, il Processo di Condanna (PCon), contiene la trascrizione dei lunghi e numerosi interrogatori di Giovanna durante gli ultimi mesi della sua vita (febbraio-maggio 1431), e riporta le parole stesse della Santa. Il secondo, il Processo di Nullità della Condanna, o di "riabilitazione" (PNul), contiene le deposizioni di circa 120 testimoni oculari di tutti i periodi della sua vita (cfr Procès de Condamnation de Jeanne d'Arc, 3 vol. e Procès en Nullité de la Condamnation de Jeanne d'Arc, 5 vol., ed. Klincksieck, Paris l960-1989).
L'INFANZIA DI GIOVANNA Giovanna nasce a Domremy, un piccolo villaggio situato alla frontiera tra Francia e Lorena. I suoi genitori sono dei contadini agiati, conosciuti da tutti come ottimi cristiani. Da loro riceve una buona educazione religiosa, con un notevole influsso della spiritualità del Nome di Gesù, insegnata da san Bernardino da Siena e diffusa in Europa dai francescani. Al Nome di Gesù viene sempre unito il Nome di Maria e così, sullo sfondo della religiosità popolare, la spiritualità di Giovanna è profondamente cristocentrica e mariana. Fin dall'infanzia, ella dimostra una grande carità e compassione verso i più poveri, gli ammalati e tutti i sofferenti, nel contesto drammatico della guerra.
LA VOCE DELL'ARCANGELO SAN MICHELE Dalle sue stesse parole, sappiamo che la vita religiosa di Giovanna matura come esperienza mistica a partire dall'età di 13 anni (PCon, I, p. 47-48). Attraverso la "voce" dell'arcangelo san Michele, Giovanna si sente chiamata dal Signore ad intensificare la sua vita cristiana e anche ad impegnarsi in prima persona per la liberazione del suo popolo. La sua immediata risposta, il suo "sì", è il voto di verginità, con un nuovo impegno nella vita sacramentale e nella preghiera: partecipazione quotidiana alla Messa, Confessione e Comunione frequenti, lunghi momenti di preghiera silenziosa davanti al Crocifisso o all'immagine della Madonna. La compassione e l'impegno della giovane contadina francese di fronte alla sofferenza del suo popolo sono resi più intensi dal suo rapporto mistico con Dio. Uno degli aspetti più originali della santità di questa giovane è proprio questo legame tra esperienza mistica e missione politica. Dopo gli anni di vita nascosta e di maturazione interiore segue il biennio breve, ma intenso, della sua vita pubblica: un anno di azione e un anno di passione.
A 17 ANNI: LA FORZA E LA DECISIONE All'inizio dell'anno 1429, Giovanna inizia la sua opera di liberazione. Le numerose testimonianze ci mostrano questa giovane donna di soli 17 anni come una persona molto forte e decisa, capace di convincere uomini insicuri e scoraggiati. Superando tutti gli ostacoli, incontra il Delfino di Francia, il futuro Re Carlo VII, che a Poitiers la sottopone a un esame da parte di alcuni teologi dell'Università. Il loro giudizio è positivo: in lei non vedono niente di male, solo una buona cristiana.
LA LETTERA DELLA PULZELLA AL RE D'INGHILTERRA Il 22 marzo 1429, Giovanna detta un'importante lettera al Re d'Inghilterra e ai suoi uomini che assediano la città di Orléans (Ibid., p. 221-222). La sua è una proposta di vera pace nella giustizia tra i due popoli cristiani, alla luce dei nomi di Gesù e di Maria, ma è respinta, e Giovanna deve impegnarsi nella lotta per la liberazione della città, che avviene l'8 maggio. L'altro momento culminante della sua azione politica è l'incoronazione del Re Carlo VII a Reims, il 17 luglio 1429. Per un anno intero, Giovanna vive con i soldati, compiendo in mezzo a loro una vera missione di evangelizzazione. Numerose sono le loro testimonianze riguardo alla sua bontà, al suo coraggio e alla sua straordinaria purezza. E' chiamata da tutti ed ella stessa si definisce "la pulzella", cioè la vergine.
LA PASSIONE DI GIOVANNA La passione di Giovanna inizia il 23 maggio 1430, quando cade prigioniera nelle mani dei suoi nemici. Il 23 dicembre viene condotta nella città di Rouen. Lì si svolge il lungo e drammatico Processo di Condanna, che inizia nel febbraio 1431 e finisce il 30 maggio con il rogo. E' un grande e solenne processo, presieduto da due giudici ecclesiastici, il vescovo Pierre Cauchon e l'inquisitore Jean le Maistre, ma in realtà interamente guidato da un folto gruppo di teologi della celebre Università di Parigi, che partecipano al processo come assessori. Sono ecclesiastici francesi, che avendo fatto la scelta politica opposta a quella di Giovanna, hanno a priori un giudizio negativo sulla sua persona e sulla sua missione. Questo processo è una pagina sconvolgente della storia della santità e anche una pagina illuminante sul mistero della Chiesa, che, secondo le parole del Concilio Vaticano II, è "allo stesso tempo santa e sempre bisognosa di purificazione" (LG, 8). E' l'incontro drammatico tra questa Santa e i suoi giudici, che sono ecclesiastici. Da costoro Giovanna viene accusata e giudicata, fino ad essere condannata come eretica e mandata alla morte terribile del rogo. A differenza dei santi teologi che avevano illuminato l'Università di Parigi, come san Bonaventura, san Tommaso d'Aquino e il beato Duns Scoto, dei quali ho parlato in alcune catechesi, questi giudici sono teologi ai quali mancano la carità e l'umiltà di vedere in questa giovane l'azione di Dio. Vengono alla mente le parole di Gesù secondo le quali i misteri di Dio sono rivelati a chi ha il cuore dei piccoli, mentre rimangono nascosti ai dotti e sapienti che non hanno l'umiltà (cfr Lc 10,21). Così, i giudici di Giovanna sono radicalmente incapaci di comprenderla, di vedere la bellezza della sua anima: non sapevano di condannare una Santa.
GIOVANNA SI APPELLA AL PAPA, MA INUTILMENTE L'appello di Giovanna al giudizio del Papa, il 24 maggio, è respinto dal tribunale. La mattina del 30 maggio, riceve per l'ultima volta la santa Comunione in carcere, e viene subito condotta al supplizio nella piazza del vecchio mercato. Chiede a uno dei sacerdoti di tenere davanti al rogo una croce di processione. Così muore guardando Gesù Crocifisso e pronunciando più volte e ad alta voce il Nome di Gesù (PNul, I, p. 457; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 435). Circa 25 anni più tardi, il Processo di Nullità, aperto sotto l'autorità del Papa Callisto III, si conclude con una solenne sentenza che dichiara nulla la condanna (7 luglio 1456; PNul, II, p 604-610). Questo lungo processo, che raccolse le deposizioni dei testimoni e i giudizi di molti teologi, tutti favorevoli a Giovanna, mette in luce la sua innocenza e la perfetta fedeltà alla Chiesa. Giovanna d'Arco sarà poi canonizzata da Benedetto XV, nel 1920.
"NOSTRO SIGNORE SERVITO PER PRIMO" Cari fratelli e sorelle, il Nome di Gesù, invocato dalla nostra Santa fin negli ultimi istanti della sua vita terrena, era come il continuo respiro della sua anima, come il battito del suo cuore, il centro di tutta la sua vita. Il "Mistero della carità di Giovanna d'Arco", che aveva tanto affascinato il poeta Charles Péguy, è questo totale amore di Gesù, e del prossimo in Gesù e per Gesù. Questa Santa aveva compreso che l'Amore abbraccia tutta la realtà di Dio e dell'uomo, del cielo e della terra, della Chiesa e del mondo. Gesù è sempre al primo posto nella sua vita, secondo la sua bella espressione: "Nostro Signore servito per primo" (PCon, I, p. 288; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 223). Amarlo significa obbedire sempre alla sua volontà. Ella afferma con totale fiducia e abbandono: "Mi affido a Dio mio Creatore, lo amo con tutto il mio cuore" (ibid., p. 337). Con il voto di verginità, Giovanna consacra in modo esclusivo tutta la sua persona all'unico Amore di Gesù: è "la sua promessa fatta a Nostro Signore di custodire bene la sua verginità di corpo e di anima" (ibid., p. 149-150). La verginità dell'anima è lo stato di grazia, valore supremo, per lei più prezioso della vita: è un dono di Dio che va ricevuto e custodito con umiltà e fiducia. Uno dei testi più conosciuti del primo Processo riguarda proprio questo: "Interrogata se sappia d'essere nella grazia di Dio, risponde: Se non vi sono, Dio mi voglia mettere; se vi sono, Dio mi voglia custodire in essa" (ibid., p. 62; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2005).
AMARE LA CHIESA FINO ALLA FINE La nostra Santa vive la preghiera nella forma di un dialogo continuo con il Signore, che illumina anche il suo dialogo con i giudici e le dà pace e sicurezza. Ella chiede con fiducia: "Dolcissimo Dio, in onore della vostra santa Passione, vi chiedo, se voi mi amate, di rivelarmi come devo rispondere a questi uomini di Chiesa" (ibid., p. 252). Gesù è contemplato da Giovanna come il "Re del Cielo e della Terra". Così, sul suo stendardo, Giovanna fece dipingere l'immagine di "Nostro Signore che tiene il mondo" (ibid., p. 172): icona della sua missione politica. La liberazione del suo popolo è un'opera di giustizia umana, che Giovanna compie nella carità, per amore di Gesù. Il suo è un bell'esempio di santità per i laici impegnati nella vita politica, soprattutto nelle situazioni più difficili. La fede è la luce che guida ogni scelta, come testimonierà, un secolo più tardi, un altro grande santo, l'inglese Thomas More. In Gesù, Giovanna contempla anche tutta la realtà della Chiesa, la "Chiesa trionfante" del Cielo, come la "Chiesa militante" della terra. Secondo le sue parole, "è un tutt'uno Nostro Signore e la Chiesa" (ibid., p. 166). Quest'affermazione, citata nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 795), ha un carattere veramente eroico nel contesto del Processo di Condanna, di fronte ai suoi giudici, uomini di Chiesa, che la perseguitarono e la condannarono. Nell'Amore di Gesù, Giovanna trova la forza di amare la Chiesa fino alla fine, anche nel momento della condanna.
PATRONA DELLA FRANCIA (INSIEME A TERESA DI LISIEUX) Mi piace ricordare come santa Giovanna d'Arco abbia avuto un profondo influsso su una giovane Santa dell'epoca moderna: Teresa di Gesù Bambino. In una vita completamente diversa, trascorsa nella clausura, la carmelitana di Lisieux si sentiva molto vicina a Giovanna, vivendo nel cuore della Chiesa e partecipando alle sofferenze di Cristo per la salvezza del mondo. La Chiesa le ha riunite come Patrone della Francia, dopo la Vergine Maria. Santa Teresa aveva espresso il suo desiderio di morire come Giovanna, pronunciando il Nome di Gesù (Manoscritto B, 3r), ed era animata dallo stesso grande amore verso Gesù e il prossimo, vissuto nella verginità consacrata.
COMPIERE LA VOLONTÀ DI DIO Con la sua luminosa testimonianza, santa Giovanna d'Arco ci invita ad una misura alta della vita cristiana: fare della preghiera il filo conduttore delle nostre giornate; avere piena fiducia nel compiere la volontà di Dio, qualunque essa sia; vivere la carità senza favoritismi, senza limiti e attingendo, come lei, nell'Amore di Gesù un profondo amore per la Chiesa. Grazie. Udienza Generale, 26 gennaio 2011
Nota di BastaBugie: il miglior film su Giovanna d'Arco fu quello di Victor Fleming del 1948 con protagonista Ingrid Bergman (durata: 2 ore e 25 minuti) puoi approfondirlo su Film Garantiti, clicca qui!
DOSSIER "BENEDETTO XVI" Discorsi e omelie del Papa teologo Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: FilmGarantiti.it
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CONTRO IL BUDDISMO: IL VOLTO OSCURO DI UNA DOTTRINA ARCANA
Il libro di Roberto Dal Bosco che critica con esempi concreti il Dalai Lama e in generale il mondo dei monaci arancioni
Autore: Camillo Langone - Fonte: www.costanzamiriano.wordpress.com, 28/05/2012
Che fegato, Roberto Dal Bosco. Gettarsi anima e corpo contro il religioso più amato del mondo, ovviamente il Dalai Lama. E contro la religione più ammirata, ovviamente il buddismo. Ma come gli è venuto in mente di scrivere un libro intitolato "Contro il buddismo"? Ho fra le mani il primo libro italiano che osi una critica sistematica al mondo dei monaci arancioni. Il primo libro italiano e il secondo al mondo: l'altro è tedesco, "Der Schatten des Dalai Lama", mai tradotto in Italia, disponibile in inglese però solo su internet e comunque circoscritto al lamaismo tibetano. Mentre Dal Bosco, che a dispetto della giovane età (è nato a Vicenza nel 1978) dimostra un'erudizione grande quasi quanto l'Asia, con la sua analisi spazia dal Tibet al Giappone, dal Vietnam allo Sri Lanka, e racconta le malefatte dei vari buddismi nazionali. Avete letto bene: le malefatte. Talmente tante che il titolo di questo lavoro poteva essere "Il libro nero del buddismo". La pulizia etnica scatenata dai cingalesi contro i tamil. La complicità morale nei confronti della bomba atomica indiana. L'attentato nella metropolitana di Tokio. Tutta roba fresca, mica decrepita come le Crociate che vengono ancora addebitate ai cristiani dopo quasi mille anni dagli avvenimenti (peraltro malcompresi). Il nirvana che gli ignari (per non dire ignoranti) buddisti occidentali credono condizione estatica, felicità senza dolore, viene riportato da Del Bosco alla radice etimologica che in sanscrito significa "estinzione". Spesso e volentieri nel senso di "distruzione". I buddofili, che sulla rete si sono già avventati sullo studioso vicentino, farebbero meglio a non usare l'argomento già usato per assolvere il comunismo dai crimini di Stalin. Ve la ricordate? "L'idea era buona, purtroppo è stata realizzata male". E invece la colpa risiede proprio nelle idee ovvero nei sacri testi. La violenza sovietica affondava le radici nel "Manifesto del partito comunista" così come quella buddistica trova origine nei libri studiati nei monasteri arancioni. Nel Kalachakra Tantra (il testo base del buddismo tibetano) si narrano le epiche gesta di un re che ucciderà tutti i nemici della causa buddista, elencati in modo molto circostanziato: prima i musulmani, poi i cristiani e gli ebrei. Oltre a una serie di dettagliate istruzioni per l'utilizzo erotico di donne non consenzienti (si consiglia perfino di ubriacarle: ma ci voleva l'antica saggezza orientale per escogitare un espediente così squallido?). Nell'Hevajra Tantra e nel Guhyasamaja Tantra (titoli impronunciabili, lo so, ma sono intraducibili) si insegna a praticare l'omicidio rituale. Nel Mahavansa, cronaca sacra del buddismo ceylonese, si dice che i miscredenti sono subumani, praticamente bestie, e quindi si possono uccidere senza alcuna preoccupazione morale (per intendersi: nessun pericolo di reincarnarsi in scarafaggi). Con simili giustificazioni religiose o para-religiose non c'è da stupirsi che nel 2009, su una spiaggia dello Sri Lanka, le truppe dei cingalesi (buddisti) abbiano massacrato quel che rimaneva dei secessionisti tamil (induisti e cristiani) incitate da un inno composto in monastero: "Il sangha / è sempre pronto al fronte / se la razza è minacciata". Dove "sangha" significa all'incirca "chiesa, clero buddista". Furono 20.000 vittime civili gettate nelle fosse comuni e 300.000 profughi a cui venne addirittura impedito di ricevere l'assistenza della Croce Rossa, una tragedia che in Occidente non ha suscitato più di qualche trafiletto perché troppo difficile da raccontare a lettori arciconvinti della dolcezza programmatica di una religione equivocata. Adesso l'ignoranza non ha più scuse, chi vuole informarsi può farlo grazie a questo libro che svela "il lato oscuro dell'illuminazione". Dal Bosco racconta la storia inquietante della prima bomba atomica indiana, chiamata "Il sorriso del Budda" e fatta esplodere il giorno della nascita del Risvegliato: come se una potenza occidentale facesse esplodere un ordigno nucleare il giorno di Natale, chiamandolo per giunta "Il sorriso di Gesù". Racconta la sinistra vicenda di Shoko Asahara, il buddista stragista che in Giappone, nel '95, uccise undici persone col gas nervino per concretizzare le parole dei sacri testi: costui era amico e finanziatore del Dalai Lama, che lo elogiò anche dopo il massacro. Eccoci quindi al tibetano più famoso del mondo, il monaco aranciovestito cui Dal Bosco dedica molti succosi capitoli descrivendone ambiguità e doppiezze, gli avvicinamenti di volta in volta al marxismo o alla Cia a seconda delle convenienze, e poi la giovanile venerazione per un demone himalaiano e il non giovanile assenso a una biografia fantasiosa che serve a nascondere le origini cinesi, quanto mai imbarazzanti per il capo di un popolo che ha nella Cina il peggior nemico. Abilissimo nelle pubbliche relazioni, l'erede di una sfilza di teocrati praticanti fino al secolo scorso lo schiavismo e la pedofilia (crimini per i quali non risulta aver chiesto perdono) ha confezionato un lamaismo per signore, un nichilismo sdolcinato che occulta di proposito gli aspetti più nettamente pagani e stregoneschi della religione tibetana. Secondo gli infatuati è un oceano di saggezza, secondo me, dopo aver letto "Contro il buddismo", è solo una gran faccia di bonzo.
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CARA RAGAZZA, IL PRINCIPE AZZURRO ESISTE SOLO NELLA TUA TESTA
Nell'amore bisogna buttarsi e rischiare: conosco un soggetto che diceva di non essere sicuro di volersi impegnare... adesso è mio marito e abbiamo fatto quattro figli
Autore: Costanza Miriano - Fonte: www.costanzamiriano.wordpress.com, 11/06/2012
Vorrei possedere l'archivietto delle amiche di Sally, che sfogliavano prontamente lo schedario quando lei rimaneva sola, senza fidanzato, per vedere quale dell'elenco potesse adattarsi a lei. Dallo schedario toglievano solo i morti, mentre per gli sposati bastava fare un'orecchietta sul foglio, in attesa come il cinese sulla riva del fiume che il soggetto tornasse libero. Ora, a parte una correzione nel senso dell'ortodossia (per me il foglietto dello sposato è tolto definitivamente), troverei quello un modo molto sensato di investire il mio tempo, cioè cercare di abbinare amici non accoppiati, se non fosse che di tempo non destinato alla sopravvivenza mi avanzano dai quattro ai sei minuti a settimana, e se non fosse anche che come Cupido sono negata. Se potessi starei sempre a organizzare cene, proporre inviti, uscite di gruppo, cercando di fare uno sgambetto a M. perché inciampi, e casualmente cada ai piedi di E.; spingendo con noncuranza B. tra le braccia di C. ("ma lo sai che Infinite Jest è il suo libro preferito?" – segue calcio sugli stinchi sotto il tavolo per ricordare alla mia amica che anche lei sin dall'infanzia adora Foster Wallace, non è forse vero?); facendo sposare in due mesi R. e M., giusto il tempo che si presentino e prenotino una chiesa. Poiché, dicevo, non ho tempo, e per combinare incontri bisognerebbe almeno avere una vita sociale (non che io non trovi il massimo del jet set i pomeriggi al parco, le merende a casa e le cene di classe, per carità) vorrei almeno dire a tutte queste schiere di baldi giovani e soprattutto di leggiadre fanciulle di buttarsi, per favore, di accogliere il reale che si presenta loro sotto forma di amico, pieno di difetti ma presente, limitato appunto perché in carne ed ossa, e di provare seriamente a conoscerlo. Di telefonare, proporre un caffè insieme (per la cronaca, io l'ho fatto, e il mio futuro marito la prima volta mi ha detto di no), di non avere paura, di perdere la faccia, sperimentare, conoscere (non in senso biblico, per favore, non al secondo appuntamento almeno). Non vorrei fare un'altra delle mie generalizzazioni, ma mi sembra di veder circolare – sono così concrete che mi pare proprio di vederle – tante idee strampalate sull'amore romantico, che a me pare entrarci pochissimo con l'amore che davvero esiste. Credo che l'amore abbia più a che fare con un lavoro su se stessi, con un paziente cesellare quel sasso duro che siamo, con lo scolpirsi e soprattutto con il lasciarsi scolpire, molto più che con un miracoloso riconoscimento, un'apparizione folgorante di qualcuno che alla fine ci corrisponde in una sinfonia miracolosamente orchestrata. Gli amori possono cominciare in molti modi e, sì, può capitare anche che comincino con un'inattesa agnizione, ma il cuore dell'amore è un altro, e si arriva a toccare solo con gli anni, dopo che si è scavato nella carne e tra le ossa che lo custodivano, questo cuore segreto. Quando si incontra qualcuno, dunque, possono anche non esplodere subito i fuochi artificiali, ma non importa. Quello che importa è scegliere una persona, una sola, per sempre e buttarsi senza rete. E se Messori propone addirittura il ritorno ai matrimoni combinati (detta così sembra una sparata, ma il ragionamento ha un suo senso), certo l'idea dell'amore che va per la maggiore è molto più strampalata. L'amore in cui molti – di sicuro un sacco di sceneggiatori e scrittori – mostrano di credere assomiglia all'assecondare le emozioni, a lasciarsi trascinare, soggiogare da qualcosa di spontaneo. È chiaro che non sto dicendo che si possa prendere una persona a caso e immolarsi con quella sull'altare del sacrificio, decidendolo a priori. Ma la vita va data, e spesa e una volta per tutte bisogna decidere, se per caso le cose sembrano "non venire". Buttarsi, abbracciare una scelta, non voltarsi indietro. Il tempo non è infinito, la vita ha delle stagioni, che passano, e non è una lunga serie di bivii che alla fine ti conducono di nuovo al punto di inizio. Insomma, non so se il messaggio è arrivato all'amica a cui deve arrivare: chiamalo. Digli che vuoi uscire. Digli che ti ha colpito per quel motivo. Non avere paura perché di sicuro gli farà piacere, poi tutt'al più ti dice di no. Che cosa mai succederà? Una brutta figura? Ma chi se ne importa. Affronta la realtà piuttosto che l'idea dell'uomo ideale che esiste solo nella tua testa. Prova, frequenta, proponiti, telefona, incontra, esci, fai brutte figure a palate, se il desiderio di conoscere qualcuno può essere considerata una brutta figura. Magari esci con lui e ti innamori del suo migliore amico. E non ti fermare neanche davanti alle sue difese, se per caso ti convinci che Mister Right è lui. Conosco un soggetto che diceva di non essere sicuro di volersi impegnare. Adesso abbiamo quattro figli, tanto che ci pensa.
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TERMINATA LA FASE DIOCESANA DELLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE DEL PROFESSOR JEROME LEJEUNE
Scoprì a soli 32 anni l'origine genetica della sindrome di Down e fu perciò candidato al Nobel, ma non gli fu assegnato perché si rifiutò di inaugurare l'era dell'eliminazione dei feti portatori di anomalie genetiche
Autore: Gian Luigi Gigli - Fonte: Avvenire, 12/04/2012
Le navate di NotreDame si sono riempite ieri sera in occasione della Messa per la vita, presieduta da monsignor de Moulins Beaufort, vescovo ausiliare di Parigi. Con la celebrazione eucaristica di ringraziamento è terminata la cerimonia per la chiusura dell'inchiesta diocesana della causa di beatificazione del professor Jerome Lejeune. Con centinaia di parigini, erano presenti la vedova del professore, i suoi quattro figli e i ventisette nipoti, molti colleghi e – particolarmente commossi – molti pazienti con sindrome di Down accompagnati dai familiari. Jerome Lejeune è, infatti, colui che ha scoperto la Trisomia del cromosoma 21 quale causa della sindrome di Down. Pensava che la sua scoperta sarebbe un giorno servita alla cura dei pazienti, e soffrì molto nel veder affermarsi la diagnosi prenatale come giustificazione dell'aborto, cosiddetto 'terapeutico' ma in realtà eugenetico, mirante all'eliminazione dei diversi. Allo stesso modo, non poteva evitare di appassionarsi quando parlava dei problemi della disabilità o del futuro della terapia per le malattie genetiche. È in tale contesto che maturò la sua appassionata battaglia contro l'aborto. La sua testimonianza forte e autorevole, fedele al magistero della Chiesa sui temi della vita, gli fece accettare serenamente l'ostracismo cui l'avevano condannato una parte del mondo accademico e alcuni ambienti dei medici francesi. L'intransigente difesa della vita nascente e, in particolare, la sua opposizione all'aborto in caso di malformazioni o malattie genetiche del nascituro gli costarono probabilmente anche un annunciatissimo Premio Nobel. Colpita da tanta ostilità l'Associazione dei medici cattolici italiani maturò l'idea di nominarlo membro onorario, quasi a ripagarlo del non poter far parte dell'Associazione francese. Ho avuto la fortuna di parlare a più riprese Jerome Lejeune. Oltre che un conferenziere brillante, era una persona molto amabile e un conversatore affascinante. L'incontro con Lejeune è stato per me, medico, un esempio tangibile di come fosse possibile coniugare la fede e la scienza senza difficoltà ed esitazioni, senza paure e senza timidezza, semplicemente per rendere testimonianza alla verità. È stato anche l'esempio di una fedeltà senza riserve al Papa e alla Chiesa da parte di una personalità disposta a pagare di persona, in termini di successo accademico e di ricchezza, per non venir meno alla sua coscienza. Un esempio di cui mi sono spesso ricordato quando mi è capitato di subire torti e pressioni per testimoniare l'amore alla vita. Lejeune è il padre della moderna citogenetica, ha esplorato le aberrazioni cromosomiche e i difetti di saldatura del tubo neurale, ha lottato per trovare terapie per i suoi piccoli pazienti. A lui si deve l'uso ormai comune di arricchire la dieta delle gestanti con acido folico, per prevenire i danni allo sviluppo del sistema nervoso centrale durante la gravidanza. Soprattutto gli dobbiamo una fedeltà indefettibile alla causa dei più fragili, i bambini non ancora nati. Senza rispetto per loro non è possibile costruire una società rispettosa di tutte le fragilità. Lejeune è il modello di un laico capace di vivere in modo esemplare la vocazione cristiana nella famiglia, nella ricerca scientifica, nell'insegnamento e nella professione medica. Con Giovanni Paolo II sviluppò un legame speciale. Il Papa ne riconobbe pubblicamente la testimonianza nominandolo, pur già malato, primo presidente della neoistituita Pontificia Accademia per la vita e inginocchiandosi, dopo la morte, sulla sua tomba nel cimitero di Parigi. Convinto anch'io che Lejeune abbia esercitato in modo eroico le virtù cristiane, spero e prego che i suoi meriti possano essere riconosciuti dalla Chiesa. Sarebbe un modello formidabile per quanti operano nel campo della biologia e della medicina, oltre che per le gestanti in difficoltà, tentate di ricorrere all'aborto, e per tutti i bambini con problemi malformativi, ritardo mentale e malattie genetiche. Sarebbe il riferimento ideale per chi difende la vita e promuovere la dignità dell'uomo. Oggi Jerome Lejeune può aiutarci a recuperare un'antropologia rispettosa di ogni uomo e di tutto l'uomo, senza riserve e senza discriminazioni.
Fonte: Avvenire, 12/04/2012
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IL RITORNO DELLE BALAUSTRE NELLE CHIESE: RICORDANO UN ARGINE SACRO
Per secoli hanno costituito una presenza regolare all'interno delle chiese: servirebbero fiumi d'inchiostro per descrivere tutte le funzioni e tutti i significati che essi hanno rivestito
Autore: Andrea De Meo - Fonte: Il Timone, maggio 2012 (n. 113)
Varcare un confine a piedi, scavalcare il crinale di un monte, addentrarsi in una caverna, sono piccole esperienze accomunate, come molte altre, da una sensazione particolarissima. A chi le ha vissute non sarà sfuggita l'impressione di oltrepassare una linea oltre la quale vigono altre regole, oltre la quale il comportamento deve mutare perché al di là di quel punto lo spazio è diverso, non è più lo stesso di prima. Gli esempi che ho citato, a solo scopo narrativo, hanno tutti la caratteristica di essere accompagnati da segnali visibili, che quasi suggeriscono con la loro stessa presenza l'incipiente mutamento di stato. In alcuni casi, come l'ingresso in una grotta, tale segnale è offerto dalla natura, in altri, come il passaggio del confine, il segnale è posto dagli uomini. Esiste un parallelo a queste sensazioni anche nell'esperienza dello spazio sacro? Questo è sacro per effetto di un rituale che vi si celebra e di una formula di dedicazione che lo dedica solennemente alla divinità, ma è vero tuttavia che tale dedicazione, pur comportando un mutamento di stato e quasi di natura del luogo stesso, non ne condiziona però le leggi fisiche né le apparenze, e potrebbe quindi passare inosservato. Ecco dunque che si rende necessario apporre degli avvertimenti, dei nuovi segnali volti a rendere visibile ciò che altrimenti potrebbe non essere percepito. Fu così che nacquero già in tempi ancestrali e presso i culti più antichi i primi recinti per separare i luoghi più sacri dallo spazio circostante, e molto tempo dopo, ma in modo simile, furono create anche le prime recinzioni nei luoghi cristiani per separare il santuario o presbiterio dal resto della chiesa, come si può verificare dalle tracce archeologiche delle più antiche domus ecclesiae. Nel percorso di attraversamento dello spazio sacro cristiano che in questa rubrica si sta compiendo, sarà infatti inevitabile inciampare, per così dire, in alcuni manufatti, chiamati comunemente balaustre, che per molti secoli hanno costituito una presenza regolare all'interno delle chiese. Nonostante l'apparente banalità di questi oggetti, sarebbero necessari fiumi d'inchiostro per descrivere tutte le funzioni e tutti i significati che essi hanno rivestito, e tutta la storia che li ha modellati fino ad arrivare alla semplicità delle ultime balaustre, mandate in soffitta, se non proprio distrutte, da tanti parroci nei passati cinquant'anni. Le balaustre, infatti, non furono che l'ultima mutazione di quegli elementi separatori che assunsero di volta in volta la forma della transenna lapidea, della tenda, del cancello e dell'iconostasi, e che replicavano quanto già la facciata della chiesa, o il suo portale, esprimevano fin dal primo approccio all'edificio sacro. Il loro messaggio era un avvertimento, un caveat, posto a segnalare che oltre la linea sulla quale essi si ergevano si entrava in un'area dove l'azione e il pensiero individuale avrebbero dovuto abbandonare le consuetudini mondane e, lasciando alle spalle i diritti del mondo, piegarsi al diritto di Dio e conformarsi ad attitudini più sante. Al contrario infatti di come molti hanno erroneamente pensato, il compito primario delle balaustre e degli elementi ad esse affini non era di tipo funzionale, ma simbolico. Non era dunque di chiudere l'ingresso al presbiterio, ma di manifestare all'esterno di esso cosa il presbiterio dovrebbe realmente significare. Le balaustre dunque, più che elementi di divisione, vanno piuttosto percepite come tramiti di comunicazione. Se esse infatti non fossero esistite, quale spazio avremmo garantito al sacro? Le balaustre, non diversamente dall'abito talare, custodivano uno spazio esigente, una riserva di santità e ne manifestavano l'esistenza al di fuori rendendola visibile. Quegli umili elementi, che diventavano l'appoggio dei comunicandi e che reggevano gli sguardi inginocchiati dei fedeli verso l'altare, sostenevano inoltre il peso immane di rendere il sacro percepibile e quasi tangibile. Quando, dopo gli anni Sessanta, tanti chierici e religiosi vollero disfarsi del concetto del sacro rivoluzionandolo, si accanirono proprio contro quei recinti che, delimitandolo, lo rendevano riconoscibile. Ma quest'opera di distruzione fu solo apparente: si possono cancellare le tracce del sacro ma esso sussisterà non visto, e presto o tardi tornerà a manifestarsi. Il ristabilimento delle balaustre nel restauro della Cappella Paolina al Vaticano voluto da Papa Benedetto XVI ben manifesta che questi elementi non hanno esaurito la loro funzione e che anzi mai più di oggi si sente nuovamente l'urgenza di restituirli al loro gravoso compito.
Fonte: Il Timone, maggio 2012 (n. 113)
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FAMIGLIA CRISTIANA, JESUS, CONCILIUM: LE RIVISTE APPARENTEMENTE ''CRISTIANE'', MA IN REALTA' MODERNISTE IN SALSA POLITICALLY CORRECT
Ciliegina sulla torta è ''L'Eco di san Gabriele'', la rivista dei passionisti, piena di articoli né formativi né edificanti fino all'errore vero e proprio
Autore: Fabrizio Cannone - Fonte: Corrispondenza Romana, 29/05/2012
Benedetto XVI ricordò nel 2005 che l'eresia della discontinuità era assai visibile in una «parte della teologia moderna». Come quella, per esempio, che si esprime nelle riviste cattoliche di divulgazione, di approfondimento e di informazione (cfr. "Famiglia cristiana", "Jesus", "Concilium", etc.). Su "L'Eco di san Gabriele" (aprile 2012), rivista dei passionisti italiani che reggono il Santuario del grande Gabriele dell'Addolorata, non si tratta neppure più di discontinuità, ma di metamorfosi. Ovvero si ha la volontà di trasformare la religione cattolica in altro da sé, fino al punto da renderla irriconoscibile a metà strada tra religione rivelata, protestantesimo liberale e odierno relativismo etico. La copertina presenta a tutta pagina il volto del magistrato (ateo) Gherardo Colombo e riporta una sua frase in caratteri cubitali: «Educare alla libertà e non all'obbedienza». Ora, sapevamo che i religiosi cattolici, passionisti inclusi, fanno voti di povertà, castità e obbedienza, e non di «libertà» (?). Come si può inoltre gettare il discredito su una parola come obbedienza, così legata al messaggio di Cristo e del Vangelo? (cf. Gn 22,18; Rm 10,16; 1 Cor 16,16; Ef 6,1; Tt 3,1; 2 Cor 10,6). Sempre in copertina una frase generica e ambigua, tipica delle inchieste laiche: «Attenti la famiglia, è violenta. Indagini e dati preoccupanti». Senza commento! 84 pagine in formato magazine piene di articoli né formativi né edificanti, fino all'errore vero e proprio: non si sa davvero da che parte iniziare. Nell'intervista a Colombo, presentato come uno di quei santi laici che tanto piacciono a certo mondo cattolico, il magistrato afferma di non condividere l'idea del carcere come «espiazione»: «Dire a una persona che deve espiare significa dirle che deve pagare, che deve essere retribuita con il male per il male che ha fatto» (p. 17). Lui invece che farebbe? Favorirebbe il "recupero" del criminale. E come? Né col carcere, né tanto meno colla pena di morte perché «l'omicidio legale a opera dello stato (scritto colla minuscola da un magistrato) è un cattivo insegnamento» poiché «insegna ad ammazzare rendendo legittimo l'omicidio» (pp. 17-18). E la galera dunque insegnerebbe ai cittadini la legittimità del sequestro di persona? L'articolo sulla violenza domestica – causata in primis dal femminismo, dal nichilismo valoriale e dagli "amori deboli" di oggi – è tutto avverso alla famiglia presentata come causa del male. Per il redattore la violenza intrafamiliare «è più pericolosa di quella della malavita organizzata, della mafia» (p. 22). Come se non fosse noto che tali storture, reali ma anche esagerate ad arte, servono alle lobby anti-familiari per colpire l'ideale cristiano della famiglia come base insostituibile della società. Dipoi un certo Gianni di Santo attacca direttamente la chiesa (con la minuscola, ovviamente), proponendo perfino dei candidati simbolo per riformarla. In «Quale chiesa domani?» (pp. 24-25) si parla delle «questioni che la chiesa dovrà affrontare non più in un futuro lontano ma nel presente», ovvero «dei temi che scottano rispetto alla storia e alla tradizione millenaria della chiesa cattolica». Fuor di metafora: celibato, collegialità, ruolo delle donne… Il giornalista confida in «una serie di personalità (…) che con coraggio e libertà indicano la via di un nuovo annuncio del vangelo: Enzo Bianchi, i monaci camaldolesi, e i cardinali Martini e Ravasi» (p. 25). Infine un altro articolo propone il «matrimonio solidale» (pp. 26-27) sostituendo le Liste di nozze con «Liste di solidarietà». Bella idea, peccato che le associazioni proposte dalla rivista cattolica siano nientemeno che Emergency, Save the Children e l'Unicef, il meglio cioè di quella "cultura di morte" (pro aborto, eutanasia e teoria del gender) che secondo i Pontefici è «attivamente promossa da forti correnti culturali, economiche e politiche» (Evangelium vitae, 12).
Fonte: Corrispondenza Romana, 29/05/2012
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OMELIA NATIVITA' DI SAN GIOVANNI BATTISTA - ANNO B - (Lc 1,57-66.80)
Gli si sciolse la lingua e parlava benedicendo Dio
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 24/06/2012)
Oggi la Chiesa celebra la natività di san Giovanni Battista. Di nessun altro santo si celebra il giorno della nascita, ma solo il giorno del passaggio da questa all'altra vita. Per quale motivo, dunque, di san Giovanni Battista si celebrano due feste, quella della nascita (oggi) e quella del suo martirio (in agosto)? Il motivo è che san Giovanni Battista, a differenza degli altri santi, è nato santificato. Quando ancora era nel grembo materno fu liberato dal peccato originale; dunque la sua nascita fu un evento di grazia che la Chiesa fin dall'inizio ha celebrato. In che circostanza fu santificato san Giovanni Battista? Ce lo ricorda l'evangelista Luca quando scrive della visita di Maria Santissima a santa Elisabetta. In quella circostanza, quando la Madonna entrò nella casa di Zaccaria ed Elisabetta, il bambino che era ancora nel grembo materno esultò, sussultò di gioia. Questo particolare fu interpretato dai Padri come la santificazione di Giovanni, per cui egli nacque che era già stato liberato dal peccato originale. In quella circostanza fu Maria a portare la grazia in quella casa. Giovanni fu santificato ed Elisabetta si mise a profetare e riconobbe in Maria la Madre del suo Signore. Dio operò questi prodigi di grazia servendosi di Maria. Ed è sempre così: dove entra la Madonna lì entra e fiorisce la Grazia. Facciamo dunque entrare anche noi la Vergine Santa nella nostra vita, nelle nostre case, con la recita assidua del Rosario in famiglia. Dove entra Maria di lì esce il peccato. Questa è la grazia che maggiormente sta a cuore a Lei che è l'Immacolata, la Tutta Santa. Dopo la nascita di Giovanni anche il padre, Zaccaria, fu visitato dalla grazia e recuperò la parola. Egli, infatti, era rimasto muto a causa della sua incredulità. Gli sembrava impossibile che la sua sposa, Elisabetta, potesse avere un bambino a quell'età. Ma nulla è impossibile a Dio. Per la sua incredulità alle parole dell'Angelo, che gli assicurava il dono di un figlio, rimase muto; e solo dopo la nascita del bambino riebbe l'uso della parola. E allora "gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio" (Lc 1,64). Da questo impariamo a credere e confidare sempre in Dio. Se manca questa fiducia, allora ci priviamo da noi stessi di tanti benefici che diversamente verrebbero. La missione di san Giovanni Battista è stata quella di preparare le vie al Signore. Per questo motivo è detto il Precursore. Anche noi, in qualche modo, dobbiamo essere come il Precursore, preparando ai fratelli la via per il loro ritorno al Signore. Il peccato ci tiene lontani da Dio. Pertanto, come san Giovanni Battista, dobbiamo illuminare i fratelli, parlare loro della gravità del peccato e dell'infinita misericordia di Dio, dobbiamo predisporli al pentimento e alla conversione. Ma per far questo dobbiamo lottare contro un difetto che, più o meno, è di tutti: il cosiddetto rispetto umano. Il rispetto umano è quella vergogna che tante volte proviamo nel dimostrarci cristiani e nel vivere coerentemente la nostra Fede nella società odierna. Anche il rispetto umano è un peccato da accusare in confessione. Gesù, nei confronti di questo peccato, ha usato delle parole molto forti: "Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi" (Mc 8,38). Per vincere il rispetto umano dobbiamo innanzitutto pregare e chiedere questa grazia. Poi bisogna considerare la nostra meschinità ogni qualvolta ci facciamo dominare da questa vergogna. Di certo non facciamo una bella figura, né nei confronti di Dio e nemmeno nei confronti della società. Infatti, il mondo disprezza chi si vergogna della propria Fede e delle proprie convinzioni, mentre ammira, anche se a volte perseguita, chi vive la propria Fede con coraggio, a fronte alta. Chiediamo dunque due grazie quest'oggi. La prima è quella di vivere sempre lontani dal peccato per essere pure noi, in qualche modo, come l'Immacolata e come san Giovanni Battista. La seconda grazia è quella di professare con gioia e coraggio la Fede.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 24/06/2012)
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