BastaBugie n�263 del 21 settembre 2012
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ESPLODE LA VIOLENZA DEL MONDO ISLAMICO: I POLITICI OCCIDENTALI FANNO A GARA A CHIEDERE SCUSA PER IL FILM BLASFEMO SULL'ISLAM
Dobbiamo anche noi bruciare le ambasciate e uccidere perché qualcuno chieda scusa per il film blasfemo sul cristianesimo premiato al Festival del Cinema di Venezia?
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana
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IL 19 SETTEMBRE ESCE ''SPOSALA E MUORI PER LEI'', L'ATTESISSIMO SEGUITO DI ''SPOSATI E SII SOTTOMESSA''
Quando mi dicono che ''gli uomini bisogna prenderli con la dolcezza e poi gli fai fare quello che vuoi'' mi cadono le braccia: cerco di spiegarmi meglio con queste altre 200 pagine in uscita
Autore: Costanza Miriano - Fonte: www.costanzamiriano.wordpress.com
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NEL TESTAMENTO SPIRITUALE IL CARDINAL MARTINI AFFERMA CHE LA CHIESA E' INDIETRO DI 200 ANNI
Ma compito della Chiesa è guardare indietro di 2.000 anni, convertendosi continuamente non alle mode del mondo, ma alla Verità fatta carne
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
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I PAESI DELL'EST NON ADERISCONO ALL'EURO: NON CONVIENE PIU'
Polonia, Lituania, Lettonia e Bulgaria rinviano a tempo indeterminato la loro adesione all'euro
Autore: Riccardo Ghezzi - Fonte: Qelsi
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JOHN WAYNE ERA CATTOLICO
Qualche tempo prima della sua morte l'attore, uno dei volti più noti di Hollywood, si rammaricò di non esserlo diventato prima
Autore: Marco Tosatti - Fonte: La Stampa
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INIZIA L'ANNO DELLA FEDE: ECCO IL VANTAGGIO DI ESSERE CRISTIANI
Il libretto appena pubblicato dal Cardinal Biffi ''La fortuna di appartenergli. Lettera confidenziale ai credenti'', ci ricorda alcune verità essenziali
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Avvenire
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LA CONDANNA A MORTE DI ELUANA: 5 ANNI DOPO NESSUNO HA IMITATO BEPPINO ENGLARO
Ripercorriamo la vicenda, che continua ad essere fraintesa e distorta, della ragazza sana e forte che in orrenda solitudine è stata uccisa di fame e di sete
Autore: Patrizia Fermani - Fonte: Corrispondenza Romana
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LETTERE ALLA REDAZIONE: ARRIVARE VERGINI AL MATRIMONIO E' FATICOSO, MA POSSIBILE
La castità è una grazia fondamentale che ha gettato le fondamenta per una unione salda con mia moglie
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie
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OMELIA XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - (Mc 9,30-37)
Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo e il servitore di tutti
Fonte: Il settimanale di Padre Pio
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ESPLODE LA VIOLENZA DEL MONDO ISLAMICO: I POLITICI OCCIDENTALI FANNO A GARA A CHIEDERE SCUSA PER IL FILM BLASFEMO SULL'ISLAM
Dobbiamo anche noi bruciare le ambasciate e uccidere perché qualcuno chieda scusa per il film blasfemo sul cristianesimo premiato al Festival del Cinema di Venezia?
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana, 17 settembre 2012
E' difficile immaginare un oltraggio contro la fede cristiana più blasfemo e provocatorio di quello che si è avuto al Festival del Cinema di Venezia il 31 agosto con la proiezione del film "Paradise Faith", Fede nel Paradiso, di Ulrich Seidl, film che ha il suo punto culminante in una sequenza in cui la protagonista, l'attrice Maria Hoffstatter, si dedica all'autoerotismo utilizzando come strumento un crocifisso. E' inutile entrare nei particolari, che sono raccapriccianti, ma sarà bene ricordare che per un cristiano non c'è simbolo più sacro del Crocifisso, che rappresenta Gesù Cristo, l'uomo-Dio, morto sulla Croce per redimere i peccati degli uomini. Tutta la fede cristiana si riassume nella predicazione di Cristo crocifisso. Lo scandalo di Venezia non è un episodio isolato, ma si inserisce in un quadro di cristianofobia dilagante. Lo spettacolo teatrale di Romeo Castellucci Sul concetto di Volto di Dio, messo in scena a Milano a gennaio, ha aperto quest'anno le danze. Il Festival di Venezia però è una ben più ampia cassa di risonanza, una vetrina internazionale, che ha visto accorrere giornalisti di tutto il mondo, per riferire senza alcuna indignazione della proiezione del film blasfemo, che ha avuto il premio speciale dalla Giuria. La Santa Sede, il 12 settembre è intervenuta con un comunicato dal tono fermo: "Il rispetto profondo per le credenze, i testi, i grandi personaggi e i simboli delle diverse religioni è una premessa essenziale della convivenza pacifica dei popoli". A dichiararlo è stato padre Federico Lombardi, portavoce della Sala Stampa Vaticana, che non si è riferito però alla blasfemia di Venezia, ma ad un altro film, Innocence of muslims, prodotto in America e considerato alle origini delle violente manifestazioni in Libia ed in altri paesi arabi. "Le conseguenze gravissime delle ingiustificate offese e provocazioni alla sensibilità dei credenti musulmani - ha scritto in una nota padre Lombardi – sono ancora una volta evidenti in questi giorni, per le reazioni che suscitano, anche con risultati tragici, che a loro volta approfondiscono tensione ed odio, scatenando una violenza del tutto inaccettabile". Quanto è accaduto in Libia non sarebbe stato pianificato da mesi da Al Qaida in odio all'Occidente, ma sarebbe stato l'inevitabile conseguenza di "ingiustificate offese e provocazioni alla sensibilità dei credenti musulmani". Ma perché non vengono definite "ingiustificate" le offese e le provocazioni alla sensibilità dei credenti cattolici come quelle del Festival di Venezia? Solo perché non provocano conseguenze, né gravissime, e neppure modestissime? Ben pochi hanno ricordato che quanto è accaduto, nella città di Bengasi, è la conseguenza non dell'insulso film anti-Maometto, ma della politica franco-americana di cessione del Medio Oriente all'Islam, che, per nemesi storica, ha avuto il suo momento principale proprio nel sostegno dato dalla Nato ai fondamentalisti di Bengasi contro Gheddafi. E se tutto il mondo ha protestato contro il film anti-islamico, che per ora è semi-clandestino, e presumibilmente non sarà mai proiettato, nessuno ha protestato contro il film anticattolico, che ha avuto tutte le luci della ribalta ed è destinato a larga circolazione, senza alcuna opposizione. Il vero problema oggi è questo. Non esiste solo la persecuzione dei cristiani nelle terre di Islam, esiste anche la cristianofobia in Occidente. Ma soprattutto esiste l'arrendismo e la complicità dell'Occidente di fronte a questa cristianofobia. L'autolesionismo degli ambienti ecclesiastici fa parte purtroppo di questo sistema di complicità. Il Beato Marco d'Aviano sulle colline del Kahlenberg, che dominano Vienna, brandiva il Crocifisso come strumento di lotta e di vittoria, per incitare i combattenti cristiani a liberare la città occupata dai musulmani. Oggi il Crocifisso è ridotto a strumento di sordido piacere da una società edonista che si autodistrugge consegnandosi all'Islam.
Fonte: Corrispondenza Romana, 17 settembre 2012
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IL 19 SETTEMBRE ESCE ''SPOSALA E MUORI PER LEI'', L'ATTESISSIMO SEGUITO DI ''SPOSATI E SII SOTTOMESSA''
Quando mi dicono che ''gli uomini bisogna prenderli con la dolcezza e poi gli fai fare quello che vuoi'' mi cadono le braccia: cerco di spiegarmi meglio con queste altre 200 pagine in uscita
Autore: Costanza Miriano - Fonte: www.costanzamiriano.wordpress.com, 14/09/2012
Ieri, mentre cucinavo la quarta torta per la festa delle bambine, indossando uno dei miei più riusciti travestimenti – la brava cuoca – ha suonato alla porta il corriere, e mi ha consegnato la prima copia di Sposala e muori per lei, che, nel caso ci sia tra i lettori qualcuno che ancora non sia stato stressato a sufficienza sull'argomento, è un libro che ho scritto io. Si troverà in libreria mercoledì prossimo, lo dico per dire, non credo che ci sarà gente a fare la fila davanti alle librerie dalla sera prima come per il nuovo volume di Harry Potter (nel caso ci dovesse essere, chiamatemi: vengo a portarvi personalmente i thermos con il mio famoso caffè, meglio noto in casa, come "con questo c'ammazziamo le cimici"). Comunque sia, mi sto trovando in questi giorni ad affrontare delle interviste al telefono, in cui mi chiedono di compiere imprese per me improbe, quali essere brillante a voce – impossibile – rapida, sintetica, veloce (le risposte migliori mi vengono tra le tre o le quattro ore dopo la fine del colloquio: ora per esempio vorrei richiamare il giornalista di Libero che mi ha intervistato per il giornale oggi in edicola, ma credo che stia dormendo). Tra l'altro, se fosse possibile riassumere duecento pagine in poche parole, avrei scritto poche parole, con grande gioia di mio marito, e se fossi brillante e veloce anche mentre compro i quaderni per le figlie (altra intervista di oggi, Zenit), avrei il posto che mi spetta nel mondo. Probabilmente nel caso saprei anche accendere il mio lettore mp3 da corsa senza l'aiuto di un figlio, e, credo, anche fare un pagamento con la carta di credito online senza telefonare a mio marito. Dunque immagino che sia un mio limite, forse sono io che a parlare sono un po' rallentata, ma la cosa che mi riesce più difficile spiegare a certi interlocutori (non a tutti, con alcuni ci si capisce al volo) è che io credo fondamentalmente che uomini e donne debbano prima di tutto uscire dalla logica antagonista. È una logica che ormai ci è talmente entrata sotto la pelle, che dimentichiamo che il matrimonio fa partire una vera alleanza tra uomo e donna, i quali entrano in un rapporto leale in cui si parte da un pregiudizio positivo verso l'altro. Qualcosa di molto più profondo e sostanziale della questione di chi lava i piatti. Le critiche che mi dispiacciono di più non sono quelle delle femministe, ma quelle di chi mi dice "hai ragione, gli uomini bisogna prenderli così, con la dolcezza, te li lisci e poi gli fai fare quello che vuoi". Quando sento questo mi cadono le braccia, anzi penso che le mie siano braccia rubate all'agricoltura, se neanche con un libro intero sono riuscita a spiegare questa cosa a qualche lettrice (vediamo se ci riesco con queste altre duecento pagine in uscita). Il vero punto cruciale è che noi il Vangelo dobbiamo cercare di applicarlo prima di tutto in casa. Quando capiamo questo, è fatta. Non con i passanti, i conoscenti, ma prima di tutto con lo sposo, i figli, vale "a chi ti prende il mantello dai anche la tunica", con loro vale "perdona settanta volte sette", con loro "portare i pesi gli uni degli altri". Questo fa uscire dalla logica di prendere "i tempi e gli spazi per me", la logica del "mi ha offeso", "tu non mi apprezzi", "tu non mi capisci" e fa entrare nella dinamica di un amore che a volte può essere gratuito, faticoso, ma che dà sempre il centuplo quaggiù. È così semplice che non mi riesce di dirlo, al telefono.
Nota di BastaBugie: Costanza Miriano presenterà il nuovo libro "Sposala e muori per lei" venerdì 9 novembre a Siena e Staggia Senese. Per informazioni clicca qui sotto http://www.amicideltimone-staggia.it/it/contenuti.php?pagina=utility&nome=conferenze_future
Fonte: www.costanzamiriano.wordpress.com, 14/09/2012
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NEL TESTAMENTO SPIRITUALE IL CARDINAL MARTINI AFFERMA CHE LA CHIESA E' INDIETRO DI 200 ANNI
Ma compito della Chiesa è guardare indietro di 2.000 anni, convertendosi continuamente non alle mode del mondo, ma alla Verità fatta carne
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 12/09/2012
Chissà se Corrado Augias e Vito Mancuso, che su "Repubblica" denunciano l'"operazione anestesia" della Chiesa sul cardinal Martini (specie sul "modo in cui Martini ha chiesto di morire", dice Augias), saranno sobbalzati ieri, al titolo di "Avvenire" che recitava "Accudimento non 'accanimento'". Il direttore del giornale della Cei, Tarquinio – senza nominare Martini – negava che l'applicazione del sondino gastrico in caso di grave malattia incurabile sia "accanimento terapeutico" e negava che si tratti di cure "sproporzionate rispetto ai risultati attesi". Aggiungeva: "so bene che qualcuno considera 'accanimento' dare da mangiare e da bere con un sondino a chi ne ha bisogno (e può ricevere utilmente cibo e acqua), ma non può provvedere da solo", ma "io sono tra coloro che giudicano questo gesto di cura e di amore del nutrire e idratare semplicemente l'esercizio di un assoluto dovere di umanità e di solidarietà". Era la risposta a un lettore con moglie malata di Alzheimer, quindi non un commento sul caso del cardinale, ma quelle parole ora potrebbero essere lette in riferimento alla sua vicenda che ha fatto tanto clamore. Infatti il medico che curava Martini, dopo la morte ha subito spiegato che egli, affetto da Parkinson, da questa estate "non è più stato in grado di deglutire nulla" e "non ha voluto alcun altro ausilio: né la Peg, il tubicino per l'alimentazione artificiale... né il sondino naso-gastrico. E' rimasto lucido fino alle ultime ore e ha rifiutato tutto ciò che ritiene accanimento terapeutico". Dunque è accanimento o accudimento? Non c'è solo questa diatriba sull'alimentazione e idratazione. Mancuso denuncia l'"operazione-anestesia" che la Chiesa starebbe facendo su tutta la figura di Martini: "A partire dall'omelia di Scola per il funerale, sulla stampa cattolica ufficiale si sono susseguiti una serie di interventi la cui unica finalità è stata svigorire il contenuto destabilizzante delle analisi martiniane per il sistema di potere della Chiesa attuale". Dunque un "figlio spirituale" del cardinale, come Mancuso, lo elogia per il "contenuto destabilizzante" dei suoi pronunciamenti e protesta perché la Chiesa, sottolineando la fede cattolica di Martini, li starebbe anestetizzando. Come stanno le cose? In effetti, visto il coro scatenato dalla stampa laica per celebrare il prelato in chiave polemica, la Chiesa ha cercato di valorizzare Martini per le cose buone, ma – come ogni madre farebbe con un proprio figlio – ha steso un pietoso velo sui pronunciamenti più "destabilizzanti". Tuttavia – sommessamente – ha messo pure dei punti fermi. Per esempio su "Avvenire" del 1° settembre è uscita un'intervista al cardinale Ruini dove la giornalista, Marina Corradi notava che su temi come fecondazione artificiale o unioni omosessuali "Martini sembrava più aperto alle ragioni di certa cultura laica" e "ha espresso pubblicamente posizioni chiaramente lontane da quelle della Cei". Il Cardinal Ruini ha risposto: "Non lo nego, come non nascondo che resto intimamente convinto della fondatezza delle posizioni della Cei, che sono anche quelle del magistero pontificio e hanno una profonda radice antropologica". Poche parole, ma pesanti e significative. Ricordano che nella Chiesa va seguito e ubbidito il magistero pontificio, non questo o quel vescovo che dice cose diverse. Nel resto dell'intervista Ruini ha elogiato l'arcivescovo defunto per altre cose e ha sottolineato che dentro la Cei "non sono mai emerse divergenze profonde", concludendo che "Martini è stato un grande figlio della Chiesa; cercare di giocare la sua eredità contro di essa sarebbe un'operazione assai misera". Come si vede c'è stato quell'atteggiamento di grande pietà e di amore che la Chiesa ha verso tutti, tanto più verso un suo alto ecclesiastico che ha dedicato la vita a Gesù Cristo, pur dicendo talora (anche) cose discutibili o controverse. Per esempio l'ultima intervista di Martini, uscita postuma, come testamento spirituale, è stata lanciata dal "Corriere della sera" con questo titolo "Chiesa indietro di 200 anni". Erano parole del prelato. Il vaticanista Sandro Magister ha notato che "le alte gerarchie della Chiesa l'hanno passata sotto silenzio". A me questo silenzio pare un gran gesto di carità. Infatti è imbarazzante che un cardinale di Santa Romana Chiesa decida di congedarsi dal mondo con quello che forse nelle sue intenzioni era un grido di dolore sulla Chiesa, ma che ai più è sembrato in realtà un atto d'accusa. Dove Martini sale in cattedra e prescrive a tutti, a partire dal Papa, cosa devono fare: "la Chiesa deve riconoscere i propri errori e deve percorrere un cammino radicale di cambiamento, cominciando dal Papa e dai vescovi". Così oltretutto misconosce la straordinaria opera di purificazione della Chiesa che Benedetto XVI con immenso coraggio ha intrapreso fin da quando era cardinale. Martini – oltreché cardinale – era anche gesuita e il connotato specifico dei gesuiti è proprio il voto di obbedienza al Papa, a difesa di Pietro e della Chiesa. Ma questa difesa non si è vista molto. S. Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, nei suoi famosi "Esercizi spirituali", prescrive loro, per "avere l'autentico sentire della Chiesa militante", queste regole: "Deposto ogni giudizio, dobbiamo tenere l'animo disposto e pronto per obbedire in tutto alla vera sposa di Cristo nostro Signore che è la nostra santa madre Chiesa gerarchica. Lodare finalmente tutti i precetti della Chiesa, tenendo l'animo pronto a cercare ragioni in sua difesa e in nessuna maniera in sua offesa". E ancora: "Dobbiamo essere più pronti ad approvare e lodare tanto le disposizioni e raccomandazioni quanto i comportamenti dei nostri superiori". Ognuno può vedere cosa rimane di queste regole... Del resto, quando Martini denuncia che "la Chiesa è indietro di 200 anni", pretendendo che si adegui ai tempi e si omologhi al mondo, dimentica che compito della Chiesa è guardare indietro di duemila anni, convertendosi continuamente non alle mode mondane, ma alla Verità fatta carne. Venuta nel mondo duemila anni fa. Diceva un grande convertito, Gilbert K. Chesterton: "Non abbiamo bisogno, come dicono i giornali, di una Chiesa che si muova col mondo. Abbiamo bisogno di una Chiesa che muova il mondo". Infatti quelle confessioni protestanti europee che sono andate dietro al mondo (con tutte le sue fissazioni: dal sacerdozio femminile al matrimonio dei preti) sono diventate irrilevanti o si estinguono. C'è pure un "dettaglio" dottrinale che ha fatto discutere. Martini, nell'intervista-testamento, sostiene che "tutte le regole esterne, le leggi, i dogmi ci sono dati per chiarire la voce interna e per il discernimento degli spiriti". Giudizio che il professor De Marco definisce "equivoco" perché "un formula del genere" oggi ha "una recezione soggettivistica: il dogma (quello trinitario, ad esempio) sarebbe dato per 'chiarire' la voce della coscienza individuale". Questa approssimazione equivoca galvanizza Mancuso fino a fargli scrivere che tale "centralità della coscienza personale" sulla Chiesa e sui dogmi corrisponderebbe all' "insegnamento del Vaticano II (vedi Gaudium et spes 16-17)". Ma quei passi della Gaudium et spes dicono cose ben diverse e – ad esempio – sottolineano l'esistenza di "norme oggettive della moralità" e il problema della "coscienza erronea". Sulle pagine dei giornali la teologia lascia il posto alle chiacchiere da salotto giornalistico. Che alimentano divisioni, mentre Benedetto XVI fa un titanico sforzo per evitare alla Chiesa lacerazioni, conflitti e (in certi casi europei) perfino rischi di scismi. I salotti non capiscono la carità del Papa: "La carità è paziente, è benigna la carità... non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta" (1Cor 13).
Nota di BastaBugie: Vale la pena ricordare che la Congregazione per la dottrina della fede ha messo un punto fermo, sul controverso tema del "fine vita", in particolare sulla necessità o meno di alimentare e idratare pazienti in stato vegetativo. La Congregazione era stata chiamata a esprimere il suo parere da due quesiti, sollevati dai vescovi americani dopo il caso di Terri Schiavo, nel 2005. Ecco il testo ufficiale dei due quesiti. PRIMO QUESITO: È moralmente obbligatoria la somministrazione di cibo e acqua (per vie naturali oppure artificiali) al paziente in "stato vegetativo", a meno che questi alimenti non possano essere assimilati dal corpo del paziente oppure non gli possano essere somministrati senza causare un rilevante disagio fisico? RISPOSTA: Sì. La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l'idratazione e il nutrimento del paziente. In tal modo si evitano le sofferenze e la morte dovute alla mancanza di alimentazione e alla disidratazione. SECONDO QUESITO: Se il nutrimento e l'idratazione vengono forniti per vie artificiali a un paziente in "stato vegetativo permanente", possono essere interrotti quando medici competenti giudicano con certezza morale che il paziente non recupererà mai la coscienza? RISPOSTA: No. Un paziente in "stato vegetativo permanente" è una persona, con la sua dignità umana fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali. Il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha approvato le presenti Risposte e ne ha ordinato la pubblicazione il 1° agosto 2007.
Fonte: Libero, 12/09/2012
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I PAESI DELL'EST NON ADERISCONO ALL'EURO: NON CONVIENE PIU'
Polonia, Lituania, Lettonia e Bulgaria rinviano a tempo indeterminato la loro adesione all'euro
Autore: Riccardo Ghezzi - Fonte: Qelsi, 08/09/2012
Polonia, Lituania, Lettonia e Bulgaria rinviano a tempo indeterminato la loro adesione all'euro. La devastante crisi economica che ha colpito Portogallo, Spagna, Grecia, Irlanda ed anche Italia ha smorzato gli iniziali entusiasmi e gettato ombre su tenuta e convenienza della moneta unica. Le ultime dichiarazioni, in ordine di tempo, sono quelle del presidente bulgaro Bojko Borisov e del ministro delle Finanze Simeon Djankov, i quali hanno fatto sapere di voler rinviare a tempo indeterminato l'adesione all'euro da parte della Bulgaria. A rivelarlo a Bruxelles è stato Simon O'Connor, portavoce del commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn. In un'intervista al "Wall Street Journal", Borisov e Djankov hanno infatti chiarito che tale decisione è dovuta all'appurato "deterioramento delle condizioni economiche" e "all'aumento dell'incertezza sulle prospettive del blocco comunitario", oltre che "a un deciso cambio nell'opinione pubblica in Bulgaria sull'argomento". Parole forti, talmente forti che la Commissione Europea ha preferito non commentarle. Ancor prima della Bulgaria, la Polonia aveva già cominciato a mostrare i primi segni di insofferenza: non a caso il ministro degli Esteri polacco Radoslav Sikorski ha fatto sapere che Varsavia aderirà all'euro solo se e quando la crisi sarà finita. Identico proclama da parte della Lituania: "Si accetterà la moneta comune solo quando l'Europa sarà pronta", parole del premier Andrius Kubilius. La Lettonia, dal canto suo, ha optato per una vera e propria marcia indietro: già impegnatasi ad adottare l'euro per il 2014, ha avvertito che potrebbe cambiare idea in seguito ad un'attenta analisi nel 2013. Attualmente i Paesi dell'Ue che non hanno ancora aderito all'euro sono i seguenti: Bulgaria, Danimarca, Lettonia, Lituania, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Svezia e Ungheria. Con il Regno Unito che verosimilmente non aderirà mai, i dietro-front di Bulgaria, Lettonia, Lituania e Polonia rappresentano un serio campanello d'allarme. Chi ancora non ha adottato la moneta unica sembra intenzionato a guardarsi bene dal farlo. Chi invece vorrebbe uscirne, avrà il coraggio di compiere il grande passo?
Fonte: Qelsi, 08/09/2012
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JOHN WAYNE ERA CATTOLICO
Qualche tempo prima della sua morte l'attore, uno dei volti più noti di Hollywood, si rammaricò di non esserlo diventato prima
Autore: Marco Tosatti - Fonte: La Stampa, 05/10/2011
Il leggendario attore John Wayne uno dei volti più noti di sempre del mondo di Hollywood, nell'ultimo periodo della sua esistenza abbracciò il cattolicesimo. La rivelazione è stata fatta dal nipote del protagonista di mille western, Mateo Munoz, che è sacerdote cattolico. In un'intervista concessa ad Aci prensa il nipote di John Wayne racconta che "quando eravamo piccoli andavamo a casa sua e passavamo il tempo con lui; giocavamo e ci divertivamo. Un'immagine ben diversa da quella che la maggior parte delle persone aveva di lui". La prima moglie di John Wayne, la dominicana, Josefina Wayne Saez "ha avuto un'influenza meravigliosa nella sua vita e lo ha introdotto al mondo cattolico. Il mio avo "era coinvolto costantemente negli eventi della Chiesa e nelle raccolte di fondi che mia nonna organizzava e dopo un certo periodo notò che l'opinione comune e quello che i cattolici sono in realtà sono due cose molto differenti". John Wayne si sposò con Serafina Saez nel 1933. Ebbero quattro figli, e la più piccola, Melinda, è la madre del padre di Mateo Munoz. Padre Munoz aveva 14 anni quando il suo bisnonno morì di cancro, nel 1978; e ricorda che Wayne aveva un grande apprezzamento per la speranza cristiana. Nella conversione di Wayne giocò un ruolo chiave l'arcivescovo di Panama, mons. Tomas Clavel, di cui era molto amico. Fu lui che "continuò a incoraggiarlo, fino a quando, alla fine John Wayne disse: d'accordo, sono pronto a essere battezzato e a convertirmi alla fede cattolica". E afferma padre Mateo: "Per noi fu meraviglioso vederlo giungere alla fede e lasciare questa testimonianza alla nostra famiglia". Wayne scrisse delle lettere a Dio. "Scrisse dei testi bellissimi di amore a Dio, erano come preghiere. Molto semplici, e allo stesso tempo molto profonde. A volte questa semplicità era vista come ingenuità, però io credo che ci fosse una profonda saggezza nella sua semplicità".
Fonte: La Stampa, 05/10/2011
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INIZIA L'ANNO DELLA FEDE: ECCO IL VANTAGGIO DI ESSERE CRISTIANI
Il libretto appena pubblicato dal Cardinal Biffi ''La fortuna di appartenergli. Lettera confidenziale ai credenti'', ci ricorda alcune verità essenziali
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Avvenire, 02/09/2012
Vi do una notizia un po' riservata. Vi rivelo un segreto; ma, mi raccomando, resti tra noi. La notizia è questa: grande è la fortuna di noi credenti. Grande è la fortuna di chi è «cristiano»; cioè appartiene, sa di appartenere, vuole appartenere a Cristo. Grande è la fortuna dei credenti in Cristo. Però non andate a dirlo agli altri: non la capirebbero. E potrebbero anche aversela a male: potrebbero magari scambiare per presunzione il nostro buon umore per la felice consapevolezza di quello che siamo; potrebbero addirittura giudicare arroganza la nostra riconoscenza verso Dio Padre che ci ha colmati di regali. C'è perfino il rischio di essere giudicati intolleranti: intolleranti solo perché non ci riesce di omologarci – disciplinatamente e possibilmente con cuore contrito – alla cultura imperante; intolleranti solo perché non ci riesce di smarrirci, come sarebbe «politicamente corretto», nella generale confusione delle idee e dei comportamenti.
CONOSCERE IL SENSO DI CIÒ CHE SI FA È già una fortuna non piccola e non occasionale – che ci viene dalla nostra professione di fede – quella di conoscere il senso di alcune piccole consuetudini e di alcune circostanze occasionali. Per esempio, tutti mangiamo il panettone a Natale, ma solo i credenti sanno perché lo mangiano. Non è che il loro panettone sia necessariamente più buono di quello dei non credenti: è semplicemente più ragionevole. Un altro esempio: un po' d'anni fa eravamo tutti eccitati e in tripudio per il suggestivo traguardo del Duemila che ci sarebbe stato dato di raggiungere: ma l'emozione e la festa dei credenti erano meglio motivate. Noi non ci sentivamo emozionati e in festa soltanto per la rotondità della cifra (duemila!); eravamo presi e allietati dal forte ricordo di un evento che è centrale e anzi unico nella storia: il ricordo del bimillenario dall'ingresso sostanziale e definitivo di Dio nella vicenda umana. Quell'anno appunto ci veniva più intensamente richiamata la memoria dell'Unigenito del Padre che è divenuto nostro fratello e si ravvivava in noi con vigore singolare la grande speranza che duemila anni fa ha incominciato ad attraversare la terra. Come si vede, tutta l'umanità festeggiava il Duemila; ma la nostra festa era innegabilmente più consistente e più razionalmente fondata.
CREDENTI E CREDULONI Coloro che si affidano a Cristo – che è «Luce da Luce», cioè il Logos sostanziale ed eterno di Dio – sono inoltre abbastanza difesi dalla tentazione di affidarsi a ciò che è inaffidabile. Anche questa è una fortuna non da poco. È stato giustamente notato come il mondo che ha smarrito la fede non è che poi non creda più a niente; al contrario, è indotto a credere a tutto: crede agli oroscopi, che perciò non mancano mai nelle pagine dei giornali e delle riviste; crede ai gesti scaramantici, alla pubblicità, alle creme di bellezza; crede all'esistenza degli extraterrestri, al new age, alla metempsicosi; crede alle promesse elettorali, ai programmi politici, alle catechesi ideologiche che ogni giorno ci vengono inflitte dalla televisione. Crede a tutto, appunto. Perciò la distinzione più adeguata tra gli uomini del nostro tempo parrebbe non tanto tra credenti e non credenti, quanto tra credenti e creduloni.
LA CONOSCENZA DEL PADRE Chi è «di Cristo» riceve in dotazione anche la certezza dell'esistenza di Dio. Ma non di un Dio filosofico, che all'uomo in quanto uomo non interessa granché; non di un Dio che viene chiamato in causa solo per dare un cominciamento e un impulso alla macchina dell'universo, e poi lo si può frettolosamente congedare perché non interferisca e non disturbi; non di un Dio che, dopo il misfatto della creazione, parrebbe essersi reso latitante. Questa è, press'a poco, la concezione «deistica», e non ha niente a che vedere né con l'insegnamento del Signore né con la nostra vita. C'è anzi da dire che tra il deismo e l'ateismo, per quel che personalmente ci riguarda, la differenza non è poi molta. Il nostro Dio è «il Padre del Signore nostro Gesù Cristo », come amava ripetere san Paolo. E lo si incontra, incontrando Gesù di Nazaret e il suo Vangelo: «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio – lo ha detto lui esplicitamente – e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11,27).
LA SFORTUNA DELL'ATEO Si può intuire quanto sia grande a questo proposito la nostra fortuna, soprattutto se ci si rende conto davvero della poco invidiabile condizione degli atei. I quali, messi di fronte ai guai inevitabili in ogni percorso umano, non hanno nessuno con cui prendersela. Un ateo – che sia veramente tale – non trova interlocutori competenti e responsabili con cui possa discutere dei mali esistenziali, e lamentarsene. Non c'è nessuno contro cui ribellarsi, e ogni sua contestazione, a ben pensarci, risulta un po' comica. Di solito, in mancanza di meglio, finisce coll'aggredire i credenti; ma è un bersaglio che non è molto appagante, perché i credenti (se sono saggi) se ne infischiano di lui e non gli prestano molta attenzione. Un ateo, se non vuol clamorosamente rinunciare a ogni logica e a ogni coerenza, è privato perfino della soddisfazione di bestemmiare. E questa è la più comica delle disavventure. Clave Staples Lewis (l'autore delle famose Lettere di Berlicche), ricordando il tempo della sua incredulità, confessava: «Negavo l'esistenza di Dio ed ero arrabbiato con lui perché non esisteva».
UN DIO CHE AMA Gesù poi – rivelandoci, attraverso il mistero della sua passione e della sua gloria, che anche l'umiliazione, la sofferenza, la morte trovano posto in un disegno d'amore che tutto riscatta e alla fine conduce alla gioia – ci preserva anche dalla follìa di chi arriva a ipotizzare, fondandosi sulla sua stessa personale esperienza, che un Dio probabilmente esiste; ma, se esiste, è malvagio e causa di ogni malvagità. È il sentimento espresso, per esempio, nella spaventosa professione di fede di Jago nell'Otello di Verdi all'atto secondo: «Credo in un Dio crudel che m'ha creato simile a sé». Il Dio che ci è fatto conoscere dal Redentore crocifisso e risorto, è un Dio che ci vuol bene e, come dice san Paolo, fa in modo che «tutto concorra al bene per quelli che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (cf. Rm 8,28); tutto concorre al nostro bene anche quando noi sul momento non ce ne avvediamo. È la verità consolante ed entusiasmante che Gesù ci confida, quasi suprema sua eredità, nei discorsi dell'ultima cena: «Il Padre vi ama» (Gv 16,27). Il Padre ci ama: con questa certezza nel cuore ogni difficoltà, ogni tristezza, ogni pessimismo diventa per noi superabile.
CHI È L'UOMO Facendoci conoscere il Padre, Gesù ci porta anche alla miglior comprensione di noi stessi: ci fa conoscere chi siamo in realtà, quale sia lo scopo del nostro penare sulla terra, quale ultima sorte ci attenda. «Cristo – dice il Concilio Vaticano II – proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (Gaudium et spes 22). Così veniamo a sapere – e nessuna notizia è per noi più interessante e risolutiva di questa – che siamo stati chiamati ad esistere non da una casualità anonima e cieca, ma da un progetto sapiente e benevolo. Veniamo a sapere che l'uomo non è un viandante smarrito che ignora donde venga e dove vada né perché mai si sia posto in viaggio, ma un pellegrino motivato, in cammino verso il Regno di Dio (che è diventato anche suo) e verso una vita senza fine. Il dilemma tra l'essere increduli e l'essere credenti è in realtà il dilemma tra il ritenersi collocati entro un guazzabuglio insensato e il conoscere di essere parte di un organico e rasserenante disegno d'amore. L'alternativa, a ben considerare, sta fra un assurdo che ci vanifica e un mistero che ci trascende; alternativa che esistenzialmente diventa quella tra un fatale avvìo alla disperazione e una vocazione alla speranza. Perciò san Paolo può ammonire i cristiani di Tessalonica a non essere malinconici e sfiduciati come gli altri; «come gli altri – egli dice – che non hanno speranza» (1Ts 4,13). Questa è dunque la sorte invidiabile di coloro che sono «di Cristo»: dal momento che «conoscono le cose come stanno», non sono costretti ad appendere ai punti interrogativi la loro unica vita.
«DOVE C'È LA FEDE, LÌ C'È LA LIBERTÀ» Un'altra grande fortuna di coloro che sono «di Cristo» è quella di essere liberi. Abbiamo ricevuto a questo riguardo una precisa promessa: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31-32). Il principio di questa prerogativa inalienabile del cristiano è la presenza in noi dello Spirito Santo: «Dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà» (2Cor 3,17); quello Spirito che, secondo la parola di Gesù, ci guida alla verità tutta intera (cf. Gv 16,13). Vale a dire, come abbiamo appena visto, ci chiarifica «le cose come stanno». Sant'Ambrogio enuncia icasticamente questo caposaldo dell'antropologia cristiana, scrivendo in una sua lettera: «Dove c'è la fede, lì c'è la libertà».
Nota di BastaBugie: questo articolo del Cardinale Giacomo Biffi è uno stralcio dal suo nuovo libretto "La fortuna di appartenergli. Lettera confidenziale ai credenti" (ESD) appena uscito in libreria dal costo di un euro per 15 pagine.
CARD. GIACOMO BIFFI La fede che diventa cultura Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: Avvenire, 02/09/2012
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LA CONDANNA A MORTE DI ELUANA: 5 ANNI DOPO NESSUNO HA IMITATO BEPPINO ENGLARO
Ripercorriamo la vicenda, che continua ad essere fraintesa e distorta, della ragazza sana e forte che in orrenda solitudine è stata uccisa di fame e di sete
Autore: Patrizia Fermani - Fonte: Corrispondenza Romana, 10/09/2012
Cinque anni fa la prima sezione della Cassazione ha decretato la condanna a morte di Eluana Englaro con una sentenza che è stata inesorabilmente eseguita il 9 febbraio 2009. Non bisogna stancarsi di ricondurre senza esitazioni a questa realtà inequivocabile una vicenda che continua ad essere fraintesa e distorta. Eluana è morta, secondo il disegno perseguito tenacemente dal padre in veste di tutore e su "autorizzazione" del giudice, perché si è smesso di fornirle il nutrimento che non era in grado di procurarsi da sola: reato commissivo mediante omissione secondo la dottrina penalistica, come quello compiuto dalla madre che volontariamente smette di dare il latte al proprio bambino provocandone la morte. E che questo evento sia stato autorizzato da un giudice non cambia la sua fisionomia di fatto delittuoso (introduce semmai un fattore di straordinario allarme sociale) perché la responsabilità penale è personale e chiunque sia capace di intendere e di volere deve rispondere dell'evento lesivo penalmente rilevante in ragione del proprio contributo alla sua realizzazione. Ma non può e non deve continuare ad essere pudicamente eluso, secondo una potente copertura mediatica, forse più insipiente che premeditata, che la morte di Eluana Englaro è stata la conseguenza diretta, anzitutto, di un vero e proprio monstrum giuridico, messo in piedi dal giudice di legittimità e definito dal giudice di rinvio attraverso provvedimenti arbitrari, non solo privi di fondamento normativo, ma anche eversivi dello stesso ordinamento. Una vicenda, questa, in cui inconsueti aspetti psicologici hanno trovato inaspettata corrispondenza in inconsueti paradossi giuridici. Le sequenze che hanno preceduto l'epilogo tragico sono note: un incidente oscura improvvisamente la sfolgorante giovinezza di una ragazza che rimane in coma vegetativo; non più autosufficiente, assistita dapprima dalla madre, viene poi affidata alle cure delle suore misericordine della clinica di Lecco in cui è nata, e alle cui premure dimostrerà fino alla fine con piccoli segni di poter rispondere affettivamente. Ma il padre sente subito come insopportabile quella sopravvivenza fisica della figlia, forse in conflitto con l'idea che la ragazza ha lasciato di sé nella sua mente: fin dall'inizio chiede inutilmente ai medici di interrompere la nutrizione che la tiene in vita. Il tempo passa, la ragazza è sana e forte e non ci sono processi patologici in corso. Per vivere ha solo bisogno, come tutti, di essere nutrita. Englaro invece vuole che quella vita sia interrotta perché non è di essa che ci si può accontentare; tuttavia non intende assumersi personalmente ed esclusivamente la responsabilità di eliminarla. Egli vuole che la morte di Eluana sia sentita da tutti come auspicabile e che tutti riconoscano la legittimità della sua soppressione. Eppure, se una tale scelta estrema fosse stata compiuta personalmente, avrebbe indicato quella dismisura del sentimento di fronte alla quale diventa difficile il giudizio e insondabile la realtà della cose. E invece, il disegno di Englaro è andato oltre ogni possibilità di compassione, perché egli ha mirato a trasferirne arbitrariamente il fardello sulle spalle di una intera collettività: tutta la vicenda è allora uscita dall'ordinaria tragicità del dolore umano, perchè egli ha trasformato un'ossessione personale in un programma politico, e ad esso ha affidato la funzione catartica che hanno i lavacri nell'inconscio di lady Macbeth. Eluana doveva diventare il simbolo della ideologia della libertà, quella che non riconosce i limiti della natura e della sorte e inalbera la bandiera dell'Io su tutto e su tutti anche al di là dei valori della solidarietà familiare. Egli ha puntato al riconoscimento giuridico di un proposito che voleva porsi contro ogni legge. Di mezzo c'era tutto un ordinamento giuridico, in primo luogo quella legge penale che è posta a presidio della vita umana e tutela le condizioni fondamentali della convivenza civile: nessuno può disporre della vita altrui, neppure col consenso della vittima; chi causa la morte di un uomo commette omicidio. Tuttavia si può disporre della propria vita, non è punito il tentativo di suicidio, ed è lecito rifiutare le cure mediche anche quando queste sono condizione per la propria sopravvivenza. Questa la via che è sembrata aprirsi ad Englaro per il perseguimento del proprio obiettivo: poiché Eluana non può suicidarsi né lasciarsi morire, si potrebbe ottenere in qualche modo che venga meno il suo sostentamento, e ricondurre la morte conseguente, indotta da altri, ad una sua ipotetica ma definita volontà di non sopravvivere. Sempre confidando nella possibilità di evitare la legge penale. Egli ritiene, per sua stessa ammissione, che tale opzione sia offerta dagli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione. Tuttavia, trattandosi di soggetto in stato vegetativo, anche il rifiuto della nutrizione diventa materialmente impossibile: c'è allora la via offerta dalla tutela, che attribuisce a chi ne è titolare di agire in sostituzione dell'incapace per la cura dei suoi interessi e per l'esercizio dei diritti che non siano personalissimi. Englaro chiede l'interdizione della figlia di cui si fa nominare tutore ed inizia un decennio di ricorsi volti ad ottenere dal giudice di sostituire il proprio consenso a quello dell'incapace per la sospensione della sua nutrizione. I ricorsi vengono però respinti dai giudici di merito, perché il tutore è preposto alla cura dell'incapace e può sostituire la propria alla volontà di questi nella amministrazione dei beni patrimoniali e anche nella scelta delle eventuali soluzioni terapeutiche, ma non nell'esercizio dei diritti personalissimi fra i quali è ovviamente da annoverare quello relativo alla decisione sulle condizioni della propria sopravvivenza. Rimane dunque l'ostacolo dell'impossibilità di sostituire il consenso dell'incapace con un ipotetico consenso presunto "trasmesso" dal tutore. Ma l'impresa non sembra impossibile ad Englaro ed ai suoi legali: bisogna solo aspettare che un giudice compiacente faccia propria quell'ideologia eutanasica e si potrà sempre contare su di una manipolazione mediatica capace di creare proficue suggestioni collettive. Ed ecco che nel 2007 la I sezione della Cassazione modella sulle richieste del ricorrente un provvedimento la cui motivazione, come è stato osservato, viene costruita per dare apparente plausibilità ad un dispositivo già prestabilito, ma "che non trova nell'ordinamento alcun fondamento giuridico" come ebbe ad affermare Vassalli subito dopo la pubblicazione della sentenza, meravigliato nel riconoscere nel presidente di quella sezione una antica promettente allieva. Per capire il meccanismo escogitato dal giudice sulla falsariga dei motivi proposti dal ricorrente, occorre schematizzare ancora una volta la questione: ognuno può decidere la propria sorte, e quindi rifiutare i trattamenti che gli assicurano la sopravvivenza; il soggetto capace può rifiutare anche la nutrizione artificiale, ma non può chiedere la cooperazione altrui perché si ricadrebbe, per il terzo, nella fattispecie penalistica di aiuto al suicidio o di omicidio del consenziente. Tutto ciò ovviamente non vale nel caso dell'incapace in stato vegetativo che non è in grado di manifestare alcuna volontà: la sottrazione della nutrizione a costui da parte di terzi configura comunque omicidio volontario. La corte si disinteressa di ogni profilo penalistico: se l'incapace non è in grado di rifiutare attualmente la nutrizione per lasciarsi morire, la decisione può essere presa dal suo tutore sulla base di una volontà presunta dell'interdetto, ricavata dal ricordo delle opinioni espresse quando questi era nel pieno possesso delle sue facoltà, di fronte a situazioni analoghe a quella presente. Questa, però, non è solo una forzatura interpretativa da parte del Collegio, è lo stravolgimento di un principio fermo ed irrinunciabile, secondo cui il consenso che il soggetto può portare alla realizzazione di condizioni che gli sono sfavorevoli deve essere sempre univoco ed attuale. Principio di civiltà che pone al riparo da arbitri ed abusi di ogni genere. Inoltre, in tema di rinuncia alla nutrizione, viene violato l'espresso divieto, per il tutore, di agire in nome e per conto dell'incapace nel campo dei diritti personalissimi. Ma tale violazione di principi consolidati viene giustificata sul piano dei valori fondamentali della religione laica: si tratta, secondo quanto sostenuto dal ricorrente, di rispettare il principio di autodeterminazione e il sacro sentimento della propria dignità personale incompatibile con il protrarsi di una vita menomata; valori di fronte ai quali viene meno anche da parte del medico il dovere di adoperarsi per la sopravvivenza del paziente. Tuttavia le forzature del sistema e la proclamazione di tali giustificazioni non valgono ad allontanare lo spettro dell'omicidio. Per provocare la morte della donna attraverso la sottrazione del nutrimento occorre che qualcuno si prenda la briga di staccare il sondino che glielo assicura, e non può essere elusa la norma penale che vieta la causazione della morte di chiunque. Ecco allora che la Corte costruisce il paradosso finale: sarà il giudice stesso ad autorizzare quell'operazione, e tanto varrà a trasformarla in azione non penalmente perseguibile: una sorta di assoluzione anticipata per depenalizzazione giudiziaria. Una pretesa che, se non avesse avuto le conseguenze tragiche che sappiamo, e in tempi meno assuefatti al camuffamento di ogni abuso, sarebbe risultata grottesca. Invece un po' tutti, chierici e laici, si sono trovati d'accordo nel convenire che bene o male qualcosa di nuovo nel senso di nuove norme si fosse affacciato nel mondo del diritto. In realtà nel mondo del diritto non si è affacciato un bel nulla, perché quel provvedimento privo di ogni fondamento giuridico è abnorme e come tale giuridicamente irrilevante. Nessun giudice, come nessun altra autorità, ha il potere di autorizzare la commissione di un reato, cioè consentire qualcosa che la legge penale vieta. Il provvedimento, aldilà della sua veste formale, per l'abnormità del contenuto non può essere riconosciuto come atto giurisdizionale tipico (nella specie di provvedimento di giurisdizione volontaria), ma è giuridicamente inesistente e come tale ineseguibile. Come sarebbe il provvedimento penale che prevedesse la condanna ai lavori forzati, o l'arresto per debiti, o la sentenza del giudice civile che autorizzasse un esproprio proletario. E di questo il Pubblico Ministero dovrebbe prima o poi accorgersi. Englaro, anche in recenti interviste, si vanta di essere stato ospitato con successo all'Università di Padova in un convegno su "Medicina e diritto", quale simbolo benemerito di una nuova temperie giuridica e culturale. In realtà in quel convegno poco si parlò di medicina e per nulla di diritto. Infatti i giuristi presenti parlarono d'altro, impegnati nel cavalcare ossequiosamente l'onda della nouvelle ideologie eutanasica televisivamente redditizia e proficua per il risanamento del bilancio dello stato; salvo qualche scampagnata nelle progressive praterie delle Corti americane, che, appartenendo però a tutt'altro ordinamento, si sa che con il nostro diritto non hanno nulla a che fare. Eluana è morta nella orrenda solitudine della prigione in cui era stata trasferita dai propri carcerieri, anche senza il conforto umano che si concede agli ultimi istanti di un condannato a morte. Il padre continua a battere l'Italia con la sua compagnia di giro, sorretto dall'eloquio e dal pensiero di Amato De Monte. Il cittadino, intorpidito dal fumo delle parole e dall'ancestrale rispetto verso l'autorità dei giudici, continua ad ignorare che un delitto è stato commesso in nome del popolo italiano.
Fonte: Corrispondenza Romana, 10/09/2012
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LETTERE ALLA REDAZIONE: ARRIVARE VERGINI AL MATRIMONIO E' FATICOSO, MA POSSIBILE
La castità è una grazia fondamentale che ha gettato le fondamenta per una unione salda con mia moglie
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie, 18/09/2012
Buonasera, volevo segnalare quella che secondo il mio modesto punto di vista (non sono né un teologo, né un esperto in materia di fede) è un'inesattezza presente nell'articolo "L'Arcivescovo di Trento ricorda l'immoralità' del piacere sessuale al di fuori del matrimonio e scoppia la polemica" del 14/9/12. Si legge infatti "Un secondo equivoco, probabilmente il più diffuso e grave, riguarda il fatto che la Chiesa proibirebbe il sesso prima del matrimonio. Il che non solo è falso, ma è addirittura impossibile." Riguardo alla falsità, rimando al Catechismo della Chiesa Cattolica articoli 2348 e seguenti, in particolare il 2350: "I fidanzati [...] Riserveranno al tempo del matrimonio le manifestazioni di tenerezza proprie dell'amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente a crescere nella castità". In merito all'impossibilità, mi permetto di portare la mia esperienza personale: ho vissuto i 6 anni di fidanzamento con la mia attuale moglie senza avere rapporti sessuali ed esercitandoci nella castità. Sarebbe ipocrita e sentimentalistico affermare che "è stato bellissimo" o che "è stato semplice, grazie al supporto della fede". No, la realtà è che è stata veramente dura resistere all'attrazione e alle pulsioni, proprie di un ragazzo e una ragazza ventenni. Non di rado (e soprattutto nei momenti di crisi spirituale) sono stato tentato di pensare che quella della castità fosse solo una presa di posizione "estrema" senza un reale fondamento. Non mi hanno certo aiutato le opinioni (o, per meglio dire, gli sfottò) degli amici lontani (e non) dalla Chiesa o il continuo bombardamento da parte dei media super eroticizzati (internet a parte, dove l'offerta è "on-demand", anche la televisione, dove sembra che in tema di sesso non ci siano più fasce protette, né tantomento limiti nel linguaggio adottato, e spesso con la presunzione di fare informazione di taglio scientifico). Il fidanzamento è stato lungo e travagliato: ci siamo lasciati e ripresi per 3 volte, per un periodo totale di oltre un anno. Queste crisi erano dovute a motivi importanti che meritavano una riflessione personale profonda; sono stati anche momenti di particolare vicinanza con Dio e si sono risolti solamente quando abbiamo deciso di fare non la nostra volontà, ma la Sua. Oggi sono fermamente convinto che la castità, la continenza e quindi l'astensione siano state un sommo bene. Se avessimo avuto rapporti prima del matrimonio questi non avrebbero certo aiutato a "conoscerci meglio" o a "unirci profondamente" o a "soddisfare le naturali pulsioni, che non è bene reprimere", come viene spesso addotto a giustificazione per questa pratica, anche da chi si dichiara cattolico. Avrebbe invece annebbiato la capacità di giudizio sul nostro rapporto e offuscato nella soddisfazione(?) della carne le motivazioni profonde delle crisi, che invece il Cristiano affronta in altro modo, cioè appoggiandosi a Dio tramite la preghiera e i sacramenti; avrebbe mercificato la relazione e, con ogni probabilità, tutti i problemi sarebbero stati "risolti" sotto le lenzuola. Mi sento di poter fare queste affermazioni proprio perché ho provato che si può correre questo rischio anche all'interno del matrimonio, dove l'unione coniugale può diventare un'arma da usare come ricatto o un mezzo per la sola ricerca del piacere personale, con conseguenze serie sulla relazione tra gli sposi. A mio personalissimo giudizio il motivo del fallimento di molti matrimoni è proprio la delusione o lo "shock" di trovarsi a condividere la vita con qualcuno che non si conosce, o peggio, che si pensava di conoscere. Insomma "L'amore è cieco... ma il matrimonio ridona la vista", come ha detto nell'omelia il sacerdote che ha celebrato il mio matrimonio. E la diffusa convizione che conoscere il partner (come si usa chiamare la moglie/il marito nella società del politically correct) voglia dire "essere sessualmente affini" è quantomeno riduttivo e avvilente. Ho 30 anni e sono sposato da 5 (non poco, considerando che molti matrimoni non festeggiano il primo anniversario) e posso dire con assoluta fermezza che la castità è una grazia fondamentale che ha gettato le fondamenta per una unione salda basata su Cristo. Ha permesso anche l'apertura alla Vita, che vuol dire aver accettato tutti i figli che Dio ha voluto donarci: 2 in vita e 4 non venuti alla luce, a causa di gravidanze interrotte per motivi naturali. Concludo dicendo che il valore della castità va considerato e applicato integralmente e con convinzione: è un modo molto efficace a disposizione in particolar modo dei più giovani di testimoniare Cristo ad una generazione perversa, che ha stravolto l'idea di unione sessuale: l'ha resa un abominio, quando in origine è stata pensata come atto di vera Creazione con cui l'uomo diventa simile a Dio concorrendo alla sua opera e realizzando pienamente la sua vita. Un saluto a voi tutti. Giovanni
Caro Giovanni, credo che la tua esperienza non faccia che confermare l'articolo da te citato all'inizio della tua bella lettera. Si diceva che la Chiesa non proibisce la sessualità prima del matrimonio, ma questa frase andava contestualizzata. Poco dopo infatti si affermava che non si deve "considerare il rapporto sessuale unitivo la sola manifestazione di sessualità". Quella frase quindi voleva semplicemente dire che la sessualità "descrive l'intera esistenza di ciascuno di noi, soprattutto nella dimensione relazionale". Insomma la sessualità è ben più ampia della sola genitalità. Ad esempio una suora esprime la sua sessualità nelle relazioni con gli altri donandosi a tutti coloro che incontra. Ovviamente gli sposi esprimono la sessualità anche (ma non solo) con i rapporti sessuali. Detto questo, non può che commuovere la tua bella testimonianza. Bella perché vera. Senza sdolcinature, né sentimentalismi, ma con la crudezza dell'esperienza di sei anni di fidanzamento duri, fatti di passi avanti, ma anche di fermate, hai testimoniato che si può rinunciare a vivere "come fanno tutti" e, diciamocelo sinceramente, "come viene naturale fare". Ma la rinuncia non è repressione, ma ha senso per una fortificazione e una vera prova del rapporto con la persona con cui condivideremo non solo il letto, ma l'intera esistenza terrena. Senza un rapporto casto prima del matrimonio, sarà poi difficile vivere castamente anche la vita matrimoniale. Se non ci si allena al dono di sé (con la verginità prima del matrimonio), sarà poi difficile donarsi davvero una volta sposati (quando andrà castamente praticata la sessualità tra coniugi). Insomma credo che la tua lettera confermi che la morale insegnata dalla Chiesa, non solo è conforme al volere di Dio, ma soprattutto è l'unica veramente umana.
DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE" Le risposte del direttore ai lettori Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!
Fonte: Redazione di BastaBugie, 18/09/2012
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OMELIA XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B - (Mc 9,30-37)
Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo e il servitore di tutti
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 23/09/2012)
Per annunciare il Vangelo al mondo intero, Gesù ha scelto dodici semplici pescatori. All'inizio questi dodici uomini stentavano a comprendere la sublimità dell'insegnamento evangelico e il Signore, in diverse occasioni, ha dovuto correggerli nella loro mentalità troppo umana. Nella pagina del Vangelo che abbiamo appena ascoltato troviamo proprio una di queste situazioni. Correggendo i suoi Apostoli, Gesù ammaestra ciascuno di noi e ci introduce alla sapienza della croce. Attraversando la Galilea, Gesù stava spiegando loro: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà» (Mc 9,31). Il testo del Vangelo riporta che gli Apostoli non compresero questo discorso «e avevano timore di interrogarlo» (Mc 9,32). Anzi, invece di chiedere spiegazioni, assecondando un modo di pensare molto umano, discutevano tra di loro su chi fosse il più grande (cf Mc 9,34). Gesù predicava umiltà e croce, e gli Apostoli discutevano su chi fosse il più importante tra loro. In questo episodio ammiriamo tutta la pazienza di Gesù che ama le sue creature e che attende con bontà che esse si ravvedano e comprendano il suo insegnamento. Pensiamo a quanta pazienza Gesù ha portato con ciascuno di noi. Giunti a questo punto, Gesù istruisce nuovamente i suoi Apostoli, facendo loro comprendere chi è veramente grande agli occhi di Dio: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,35). Quando un'anima vive nell'umiltà e cerca di rimanere nell'ombra, allora il Signore la innalza molto in alto, al di sopra di tutte le altre. Il segreto per salire è quello di scendere il più possibile per mezzo dell'umiltà. Nel Magnificat la Vergine Maria canta che Dio ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili. Tra questi umili ci sono stati tutti i Santi. In modo particolare ricordiamo san Francesco che, per la sua umiltà, come disse Gesù stesso a santa Margherita Maria Alacoque, fu il Santo più vicino al suo Cuore. Si racconta che un giorno frate Masseo gli chiese: «Perché tutto il mondo viene dietro a te?». San Francesco ci pensò un attimo e poi disse con piena convinzione: «Vuoi sapere perché? Perché Dio, fra tutti i peccatori, non vide nessuno più vile di me. Per questo motivo egli ha scelto me per confondere la nobiltà, la grandezza, la fortezza, la bellezza e la sapienza del mondo, affinché si sappia che ogni virtù e ogni bene viene da Lui e non dalla creatura, e nessuna persona possa gloriarsi» (cf FF 1838). San Francesco era talmente umile che diceva a se stesso: «Se l'Altissimo avesse concesso grazie così grandi a un ladrone sarebbe più riconoscente di te, Francesco» (FF 717). E così scriveva nella lettera rivolta a tutti i fedeli: «Mai dobbiamo desiderare di essere sopra gli altri, ma anzi dobbiamo essere servi e soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio» (FF 199). Se vogliamo dunque ricalcare le orme di Gesù, dobbiamo essere umili di cuore, dobbiamo, sul suo esempio, metterci al servizio del nostro prossimo, e dobbiamo abbracciare le inevitabili croci della vita. Preso poi un bambino in braccio e postolo in mezzo a loro, Gesù disse: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (Mc 9,37). Queste parole da una parte ci insegnano che noi dobbiamo essere puri e semplici come i bambini; ma, dall'altra parte, ci ricordano la tristissima realtà dei tanti bambini non accolti e uccisi nel modo più orribile, con l'aborto. L'aborto è certamente uno dei più grandi peccati che, solamente nella nostra Italia, da quando è stato legalizzato, ha mietuto circa cinque milioni di vittime. Questi sono peccati che lasciano un profondo segno su tutti quelli che lo hanno praticato. Da parte di ogni cristiano si impone il dovere e la carità di aiutare e consigliare secondo il Vangelo tutte quelle madri che sono colte da questa grande tentazione di sopprimere la vita che sta germinando in loro. Molti bambini sarebbero nati se ci fosse stato qualcuno che avesse incoraggiato le loro madri. Non chiudiamo gli occhi di fronte a questi drammi e aiutiamo ad accogliere la vita, ad accogliere Gesù. Infine, qualche breve parola sulla seconda lettura di oggi. San Giacomo scrive: «Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male» (Gc 4,2). Queste parole ci fanno comprendere che, se noi tante volte non siamo visitati dalla grazia, ciò dipende dalla nostra mancanza di preghiera. Non preghiamo o preghiamo male. Queste parole dell'Apostolo devono risuonare come un invito a una preghiera autentica, che ci ottenga tutte le grazie di cui abbiamo bisogno. La nostra preghiera sarà sempre esaudita, nella misura della nostra umiltà, fiducia e perseveranza.
Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 23/09/2012)
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