BastaBugie n�302 del 21 giugno 2013

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1 NOI, FAMIGLIA ITALIANA CON SEDICI FIGLI
Perché vi stupite? A ogni matrimonio il sacerdote chiede: ''Siete disposti ad accettare i figli che Dio vorrà donarvi?''
Autore: Paolo Conti - Fonte: Il Corriere della Sera
2 PDL: PROPOSTA CHOC PER INTRODURRE IL MATRIMONIO GAY
Galan, Bondi, Capezzone, Prestigiacomo e altri propongono una vera e propria equiparazione al matrimonio naturale
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 STOP AL DIALOGO INDISCRIMINATO: I NOSTRI PULPITI DEVONO RIMANERE NOSTRI
Se noi crediamo che Gesù sia l'unico salvatore del mondo e che la Chiesa sia la garanzia di ciò in cui crediamo, non dobbiamo cercare altrove le risposte che abbiamo già ricevuto
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
4 DICIAMO TUTTA LA VERITA' SULLA TURCHIA DI ERDOGAN
La rivolta in atto è la spaccatura tra due anime irreconciliabili: quella secolare e laicista, che si richiama alla dittatura di Ataturk e quella islamica di Erdogan che domina il Paese da 11 anni
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana
5 LA LOBBY PEDOFILA VUOLE IMPORRE LA PERVERSIONE COME NORMALE
Intervista a don Fortunato Di Noto, fondatore dell'associazione Meter, il più famoso ''cacciatore'' di pedofili in internet
Autore: Roberto Marchesini - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 I SOPRAVVISSUTI ALLA RIEDUCAZIONE COMUNISTA CINESE
I ricordi dei ragazzini obbligati nei laogai a lavorare 14 ore al giorno, mangiando topi e vermi per resistere alla fame
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi
7 AL GAY PRIDE DI PALERMO, FORTEMENTE VOLUTO DA CROCETTA E ORLANDO, CI SARANNO ANCHE IDEM E BOLDRINI
Parlamentari cattolici perché tacete? Di che cosa volete occuparvi? Della salvezza di Berlusconi, dello spread o di come cresceranno i nostri figli?
Autore: Danilo Quinto - Fonte: Corrispondenza Romana
8 LA LEGGE 194 SI FONDA SU BASI ANTI-SCIENTIFICHE
Si pensa che il feto non abbia una vita propria fino alle 24 settimane, ma dal punto di vista scientifico questa idea è falsa (VIDEO: Diario di un Bambino mai nato)
Autore: Roberto Algranati - Fonte: ProLife News
9 OMELIA XII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 9, 18-24)
Se qualcuno vuole venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - NOI, FAMIGLIA ITALIANA CON SEDICI FIGLI
Perché vi stupite? A ogni matrimonio il sacerdote chiede: ''Siete disposti ad accettare i figli che Dio vorrà donarvi?''
Autore: Paolo Conti - Fonte: Il Corriere della Sera, 11/06/2013

«Siamo una famiglia straordinariamente normale... Ma il merito non è nostro. Semplicemente perché è un'opera di Dio». Mezza Catanzaro è in attesa di un parto insieme straordinario e normale, per dirla con le parole appena usate dal capofamiglia Aurelio Anania, 46 anni, impiegato come coadiutore (quello che un tempo si chiamava bidello) all'Accademia di belle arti di Catanzaro: sua moglie Rita Procopio, 42 anni, partorirà nei prossimi giorni per la sedicesima volta. Stavolta è una figlia, si chiamerà Paola e si aggiungerà alle altre otto sorelle e ai sette fratelli. Aurelio e Rita (lei è ovviamente casalinga, anche se in passato lavorava negli uffici amministrativi del Policlinico Mater Domini) si sono sposati l'8 dicembre '93 dopo otto anni di fidanzamento e tenendo fede, ci tengono a raccontarlo, al voto di castità prematrimoniale. E da allora è cominciata la serie ininterrotta di figli: per prima Marta, oggi 18 anni, e poi Priscilla, Luca, Maria, Giacomo, Lucia, Felicita, Giuditta, Elia, Beatrice, Benedetto, Giovanni, Salvatore, Bruno fino alla piccola Domitilla, appena un anno e mezzo.
Nessuna storia di marginalità sociale. Al contrario, una scelta consapevole e granitica, come spiega Aurelio Anania: «Non c'è né incoscienza né ignoranza, ma il frutto di un cammino di fede [...]. Se rispondiamo alle domande di qualche giornalista è per testimoniare, nell'anno della Fede proclamato da Benedetto XVI, cosa può produrre la certezza quotidiana del Cristo risorto. Mia moglie ed io non siamo altro che gli umili amministratori di un disegno divino». Naturalmente tutta questa fede si declina, come hanno raccontato sia Catanzaroinforma che il Quotidiano della Calabria, in una vita quotidiana materiale. Lo spiega sempre papà Aurelio: «Volete sapere quanto guadagno? 2.200 euro al mese, inclusi gli assegni familiari». Ma come fate ad arrivare alla fine del mese? «C'è sempre l'aiuto della Provvidenza, sicuro, puntuale e ben tangibile. Si può scoprire, per esempio, in un arretrato imprevisto. In un sostegno che arriva da qualche parte. Sono autentici piccoli miracoli, basta saperli capire. L'uomo può anche offendere, se regala qualcosa a qualcuno. Dio non lo fa mai. E non ti costringe nemmeno a chiedere, perché si muove in anticipo sapendo delle tue necessità».
Al netto di tanta certezza interiore, c'è un'organizzazione familiare perfettamente sperimentata. Ogni giorno servono circa tre chili e mezzo di pane e quattro litri di latte. E il resto? Papà Anania ride: «Per il resto viviamo di offerte speciali. Non abbiamo un supermercato di riferimento ma ci muoviamo in base ai prezzi più bassi». Bastano i soldi per mangiare, per vestirvi? «Potrei dire che solo chi non ha fede si preoccupa di certi aspetti. Ma alla fine sì, bastano. Ha perfettamente ragione papa Francesco quando sostiene che il denaro domina il mondo. I soldi non mi danno la vita ma mi servono per vivere». Casa Anania dispone di 110 metri quadrati, in una stanza i sette maschi, in altre due le femmine. Per mamma e papà la sveglia suona alle 6.15, dopo la colazione i grandi vanno a scuola in autobus, i piccoli accompagnati da papà con il pulmino da nove posti parcheggiato in cortile (nelle uscite di famiglia qualcuno si deve sempre infilare nell'auto di amici). Quando la casa si svuota a mamma Rita restano un lettone e sedici lettini da rifare, le lavatrici, la spesa, il pranzo da preparare nella grande cucina dove il pomeriggio si fanno i compiti. Ma nessuno soffre per la mancanza di spazio in quei 110 metri quadrati di casa. L'ultima battuta di Aurelio Anania, in attesa della piccola Paola, riguarda l'eternità: «Mi basterebbe la certezza che per noi ci fosse la stessa superficie in Paradiso...».

Nota di BastaBugie: Aurelio e Rita ci tengono a raccontare che durante il fidanzamento hanno mantenuto la castità prematrimoniale. Sull'argomento si può leggere l'articolo da noi già pubblicato "Le coppie piu' soddisfatte? Sono quelle che si sono astenute dall'avere rapporti prima del matrimonio" in cui si spiega che non siamo fatti per il nomadismo affettivo, ma per la stabilità, clicca qui
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=2604

Consigliamo infine il video di Jason Evert "Sii padrona del tuo mistero" sull'importanza della castità prematrimoniale

http://www.youtube.com/watch?v=JchxbzU2UVE

Fonte: Il Corriere della Sera, 11/06/2013

2 - PDL: PROPOSTA CHOC PER INTRODURRE IL MATRIMONIO GAY
Galan, Bondi, Capezzone, Prestigiacomo e altri propongono una vera e propria equiparazione al matrimonio naturale
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14/06/2013

La tempesta era nell'aria da tempo e ieri si è scatenata. Infatti nel pomeriggio di giovedì è stata resa pubblica la Proposta di Legge dell'on. Giancarlo Galan ed altri (Sandro Bondi, Daniele Capezzone, Laura Ravetto, Gabriella Giammanco, Stefania Prestigiacomo, Elio Massimo Palmizio, tutti del Pdl), dal titolo "Disciplina dell'unione omoaffettiva". Proviamo ad analizzarla per sommi capi.
Nell'introduzione si scrive: "La nostra Costituzione […] non esclude l'unione tra persone del medesimo sesso". Certo, nel testo si parla di "unione" e non di "matrimonio" ma il concetto è quello. Comunque sia la nostra Costituzione non esclude esplicitamente nemmeno un "matrimonio" tra uomini e bestie, eppure chi mai penserebbe che sia giusto sposarsi il proprio cane? E poi peccato che la Costituzione faccia esplicito riferimento nell'art. 29 al solo matrimonio naturale, cioè a quello tra uomo e la donna. In tal modo, in modo implicito, esclude tutti gli altri tipi di "matrimoni".
Proseguono Galan & Co. domandandosi retoricamente: "Possiamo noi, onorevoli colleghi, permettere che due cittadini italiani abbiano diritti diversi in base al proprio orientamento sessuale o in base alla natura del proprio legame affettivo? No." Come più volte abbiamo puntualizzato su queste pagine, i diritti fondamentali nel nostro ordinamento giuridico sono già assicurati a tutti, anche agli omosessuali. Oltre a questo, esistono una ventina di leggi e moltissime pronunce dei giudici che già tutelano i conviventi - etero o omosessuali che siano - proprio in relazione a quei diritti che sono inseriti nel testo di Galan: fatica sprecata quindi.
L'aspetto più grave di questo progetto di legge è comunque il seguente. Qui, anche per esplicita ammissione degli estensori del testo, non si vuole disciplinare la convivenza, sia degli eterosessuali che degli omosessuali. Qui non si parla di Pacs o Dico. Quello che propone Galan è un vero e proprio "matrimonio" omosessuale. Ecco le prove.
Sempre nell'introduzione si legge: "Grazie all'accordo di unione omoaffettiva, […] elimineremo tali
iniquità, garantendo alle coppie omosessuali il pieno riconoscimento di diritti e doveri corrispondenti a quelli del matrimonio". E più avanti: "Abbiamo inteso quindi estendere a queste unioni la disciplina prevista per l'istituto matrimoniale". Infine per i più duri di orecchi si ribadisce in modo ancor più preciso che "ci siamo proposti a questo fine di seguire le norme del codice civile riguardanti il matrimonio". Più chiaro di così si muore.
L'unica differenza sostanziale sta nel fatto che la coppia omosessuale non potrà adottare. Questo non perché Galan sia contrario, ma perché l'introduzione di questo istituto è un poco prematura secondo lui e perché "avrebbe inevitabilmente comportato ulteriori dilazioni nel procedimento di approvazione della presente proposta di legge, rimandandone invece la trattazione ad un'opportuna rivisitazione della materia specifica, da compiersi in altra sede". Insomma: intanto beccatevi il "matrimonio" omosex e poi se passa nessuno potrà dire di no alle adozioni.
L'articolato della proposta di legge conferma quanto abbiamo accennato sopra in merito al fatto che siamo in presenza di un vero e proprio "matrimonio" omosex. All'art. 2 si dà la definizione di "unione omoaffettiva": "L'unione omoaffettiva è l'accordo stipulato tra due persone dello stesso sesso al fine di regolare i rapporti personali e patrimoniali relativi alla loro vita in comune". Da notare che i rapporti regolati non sono solo patrimoniali, ma anche personali. I conviventi con questa proposta non sono solo contraenti di un accordo privato (come se fosse un contratto) ma acquisiscono uno nuovo status personale proprio e specifico, così come avviene tra l'uomo e la donna che una volta sposati diventano marito e moglie.
Galan & Co. poi hanno compiuto un'operazione, come dichiarato da loro stessi, di copia-incolla dei diritti-doveri dei coniugi presenti nel Codice Civile applicandoli alla coppia omosessuale. In particolare hanno ricopiato nella loro Proposta le circostanze ostative al matrimonio (art . 3 della Proposta), l'iter di pubblicazione matrimoniale (artt. 5 e 6), i motivi di rifiuto della stessa (art. 8), molti dei doveri dei coniugi (correttezza, collaborazione, dovere di comportarsi secondo buona fede e di contribuire ai bisogni della famiglia secondo le proprie sostanze: artt 9 e 10); i diritti successori, i quali da esclusivi dei coniugi ora saranno estesi anche ai conviventi gay (art. 14). Futile poi la previsione della successione nella proprietà della casa laddove un convivente morisse perché ormai la giurisprudenza ha concesso tale diritto da tempo. Inoltre alcuni giusti privilegi dei coniugi in merito all'accesso dei posti di lavoro o a concorsi pubblici saranno estesi anche ai conviventi omosessuali (art .15), così per la pensione di reversibilità e altri trattamenti fiscali che ad oggi competono esclusivamente al coniugi (art. 16). Il convivente omosessuale beneficerà inoltre anche di alcune attenuanti previste in ambito penale per il coniuge (artt. 26 e 27). Infine, mimando l'istituto del divorzio, si sono preoccupati di prevedere pure lo scioglimento dell'unione omoaffettiva (artt. 17 e 18), ma in questo caso si sono fatti più furbi: niente avvocati o giudici (eccetto nel caso ci siano discussioni di ordine patrimoniale). Una bella notifica attraverso l'ufficiale giudiziario e i giochi sono finiti. Più semplice, rapido e meno doloroso, così come forse si augurano che dovrebbe essere la separazione tra coniugi.
Ma forse la previsione più dinamitarda è la seguente: la modalità burocratica-formale attraverso cui viene ad esistenza un'unione omoaffettiva è identica a quella dell'istituto matrimoniale: cioè in comune davanti all'ufficiale di stato civile (art. 4). Ma se la forma di un atto è identico è identica anche la sostanza dell'atto.
Se poi a Galan & Co. fosse sfuggito qualche particolare nell'omologare l'unione omoaffettiva al matrimonio ci pensa l'art. 21. L'articolo è una sorta di clausola generale che mira a rendere uguali i due istituti: "le parti di un'unione omoaffettiva sono equiparate ai componenti di una famiglia". Non dice "coniugi" ma "componenti di una famiglia", però la sostanza non cambia.
Intanto che c'erano hanno poi pensato bene di risolvere in un colpo solo il problema dell'immigrazione e dell'assegnazione della cittadinanza agli stranieri. All'art. 19 si dispone infatti che se un contraente è straniero e l'altro no, il primo acquista la cittadinanza italiana dopo due anni di convivenza, così come avviene per il coniuge straniero di cittadino italiano. Volete mettere quanti si faranno passare per gay e dopo due anni chiederanno lo scioglimento avendo avuto quello che desideravano cioè la cittadinanza italiana?
Conclusione. Forse avrebbe fatto prima Galan a riprodurre un articolo di una proposta di legge del 2002 dell'on. Grillini che così recitava: "Le persone dello stesso sesso possono accedere all'istituto del matrimonio con gli stessi diritti e doveri delle persone di sesso diverso". Ci saremmo risparmiati tanti infingimenti.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 14/06/2013

3 - STOP AL DIALOGO INDISCRIMINATO: I NOSTRI PULPITI DEVONO RIMANERE NOSTRI
Se noi crediamo che Gesù sia l'unico salvatore del mondo e che la Chiesa sia la garanzia di ciò in cui crediamo, non dobbiamo cercare altrove le risposte che abbiamo già ricevuto
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 12/06/2013

Vedo una certa fretta, da parte di alcuni cattolici (non saprei dire se siano pochi o molti, di certo alcuni tra questi sono in posizioni culturalmente significative, in certi gangli decisivi almeno della comunicazione) di dialogare sempre e comunque con chi la pensa diversamente, una certa ansia di ribadire la non estraneità, la preoccupazione di dimostrare l'essere al passo con il mondo, di sottolineare più quello che è in comune rispetto a quello che è sideralmente lontano, di dire che noi "va be', sì, crediamo un po', però abbiamo da imparare un po' da tutti". Come diceva padre Pizarro, per me uno dei più riusciti personaggi di Corrado Guzzanti: credo molto in Dio, come tutti i Toro ascendente Gemelli (o qualcosa di simile).
Lo dimostrano convegni, eventi, conferenze e cortili vari (ma quanti ce ne sono?) in cui ci si premura sempre di far salire in cattedra, con cura solerte, almeno un non credente per ogni cattolico, come se ogni opinione avesse necessariamente la stessa dignità, come se essere fermamente convinti di stare noi dalla parte della Verità potesse essere offensivo per qualcuno. A volte poi succede anche che all'"altro", spesso dichiaratamente contro la Chiesa, venga addirittura lasciato il palco da solo, senza neanche un contraddittorio, in ossequio a una malintesa idea di laicità.
Io ho l'idea che noi cattolici abbiamo, sì, il dovere del dialogo con chi la pensi diversamente da noi, ma per come la vedo io si dialoga davanti a un tè, magari si invita quella persona a cena, si cerca di accarezzare l'altro con la nostra vicinanza, se ne ha bisogno o desiderio, di soccorrere le sue necessità, se possibile. Ma i nostri pulpiti devono rimanere nostri. Non si può pensare sempre di avere sempre qualcosa da imparare da tutti, sui temi fondamentali. Non mi farò spiegare il senso della vita, la felicità, il valore di quello che faccio da chi non ha conosciuto l'amore di Dio. Potrà insegnarmi tutto il resto, probabilmente (la mia ignoranza è senza lacune, come diceva Petrolini), ma non lo starò ad ascoltare su temi che si intrecciano con le verità di fede.
Quando è il momento di avvicinare la gente, di parlare alle persone per annunciare Gesù Cristo unica salvezza dell'uomo – voglio sperare che sia questo l'unico fine di OGNI iniziativa culturale dei cattolici – allora noi per primi dobbiamo essere che quello in cui crediamo è la Via, la Verità, la Vita. Se non ci crediamo per primi noi, come faremo a convincere gli altri?
Se, per esempio, abbiamo dei figli, evidentemente vogliamo che non si buttino da una finestra al quinto piano, perché sappiano che morirebbero, e lo sappiamo con la certezza che non ha bisogno di una prova pratica. Non chiederemo opinioni a parenti e conoscenti. Non diremo "mio caro figliuolo, per la mia modesta opinione se tu protendi le tue membra all'esterno delle mura della nostra magione potresti porre a rischio la tua sorte. Ti inviterei dunque a non farlo, nella speranza che tu non avverta tarpate le ali della tua libertà ", ma diremo più brevemente "se cadi giù ti sfracelli", e in caso potremmo al limite aggiungere "se ti avvicini le prendi".
Se noi crediamo che Gesù Cristo è l'unica Via per accedere a Dio, se crediamo che Dio è l'unica felicità possibile, se crediamo che la Chiesa è a garanzia che ciò in cui crediamo non sia un parto della nostra fantasia, se crediamo che siamo nati per un disegno di amore di Dio, che ci ha pensati da prima che nascessimo, e che siamo fatti per la vita eterna, non andremo tanto in giro a cercare maestri, ad ascoltare voci, a mendicare risposte che abbiamo già ricevuto, o almeno che sappiamo dove trovare.
Non perché noi siamo i più intelligenti o bravi, né migliori di nessuno, ma perché ci fidiamo della Chiesa di cui siamo figli amati, e di Cristo, suo sposo.
Questo non esclude il desiderio di amicizia con tutte le persone del mondo, con cui si può parlare di qualsiasi cosa, a cui si può volere un bene incredibile, per cui si può, anzi si deve dare la vita. Ma i convegni no!
Noi cristiani non siamo di questo mondo, la nostra non è una bella patina con cui cercare di rivestire in una sintesi in equilibrio più o meno precario vite borghesi con la cintura di sicurezza. Essere cristiani deve essere tutto un altro vivere.
È essere come Chiara Corbella, che sulla verità e certezza assoluta della vita eterna ha scommesso tutto. Ha accolto due figli destinati a vivere poco. Ha accolto un altro figlio mettendo la sua vita prima della sua. Ha accolto con il sorriso anche la propria morte del corpo, ricordando che "siamo nati e non moriremo più". [...]

Nota di BastaBugie: per vedere il bellissimo video sulla Chiesa Cattolica che abbiamo pubblicato più di due anni fa, clicca qui sotto

http://youtu.be/9iyPeabmvCk

Fonte: Blog di Costanza Miriano, 12/06/2013

4 - DICIAMO TUTTA LA VERITA' SULLA TURCHIA DI ERDOGAN
La rivolta in atto è la spaccatura tra due anime irreconciliabili: quella secolare e laicista, che si richiama alla dittatura di Ataturk e quella islamica di Erdogan che domina il Paese da 11 anni
Autore: Roberto de Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana, 12/06/2013

Fino a qualche settimana fa era presentata dalla stampa occidentale come una potenza in forte espansione economica, garante della democrazia nell'area medio-orientale e destinata ad entrare presto nell'Unione Europea. Ma nella notte tra il 30 e il 31 maggio è venuta alla luce una realtà che non può più essere occultata dai mass-media.
La Turchia è un paese instabile, dall'incerto futuro, e ciò che la scuote, non ha niente a che vedere con la falsa primavera araba del 2011 e neppure con l'autentica "primavera latina" del 2013. La rivolta contro le ruspe di piazza Taksim non è la protesta ecologica contro il progetto governativo di distruzione di un parco, ma non è neppure una lotta per gli ideali della democrazia: è invece la spaccatura tra le due anime irreconciliabili della Turchia: quella secolare e laicista, che si richiama alla dittatura di Kemal Ataturk e quella islamica e neo-ottomana di Erdogan, che governa il Paese, con pugno di ferro da undici anni.
Se il fondatore della Turchia moderna Mustafa Kemal Ataturk, dopo la Prima Guerra mondiale, volle recidere ogni legame con il passato ottomano, a partire dagli anni Novanta, in nome di una "Rivoluzione culturale" di stampo massonico e illuminista, l'islamismo è tornato con prepotenza sulla scena politica turca. I capi di governo e di Stato che oggi guidano il Paese, Recep Tayyp Erdogan e Abdullah Gül, sono due discepoli di Necmettin Erbakan, l'artefice di un movimento di reislamizzazione che travalica i confini della Turchia e si estende a tutta l'emigrazione turca in Occidente.
La reintroduzione del velo prescritto dalla sharī'a, il divieto di effusioni nei luoghi pubblici e le misure restrittive per la vendita degli alcoolici sono state le gocce che hanno fatto esplodere il vaso del malcontento popolare, soprattutto giovanile. Ma chi protesta contro Erdogan ha la sua sola speranza in un ritorno sulla scena dei militari, i custodi più ortodossi del "kemalismo". Erdogan si è servito dell'Unione Europea per smantellare il potere delle forze armate e permettere alla Turchia di ritrovare la sua identità islamica, cancellata da Atatürk. L'Unione Europea richiede infatti, come condizione per il suo ingresso nelle istituzioni comunitarie, l'allineamento agli "standard democratici" occidentali violati dall'arbitrio dei militari. Ma per la Turchia la "democratizzazione" di Erdogan ha significato la re-islamizzazione del Paese, che vanta oggi il record di moschee, di minareti e di Imam nell'area centro-asiatica.
Gli Stati Uniti e i principali Paesi occidentali, compresa l'Italia, premono per un ingresso della Turchia nell'Unione Europea. Ma se ciò accadesse, l'Europa avrebbe tra i suoi Stati membri un Paese divenuto islamico, proprio grazie al rispetto di quelle regole democratiche, che in Turchia hanno portato al potere, e stanno consolidando, il fondamentalismo. La Turchia rappresenterebbe un'enclave islamica in Europa, non attraverso le sue minoranze immigrate nel continente europeo, ma in quanto Stato dell'Unione, sullo stesso piano degli altri Paesi che ne sono membri.
E poiché l'UE attribuisce agli Stati membri un peso politico proporzionale a quello demografico, la Turchia, con oltre 80 milioni di abitanti, sarebbe il paese con il maggior numero di parlamentari europei, divenendo l'ago della bilancia della politica interna ed estera del nostro continente. Intanto Erdogan, che fino a ieri appoggiava la rivolta dei Fratelli Musulmani in Siria, accusa i manifestanti turchi di essere guidati da "gruppi estremisti" e "collegati con l'estero", proprio come secondo il presidente Assad avviene in Siria. Quel che sta accadendo, insomma, più che una primavera, può essere definita un'insanabile "contraddizione" turca.

Fonte: Corrispondenza Romana, 12/06/2013

5 - LA LOBBY PEDOFILA VUOLE IMPORRE LA PERVERSIONE COME NORMALE
Intervista a don Fortunato Di Noto, fondatore dell'associazione Meter, il più famoso ''cacciatore'' di pedofili in internet
Autore: Roberto Marchesini - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 31/05/2013

«In Europa c'è una forte lobby pedofila che punta a fare diventare normale la perversione. Mai come oggi si è assistito all'annientamento dei bambini in queste dimensioni». Ad affermarlo è don Fortunato Di Noto, il sacerdote siciliano fondatore dell'associazione Meter, il più famoso "cacciatore" di pedofili su Internet. Con lui cerchiamo di capire il fenomeno in Italia.
Don Fortunato, cos'è, e come funziona l'associazione Meter?
Prima di tutto è un cammino di fede. La nostra è una diakonia al servizio dell'infanzia che vuole abbracciare l'infanzia nella sua interezza. Paolo VI diceva che la difesa dei piccoli, per la Chiesa, non è una moda. E diceva che la Chiesa è esperta di umanità, di tutta l'umanità. Meter vuole essere esperta di infanzia, di tutta l'infanzia. Perché non esistono figli degli altri, ma solo figli nostri.
L'associazione funziona dal 1989. Abbiamo una sede centrale ad Avola (Siracusa) e 350 volontari in tutta Italia e nel mondo. Lavoriamo per la protezione dell'infanzia, non solo sulla lotta alla pedofilia online. Ci occupiamo di affido familiare, incontriamo i ragazzi nelle scuole per capirli ed essere loro vicini. E altre attività.
Come, e perché ha cominciato ad occuparsi di pedofilia?
Perché sono da sempre un tipo curioso e appassionato di tecnologia. Alla fine degli anni '80 ero seminarista a Roma e mi ero comprato il Commodore 64 con l'accoppiatore telefonico (roba che per voi è preistoria, era l'antenato del modem). Con quello ho iniziato a navigare nelle BBS, che erano gli antenati dei forum. E lì ho visto le prime immagini pedopornografiche. Un altro al mio posto se ne sarebbe potuto disinteressare, io ho deciso di considerare quei bambini come figli miei e occuparmene. E poi le prime storie di abusi, non potevo non considerarle, un grido di aiuto, un forte richiamo a ridare speranza.
Qual è, secondo il vostro osservatorio, la diffusione di questo fenomeno in Italia?
È purtroppo una diffusione trasversale. Possiamo offrire i nostri dati che rendiamo pubblici ogni anno con il Report Meter (che presentiamo nella Sala Marconi di Radio Vaticana). In Italia la mancanza – ancora oggi – di una banca dati – tanto auspicata – non ci permette di avere chiaro il fenomeno.
Ecco i dati in sintesi Meter del 2012: l'impegno di Meter onlus a servizio dell'infanzia è stato nel corso di tutto il 2012 costante ed efficace, ma restano ancora forti emergenze da risolvere, in particolare i bambini minori di 13 anni che all'insaputa dei genitori aprono un profilo Facebook, nuova frontiera del rischio per i minori. E i numeri parlano: oltre 100.000 siti pedofili e pedopornografici negli ultimi dieci anni. Una diminuzione rispetto al 2011: si è passati da 20.390 a 15.946 nel "web visibile". Aumenta invece in modo sconcertante e incontrollabile la presenza della produzione, divulgazione e detenzione di materiale pedofilo e di abusi sui bambini: nel "deep web", sono 56.357 quelli monitorati in un solo anno. Crescono i social network, con 1.274 segnalazioni rispetto alle 1.087 del 2011. I casi (vittime di abuso) seguiti al Centro di Ascolto e accoglienza sono stati 61 rispetto ai 28 dello scorso anno (dal 2002 al 2012 sono stati in totale 951). Le consulenze telefoniche 839. Nella prevenzione sono state incontrate 18.600 persone tra cui 8190 studenti. Nell'ambito della prevenzione nella Chiesa sono state coinvolte 13 diocesi.
Si è fatto un'idea delle cause della pedofilia? Per quale motivo, secondo lei, un adulto può provare attrazione sessuale per un bambino prepubere?
Per tanti motivi. Perché è una coazione a ripetere per abuso, perché è un problema psicologico, perché è "malattia psichiatrica lucida", perché è aberrazione, perché l'uomo si disumanizza. Perché c'è una sorta di connivenza e soprattutto di mancata sensibilità comune. Importante discutere e contrastare il femminicidio (violenza senza ragione e di grave entità), ma poco si parla del "bambinicidio" (in meno di 10 anni circa 250 bambini uccisi da adulti e genitori in Italia). Le cause possono essere tante.
La pedofilia è solo una questione psichiatrica, o ci sono in gioco altri fattori (economici, politici, ideologici...)?
Se per ideologico si intende il tentativo di far passare una perversione per una cosa normale, allora sì, c'è un fattore ideologico. Ma il punto è che mai come oggi stiamo assistendo all'annientamento dei minori in quantità industriale. Le dice niente la parola aborto? Ecco, quando sopprimere un bambino diventa facile come ingoiare una pillola, tutto è possibile. E, a cascata, questo riverbera sul valore dell'intera vita umana. C'è la crisi dell'uomo, più profonda di quella economica.
Secondo la sua opinione, quanto è diffusa la pedofilia tra religiosi e consacrati?
I preti pedofili sono circa l'1% su 500.000 tra preti, religiosi/e nel mondo. Gravissimo è il problema, uno scandalo di vasta proporzioni. Una gravità inaudita che si affianca al fenomeno generale dello sfruttamento sessuali dei minori. Ma questo non significa niente: la Chiesa dovrà combattere per difendere i bambini fino alla consumazione dei secoli. E fino alla consumazione dei secoli dovrà piangere le vittime degli abusi che non ha saputo o voluto aiutare.
L'American Psychiatric Association (APA) ha annunciato che nella prossima edizione del suo manuale diagnostico, il celebre DSM, la voce riguardante la pedofilia subirà dei cambiamenti, al momento non precisati; in passato l'APA ha già derubricato la pedofilia egodistonica dal DSM, anche se poi è stata costretta a tornare sui suoi passi, almeno momentaneamente. La "strategia nazionale" contro l'omofobia recentemente adottata dal governo italiano prevede l'abrogazione di "qualsiasi legislazione discriminatoria ai sensi della quale sia considerato reato penale il rapporto sessuale tra adulti consenzienti dello stesso sesso, ivi comprese le disposizioni che stabiliscono una distinzione tra l'età del consenso per gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso e tra eterosessuali" (art. 18). Insomma: è in atto una imponente campagna per "normalizzare" la pedofilia. Secondo lei, a cosa andiamo incontro? Chi vuole questo cambiamento culturale, e perché?
Pedofilia e omosessualità sono due cose diverse. Certamente però esiste – anche nelle intellighenzie europee e non – una lobby pedofila. Glielo posso garantire. Poi gli psichiatri dicano quello che vogliono: secondo lei stuprare un bambino di pochi giorni è o no qualcosa di malvagio, indegno, violento? Lo dicano alle vittime. Questo discorso del consenso è l'ennesimo tentativo di normalizzare le relazioni sessuali tra adulti e bambini. E' come si nota una battaglia culturale, ma che vede pochi che scendono in campo.
La sua azione contro la pedofilia ha mai suscitato reazioni negative? Avete mai subito minacce o ritorsioni a causa del vostro impegno? A chi da fastidio il vostro lavoro?
Ritorsioni? Tante minacce, calunnie, diffamazioni. Ma è meglio non parlarne. E' dal 2000 che ho una tutela del Comitato di sicurezza, niente scorta, mi bastano gli angeli miei protettori.
Da allora devo dire a Polizia e Carabinieri dove vado perché così potranno approntare un minimo di vigilanza sulla mia persona. Ma non m'importa. Noi siamo dalla parte giusta: dei bambini, di Cristo, del Vangelo. E del Papa.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 31/05/2013

6 - I SOPRAVVISSUTI ALLA RIEDUCAZIONE COMUNISTA CINESE
I ricordi dei ragazzini obbligati nei laogai a lavorare 14 ore al giorno, mangiando topi e vermi per resistere alla fame
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi, 20/05/2013

«Se qualcuno trovava un topo o un criceto o un altro piccolo animale, lo mangiava vivo immediatamente. Gli ufficiali del Partito ce lo impedivano ma appena provavano a strapparceli noi serravamo la bocca. Ho visto un ragazzo ingoiare un topo tutto intero, senza neanche masticarlo, per paura che glielo rubassero. Ci nutrivamo anche di vermi, lombrichi e qualunque pianta commestibile trovassimo in giro, tanto eravamo affamati. E siccome avevamo la certezza che saremmo morti, per la fame o le torture, tutti cercavamo un bel posto dove essere seppelliti. Gli amici si dicevano tra loro: "Quando muoio, voglio che mi seppelliate qui"». Wang Yufeng era una ragazzina di 14 anni quando sua madre ha deciso di iscriverla al campo di lavoro giovanile di Dabao nel 1959. La legge sull'indottrinamento attraverso il lavoro era stata copiata dall'Unione Sovietica e approvata in Cina solo nel 1957. A quel tempo «nessuno sapeva che cosa fosse un campo di rieducazione attraverso il lavoro» e quando gli ufficiali del Partito comunista assicuravano alle famiglie che si trattava di un luogo dove i bambini sarebbero stati nutriti e cresciuti «secondo la buona educazione comunista», i genitori non avevano motivo di dubitare. Chi poteva immaginare che una legge voluta dal "Grande timoniere" Mao Zedong avrebbe creato un sistema repressivo dove «le persone venivano trattate peggio degli schiavi, come animali»?
Wang Yufeng oggi ha 68 anni ed è una dei pochi scampati a Dabao, dove "l'indottrinamento attraverso il lavoro" ha portato alla morte almeno tremila ragazzi di età compresa tra i 10 e i 18 anni in soli quattro anni, tra il 1959 e il 1962. La loro storia è raccontata attraverso la voce dei sopravvissuti nel documentario I giovani lavoratori confinati a Dabao, premiato lo scorso primo maggio alla libreria 1908 di Hong Kong e al Cafe Philo di Taipei. La regista Xie Yihui ha deciso di realizzarlo dopo aver letto un articolo di Zeng Boyan, ex giornalista del Sichuan Daily, che alla fine degli anni Cinquanta è stato internato insieme a tanti altri membri «della destra» nel campo di lavoro Shaping Farm, fattoria statale nella provincia di Sichuan di cui Dabao faceva parte. Zeng ha visto con i suoi occhi «le centinaia di bambini costretti a lavorare sulla montagna, nelle foreste, inseguiti dai supervisori con le fruste» e a distanza di cinquant'anni, con l'aiuto di Xie, è andato a cercare i sopravvissuti «perché questa storia non poteva essere seppellita con loro: i nostri figli devono sapere che cosa è successo».

IL GULAG CINESE DI DABAO RACCONTATO DAI SOPRAVVISSUTI
Dabao era diviso in cinque distaccamenti: ognuno poteva contenere al massimo 400 "ospiti", ma «ne stipavano anche 600. Ogni volta che qualcuno moriva, arrivavano nuovi detenuti. I più giovani avevano 10 anni, i più grandi 18». Lin Xianjun ricorda bene l'organizzazione del campo: «Per ogni distaccamento c'erano solo tre responsabili del Partito comunista. Per questo le centinaia di ragazzi erano suddivisi in grandi gruppi e questi a loro volta in piccoli gruppi. Alcuni detenuti venivano nominati leader e rispondevano del lavoro di tutti al diretto superiore. Io ero leader di uno dei grandi gruppi del quinto distaccamento».
A Dabao non finivano solo i membri «della destra», internati in massa per la purga ordinata da Mao durata dal 1957 al 1961. Chen Tongjun è stato preso per vagabondaggio: «Avevo 12 anni», racconta. «Un giorno sono arrivato in ritardo a scuola, ho litigato con il professore e sono stato espulso. Se fossi tornato a casa, i miei mi avrebbero punito. Così ho gironzolato per la città chiedendo spiccioli per le caramelle, come facevo di solito. La polizia mi ha preso, mi ha detto che dovevo essere rieducato attraverso il lavoro e mi ha spedito a Dabao senza neanche avvisare la mia famiglia». Wang Chengyun, invece, è stato portato nel campo di lavoro per volere della madre: «Non riusciva a sfamare me e i miei fratelli. La polizia le ha detto che era un bel posto e lei stessa ha fatto richiesta. Avevo 13 anni».

LE RETATE DI BAMBINI
Chen Xiaojing ha disonorato la famiglia commettendo un piccolo furto, la sorella esasperata ha dato retta alla polizia, che parlava di un luogo dove i bambini potevano studiare per qualche mese e poi tornare a casa riformati: «Ha solo 13 anni», ha detto alla madre, «lasciamo che la educhino loro». Dai Fuquan, 16enne di Chongqing, si guadagnava già da vivere quando l'hanno accusato di "raccogliere illegalmente" della legna: «Come tanti altri mi hanno messo in prigione senza motivo», si arrabbia mostrando i denti marci. «A nessuno importava se eri colpevole o no. La verità è che ogni città aveva una quota di persone da inviare a Dabao. Se non sapevano come rispettarla, mandavano la polizia per le strade a prendere qualche bambino».
Nel campo di lavoro giovanile sono passati tra i cinque e i seimila bambini. La giornata cominciava presto e finiva tardi: «Lavoravamo non meno di dieci ore, a volte anche quattordici», rivela Yang Youyuan, inviato nel primo distaccamento a 11 anni. «Ci mandavano in una foresta primordiale, l'erba era più alta di me. Qui dovevamo abbattere gli alberi, spaccarli e farne legna da ardere. Poi c'erano i campi, con la terra da dissodare. Se lavoravi lentamente, ti picchiavano, se non terminavi il lavoro, non ti davano da mangiare la sera». Yan Jiasen non si scorderà mai il suo primo giorno di gulag: «Mi hanno ordinato di scavare due metri quadrati di terra al giorno. Come strumento, mi hanno messo in mano una patata. A 13 anni per me era difficile, non ci riuscivo, per questo mi frustavano con una canna di bambù. Non mi hanno permesso di tornare al dormitorio, sono rimasto lì al freddo tutta la notte. Ci è voluto un mese perché scavassi il mio primo metro quadrato di terra». Peng Yuxiang veniva «dalla campagna», da Jianyang, e quando a 13 anni gli hanno detto che a Dabao avrebbe avuto «delle bestie tutte mie da allevare, un cavallo e anche il cinema» si è iscritto volontariamente. «Dovevo portare dalla foresta al campo 35 chili di legna al giorno. Poi mi hanno passato al trasporto del carbone: ogni giorno mi caricavo sulle spalle 18 chili di carbone e lo trasportavo a piedi per 10 chilometri dal villaggio di Shengli al campo». Dopo il lavoro, la sera, i bambini dovevano anche studiare per «essere riformati». «Io ero capo dell'insegnamento nel quarto distaccamento», ride Shen Qiyu, che nonostante la giovane età doveva insegnare fisica agli altri internati. «Mi avevano detto di insegnare prima le parole, poi a comportarsi e infine l'educazione comunista. Ma l'esperimento è durato due mesi: in teoria metà giornata doveva andare per lo studio, invece era relegato alla sera. Ma non veniva nessuno: i ragazzi avevano troppo freddo e troppa fame».
Nonostante i carichi di lavoro massacranti e il freddo costante «perché avevamo solo vestiti di cotone, anche di inverno», era la fame a rendere Dabao davvero un inferno. Quando il campo di lavoro giovanile ha aperto i battenti nel 1959, la Cina aveva intrapreso già da un anno il "Grande balzo in avanti". La campagna di modernizzazione comunista dell'economia imposta da Mao ha portato a una delle più grandi catastrofi che il mondo abbia mai conosciuto: tra il 1958 e il 1962 sarebbero morte di fame 40 milioni di persone. E se il cibo mancava nelle città e nelle campagne, tanto meno ce n'era per i giovani detenuti di Dabao. Lin Xianjun non lo ha dimenticato: «La situazione è diventata tragica nel 1960. Già prima non mangiavamo né carne, né sale, né olio. Solo zuppa di mais e, se eravamo fortunati, ravanelli. Poi vennero a mancare anche le verdure, le porzioni erano scarsissime». «Alcuni ravanelli erano troppo grossi e duri perché riuscissimo a mangiarli, nonostante la fame», prosegue Dai Fuquan. «Lo stomaco era sempre vuoto e cercavamo vermi e lombrichi per riempirlo. Tanti sono morti per avere ingerito erbe velenose. Una volta, scavando la terra, abbiamo trovato carne di pecora seppellita da chissà chi. Era marcia e piena di vermi. Molti non sono riusciti a fermarsi e si sono avventati per morderla. Abbiamo provato a fermarli ma ci hanno risposto: "Siamo felici di morire in questo modo, mangiando carne. Non ne possiamo più di avere fame"».
L'unico modo per sopravvivere era rubare, come testimonia Wang Yufeng: «Se non avessi rubato sarei morta, chi obbediva ai quadri di partito non sopravviveva. Loro ci dicevano di non rubare perché non capivano: mangiavano carne tutti i giorni, mentre noi morivamo. Le patate che venivano piantate di giorno, erano
dissotterrate la notte e consumate sul posto dai ragazzi, anche se ricoperte di merda e urina. Si derubavano anche i villaggi vicini. Ma guai a essere scoperti». Le torture erano all'ordine del giorno a Dabao: chi veniva trovato a rubare, o cercava di scappare o non obbediva agli ordini, veniva picchiato, «spesso ucciso di botte» o «legato mani e piedi e costretto a stare in piedi in mezzo al campo per ore. Chi cadeva veniva frustato, preso a calci e a pugni». I maschi venivano anche spogliati nudi «con il pene chiuso in un sacchetto pieno di polvere di peperoncino piccante che bruciava come il fuoco». Alcuni sono stati «cosparsi di olio e bruciati, anche se non a morte», ad altri è stato «reciso di netto un dito con il coltello».

SVEGLIARSI NELLA FOSSA COMUNE
Ma nonostante questo, ricorda Dai Fuquan, tutti rubavano «ogni due giorni, altrimenti saremmo morti di fame. La gente preferiva rischiare di andare incontro alla morte che crepare di fame». Lin Xianjun, come tanti altri, era diventato più simile a uno scheletro che a un bambino: «Ero completamente scavato, le mani e le braccia si erano rigonfiate, lo stomaco così incavato che ci stava dentro la testa di un uomo». Wang Chengyun, invece, venne soprannominato "chiappe spigolose" perché «ero uno scheletro che camminava. Non avevo più carne, solo ossa e pelle. Non potevo neppure sedermi su una panchina: mi facevano troppo male le ossa del culo».
Nel 1960 morivano così tanti ragazzi nel campo di Dabao che il becchino era diventato un mestiere come gli altri. «Chi seppelliva i morti riceveva un tortino di mais in più» e i bambini facevano a gara. «Io ero più forte degli altri e mi sono aggiudicato il lavoro», racconta Yang Youyuan. «All'inizio mi davano fastidio le facce dei morti, poi mi sono abituato. Ne seppellivo anche dodici al giorno. Se ce n'erano troppi, ne mettevo due o tre nella stessa fossa. Se non ci stavano, gli si spezzavano gli arti per pressarli». Molti per la fretta venivano ricoperti «con poca terra», così, quando la neve si scioglieva, «tornavano fuori» e i lupi che giravano per le montagne spesso li riducevano a brandelli. «Queste scene ci facevano così paura – spiega Lin Xianjun – che chi aveva un amico stretto gli diceva: "Se muoio prima di te, devi seppellirmi in una fossa profonda. Devi farlo, se sei davvero mio amico"». Molti ragazzi si addormentavano la notte e non si svegliavano la mattina, era perfino difficile capire chi fosse ancora vivo: «Mi è successo questo episodio dopo un anno che ero a Dabao: la notte mi ero sentito male, respiravo a fatica e mi sono svegliato all'improvviso sotto la pioggia circondato da cadaveri lungo una discesa. Pensavano che fossi morto e mi avevano gettato là con gli altri. Quei corpi freddi mi hanno terrorizzato e sono tornato di corsa al campo. Appena gli altri mi hanno visto, hanno cominciato a gridare: "Prendete i bastoni e picchiate il fantasma". Per fortuna uno mi ha riconosciuto e li ha fermati: "Ma quale fantasma, è Jiasen"». Nessuno di quei ragazzi, secondo i medici, è morto per "malnutrizione". Questa parola, infatti, era un «tabù politico», nessuno «poteva parlare apertamente di quello che tutti vedevano, cioè che c'era la carestia e la gente moriva». Nessuno poteva insinuare che «Mao aveva sbagliato».
Il campo di rieducazione attraverso il lavoro di Dabao è stato chiuso nel 1962 «perché la situazione era diventata davvero insostenibile, perfino gli ufficiali di partito scappavano». I sopravvissuti sono stati trasferiti o in altri campi o assegnati ad altre mansioni, per essere liberati solo nel 1971 o più tardi ancora. «La mia vita mi è stata rubata da Dio», dice oggi Wang Yufeng, che vive con un altro sopravvissuto, Chen, e vende frutta al mercato a Leshan. «Come si può essere felici?», si chiede Dai Fuquan, che campa con la pensione minima governativa di 340 yuan al mese (42 euro). Wang Chengyun è sposato, ha figli e manda avanti una piccola fabbrica. Oggi è contento della vita che conduce ma pur non avendo velleità da scrittore ha voluto comporre una poesia intitolata: "Impossibile dimenticare". Il Partito comunista cinese non ha mai chiesto scusa alle famiglie per avere internato i loro figli senza una ragione e non vuole che l'esperienza di Dabao venga ricordata. Cercando "Campo di lavoro Sichuan" su Baidu, il Google cinese, esce una sola voce che parla dei gulag, Dabao compreso: c'è scritto che 65 mila persone vi sono state educate e ben riformate per la società.

Nota di BastaBugie: per approfondire le origini e caratteristiche comuni di nazismo e comunismo, clicca qui
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Fonte: Tempi, 20/05/2013

7 - AL GAY PRIDE DI PALERMO, FORTEMENTE VOLUTO DA CROCETTA E ORLANDO, CI SARANNO ANCHE IDEM E BOLDRINI
Parlamentari cattolici perché tacete? Di che cosa volete occuparvi? Della salvezza di Berlusconi, dello spread o di come cresceranno i nostri figli?
Autore: Danilo Quinto - Fonte: Corrispondenza Romana, 12/06/2013

Il Ministro delle Pari Opportunità, Josefa Idem e la Presidente della Camera, Laura Boldrini, non parteciperanno al Family Day convocato a Palermo il 22 giugno. Non è un problema legato allo sciopero degli aerei. Idem e Boldrini, quindi Governo e Parlamento, a Palermo ci saranno quel giorno, ma parteciperanno al Gay Pride nazionale, fortemente voluto dal Presidente della Regione Sicilia, Rosario Crocetta e dal Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, un pò patetico mentre indossava, in conferenza stampa, il boa fuxia, simbolo della manifestazione, alla quale parteciperanno persone LGBT (l'acronimo che indica la comunità di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali).
Queste possono essere rispettate, ma nessun rispetto per coloro che fanno a pezzi i principi del diritto naturale e cavalcano in modo forsennato la loro distruzione. Nessun rispetto nemmeno per coloro che sul versante opposto tacciano, hanno paura, sono tiepidi. Si barcamenano avendo presenti i compromessi, il "male minore", parlano di antropologie che si confrontano. La cultura del gender la vuole invece distruggere l'antropologia, quella che conosciamo da millenni a questa parte.
Quello in atto è un progetto culturale che vuole imporre un'egemonia. Chi non ci sta, viene tacciato di omofobia, di oscurantismo, di anti-modernismo. Tra un po', incorrerà in sanzioni (amministrative e no) se dovesse, non diciamo protestare, ma argomentare un pensiero dissidente da quello dominante. Che sia un progetto culturale, non ci sono dubbi. Basta leggere il "lascito" del Ministro Elsa Fornero: il documento «Verso una Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere» a firma del Dipartimento delle pari opportunità e del suo ufficio UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), in linea con le "linee guida" che da lustri propina il Parlamento europeo in materia.
Un documento noioso, ma illuminante, frutto del lavoro minuzioso che negli ultimi anni è stato svolto nell'ombra grazie ad una struttura di cui si sa poco o nulla ‒ RE.A.DY, la Rete Nazionale delle Pubbliche Amministrazioni Anti Discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere – tranne la sua adesione ideologica alla lobby omosessualista. Di questa ideologia, che costringerà dal prossimo anno anche i bambini delle scuole elementari all'indottrinamento, sono conniventi quasi tutti. Istituzioni e partiti, membri di Governo e parlamentari, di tutti gli schieramenti.
Perché quella cultura si è insinuata dappertutto. Fanno ridere coloro che sostengono che non si comprende perché Emma Bonino, rappresentante di un partito che raccoglie 61mila voti nel totale, pari allo 0.19%, sia Ministro degli Esteri e rappresenti quindi l'Italia nel mondo. Anche questo è il risultato dell'affermazione della cultura relativista, che pochi combattono sul serio. C'è persino chi ritiene – come i parlamentari del PDL, Eugenia Roccella e Maurizio Sacconi – che «solo aderendo a una moratoria sui temi etici si potranno evitare lacerazioni e conflitti nel paese e nella maggioranza che sostiene il governo». Sull'altare di questo Governo, che ha la stessa matrice culturale di quello precedente, si propone la «moratoria dei temi etici». Non hanno compreso, costoro, che lo scontro culturale e politico da fare in questo momento storico è proprio sui temi di carattere etico.
Non vogliamo credere che non abbiano letto la Caritas in Veritate di Benedetto XVI, dove si dice chiaramente che se quei temi non vengono affermati e difesi, non si possono "vedere" neanche i bisogni di carattere economico. Di che cosa volete occuparvi, parlamentari cattolici? Della salvezza di Berlusconi, dello spread o di come cresceranno i nostri figli?

Fonte: Corrispondenza Romana, 12/06/2013

8 - LA LEGGE 194 SI FONDA SU BASI ANTI-SCIENTIFICHE
Si pensa che il feto non abbia una vita propria fino alle 24 settimane, ma dal punto di vista scientifico questa idea è falsa (VIDEO: Diario di un Bambino mai nato)
Autore: Roberto Algranati - Fonte: ProLife News, 13/05/2013

Sulla "capacità di sopravvivenza autonoma del feto", anche in ambienti colti, regna una grave disinformazione. Si pensa che, nel seno materno, il feto non abbia una vita propria ma partecipi alla vita stessa della madre e che solo verso le 24 settimane di gravidanza, il nascituro acquisti in qualche modo misterioso una vita propria e "autonoma", che gli permetterebbe di sopravvivere fuori dal corpo della madre e gli conferirebbe un pieno diritto alla vita.
Dal punto di vista scientifico questa idea è completamente falsa. Eppure gli articoli 6 e 7 della legge 194/78, sull'aborto legale nel secondo trimestre di gravidanza, si basano proprio su questa idea erronea. In realtà qualunque animale, uomo compreso, per mantenersi in vita deve nutrirsi, respirare ed eliminare i prodotti del metabolismo.
Un adulto o un neonato adempiono queste funzioni per mezzo dei polmoni, del tubo dirigente, e dei reni. Invece l'embrione o il feto umano, come tutti i mammiferi placentati, compie le stesse funzioni per mezzo di un unico organo, la placenta, che li rende capaci di utilizzare il sangue della madre, che circola nelle pareti dell'utero, come sorgente di ossigeno e di sostanze nutritive e come via di eliminazione dell'anidride carbonica e degli altri prodotti del metabolismo.
La nascita, quindi, non è l'inizio della vita umana, ma solo un brusco cambiamento dell'ambiente di vita di un essere umano che già vive e si sviluppa fin dal concepimento. Il feto ha "capacità di sopravvivenza autonoma" quando i suoi polmoni, i suoi reni e il suo apparato digerente sono abbastanza sviluppati da sostituire le funzioni della placenta.
Particolarmente importante è la funzione dei polmoni. Se essi non sono in grado di sostituire la placenta nell'assunzione di ossigeno e nell'eliminazione dell'anidride carbonica, il bambino muore per insufficienza respiratoria. E' questa la causa di gran lunga più importante della non sopravvivenza del feto fuori dell'utero materno, e non già una presunta "mancanza di vitalità", o un tipo di vita "inferiore".
Da questi dati scientifici risulta chiaro che è assurdo attribuire al feto un maggiore o minor grado di dignità umana, e quindi condizionare il suo pieno diritto alla vita, sulla base della sua capacità di sopravvivere fuori dall'utero, come stabilisce la legge 194 agli articoli 6 e 7. E', infatti, irragionevole far dipendere il diritto alla vita sia dal modo con cui un essere umano si nutre e respira, sia dalla capacità di sopravvivenza al di fuori dell'utero perché questa dipende dal grado di assistenza medica disponibile.
Cento anni fa nessun neonato sopravviveva se nasceva prima delle 30 settimane di gravidanza; oggi, sopravvive il 70% dei nati fra la 25° e la 28° settimana, il 10% dei nati fra la 25° e la 23° settimana, il 3% dei nati alla 22°settimana. Ciò è possibile perché oggi i medici riescono a far funzionare sufficientemente i polmoni di un neonato molto prematuro anche quando questi, da soli, non sono ancora in grado di farlo.
Perciò, alla luce della scienza, è evidente la natura ideologica e antiscientifica degli articoli 6 e 7 della legge 194/78, come del resto lo sono anche molti articoli. Ciò ha creato un insanabile conflitto fra la legge positiva e la realtà di fatto, da cui non si potrà mai uscire fino a quando la legge continuerà a basarsi su pregiudizi ideologici senza tener conto dei dati oggettivi certi delle scienze biologiche.

Nota di BastaBugie: vi invitiamo a vedere il bellissimo video "Diario di un Bambino mai nato" cliccando qui sotto

http://www.youtube.com/watch?v=oWg8jreCdc8

Fonte: ProLife News, 13/05/2013

9 - OMELIA XII DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 9, 18-24)
Se qualcuno vuole venire dietro a me prenda la sua croce ogni giorno e mi segua
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 23/06/2013)

Meditando il Vangelo di oggi vediamo chiaramente quanto la gente aveva una idea sbagliata di Gesù. Alcuni pensavano che Gesù fosse stato Giovanni il Battista, altri Elia e, altri ancora, uno degli antichi profeti che era risorto. Le folle erano entusiaste di Gesù. Esse in Lui vedevano solo un grande taumaturgo, ovvero un operatore di prodigi, che avrebbe di certo beneficato tutti. Molto probabilmente tutte quelle persone si attendevano da Gesù solo benefici materiali e ne è prova che, dopo aver moltiplicato i pani e i pesci, lo volevano fare loro re. Ben pochi vedevano in Lui il vero Liberatore che avrebbe liberato il popolo, non tanto dall'odiato dominio straniero, ma dal dominio ben più temibile del peccato.
Anche gli Apostoli non erano di molto differenti. Pietro, illuminato dall'alto, fece una bellissima professione di fede. Quando Gesù chiese agli Apostoli: «Ma voi, chi dite che io sia?», egli rispose prontamente: «Il Cristo di Dio» (Lc 9,20). Con questa risposta, Pietro riconosceva chiaramente Gesù come il Messia atteso da Israele. Sappiamo però dal Vangelo, soprattutto dall'evangelista Matteo (cf Mt 16,21-23), che Pietro stesso si scandalizzò sapendo che Gesù avrebbe dovuto molto soffrire. Egli si attendeva un Messia vittorioso e non certo mite e sofferente. Gli Apostoli giunsero un po' per volta a questa consapevolezza. Fu soprattutto con la Pentecoste che essi compresero pienamente la grande lezione che Gesù impartì loro quel giorno quando chiese loro cosa pensavano di Lui.
Gesù disse: «Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Lc 9,22). Lezione senza dubbio dura che sconvolgeva le aspettative degli Apostoli. Gesù però non fa nulla per mitigare il suo discorso. Non cerca il plauso umano ma intende unicamente insegnare la verità. Subito dopo continua la sua lezione affermando: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc 9,23-24).
Con queste due affermazioni Gesù insegnò agli Apostoli che la strada che conduce al Cielo è quella che passa attraverso la croce. Non vi può essere altro cammino. Gesù parla della necessità di prendere «ogni giorno» la propria croce. Ciò significa che, nella nostra vita, non mancheranno mai le prove da superare. Gesù non è venuto per toglierci la croce ma per insegnarci e aiutarci a portarla. Questa è la condizione necessaria per seguire Gesù. Egli percorre la via del Calvario, la via che conduce alla gloria della risurrezione: noi tutti dobbiamo ricalcare le sue orme.
Domandiamoci ora chi è Gesù per noi e che cosa ci attendiamo noi da Lui. Se da Lui ci aspettiamo solo benefici materiali, la nostra fede è ancora immatura. Se, al contrario, speriamo da Lui la grazia di diventare migliori, di essere dei buoni cristiani che sanno portare la propria croce, allora diamo prova di aver fatto ormai molta strada.
Dalla Redenzione operata da Gesù è scaturita la salvezza per il mondo intero. Già la prima lettura di oggi ce lo fa intravedere. Il Signore, per bocca del profeta Zaccaria, ci dice: «Guarderanno a me, colui che hanno trafitto» (12,10). Questa profezia riguarda chiaramente Gesù, il cui Cuore è stato trafitto sulla Croce dalla lancia di Longino. Quel Cuore trafitto è la «sorgente zampillante per lavare il peccato e l'impurità» (12,13), continua la profezia. Il Cuore trafitto di Gesù è la sorgente della grazia.
In questo mese di giugno, consacrato in modo particolare al Sacro Cuore di Gesù, accostiamoci a questa sorgente, avviciniamoci di più all'Eucaristia: solo così la nostra sete di verità e d'amore sarà appagata.

Nota di BastaBugie: Per l'omelia della domenica successiva, vai a
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Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 23/06/2013)

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