BastaBugie n�318 del 11 ottobre 2013

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1 VISITA DEL PAPA AD ASSISI: TELEVISIONI E GIORNALI INVENTANO COSE MAI DETTE
Papa Francesco si prende gioco di loro dicendo: ''In questi giorni, sui mezzi di comunicazione, si facevano fantasie...''
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 IL VERO SAN FRANCESCO
Nel Sessantotto fu ridotto a rivoluzionario, contestatore e pauperista, negli anni Ottanta pacifista, oggi ce lo ritroviamo ecologista e animalista, domani chissà, forse nudista...
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Il Sussidiario
3 LE VEGLIE CONTRO LA LEGGE SULL'OMOFOBIA
L'11 ottobre ''La Manif Pour Tous - Italia'' chiama a raccolta nelle piazze italiane tutte le persone che vogliono mantenere la libertà di dire no alle adozioni dei gay (VIDEO: spot sulle veglie LMPT)
Autore: Paola Biondi - Fonte: La Manif Pour Tous
4 LAMPEDUSA: IL VIZIO ITALIANO DELL' AUTODENIGRAZIONE
Dopo l'ennesima tragedia di un barcone stracarico di migranti affondato, vediamo di capire come stanno veramente le cose
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
5 LA NIPOTE DI MARTIN LUTHER KING ABORTISCE DUE VOLTE, POI SE NE PENTE E DIVENTA PROLIFE
Fonda la ''King for America'' (VIDEO: stupenda testimonianza di Myra Myers, una delle tante donne pentite di aver abortito)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Antidoti
6 LA TRAGEDIA DI NASCERE DA FECONDAZIONE ARTIFICIALE
L'involontaria ammissione dell’Espresso: ''è come essere stato investito da un treno''
Autore: Ilaria Vidi - Fonte: Notizie Pro vita
7 IL SUICIDIO DI LIZZANI VIENE USATO DAI MEDIA PER CHIEDERE L'EUTANASIA
Chi invoca il diritto di ciascuno ad uccidersi usa discorsi contraddittori e privi di logica
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
8 IL FONDATORE DI ''YOUNG GAY AMERICA'' RINNEGA IL SUO PASSATO OMOSESSUALE
Capii che l'omosessualità impedisce di trovare la propria vera identità: è per questo che i rapporti gay non sono soddisfacenti
Autore: Michael Glatze - Fonte: NARTH
9 OMELIA XXVIII DOMENICA T. O. - ANNO C - (Lc 17.11-19)
Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - VISITA DEL PAPA AD ASSISI: TELEVISIONI E GIORNALI INVENTANO COSE MAI DETTE
Papa Francesco si prende gioco di loro dicendo: ''In questi giorni, sui mezzi di comunicazione, si facevano fantasie...''
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06/10/2013

Dicevamo ieri che papa Francesco ha spiazzato tutti i giornalisti accorsi ad Assisi in gran numero per essere testimoni di quello che veniva annunciato da giorni come un gesto eclatante di spogliazione della Chiesa. E il Papa, nella Sala della Spogliazione che sarebbe dovuto essere il teatro del gesto rivoluzionario, si è un po’ preso gioco di loro iniziando così: «In questi giorni, sui giornali, sui mezzi di comunicazione, si facevano fantasie. “Il Papa andrà a spogliare la Chiesa, lì!”. “Di che cosa spoglierà la Chiesa?”. “Spoglierà gli abiti dei Vescovi, dei Cardinali; spoglierà se stesso”».  Per poi spiegare che tutti i battezzati sono chiamati a spogliarsi dello spirito del mondo, che porta vanità, prepotenza, orgoglio, e che alla fine è responsabile di tante tragedie, come quella appena compiutasi a Lampedusa. Si deve semplicemente scegliere tra Dio e il mondo, non c'è possibilità di mescolanze. Di qui o di là, e i cristiani non possono seguire il mondo.
Il colpo è stato chiaramente accusato dai media, che si sono trovati sbertucciati e improvvisamente alla ricerca di titoli per sostituire quelli che avevano già in testa. Soprattutto nelle versioni online dei quotidiani si sono visti titoli che tradivano la sorpresa, dal banale “Il Papa condanna la mondanità” - che di fronte alla bellezza di quanto accaduto e alla ricchezza dei discorsi, faceva cascare le braccia – al grottesco “No ai cristiani da pasticceria”, che letto così poteva suonare come una preferenza per il semplice bar sotto casa, un caffè e una brioche e via.
Ma alla fine quel clima di attesa per una Chiesa da mettere in liquidazione, che si era creato nei giorni precedenti, non poteva essere cancellato come se niente fosse. Ecco allora che in tanti servizi si è provato a far dire al Papa ciò che non aveva affatto inteso dire.
Clamoroso al proposito il servizio del vaticanista di lungo corso Raffaele Luise al Gr1 ascoltato ieri mattina alle 8. Il servizio esordiva così: “La Chiesa deve rifiutare radicalmente la lebbra della mondanità spirituale  e farsi povera e per i poveri. Nel suo intensissimo pellegrinaggio nella terra del poverello, Francesco ha voluto così voltare pagina rispetto agli ultimi 1700 anni di cristianesimo collaterale al potere”. Insomma, non fa  niente cosa dice il Papa, quello che deve passare è l’immagine di un Bergoglio in totale rottura con la Chiesa del passato (durata ovviamente fino a Benedetto XVI incluso), un giustiziere deciso a fare piazza pulita di una Chiesa collusa, che ha tradito la sua missione praticamente quasi dall’inizio. Ovviamente i 1700 anni di collusione con il potere non hanno niente a che vedere con quanto il Papa ha detto e fatto ad Assisi, sono tutti farina del sacco di Luise che peraltro dovrebbe spiegarci come mai, così ammanicati con il potere, i cattolici subiscano in tutto il mondo violente persecuzioni con decine di migliaia di martiri ogni anno.
Ma non basta, il Papa non è solo quello che rompe con il passato, deve essere anche quello della solidarietà universale, del “volemose bene” tutti quanti, nessuno escluso, e ovviamente anti-capitalista. E allora ecco la sintesi di Luise: «Molti ci chiedono di essere cristiani da pasticceria alieni dalla solidarietà e dalla fraternità, ha stigmatizzato Francesco». Cioè, secondo Luise, il Papa avrebbe detto che il cristiano da pasticceria è quello che non è solidale. E ci si chiede: cosa c’entra la pasticceria con la solidarietà e la fraternità?
Tutto si chiarisce se si prende ciò che il Papa ha effettivamente detto: «Dal primo battezzato, tutti siamo Chiesa, e tutti dobbiamo andare per la strada di Gesù, che ha percorso una strada di spogliazione, Lui stesso. E’ diventato servo, servitore; ha voluto essere umiliato fino alla Croce. E se noi vogliamo essere cristiani, non c’è un’altra strada. Ma non possiamo fare un cristianesimo un po’ più umano – dicono – senza croce, senza Gesù, senza spogliazione? In questo modo diventeremo cristiani di pasticceria, come belle torte, come belle cose dolci! Bellissimo, ma non cristiani davvero!».
I cristiani di (e non “da”) pasticceria sono quelli che vorrebbero fare a meno della Croce e di Gesù, altro che «alieni dalla solidarietà». I cristiani di pasticceria sono quelli di un cristianesimo sentimentale e buonista, che poi il Papa bacchetterà ancora durante l’omelia in piazza, quando farà a pezzi quell’immagine falsa di un San Francesco «sdolcinato» che semplicemente non esiste. Ma che ovviamente Luise ripropone nel suo servizio ricordando la «vocazione di pace e di amore alle creature di san Francesco».
In tutto il servizio è semplicemente mancata quell’unica cosa che il Papa ha voluto sottolineare per tutto il giorno, in tutti gli incontri che ha fatto: Gesù Cristo. Tutto ruota attorno a lui, San Francesco si capisce soltanto a partire da questo amore per Gesù. Eppure dalla bocca dell’inviato Rai il nome Gesù non è uscito neanche per sbaglio, l’importante era non rovinare quell’immagine di papa Francesco giustiziere dei suoi predecessori che con tanta cura era stata costruita nei giorni precedenti. Che tristezza.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 06/10/2013

2 - IL VERO SAN FRANCESCO
Nel Sessantotto fu ridotto a rivoluzionario, contestatore e pauperista, negli anni Ottanta pacifista, oggi ce lo ritroviamo ecologista e animalista, domani chissà, forse nudista...
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Il Sussidiario, 4 ottobre 2013

Chi era davvero San Francesco? Se uno si alza e, come Paolo Villaggio a proposito della Corazzata Potemkin, dice che di san Francesco non se ne può più, potete immaginare da soli la reazione unanime e nazionale. In realtà, quel che l’incauto intende dire è che ne ha le tasche piene del Francesco ridotto a icona come Che Guevara e Marilyn Monroe. Per nostra fortuna non era bello, sennò ce lo ritroveremmo sui portacenere, le magliette, i poster.
Nel ventennio fascista "il più italiano dei santi" fu incensato come nazionalista e crociato. Nel Sessantotto ce lo ritrovammo, naturalmente, come rivoluzionario e contestatore del potere clericale, nonché come pauperista e "operaio". Negli anni Ottanta diventò pacifista e arcobaleno, tanto che alle marce forzate di Assisi ci andavano pure i comunisti. Ora è vegano, ecologista e animalista (salutista e palestrato no, sarebbe troppo). Ovviamente, i ridicoli sono solo quelli che lo tirano per il saio, chi di qua e chi di là, a seconda di come soffia il vento mondano. Ma è per questo che ormai, al solo sentir parlare di Francesco e Assisi, la mano, come quella di Goebbels, corre alla fondina.
Sì, perché, oltre ai convegni e ai Cortili-passerella di intellettuali atei che espongono a spese dell’otto per mille (cioè, dei cattolici) il loro stantio pensiero ottocentesco, ci tocca sorbirci i concerti di artisti decotti o agnostici cui non par vero di andare in tivù. Certo, lo stesso accade per Padre Pio, francescano pure lui, ma lui almeno è morto l’altro ieri e non ha ancora avuto il tempo per manipolazioni d’immagine: molti di quelli che l’hanno conosciuto sono ancora vivi e possono raccontare chi era davvero.
Non così, ahimè, per san Francesco, e a poco serve spiegare che il suo Cantico delle creature elenca tutto l’esistente tranne gli animali. Che quelli di Gubbio ricorsero a lui solo perché il lupo non riuscivano ad ammazzarlo (e lui costrinse la belva a ripagare il male fatto). Che non aveva affatto amore zuccheroso per tutti ma detestava (sì, detestava) gli eretici catari che infestavano il Norditalia e quella Provenza da cui veniva la sua adorata mammà. Proprio contro i catari, che odiavano la creazione, scrisse il Cantico. E contro di loro mandò non a caso il suo uomo migliore, sant’Antonio di Padova. Contro i musulmani, che già gli avevano lapidato i cinque Protomartiri, andò lui stesso, e non a dialogare, bensì a confutare la loro dottrina (e se il sultano non gli fece la pelle fu solo perché a un passo c’erano i crociati armati fino ai denti). Odiava (sì, odiava) i denigratori, e comandò al suo vice, Pietro Cattani, di farli punire dal "pugile di Firenze" (fra Giovanni fiorentino, che aveva fatto quel mestiere).
Ora, può accadere che l’ammirazione per un santo cattolico spinga a cercare di imitarlo. Ma ciò non autorizza a scegliere tra i suoi molteplici aspetti solo quelli che godono del plauso generale (tra l’altro, mutevole a seconda delle stagioni ideologiche). Non solo: si dimentica che il santo, a sua volta, imitava qualcun altro, Cristo.
E’ questa l’unica Imitazione consentita (giusto il titolo dell’opera immortale di Tommaso da Kempis, che non a caso insegna l’imitatio Christi e non quella di qualsivoglia santo), anche perché il santo imita a modo suo, un modo che varia da santo a santo giacché ognuno ha la sua personalità. Certo, se un santo diventa "icona" e gli altri no, un motivo ci deve essere.
Infatti, c’è. Francesco fu veramente alter Christus e ha seguito la sorte "iconica" del suo Maestro. Nessun dispregiatore del cattolicesimo ha mai osato parlar male di Gesù, perché la sua figura è veramente inattaccabile. Per questo la si aggira dicendo che è stata, semmai, la Chiesa a tradire il suo vero messaggio. Il quale messaggio, poi, ce lo spiega il Dan Brown di turno. Così è per Francesco, il più amato dagli italiani, ormai sepolto - e perciò reso irriconoscibile - dalle fiction (continuamente aggiornate per riguardo ai tempi: la sola Liliana Cavani ha dovuto farne addirittura due), dalle marce, dai concerti, dai convegni, dai libri.
Mai una volta, però, che lo si invochi, magari con una semplice processione, perché si ricordi di essere Patrono d’Italia e di darci una buona volta dei capi degni di questo nome al posto di quei chiacchieroni inconcludenti che i nostri peccati collettivi da decenni hanno addensato sulle nostre teste.

DOSSIER "SAN FRANCESCO"
Quello vero!

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Fonte: Il Sussidiario, 4 ottobre 2013

3 - LE VEGLIE CONTRO LA LEGGE SULL'OMOFOBIA
L'11 ottobre ''La Manif Pour Tous - Italia'' chiama a raccolta nelle piazze italiane tutte le persone che vogliono mantenere la libertà di dire no alle adozioni dei gay (VIDEO: spot sulle veglie LMPT)
Autore: Paola Biondi - Fonte: La Manif Pour Tous, 7 ottobre 2013

Anche in Italia si sta diffondendo l'associazione La Manif Pour Tous Italia (LMPT - Italia) che su imitazione di quella francese, che ha portato in piazza milioni di persone e famiglie contro l'approvazione del "matrimonio per tutti" (legge Taubira) cioè del "matrimonio" per coppie gay da parte del governo socialista di Hollande, vuole contrastare in Italia le derive dell'ideologia omosessualista (gay, gender, ecc.).
Qui in Italia primo obiettivo è il contrasto alla approvazione da parte del Parlamento italiano della proposta di legge Scalfarotto, che vuole introdurre nel diritto vigente i reati (assurdi, indefiniti e indefinibili) di "omofobia" e "transfobia". In realtà, come avete ben capito, le persone omosessuali sono solo usate, perché l'obiettivo della lobby omosessualista non è difendere queste persone dalle discriminazioni (già punite dal codice di diritto vigente) ma ostacolare la nostra libertà (di coscienza, di opinione, di espressione, religiosa) per:
- introdurre il "matrimonio" gay in Italia;
- una volta ottenuto il "matrimonio", questo istituto garantisce la possibilità di adottare un bambino da parte di coppie gay/lesbiche (quello che molti non hanno capito è che l'adozione è consequenziale al matrimonio, cioè singoli o liberi cittadini non possono adottare.. bisogna essere una "famiglia", riconosciuta istituzionalmente, per adottare... l'operazione in corso è quella di distruggere la realtà distruggendo il significato di matrimonio e famiglia, mettendoci dentro di tutto, pur di mandare avanti i diktat deliranti dell'agenda Gay e Gender)
- diffondere tramite l'indottrinamento di Stato (cioè in tutti i gradi di istruzione, dall'asilo nido all'università) l'ideologia Gender, attraverso corsi di terrorismo umanitario guidato da "esperti formatori" cioè gli ideologi LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali)!!!
Personalmente se penso ai bambini adottati da coppie gay o lesbiche mi riempio di dispiacere e mi viene il nodo alla gola: come si può dormire la notte sereni sapendo quanto male verrà fatto a questi piccoli???
Penso anche al male che verrà fatto alle famiglie e alle nuove generazioni, ai bambini e ai giovani: tutto questo è sufficiente a motivare la mia coscienza, a darmi il coraggio di scendere in campo e di fare tutto quello che posso fare, senza paura e senza silenzi (che cooperano al male).
A Roma, come in tante città italiane, ci siamo costituiti come LMPT e stiamo organizzando una Veglia per l'11 Ottobre. Conto molto sulla vostra partecipazione (venite con tutta la famiglia e i vostri bimbi... non abbiate paura ci sono le Forze dell'ordine a garantire il normale svolgimento della veglia) e per diffondere a tutti i vostri amici e contatti l'iniziativa.
Cari tutti, vi scrivo col cuore in mano.. mi sono accorta di una cosa importante che LMPT Italia, Nazionale e Locale, può fare (e in questo momento storico è fondamentale): riunire le forze (disperse o inattive da tempo, per renderle visibili e forti, e non solo dell'associazionismo cattolico, ma unendo ogni uomo di retta ragione e buona volontà) per un unico essenziale obiettivo cioè risvegliare la coscienza degli italiani su quello che ci vogliono portar via e che vogliono distruggere: il matrimonio e la famiglia, fondamenti insostituibili del bene comune e della civiltà dell'amore.
Non possiamo né dobbiamo permetterlo! Serve il contributo di tutti! Serve che le famiglie scendano in piazza per difendere la famiglia (l'unica e la sola, quella naturale, cioè fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, aperta ad accogliere ogni figlio che il buon Dio vorrà darle).
Dobbiamo scendere in piazza tutti, uniti e convinti che la famiglia ha bisogno di essere protetta, difesa e sostenuta.
Vi chiedo di collaborare perchè LMPT si diffonda in tutta Italia e la Veglia dell'11 ottobre sia solo l'inizio di questa mobilitazione nazionale delle coscienze.

Nota di BastaBugie: tutti siamo inviatati alle veglie contro la legge sull'omofobia, in difesa della libertà di pensiero in Italia: Roma, Milano, Pisa, Bologna, Bolzano, Venezia, Bisceglie. Venerdì 11 ottobre: partecipa anche tu!


http://www.youtube.com/watch?v=P75ePsmVN7s

Per informazioni su La Manif Pour Tous
e sulla legge sull'omofobia con tutto ciò che comporta, clicca qui sotto
https://www.bastabugie.it/it/contenuti.php?pagina=utility&nome=_la_manif_pour_tous_italia_no_reato_di_omofobia_scalfarotto_matrimoni_gay

Fonte: La Manif Pour Tous, 7 ottobre 2013

4 - LAMPEDUSA: IL VIZIO ITALIANO DELL' AUTODENIGRAZIONE
Dopo l'ennesima tragedia di un barcone stracarico di migranti affondato, vediamo di capire come stanno veramente le cose
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 04/10/2013

“Basta!” e “Vergogna!” sono le due esclamazioni che riecheggiano nei media italiani dopo l’ennesima tragedia in mare di un barcone stracarico di migranti africani, affondato al largo dell’Isola dei Conigli, nei pressi di Lampedusa.
La tentazione di dare la colpa a se stessi è molto forte in tutti i media italiani. Si lanciano accuse (sacrosante) contro quei pescherecci che, pur consapevoli della tragedia in atto, non hanno prestato soccorso. Le accuse non sono confermate. Se lo fossero, i responsabili devono essere individuati e puniti, perché hanno violato la legge. Si dà la colpa alle autorità italiane e ad una politica sull’immigrazione che i progressisti definiscono non sufficientemente accogliente. Ma se non fosse stato per le autorità militari locali, per le unità della marina e della guardia costiera che sono intervenute, ora la conta dei morti sarebbe molto più lunga. Non sono stati né i pescherecci, né le unità navali italiane ad affondare il barcone dei disperati. Esso è colato a picco a causa di un incendio, appiccato a bordo nell’ingenuo e tragicamente maldestro tentativo di segnalare la presenza ai soccorsi. I primi responsabili di questa tragedia sono dunque gli scafisti, rei di aver lasciato affondare la loro barca con il “carico umano” a bordo. Uno di essi, a quanto risulta dai primi rapporti, sarebbe già stato individuato fra i naufraghi.
Il barcone è salpato dalla Libia. E domandiamoci, allora, che cosa è la Libia. Il Paese, da cui arriva il grosso del flusso dei migranti nel Mediterraneo, fino al 2011 era dominato dalla dittatura di Gheddafi. Il regime, che controllava ogni movimento di terra e di mare entro i suoi confini, chiudeva però un occhio sul traffico umano degli scafisti, che potevano impunemente salpare dai suoi porti. Gheddafi usò più volte “l’arma dei migranti” per ricattare l’Italia. Quegli uomini, usati come merce di scambio, non erano libici. Erano somali, eritrei, sudanesi, etiopi, fuggiti dalle guerre civili dei loro Paesi, sopravvissuti a un lungo e pericoloso viaggio nel deserto del Sahara. Quando si parla di migrazioni, si è soliti gridare al “razzismo”. Accusa sacrosanta: la Libia, sia quella di Gheddafi che quella caotica post-rivoluzionaria, è un Paese profondamente razzista che non ha mai firmato la Convenzione sui Rifugiati. I pogrom contro gli immigrati, lo sfruttamento del loro lavoro, la persecuzione poliziesca contro persone dalla pelle di un colore diverso da quella degli arabi, erano e sono tuttora all’ordine del giorno.
Almeno negli ultimi anni di Gheddafi, in seguito alla firma, con il governo Berlusconi, del Trattato di Bengasi (2008), si era cercato di dare una regola al caos mediterraneo. Nel 2009, il governo italiano iniziò a implementare quella che fu chiamata la “politica dei respingimenti”. Non si trattava di far morire in mare gli immigrati, ma di restituirli al Nord Africa, istituendo meccanismi di cooperazione con i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, a partire dalla Libia. Rispettando i principi del Trattato di Bengasi, l’Italia aveva una chance in più per chiedere il rispetto dei diritti umani in Libia. Inutile dire che questa politica è fallita ben presto. Non solo e non tanto per colpa dell’Italia, ma anche per un atteggiamento di totale condanna e ostruzionismo da parte delle istituzioni internazionali, a partire dall’Unhcr (l’agenzia Onu per i rifugiati, allora rappresentata, per l’Italia, da Laura Boldrini), pronte a lanciare una valanga di accuse contro Berlusconi e la Lega Nord, senza suggerire niente di meglio. Nel 2012, la Corte Europea ha ufficialmente condannato l’Italia, proprio per i respingimenti, a nome di un’Unione Europea che non ha una politica comune sull’immigrazione (in Spagna, a Malta e in Grecia, coi migranti, usano spesso la forza...).
Il colpo di grazia alla politica mediterranea è arrivato con la guerra civile libica del 2011 e il successivo intervento della Nato per rovesciare il regime di Gheddafi. Un’azione militare a cui l’Italia, per espressa volontà del presidente Napolitano, ha partecipato attivamente. Una volta ucciso Gheddafi, il governo Monti ha cercato, in modo molto riservato, di rinnovare la stessa politica assieme alla Libia post-Gheddafi. Il 3 aprile 2012 un nuovo accordo era stato firmato dal ministro Cancellieri con l’allora ministro dell’Interno libico Fawzi Al Taher Abdulali. Amnesty International tornò a condannare il governo italiano (c’era Monti, allora, non più Berlusconi), esprimendo preoccupazione soprattutto su un punto dell’accordo: l’istituzione di un centro a Kufra, «per garantire i servizi sanitari di primo soccorso a favore dell’immigrazione illegale». La cittadina del Sud libico è uno dei principali punti di approdo dei migranti e dei rifugiati provenienti da Egitto, Sudan e Ciad e diretti verso l’Europa. Secondo Amnesty, «Kufra non è mai stato un centro sanitario, né tantomeno un centro di accoglienza, ma un centro di detenzione durissimo e disumano. I cosiddetti centri di accoglienza di cui si sollecita il ripristino, chiedendo collaborazione alla Commissione europea hanno a loro volta funzionato come centri di detenzione, veri e propri luoghi di tortura. Ciò, nella situazione attuale, significa che l’Italia offre collaborazione a mettere a rischio la vita delle persone che si trovano in Libia».
Domandiamoci chi, a questo punto, trasforma i centri di accoglienza in luoghi di persecuzione: sono le milizie islamiche, che dominano il territorio libico dopo la caduta di Gheddafi. E chi ha gettato la Libia in questo caos, in cui i miliziani spadroneggiano? Anche il nostro governo, con un intervento armato “umanitario” seguito dal nulla, dal completo abbandono di un Paese nel suo difficile dopoguerra. E adesso la Libia è terra di nessuno, dove libici, migranti e persino i diplomatici (giusto ieri è stata colpita duramente l’ambasciata russa), rischiano la pelle tutti i giorni.
Ma la radice del problema non è neppure in Libia. È più profonda, nell’Africa sub-sahariana. I naufraghi di Lampedusa venivano principalmente da Eritrea e Somalia. Fuggendo, non cercavano di vivere meglio in Europa. Cercavano di sopravvivere. Perché rimanere in Eritrea e Somalia, per molti di loro, significa: morire. L’Eritrea è una dittatura retta, da 22 anni, da Isaias Afewerki. Secondo l’analisi dell’autorevole Freedom House, è uno dei 17 Paesi meno liberi del mondo. Nei suoi confini ogni libertà (politica, religiosa, civile e di espressione) viene sistematicamente repressa. Tutti i cittadini sono sottoposti a un duro servizio militare obbligatorio, che è la prima causa della fuga di massa dei giovani. Quanto alla Somalia, il suo governo controlla solo la capitale, Mogadiscio, e poco altro. Il resto è nelle mani delle milizie islamiche Shebaab (autrici del recente massacro di Nairobi) e di altri movimenti armati. Ed è così dal 1991: 22 anni di guerra civile. I responsabili di questa tragedia delle migrazioni si chiamano dunque Afewerki, milizie Shebaab e un governo somalo, provvisorio, traballante e più volte accusato di corruzione.
Una responsabilità indiretta ricade anche sull’Italia, con politiche di cooperazione e sviluppo che ottengono risultati controproducenti. Per quanto riguarda l’Eritrea, lo scorso decreto di rifinanziamento delle missioni all’estero includeva anche la cessione di materiale ferroviario al regime di Afewerki. È solo un esempio, ma è significativo: spendiamo soldi per fornire infrastrutture a regimi repressivi che non puntano affatto allo sviluppo dei loro popoli. E ci scaricano addosso una valanga di fuggitivi. Per quanto riguarda la Somalia, il quadro è ancora più “grottesco”. I Paesi donatori, fra cui l’Italia, hanno regalato al governo provvisorio circa 3 miliardi e mezzo di euro in aiuti umanitari, dal 2008 ad oggi. Per ottenere cosa? La guerra civile continua, l’ordine non è affatto ristabilito, gli Shebaab appaiono più forti che mai. Dove siano finiti quei 3 miliardi e mezzo, possiamo solo immaginarlo.
Eritrea e Somalia sono solo gli ultimi esempi in ordine di tempo. Tutta l’Africa e un Medio Oriente destabilizzato dalle Primavere Arabe (appoggiate dai nostri governi) sono immensi serbatoi di profughi, nonostante le nostre politiche di cooperazione e sviluppo. O forse proprio a causa di esse. E allora, chi si deve vergognare?

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 04/10/2013

5 - LA NIPOTE DI MARTIN LUTHER KING ABORTISCE DUE VOLTE, POI SE NE PENTE E DIVENTA PROLIFE
Fonda la ''King for America'' (VIDEO: stupenda testimonianza di Myra Myers, una delle tante donne pentite di aver abortito)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Antidoti, 4 ottobre 2013

Alveda King è figlia di Alfred Daniel e nipote del più famoso Martin Luther. Suo padre e lo zio erano entrambi predicatori evangelici. Al tempo delle lotte per i diritti civili la casa e la chiesa del primo furono fatte esplodere; il secondo, com’è noto, fu assassinato. Su Wikipedia è scritto che Alveda ha sei figli, ma lei ne dichiara otto, comprendendo anche i due che ha abortito. Ha smesso di abortire solo perché aveva finito i soldi. Poi ha fondato un’associazione pro-life, “King for America” e afferma che “l’aborto ha ammazzato più neri di quanti il Ku Klux Klan avesse mai osato sperare”. E’ autrice di un documentario dal significativo titolo “Bloodmoney” (“soldi insanguinati”). Dal padre e dallo zio ha ereditato la grinta di combattente. [...] Alveda King è un’altra “pentita” che si aggiunge alla ormai folta schiera di quanti, dopo aver toccato con mano, hanno cambiato idea.

Nota di BastaBugie: vi invitiamo a guardare questa bella testimonianza di Myra Myers, una delle tante donne pentite di aver abortito


http://www.youtube.com/watch?v=mmCVXo1FdrI

Fonte: Antidoti, 4 ottobre 2013

6 - LA TRAGEDIA DI NASCERE DA FECONDAZIONE ARTIFICIALE
L'involontaria ammissione dell’Espresso: ''è come essere stato investito da un treno''
Autore: Ilaria Vidi - Fonte: Notizie Pro vita, 15 settembre 2013

In un bellissimo film americano, October baby, la protagonista, scoperto di essere figlia adottiva, lascia i suoi genitori adottivi, alla ricerca della madre naturale che la ha abbandonata. Poi, dopo un percorso lungo e difficile, giunge a perdonare la propria vera madre e a riconciliarsi con coloro che, adottandola, la hanno amata e servita.
Questa storia spinge a fare i conti con la realtà dell’adozione. Chi ne abbia a che fare sa bene che agli adottanti vengono richiesti molti requisiti, perché l’adozione di un figlio non proprio è un gesto d’amore bellissimo ed encomiabile, ma difficile. Bisogna infatti prevedere che il ragazzo/a, una volta adolescente, facilmente esprimerà, in modi più o meno forti, il suo desiderio di rivedere i suoi genitori naturali (talora in aperto conflitto con quelli adottanti, nonostante a loro spetti solo riconoscenza e gratitudine). Esiste infatti un chiaro “istinto” iscritto in ognuno di noi che spinge a ricercare le proprie origini, la propria identità genetica. Così è fatta la nostra natura.
Da anni, dopo l’introduzione della fecondazione artificiale (fiv), in alcuni paesi è permessa quella eterologa, cioè con seme o ovulo di persona estranea alla coppia: per esempio una moglie, il cui marito è infertile, fa fecondare l’ovulo con il seme di un altro uomo. Può anche accadere che siano una donna single o un uomo single a ricorrere a fiv eterologa, progettando quindi a priori (qui la differenza enorme con l’adozione tradizionale) un figlio che non vedrà mai uno dei suoi genitori genetici...
E’ facile capire, tenendo conto della breve introduzione fatta, che i figli dell’eterologa avranno, ad un certo punto della vita, il desiderio di conoscere la loro identità genetica, sino ad entrare in conflitto, molto più spesso che nel caso di un’adozione tradizionale, con genitore/i adottivo/i.
Questo è dimostrato dal fatto che i figli dell’eterologa, in molti paesi in cui essa esiste da anni (Inghilterra, Usa..), raggiunta la maggiore età si mettono insieme o per arrivare a conoscere la loro origine genetica, accedendo ai registri contenenti il nome dei venditori di seme o di ovuli, oppure per fare pressione sui politici del loro paese affinché sia tutelato il diritto all’identità di ogni creatura.
Chiara Valentini, giornalista dell’Espresso, autrice di un’ indagine, “La fecondazione proibita”, fortemente a favore di tutte le tecniche artificiali, racconta i casi di ragazzi nati da eterologa: Heidi, nata da venditore di seme, “ha gravi problemi psichici”; Peter ha finalmente capito perché il padre lo ha sempre rifiutato, solo dopo essere venuto a conoscenza del fatto che non è suo padre genetico; Robert, venuto a sapere per caso di essere nato da seme di un estraneo, afferma: “E’ come essere stato investito da un treno”; Susannh, invece: “appena sarò più grande cercherò di sapere chi è l’uomo che ha dato alla mamma il seme che mi ha fatto nascere. E’ duro crescere senza sapere niente di metà del proprio patrimonio genetico”. In Australia, racconta ancora la Valentini, in un “documentario andato in onda nel 2000 viene seguito passo dopo passo il viaggio di una ragazza di 17 anni alla ricerca del donatore che le aveva dato la vita”.
Un’ ultima nota: nei cosiddetti matrimoni gay, se ad ottenere un figlio con Fiv sono due donne, il figlio viene privato, non per forza maggiore, ma per scelta della madre, del padre e dell’identità genetica maschile; nel caso di due uomini, il figlio viene sradicato dalla donna che lo porta in grembo e dalla madre genetica (e non giova certo dire, come fanno i responsabili delle Famiglie arcobaleno, che il bimbo vedrà comunque le due madri tramite fotografie o qualche saltuario incontro).

Nota di BastaBugie: questo articolo è tratto dal numero speciale di Notizie Pro vita sull’utero in affitto. Chi volesse acquistarlo (3 euro una copia, 10 euro 5 copie), può scrivere a: redazione@prolifenews.it
Per informazioni e per vedere il trailer di October Baby, il film citato all'inizio di questo articolo, clicca qui sotto
http://www.filmgarantiti.it/it/edizioni.php?id=1

Fonte: Notizie Pro vita, 15 settembre 2013

7 - IL SUICIDIO DI LIZZANI VIENE USATO DAI MEDIA PER CHIEDERE L'EUTANASIA
Chi invoca il diritto di ciascuno ad uccidersi usa discorsi contraddittori e privi di logica
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08/10/2013

Carlo Lizzani, il 5 ottobre scorso si è tolto la vita. Aveva 91 anni ed era depresso perché non più autosufficiente. Ultimo di altri recenti suicidi “eccellenti”, come quello del collega Mario Monicelli, dello scrittore Franco Lucentini, del giornalista Lucio Magri e del giudice Pietro D’Amico. “Stacco la chiave” ha lasciato scritto su un biglietto poco prima di gettarsi dal terzo piano di casa sua. La stampa, occupandosi della vicenda, ha fornito come nel passato la summa laicale del concetto di eutanasia sfornando i soliti luoghi comuni. Spigolando qua e là tentiamo di dare risposta alle obiezioni più ricorrenti.
Il regista Franz Ozpetek su Repubblica afferma: «Gettarsi nel vuoto è un gesto davvero estremo, quello sì che richiede un enorme coraggio». Astraendo dal caso concreto, noi siamo rimasti che chi si toglie la vita è un vigliacco, uno che scappa di fronte al dolore ed è incapace di colmare il vuoto interiore. Qui le virtù a dar retta ad Ozpetek sono capovolte: la fortezza, da virtù che domina le passioni, è diventata serva di esse.
Passiamo oltre. Alcuni, tra cui la figlia di Lizzani a cui insieme al fratello Francesco va il nostro rispettoso cordoglio, dicono che non capiscono il gesto del regista ma che rispettano la sua scelta. La Chiesa cattolica su questo argomento, come su molti altri simili, fa sempre un distinguo tra l’errore, che è sempre da condannare: mai è lecito togliersi la vita. E l’errante, da accogliere sempre con misericordia: non sta a noi giudicare il grado di responsabilità morale di chi ha compiuto una simile scelta. Lizzani compreso.
Terza spigolatura. Vittorio Feltri su Il Giornale scrive: «Negare la libertà di vivere e di morire nei modi che preferisce un individuo, significa negargli il libero arbitrio, che pure è contemplato nei testi cosiddetti sacri. E qui c'è una contraddizione evidente». Feltri ripete la solita vulgata su concetti chiave come “libero arbitrio” e “libertà”. In sintesi: il libero arbitrio è la possibilità di scegliere tra il bene e il male. Se scelgo il bene (la vita) allora scatta la libertà come conseguenza naturale, se scelgo il male (suicidio), allora sono schiavo del male. La libertà non è fare quello che si vuole, ma quello che vuole il mio bene. La libertà è sempre connessa con il bene. Tizio che vuole essere libero di drogarsi non è realmente libero, bensì schiavo della droga. Chi decide di togliere il disturbo perché depresso non è libero, ma è sotto tortura del dolore, del male di vivere.
Ma il meglio su questa brutta faccenda di cronaca viene dall’alfiere del “diritto a morire”, l’oncologo Umberto Veronesi che intervistato su La Stampa precisa che la morte di Lizzani è «una forte forma di denuncia e di protesta». La solita mania di alcuni sostenitori del pensiero levantino di buttare tutto in politica quando invece il gesto di Lizzani è assolutamente privato, sebbene sostenesse le battaglie radicali per la legalizzazione dell’eutanasia e sebbene tale gesto debba ovviamente interrogare le coscienze di tutti. Una strana schizofrenia prende i laici: dicono che non si può giudicare Lizzani perché la morte è affare privatissimo e subito dopo ne fanno un affare di Stato, tanto che le radicali Filomena Gallo e Mina Welby hanno usato da sponda questa tragica morte per rilanciare un delibera sul fine vita già presentata presso il Comune di Roma.
Sempre Veronesi: «in Italia, e anche in molte parti d’Europa, il diritto di morire con dignità è una conquista ancora da fare. Non è possibile immaginare Mario Monicelli che si alza dal letto di un ospedale, che apre la finestra e si butta giù o i tanti che lo fanno senza avere titoli di giornale». E poi giù ad elencare come questi poveri aspiranti suicidi si devono ingegnare per togliere il disturbo, roba da terzo mondo. Gli fanno eco Feltri – «se uno è stanco di stare su questa terra, non lo si deve costringere a gettarsi dalla finestra o a spararsi, ma sarebbe opportuno che le strutture sanitarie lo aiutassero, in forma civile e non cruenta, a troncare le proprie tribolazioni» - il figlio di Lizzani sul Messaggero – «Papà avrebbe certo preferito un’altra via per morire, quella che un paese civile gli avrebbe consentito» – il dottor Silvio Viale sempre sullo stesso quotidiano – «in un paese civile non si dovrebbe consentire di essere costretti a morire così» - e il già citato Ozpetek su Twitter: «l’unica eutanasia che l’Italia concede agli anziani. Gettarsi nel vuoto». Insomma se l’eutanasia fosse legale non assisteremmo più a questo scempio. In fin dei conti a spingerlo giù nel vuoto sono state le nostre leggi che, paradosso dei paradossi, tutelano la vita contro la tentazione di farla finita.
Come rispondere? In primo luogo non nascondiamoci dietro un dito: se il problema fosse davvero quello di morire in un letto di ospedale in modo incruento non basterebbe recarsi nella vicina Svizzera come hanno già fatto in tanti?
E poi è la stessa manfrina che abbiamo sentito migliaia di volte a proposito dell’aborto: si deve dare la possibilità di uccidere il proprio figlio in sicurezza. Pare che l’unica cosa a cui si debba prestare attenzione non sia tanto quella di evitare omicidi e suicidi, ma che questi avvengano in modo pulito, formale, in bianchi letti di ospedale con la firma a piè di pagina del testamento biologico di un medico. È questione di stile: buttarsi giù da una finestra è volgare – «il corpo di una persona schiacciata sul marciapiedi mi sembra un torto alla dignità» aggiunge Ozpetek - passar a miglior vita con una iniezione del medico è più civile. Ciò che disgusta non è il suicidio in quanto tale ma è solo il modo di togliersi la vita.
Un appunto sulla questione della dignità umana tanto tirata in ballo in storie come queste. La nostra natura umana chiede ed esige la vita. Non concedere e non concedersi questo bene è svilire l’intima preziosità della persona umana, cioè la sua dignità: non trattare l’uomo da uomo. È il suicidio che non è atto degno dell’uomo, non il continuare a vivere nonostante si soffra nel corpo e nello spirito. E non ci sono né dolori né malattie che possano da sé intaccare la dignità di una persona. Un diamante nel fango è sempre un diamante.
Comunque dietro alle parole di Veronesi si cela il solito giochetto: i sucidi sono un problema sociale. Come superarlo? Legalizziamo l’eutanasia. Geniale. È come dire: i furti e gli omicidi sono un problema sociale. Come risolvere questo problema? Legalizziamoli. Vietare è da barbari – “un proibizionismo insensato” chiosa il figlio di Lizzani - e i poveracci si devono arrangiare come possono per delinquere.
Poi l’intervistatore pungola Veronesi sul fatto che molti si tolgono la vita perché depressi. Veronesi così risponde: «È un problema vero ma non parlerei di depressione, piuttosto di demotivazione alla vita. Sono persone che pensano: sono anziano, non sto bene, sono di peso alla società e alla famiglia, perché devo vivere?» Al di là del fatto che la domanda retorica di Veronesi speriamo che non sia intesa da nessuno come mellifluo e funereo suggerimento per gesti estremi, ci pare che la demotivazione alla vita sia un modo elegante per dire depresso e quindi si giochi un po’ con le parole. Ma comunque ci chiediamo: non è meglio curare la demotivazione esistenziale piuttosto che incentivare il suicidio? La prima opzione è una soluzione al problema, l’altra non elimina il problema ma solo chi se lo pone. L’idea di Veronesi è di eliminare il dolore di vivere insieme a chi prova questo dolore. “Dai papà prendiamoci ancora un caffè e parliamone insieme”, questa è la frase che si rammarica di non aver detto al padre il figlio Francesco allorché aveva intuito che pensieri di morte ormai avevano preso fissa dimore nel suo animo. Forse sarebbe bastato così poco per evitare la tragedia.
Veronesi viene sollecitato ancor di più dall’intervistatore quando questi gli ricorda che, per chi crede, la vita è un dono. Il medico meneghino risponde: «Chi è fedele agli insegnamenti della Chiesa li segua ma non può pretendere di invadere la legge civile. Chi non è credente ha il diritto di non ascoltare i dettami della religione». Stessa musica è cantata da Vittorio Feltri su Il Giornale: «Ciò che invece è incomprensibile è la loro [dei credenti] pretesa di imporre a tutti, anche agli atei e agli agnostici, i principi ai quali si ispirano, tra cui l'idea che nessuno possa scegliere di tirare le cuoia volontariamente quando e come vuole e per i motivi che ritiene validi». Intanto ad oggi l’eutanasia è considerata dal nostro ordinamento giuridico un reato: quindi non c’è invasione di campo alcuno da parte del credente perché l’aiuto al suicidio e l’omicidio del consenziente sono  materie penali laicissime. E poi non serve essere credenti per dire no all’eutanasia – basta usare la ragione, strumento che è in possesso anche ai non credenti - a meno che Veronesi e Feltri non credano che su vita e morte il copyright sia in mano ai soli cattolici. Dire che la vita, la proprietà, la conoscenza, la salute sono dei beni e quindi sono cose da tutelare non è imporre una propria personalissima visione di fede, ma è riconoscere con il lume dell’intelletto naturale una verità che ci precede.
Veronesi poi aggiunge che vivere «senza coscienza, senza ricordi, senza pensieri. È una forzatura, bisognerebbe assecondare la natura». E allora perché quando un paziente malato di tumore si reca da Veronesi per essere curato quest’ultimo non lascia fare alla natura il suo corso e non lo lascia morire senza cure?
Infine l’intervista si chiude con questa domanda: «Che cosa direbbe agli italiani che non hanno più voglia di vivere?». Veronesi non ha dubbi in proposito: «Di procurarsi una corda o di aprire una finestra: non c’è altra soluzione legittima o accettabile. È assurdo perché uccidersi non è reato, anche il tentato suicidio non è punibile. Allora perché è reato aiutare qualcuno se questa persona ha scritto chiaramente qual è la sua volontà?». A parte il fatto che la prima frase del nostro potrebbe configurare apologia di reato se non istigazione al suicidio, c’è da riflettere non poco sulle altre due affermazioni di Veronesi, davvero pronunciate con disinvoltura. Innanzitutto tentiamo di spiegare al luminare che nel nostro ordinamento giuridico il suicidio non è considerato reato perché sarebbe un po’ macabro e grottesco mettere dietro le sbarre un cadavere. Il tentato suicidio invece non è punibile, non perché lo Stato lo approvi – non tutto ciò che non è punito è da considerarsi legittimo si spiega al primo anno di giurisprudenza alle matricole – bensì perché sarebbe inutile spedire in carcere o comminare una multa al tentato suicida. I suoi problemi non si risolvono con la reclusione e questa sanzione potrebbe solo aggravarli. Se fosse legittimo come dice Veronesi tentare di togliersi la vita non si capisce il motivo per cui il nostro Stato punisce chi aiuta a suicidarsi (580 cp) o chi uccide un terzo con il suo consenso (579 cp). Se il suicidio fosse cosa buona l’omicida del consenziente potrebbe solo ricevere un encomio. Lo sfavore del nostro ordinamento invece verso il suicidio lo si deduce proprio da queste due norme che puniscono chi aiuta un altro a togliersi la vita. Pare che oltre a Lizzani anche la logica sia morta. Ma non per suicidio.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 08/10/2013

8 - IL FONDATORE DI ''YOUNG GAY AMERICA'' RINNEGA IL SUO PASSATO OMOSESSUALE
Capii che l'omosessualità impedisce di trovare la propria vera identità: è per questo che i rapporti gay non sono soddisfacenti
Autore: Michael Glatze - Fonte: NARTH, 23 ottobre 2012

All'omosessualità sono arrivato facilmente, perché ero già fragile. Mia madre è morta quando avevo 19 anni. Mio padre quando ne avevo 13. Giovanissimo, ero già confuso sulla mia identità e i miei sentimenti. La confusione che provavo riguardo i miei "desideri" e l'attrazione che sentivo per i ragazzi, ha fatto si che già a 14 anni mi sentissi parte della categoria "gay". A 20 anni, mi dichiarai gay con tutti quelli che mi conoscevano. A 22 anni, divenni editore della prima rivista per giovani gay. Il contenuto fotografico rasentava la pornografia, ma ritenevo di poterlo utilizzare come piattaforma per ottenere risultati sempre maggiori. Infatti arrivò Young Gay America. Questa rivista aspirava a riempire il vuoto creato dalla precedente rivista per la quale avevo lavorato; doveva essere qualcosa di non troppo pornografico, mirata al pubblico di giovani gay americani. Young Gay America decollò. Il pubblico gay accolse calorosamente Young Gay America.
La rivista ricevette premi, riconoscimenti, rispettabilità e grandi onori, incluso il National Role Model Award da parte di Equality Forum, la più importante organizzazione gay, premio che fu consegnato l'anno seguente al Primo Ministro Canadese Jean Chrétien. E tantissime apparizioni nei media, da PBS a Seattle Times, da MSNBC alla copertina di Time magazine.
Ho prodotto, con Equality Forum e con l'aiuto di società affiliate alla PBS, il primo importante documentario che affronta il tema del suicidio di adolescenti gay "Jim In Bold"; é stato mostrato in tutto il mondo e ha ricevuto numerosi premi "best in festival".
Young Gay America ha organizzato una mostra fotografica, ricca di foto e storie di giovani gay di tutto il continente Nord americano; la mostra ha fatto il giro dell'Europa, del Canada e di parte degli Stati Uniti.
Nel 2004 Young Gay America ha lanciato la rivista YGA, che aveva la pretesa di essere il "gemello virtuoso" di altre riviste rivolte ai giovani gay. Dico "gemello virtuoso" ma la verità é che YGA era dannosa quanto qualsiasi altra rivista, era solo più "rispettabile" perché non manifestamente pornografica.
Mi ci vollero quasi 16 anni per scoprire che l'omosessualità non è esattamente "virtuosa". Fu difficile fare chiarezza dentro di me riguardo i miei sentimenti sulla questione, dato che la mia vita ne era completamente assorbita.
L'omosessualità è per sua natura pornografica. E' distruttiva e crea confusione nelle menti dei giovani, proprio in quel periodo in cui l'identità sessuale è ancora in via di definizione. Ad ogni modo, non mi resi conto di ciò fino a quando non raggiunsi i 30 anni.
La rivista YGA esaurì il suo primo numero in diverse città del Nord America. Il sostegno alla rivista era enorme; scuole, gruppi di genitori, biblioteche e associazioni governative, tutti sembravano volerla. Sfruttava il "filone" della "accettazione e promozione" dell'omosessualità, ed era considerata una guida. Nel 2005 mi fu chiesto di tenere un discorso al prestigioso JFK Jr. Forum della Harvard's Kennedy School of Government.
Fu quando vidi una videoregistrazione di quella "performance", che iniziai a dubitare seriamente di ciò che stavo facendo della mia vita e della mia influenza.
Non conoscendo nessuno con cui poter parlare dei miei dubbi ed interrogativi, mi rivolsi a Dio, grazie anche ad un debilitante attacco di crampi intestinali causato dalle mie abitudini di vita.
Presto iniziai a comprendere cose che non avevo mai immaginato potessero essere reali, come il fatto che ero il leader di un movimento di peccato e corruzione. Questa frase può dare l'impressione che la mia scoperta si sia basata su un dogma, ma decisamente non é stato così.
Sono giunto al questa conclusione da solo.
Mi divenne chiaro, mentre ci riflettevo seriamente – e pregavo – che l'omosessualità ci impedisce di trovare la nostra vera identità. Non possiamo vedere la verità quando siamo accecati dall'omosessualità.
Crediamo, influenzati dall'omosessualità, che la lussuria non solo sia accettabile ma che sia anche una virtù. Ma non esiste "desiderio" omosessuale che sia separabile dalla lussuria.
Non volevo accettare questa verità e all'inizio ho cercato in tutti i modi di ignorarla. Ero certo, a causa della cultura e dell'influenza dei leader gay – di fare la cosa giusta.
D'altra parte mi sentivo spinto a cercare la verità perché avvertivo che dentro di me c'era qualcosa che non andava. Gesù Cristo ci consiglia ripetutamente di non confidare in nessuno tranne che in lui. Ed io l'ho fatto, sapendo che il Regno di Dio risiede nel cuore e nella mente di ogni uomo.
Ciò che ho scoperto e appreso sull'omosessualità é sorprendente.
Divenne chiarissimo che avrei fatto del male o rischiato di fare del male ad altre persone se avessi continuato con quella vita.
Mi accorsi di avere desideri omosessuali alle scuole medie quando per la prima volta iniziai a prestare attenzione ad altri ragazzi.
Cominciai a guarire quando per la prima volta iniziai a prestare attenzione a me stesso.
Ogni volta che provavo la tentazione di cedere alla lussuria, ne prendevo coscienza, mi fermavo e mi occupavo di essa. La chiamavo con il suo nome e poi lasciavo che si dissolvesse da sola con l'aiuto della preghiera.
Esiste un'enorme e vitale differenza tra ammirazione superficiale – per se stessi o per altri – e ammirazione integrale. Quando amiamo pienamente noi stessi, cessiamo di essere schiavi di desideri lussuriosi, dell'apprezzamento degli altri o di soddisfazioni fisiche. I nostri impulsi sessuali diventano intrinseci alla nostra essenza, liberi da confusioni nevrotiche.
L'omosessualità ci consente di evitare di scavare in profondità, oltre la superficialità e le attrazioni ispirate dalla concupiscenza – e continuerà ad essere così fino a quando avrà l' "approvazione" della Legge. Il risultato è che tantissimi perdono l'opportunità di conoscere il loro vero io, l'io fatto ad immagine di Cristo, donatoci da Dio.
L'omosessualità iniziò per me all'età di 13 anni e terminò quando riuscii ad isolarmi da influenze esterne e a concentrarmi intensamente sulla verità interiore – quando scoprii, all'età di 30 anni, le profondità del mio io donatomi da Dio.
Dio è considerato un nemico da molte persone dominate dall'omosessualità o da altri comportamenti concupiscenti, perché Egli rammenta loro chi e che cosa dovrebbero veramente essere. Queste persone preferiscono rimanere "beatamente ignare", mettendo a tacere la verità. E lo fanno condannando ed apostrofando coloro che la dichiarano con parole come "razzisti", "insensibili", "malvagi" e "discriminatori".
Guarire dalle ferite causate dall'omosessualità non è facile. Il sostegno è scarso e poco evidente. Il poco che c'è viene infamato, ridicolizzato, fatto tacere con la retorica o reso illegale tramite l'alterazione di norme legislative. Per trovarlo ho dovuto separare il mio sentimento di imbarazzo e le "voci" di disapprovazione da tutto ciò che avevo imparato. Parte dell'agenda omosessuale consiste nel convincere le persone a smettere di farsi domande sulla conversione e, tanto meno, sulla la sua efficacia.
"Uscire" dall'influenza della mentalità omosessuale è stata per me la cosa più liberatoria, sorprendente e bella che abbai mai sperimentato nella mia intera vita.
La lussuria ci sottrae ai nostri corpi per "fissare" il nostro spirito alla forma fisica di qualcun altro. Ecco perché i rapporti sessuali omosessuali – e qualsiasi altra forma di attività sessuale basata sulla lussuria – non è mai soddisfacente: é un processo nevrotico piuttosto che naturale, normale. La normalità è la normalità – ed è stata chiamata così perché c'è una ragione.
Anormale significa "ciò che ci danneggia, che danneggia la normalità". L'omosessualità ci toglie al nostro stato di normalità, al nostro di sentirci perfettamente uniti in tutte le cose, e ci divide, facendoci tormentare dal desiderio per un obiettivo fisico esterno che non potremo mai possedere.
Le persone omosessuali – come tutte le persone – bramano il mitico "vero amore". Il vero amore esiste davvero, ma arriva soltanto quando non abbiamo nulla che ci impedisce di lasciarlo fuoriuscire da dentro in tutto il suo splendore.
Non possiamo essere pienamente noi stessi se le nostre menti sono intrappolate in una spirale, in una mentalità di gruppo edificata su una protetta, autorizzata e celebrata lussuria.
Dio mi è venuto incontro quando mi sentivo confuso, perso, solo, spaventato e sconvolto. Mi ha detto – attraverso la preghiera – che non avevo nulla da temere e che ero a casa. Avevo solo bisogno di fare un po' di pulizia nella mia mente.
Credo che tutti, essenzialmente, conoscano la verità. Credo che questo sia il motivo per cui il Cristianesimo spaventa così tanto le persone. Perché rammenta loro la coscienza, che tutti noi possediamo.
La coscienza ci dice cosa sia giusto o sbagliato ed è una guida che ci permette di crescere e diventare più forti e più liberi come esseri umani. Uscire dal peccato e dall'ignoranza è sempre possibile, ma la prima cosa che tutti devono fare è abbandonare le mentalità che dividono e conquistare l'amore per l'umanità.
La verità sessuale può essere trovata solo se si è disposti ad accettare che la nostra cultura sanzioni i comportamenti che nuocciono alla vita. Il senso di colpa non è una ragione sufficiente per evitare le questioni difficili.
L'omosessualità si è presa quasi 15 anni della mia vita, una vita trascorsa tra compromessi e menzogne, perpetuate attraverso i media nazionali mirati ai giovani.
Nei Paesi Europei l'omosessualità è considerata così normale che i bambini delle scuole elementari pubbliche vengono forniti di libri dedicati ai ragazzi "gay" come letture obbligatorie.
La Polonia, che conosce fin troppo bene la distruzione del suo popolo ad opera di influenze esterne, sta tentando coraggiosamente di impedire all'Unione Europea di indottrinare i suoi figli con propaganda omosessuale. In riposta, l'Unione Europea ha definito "ripugnante" il Primo Ministro della Polonia.
Io sono stato ripugnante per parecchio tempo; sto ancora cercando di metabolizzare tutte le mie colpe.
In qualità di leader nel movimento per i "diritti dei gay", mi è stata data molte volte l'opportunità di parlare in pubblico. Se potessi cancellare alcune delle cose che ho detto, lo farei. Adesso so che l'omosessualità è lussuria e pornografia insieme. Non mi lascerò mai convincere del contrario, non importa quanto sciolte possano essere le loro lingue o quanto triste la loro storia. Io l'ho vissuta. Io conosco la verità.
Se Dio ci ha rivelato la verità c'è un motivo. Essa esiste affinché possiamo essere noi stessi. Esiste affinché possiamo condividere quel perfetto io con il mondo, per rendere perfetto il mondo. Questi non sono progetti fantasiosi o ideali astrusi: è la Verità.
Non ci si può purificare dai peccati del mondo in un istante, ma succederà, se non ci opponiamo orgogliosamente a questo processo. Dio alla fine vince sempre, in caso non lo sappiate.
(traduzione a cura di Patrizia Battisti)

Fonte: NARTH, 23 ottobre 2012

9 - OMELIA XXVIII DOMENICA T. O. - ANNO C - (Lc 17.11-19)
Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 13 ottobre 2013)

Il tema del Vangelo di oggi è la gratitudine. Gesù si stava recando a Gerusalemme quando gli vennero incontro dieci lebbrosi, i quali supplicavano: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi» (Lc 17,13). La legge ebraica prescriveva che i lebbrosi dovevano vivere appartati, ai margini della società, per evitare il rischio del contagio. La loro era una situazione drammatica; il loro allontanarsi dalla società era quasi sempre un viaggio senza ritorno. Una eventuale guarigione doveva essere costatata da un sacerdote che riammetteva quella persona nella società in seguito all'offerta di un sacrificio.
Tra quei dieci lebbrosi vi era anche un samaritano. I samaritani non erano ben visti dai giudei. L'evangelista Luca, in altri passi del suo Vangelo, ci fa comprendere come essi erano guardati con disprezzo a causa della loro ibrida origine etnica e religiosa. Gesù andò contro quella mentalità additando come modello di carità fraterna il buon Samaritano (cf Lc 10,33-37).
La stessa sciagura aveva accomunato un lebbroso samaritano a nove lebbrosi giudei. Certamente essi avevano sentito parlare di Gesù, dei suoi miracoli, della sua compassione verso i miseri. Animati da quella speranza, si fecero coraggio e si avvicinarono al Maestro per chiedere la grazia. Non la chiesero esplicitamente, ma si limitarono a invocare pietà; fu Gesù stesso che andò incontro al loro più profondo e straziante desiderio, invitandoli a recarsi dai sacerdoti: «Andate a presentarvi ai sacerdoti» (Lc 17,14). Solo i sacerdoti potevano, una volta accertata la guarigione, riammetterli nella vita sociale e religiosa di Israele.
Da notare che la grazia non era stata ancora fatta e Gesù li mandò dai sacerdoti. In un'altra circostanza, il Signore mandò un lebbroso dal sacerdote dopo averlo miracolato (cf Lc 5,14). Per quale motivo, nell'episodio del Vangelo di oggi, Gesù mandò quei dieci lebbrosi dai sacerdoti prima ancora di averli guariti? È chiaro che Gesù volle mettere alla prova la fede di quegli infelici. La guarigione, infatti, avvenne mentre i dieci erano in cammino.
Avvenuto il miracolo, soltanto uno tornò indietro per ringraziare. Quell'uomo era proprio il samaritano. Gli altri nove proseguirono per raggiungere i sacerdoti e ritrovare quindi la sospirata libertà; soltanto il povero samaritano sentì la necessità di fermarsi e di tornare indietro. Egli si gettò ai piedi di Gesù e lo ringraziò di cuore (cf Lc 17,16).
L'episodio culmina con l'affermazione risentita di Gesù: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?» (Lc 17,17-18). E poi disse al samaritano: «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato» (Lc 17,19).
Nella Bibbia la lebbra è il simbolo del peccato. Di questa lebbra siamo stati infetti tante volte, e Gesù ci ha guariti con il suo perdono. Anche se siamo molto pentiti, però, Gesù ci manda dai sacerdoti per ricevere l'assoluzione sacramentale. La Chiesa ci ricorda con forza che, anche se grande è il nostro pentimento, in caso di peccato mortale, prima di ricevere la Comunione, dobbiamo confessare i nostri peccati dal sacerdote e riceverne l'assoluzione. Ricordiamocelo sempre.
Siamo stati beneficati tante e tante volte da Gesù. Pensiamo a quante volte abbiamo ricevuto il perdono di Dio attraverso il sacramento della Confessione e abbiamo ricevuto la Comunione. Domandiamoci: abbiamo sempre ringraziato, oppure ci siamo comportati come gli altri nove lebbrosi?
Vogliamo dunque prendere un proposito pratico quest'oggi, quello di fare bene il ringraziamento dopo la Comunione. Non dobbiamo e non possiamo andarcene via come se niente fosse. Dentro di noi abbiamo Gesù. Fermiamoci, per quanto è possibile, a parlare familiarmente con Lui. Durante il quarto d'ora che segue la Comunione, Gesù è realmente presente dentro di noi, nel nostro cuore, finché perdurano le sembianze del Pane eucaristico. Non sprechiamo malamente quei minuti che sono i più importanti della nostra giornata. Adoriamo e ringraziamo, come ha fatto il povero lebbroso. Inoltre, abituiamoci a ringraziare Gesù ogni volta che riceviamo il suo perdono nel sacramento della Confessione. Non è una cosa da poco essere perdonati da Dio.
Ricordiamocelo sempre: quanto più ringrazieremo, tanto più riceveremo. La mancanza di gratitudine, al contrario, allontana da noi i benefici di Dio.

Nota di BastaBugie: Per l'omelia della domenica successiva, vai a
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Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 13 ottobre 2013)

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