BastaBugie n�330 del 03 gennaio 2014

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1 MI SONO CURATA GRAZIE AGLI ESPERIMENTI SUGLI ANIMALI
Il volto disumano dell'animalismo: Caterina, 25 anni, 4 malattie genetiche rare, riceve 30 auguri di morte e oltre 500 insulti, tra cui ''Valgono più 10 topi che te'' e ''Era meglio se morivi a 9 anni''
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 A GENNAIO SULLA RAI LA FICTION SU LUIGI CALABRESI UCCISO DAI TERRORISTI COMUNISTI DI LOTTA CONTINUA
Totalmente innocente, fu ucciso in seguito a un appello di 800 intellettuali di sinistra: ecco i nomi
Autore: Giuseppe Brienza - Fonte: Tempi
3 GRAZIE DIO PER TUTTE LE VOLTE CHE NON FUNZIONO
Essere il Salvatore vuol dire che tu non sei una ciliegina sulla mia torta, ma sei proprio la torta, colui che ci fa vivere, essere felici
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano
4 NAPOLEONE: ''SONO CATTOLICO ROMANO, E CREDO CIO' CHE CREDE LA CHIESA''
Esce il libro con le conversazioni dell'imperatore con i suoi generali in esilio a Sant'Elena
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Il Timone
5 POLITICI DI OGNI SCHIERAMENTO SI DEFINISCONO CATTOLICI, MA POI SONO A FAVORE DELLE UNIONI CIVILI...
Il padre di simili sbandamenti è Aldo Moro, per il quale non c'era solo la famiglia fondata sul matrimonio, ma anche altri tipi...
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 CINQUE TESTIMONI DEL 2013 DA NON DIMENTICARE
Cristiani perseguitati anche fino al martirio: dal Pakistan islamico alla Cina comunista, dalla Siria devastata dalla guerra fino alla laicissima Francia
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi
7 LETTERE ALLA REDAZIONE: MI SONO CANCELLATO DALLA VOSTRA NEWSLETTER PERCHE' SIETE BIGOTTI ED EGOISTI
Sono cattolico praticante e favorevole al matrimonio gay: Cristo ci ha insegnato la libertà! Chi siamo noi per giudicare?
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie
8 OMELIA II DOMENICA DI NATALE - ANNO A - (Gv 1,1-18)
La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo
Autore: Padre Gabriele Pellettieri - Fonte: Il settimanale di Padre Pio
9 OMELIA EPIFANIA DEL SIGNORE - ANNO A - (Mt 2,1-12)
Prostratisi lo adorarono
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - MI SONO CURATA GRAZIE AGLI ESPERIMENTI SUGLI ANIMALI
Il volto disumano dell'animalismo: Caterina, 25 anni, 4 malattie genetiche rare, riceve 30 auguri di morte e oltre 500 insulti, tra cui ''Valgono più 10 topi che te'' e ''Era meglio se morivi a 9 anni''
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 29/12/2013

Trenta auguri di morte e oltre 500 insulti: tanto è costato a Caterina Simonsen, 25 anni, studentessa di Veterinaria, postare su Facebook una sua foto con respiratore sul volto e un foglio con scritto: «Io, Caterina S., ho 25 anni grazie alla vera ricerca, che include la sperimentazione animale. Senza la ricerca sarei morta a 9 anni. Mi avete regalato un futuro».
Caterina, che intendeva in quel modo dare il proprio sostegno alla campagna a favore della ricerca scientifica, è affetta da quattro malattie genetiche rare che la costringono a lunghe terapie ogni giorno. Il suo post ha ricevuto migliaia di "mi piace", ma anche una fitta sequenza di insulti e minacce da parte di animalisti, che l'hanno spinta a mettere in rete anche un video di risposta in cui spiega la sua situazione, come vive, e il perché la sperimentazione dei farmaci sugli animali sia inevitabile.
Ciò che colpisce anzitutto nel video, è l'amore di Caterina alla vita, il suo desiderio di vivere malgrado i sacrifici e le sofferenze fisiche che la sua condizione comporta. Per questo non riesce a comprendere come altri esseri umani possano concepire pensieri come "meglio 10 topi che te" o "era meglio se morivi a 9 anni". Bisogna aver perso qualsiasi consapevolezza del senso della propria esistenza, qualsiasi coscienza del valore della vita. In altre parole, bisogna aver abiurato completamente alla propria identità umana, che implica il riconoscimento di un unicum proprio degli esseri umani rispetto agli animali.
Purtroppo non è un fenomeno di pochi balordi che usano i social network per sfogare le proprie frustrazioni, come si ama dire in questi casi. E' invece una mentalità sempre più diffusa, e sicuramente è il vero volto dell'animalismo, che nella sua essenza non è amore per gli animali ma odio per l'uomo. Basti vedere la rapida e inquietante crescita del terrorismo animalista che colpisce allevamenti, distrugge laboratori di ricerca, minaccia di morte imprenditori e ricercatori (giusto un anno fa La Nuova BQ registrava il salto di qualità del terrorismo animalista).
Negli scorsi mesi, tanto per fare un esempio, ci sono stati due attacchi ad altrettanti laboratori dell'Università di Milano: distrutti i risultati di anni di ricerche, che significa ritardi nel poter mettere a punto farmaci per curare malattie anche gravi, e "liberazione" di centinaia di cavie: in realtà tutte condannate a morte, visto che fuori dall'asettico laboratorio universitario hanno poche ore di possibilità di vita. Si uccidono gli animali pur di danneggiare l'uomo, è questa la logica animalista.
Come spiegava recentemente il segretario generale di Federfauna, Massimiliano Filippi, «un "animalista" non è un amante degli animali e un "amante degli animali" non può essere un animalista! Chi, come l'animalista, è contrario senza se e senza ma all'allevamento o ad altre attività umane con gli animali, compreso il consumo di carne e l'utilizzo di pelli e pellicce, non tiene conto che la sopravvivenza di molte specie animali ormai dipende in gran parte dal fatto che l'uomo tragga beneficio dalla loro esistenza. Chi alleverebbe mai una razza bovina come la Chianina se nessuno più mangiasse la fiorentina? Chi, come l'animalista, è contrario senza se e senza ma alla sperimentazione animale, non tiene conto che è grazie alla sperimentazione animale che oggi esistono tanti farmaci e pratiche veterinarie in grado di salvare anche i suoi animali da patologie per le quali in passato sarebbero morti. Una persona che preferirebbe vedere una specie animale estinta piuttosto che gestita dall'uomo, non solo non ama quella specie animale, ma neanche tutti gli altri animali, visto che sono, anzi siamo, tutti tasselli di uno stesso puzzle».
Eppure la filosofia animalista oggi è sempre più diffusa, ben oltre i gruppi militanti, anche grazie all'irresponsabile complicità dei media che danno ampio spazio alle ragioni di minoranze violente che cianciano di diritti degli animali, facendoli apparire tanti Martin Luther King che promuovono i diritti civili di una razza repressa. Oggi, parlare di "diritti degli animali" è diventata una cosa comune, il pensiero si è insinuato anche fra i cattolici: ma questa è la perdita della centralità della persona. Perché in realtà non esistono i "diritti degli animali", esistono i "doveri dell'uomo", la responsabilità dell'uomo, al quale gli animali sono stati "consegnati" da Dio e del cui uso e trattamento a Dio deve rispondere. Tanto è vero che lo stesso catechismo della Chiesa cattolica afferma che «far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita», «è contrario alla dignità dell'uomo», non a quella degli animali (2148).
E' solo la riscoperta della centralità dell'uomo nel Creato, quale vertice della Creazione, che evita maltrattamenti e sofferenze inutili degli animali, come l'esempio di tanti santi dimostra. Al contrario, chi promuove i "diritti degli animali" non è gli animali che eleva alla condizione dell'uomo – impresa impossibile – ma è l'uomo che abbassa alla condizione degli animali. Cosa che gli insulti a Caterina inequivocabilmente dimostrano.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 29/12/2013

2 - A GENNAIO SULLA RAI LA FICTION SU LUIGI CALABRESI UCCISO DAI TERRORISTI COMUNISTI DI LOTTA CONTINUA
Totalmente innocente, fu ucciso in seguito a un appello di 800 intellettuali di sinistra: ecco i nomi
Autore: Giuseppe Brienza - Fonte: Tempi, 28/12/2013

Santo o aguzzino? Ancora oggi si disputa sulla figura di Luigi Calabresi, commissario-capo di Pubblica Sicurezza, assassinato il 17 maggio 1972 (era nato a Roma, il 14 novembre 1937) da Ovidio Bompressi, con la complicità di Leonardo Marino, su mandato di Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, tutti e quattro membri del gruppo comunista-rivoluzionario di "Lotta Continua".

LA DAMNATIO MEMORIAE
La "leggenda nera" sul Commissario nasce con la triste vicenda della morte di Giuseppe Pinelli, un ferroviere anarchico milanese, che dopo lo scoppio della bomba nella sede della Banca nazionale dell'Agricoltura a Milano (Strage di piazza Fontana, 12 dicembre 1969), venne fermato insieme ad altri anarchici milanesi da agenti della Questura di Milano. Il 15 dicembre 1969, tre giorni dopo la strage, Pinelli negli uffici della questura milanese, dove si era recato da solo – con il proprio motorino – convocato dal giovane Luigi Calabresi, che l'anarchico già conosceva, fu interrogato per ore dallo stesso commissario e da altri ufficiali. Nella serata del 15 dicembre, attorno a mezzanotte, il corpo di Pinelli precipitò dalla finestra e si schiantò nel cortile della questura. Successivamente a una serie di inchieste e dopo la riesumazione del cadavere, la magistratura stabilì che Pinelli era caduto per un "malore attivo", cioè si era avvicinato alla finestra e a seguito di un malore aveva perso l'equilibrio ed era precipitato ma, ormai, una violenta campagna di stampa dell'estrema sinistra, e in particolare di "Lotta Continua", aveva bollato il commissario Luigi Calabresi come il torturatore e l'assassino di Pinelli.

IL SANTO
Di taglio completamente opposto è la visione del commissario che ne da uno dei suoi maggiori biografi, lo storico e giornalista Luciano Garibaldi che, dalle colonne del mensile cattolico Il Timone, ha da tempo rivendicato «passi avanti da compiere» sulla figura di Calabresi, in particolare esaminando «con la dovuta attenzione la richiesta di dare inizio a un processo di beatificazione teso ad accertare le virtù cristiane di Luigi Calabresi, richiesta avanzata da numerosi esponenti della Chiesa, primo tra i quali colui che fu il confessore e padre spirituale del commissario, don Ennio Innocenti, del clero romano» ("Luigi Calabresi, un uomo da non dimenticare", in il Timone, n. 66, settembre-ottobre 2007, p. 22).
«Luigi Calabresi ha vissuto in pieno le "assurdità" cristiane – ha commentato il cardinale Angelo Comastri, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del Vaticano, nella prefazione al documentato libro di Giordano Brunettin, "Luigi Calabresi. Un profilo per la storia" (Sacra Fraternitas Aurigarum Urbis) – non si è preoccupato del potere ma del dovere, non si è preoccupato della carriera ma della fedeltà alla coscienza, non ha cercato onori ma ha cercato di far onore alla verità e all'onestà. Per questo è stato ucciso; e, dopo l'uccisione, è stato più volte crocifisso da una campagna di menzogne che, finalmente, ora si stanno sciogliendo come la nebbia al sole».
Anche Giovanni Paolo II in occasione del XXX anniversario del sacrificio di Calabresi (caduto nel 2002), lo ha definito, «generoso servitore dello Stato, fedele testimone del Vangelo, costante nella dedizione al proprio dovere pur fra gravi difficoltà e incomprensioni, esempio nell'anteporre sempre all'interesse privato il bene comune».

LA FICTION DELLA RAI
Di Calabresi si riparlerà sicuramente a partire dal 7/8 gennaio prossimi, in concomitanza con la fiction trasmessa in due puntate in prima serata da Rai Due, nella quale Emilio Solfrizzi interpreta la figura del Commissario romano.
Si tratta del primo appuntamento della serie "Gli anni spezzati", dedicata appunto al terribile periodo del terrorismo italiano («anni di piombo»), realizzata in co-produzione da Albatross Etertainment e Rai Fiction Due, liberamente tratte dal volume, appena pubblicato dalle Edizioni Ares di Milano, "Gli anni spezzati. Il Commissario". L'Autore, il già citato Luciano Garibaldi (foto a sinistra), vi ricostruisce con una documentazione scrupolosa e completa la campagna di odio e di linciaggio morale che gran parte della stampa scatenò, negli anni dal 1970 al 1972, contro Calabresi, ripercorrendo, come rileva Marcello Veneziani nella Prefazione al volume «in modo appassionato e incalzante, attento ai dettagli e alle sfumature, la vicenda Calabresi, preceduta dal caso Pinelli – che Garibaldi tratta col rispetto che merita».

IL LIBRO
Sullo sfondo del libro, pagina dopo pagina si staglia, immutata e quasi imperturbabile, la figura del Protagonista: «Il ritratto di Luigi Calabresi», continua Veneziani, «è un ritratto in piedi. Un uomo che aveva il senso dello Stato, che credeva al decoro delle istituzioni e alla dignità del suo ruolo, che aveva la responsabilità di uomo d'ordine. Un'espressione antica, terribilmente démodé, le compendiava tutte: "servitore dello Stato". Così si definiva Luigi Calabresi. E chi fa una smorfia d'insofferenza per un'espressione antiquata e retorica, ripensi con rispetto che a quella definizione Calabresi restò fedele fino alla morte. Inclusa. Tutto per 270mila lire mensili».

GIUSTIZIA E RICONCILIAZIONE PER GEMMA CALABRESI
Luciano Garibaldi è stato il primo giornalista che è riuscito, trentatré anni fa, a far parlare in un'intervista su Gente la vedova di Luigi Calabresi, Gemma Capra, una donna minuta e forte che, negli occhi grigio-azzurri porta ancora la memoria di una ferita senza fine intrecciata a una vita che il dolore non è riuscito a fermare. Ma che l'ha portata ha reagire parlando, ad esempio, alle giovane generazioni di legalità e coraggio nel servire le Istituzioni ed il bene comune. Come ha fatto, ad esempio, nel marzo scorso a Carpi, partecipando ad una iniziativa educativa intitolata non a caso "Il coraggio di ri-cominciare", nella quale ha proposto la sua testimonianza e quella del marito, ai ragazzi delle scuole medie e superiori.

GLI ANNI PEGGIORI SONO PASSATI (?)
Conoscere e far conoscere oggi la vicenda di Calabresi appare, dunque, una battaglia di principio e di verità storica. Anche grazie a testimonianze come quella di Gemma, a Calabresi fu data dal presidente Ciampi, con trentadue anni di ritardo, la medaglia d'oro al valor civile.
Come la vedova Calabresi, anche per Leonardo Marino, l'ex operaio delle carrozzerie Mirafiori ed ex militante di "Lotta Continua", il "grande accusatore" di Adriano Sofri, l'"assistenza" dal cielo di Luigi, ha ricondotto sul cammino della fede, chissà se la cultura (e la televisione) italiana sapranno riparare all'esecrazione ed al disprezzo tributati dall'intellighenzia ad una intera famiglia. E si riuscirà, finalmente, come ha riconosciuto il "redento" Marino, che «gli anni peggiori sono passati».

Nota di BastaBugie: riportiamo di seguito le parti più significative dell'articolo citato da Giuseppe Brienza "Luigi Calabresi. Un uomo da non dimenticare" di Luciano Garibaldi pubblicato sul Timone n.66 del settembre/ottobre 2007.
Nel 1990 potei realizzare, in qualità di curatore, il libro di memorie di Gemma Capra, "Mio marito il commissario Calabresi", grazie alla imponente documentazione sul caso raccolta dal giornalista Enzo Tortora, uno dei pochi che aveva avuto il coraggio di difendere Calabresi dal linciaggio a cui era stato sottoposto. Poco prima di morire mi passò i fascicoli ricevuti dall'avvocato Michele Lener e così mi trovai "costretto" a occuparmi decisamente del caso.
L'anarchico Giuseppe Pinelli era morto, precipitando dal quarto piano della Questura, il 15 dicembre 1969. Era stato fermato da Calabresi in seguito all'arresto di Pietro Valpreda, anch'egli anarchico e principale sospettato per l'attentato del 12 dicembre alla Banca Nazionale del Lavoro, a Milano. Il 3 luglio dell'anno seguente, il giudice Antonio Amati aveva concluso l'istruttoria sulla sua morte attribuendola a suicidio. Fu in quel preciso istante che la "buriana" contro Calabresi esplose dilagando senza più argini. Centinaia di giornalisti e uomini di cultura - a partire da Alberto Moravia c'erano tutti - sottoscrissero il "messaggio di protesta" pubblicato da L'Espresso, nel quale Calabresi veniva definito «commissario torturatore» e «responsabile della morte di Pinelli».
Quando, nel dicembre 1971, andrà in scena la farsa di Dario Fo "Morte accidentale di un anarchico", con protagonista il "dottor Cavalcioni", alias Luigi Calabresi, da parte della stampa si leveranno autentici peana.
Persino da pulpiti come quello di Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, il cui critico teatrale scriverà: «Estro assillante, gusto del paradosso, sorridente violenza scarnificante, felice ispirazione. All'attore-autore tutto il consenso che gli è dovuto». Ai cronisti politici, agli editorialisti, agli elzeviristi, si aggiunsero le incessanti iniziative del Movimento nazionale giornalisti democratici, sorto nei pensatoi controllati dai partiti comunista e socialista, fonte inesauribile di autentica disinformazione e di ricostruzioni arbitrarie dei fatti, basate sulle fantasie più assurde e indimostrabili, vera sorgente alla quale si abbeveravano giornalisti che scrivevano sui quotidiani e sui settimanali più diffusi. Un esempio per tutti, Camilla Cederna, che nel suo libro di grande successo - grande perché lanciato da una straripante campagna di supporto propagandistico - "Pinelli: una finestra sulla strage", scriverà la sua personale ricostruzione - totalmente arbitraria - della morte di Pinelli. [...] Parole che non hanno altro significato se non questo: la polizia ha messo le bombe nelle banche e vuoi farne ricadere la colpa sull'editore rivoluzionario Giangiacomo Feltrinelli. Pinelli smaschera il diabolico piano. Calabresi lo uccide.
«Ero convinto», scriverà Leonardo Marino nel suo libro "La verità di piombo", edito da Ares nel 1992, successivamente ristampato con il titolo "Così uccidemmo il commissario Calabresi", «che l'anarchico Pinelli fosse stato ucciso nella questura di Milano da Calabresi o comunque per ordine di Calabresi. Quanto all'attentato del 12 dicembre 1969, ero certo che non potevano averlo fatto gli anarchici.
La campagna di stampa, poi, era tambureggiante e convincente, almeno per noi. Ora so che Calabresi era solo un poliziotto che faceva il suo mestiere. Ma allora, per noi, il poliziotto "buono" non esisteva.
Lo attaccavano a fondo non soltanto "L'Espresso", "l'Unità", "Vie Nuove" e l'"Avanti!", ma la maggior parte dei più importanti quotidiani. Leggevamo quegli articoli, e non era come leggere "Lotta Continua", di cui sapevamo che era un foglio di propaganda e che, per fare propaganda, poteva anche esagerare un po'. Ma il vedere le stesse cose scritte sui giornali borghesi, sui grandi quotidiani, ci faceva dire: "Ma allora è tutto vero!"».
Per ricordare chi veramente armò, dal punto di vista morale, la mano di Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi, Leonardo Marino e degli altri assassini che ancora mancano all'appello, è sufficiente risfogliare L'Espresso n. 24 del 13 giugno 1971, n. 25 del 20 giugno e n. 26 del 27 giugno. Furono più di ottocento gli "uomini di cultura" che aderirono alla lettera-appello contro Calabresi. Tra i filosofi, Norberto Bobbio e Lucio Colletti. Cinecittà era rappresentata praticamente al completo: Federico Fellini, Mario Soldati, Cesare Zavattini, Luigi Comencini, Liliana Cavani, Giuliano Montaldo, Bernardo Bertolucci, Carlo Lizzani, Paolo e Vittorio Taviani, Duccio Tessari, Gillo Pontecorvo, Marco Bellocchio, Salvatore Samperi, Ugo Gregoretti, Nanni Loy. Tra i poeti, accanto a Pasolini, Giovanni Raboni e Giovanni Giudici. Dopo gli editori Giulio Einaudi, Inge Feltrinelli e Vito Laterza, venivano i pittori: Renato Guttuso, Ernesto Treccani, Emilio Vedova, Carlo Levi. Ed ecco i critici (da Giulio Carlo Argan a Gillo Dorfles, da Morando Morandini a Fernanda Pivano), gli architetti (Gae Aulenti, Gio Pomodoro, Paolo Portoghesi) e nomi di prima grandezza come il musicista Luigi Nono e la scienziata Margherita Hack.
La letteratura era rappresentata, tra gli altri, da Alberto Moravia, Umberto Eco, Domenico Porzio, Dacia Maraini, Enzo Siciliano, Alberto Bevilacqua, Franco Fortini, Angelo M. Ripellino, Natalino Sapegno, Primo Levi, Enzo Enriques Agnoletti, Lalla Romano. Accanto ad Umberto Terracini, presidente del Senato, uomini politici come Massimo Teodori, Giorgio Amendola, Giancarlo Pajetta. Quanto ai giornalisti, solo l'imbarazzo della scelta: Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca, Furio Colombo, Livio Zanetti, Paolo Mieli (che in seguito, assieme a pochi altri, riconoscerà il torto e chiederà perdono alla famiglia), Sergio Saviane, Vittorio Gorresio, Carlo Rognoni, Carlo Rossella, ovviamente Camilla Cederna e infine Tiziano Terzani, che, dopo aver esaltato la rivolta dei khmer rossi in Cambogia, finirà, pentito, per narrarne i misfatti. Altri nomi, scelti a caso: Vittorio Vidali, l'uomo della NKVD che aveva organizzato il massacro degli anarchici ribelli a Stalin durante la guerra di Spagna, e ancora, il promotore della legge che aveva abolito i manicomi causando migliaia di tragedie famigliari, Franco Basaglia.
Tutti costoro condannarono Calabresi senza disporre di un benché minimo indizio, dopo che la magistratura lo aveva prosciolto in un regolare processo, senza assolutamente chiedersi, prima di firmare, chi veramente fosse l'uomo che accusavano di assassinio, che indicavano - con l'autorevolezza dei loro nomi - al pubblico ludibrio e al linciaggio dei fanatici dell'estrema sinistra. Lo colpirono nel momento peggiore, quand'egli era impegnato a riscattare il proprio onore con i soli mezzi di cui dispone un cittadino rispettoso della legge e alieno da ogni violenza e da ogni desiderio di vendetta: cioè rivolgendosi all'autorità giudiziaria con l'appoggio di un avvocato penalista, visto che il cosiddetto potere esecutivo, che avrebbe dovuto schierarsi compatto al suo fianco, lo aveva abbandonato al linciaggio.
Lo Stato disertò. Gli "ottocento" firmarono. E, sulla base di quelle firme, Lotta Continua uccise.

Fonte: Tempi, 28/12/2013

3 - GRAZIE DIO PER TUTTE LE VOLTE CHE NON FUNZIONO
Essere il Salvatore vuol dire che tu non sei una ciliegina sulla mia torta, ma sei proprio la torta, colui che ci fa vivere, essere felici
Autore: Costanza Miriano - Fonte: Blog di Costanza Miriano, 28/12/2013

Dio, ti ringrazio per tutte le volte in cui quest'anno che è passato non ho funzionato. Per quando sono stata di cattivo umore, offesa, triste, arrabbiata, inadeguata, malevola. Ti ringrazio perché non è stato un caso, una malaugurata coincidenza o un inciampo. Il problema è che io proprio non funziono bene. Ho un difetto di fabbricazione, qualcosa all'origine, ma ormai, come dice mio marito, mi è scaduta la garanzia, e dovrò vedere di combinare qualcosa lo stesso, con quello che ho. Dovrò cucinare con quello che c'è in frigo, e vedere di tirarne fuori un piatto decente.
Ti ringrazio perché il mio non funzionare mi ricorda cosa vuol dire che tu sei il Salvatore. Vuol dire che tu non sei una ciliegina sulla mia torta, ma sei proprio la torta, colui che ci fa vivere, essere felici. Ti ringrazio perché ho atteso questo Natale al grido di arrivano i nostri, come chi sta sull'orlo di un precipizio, ed ha bisogno, un bisogno vero e vitale di essere salvato.
Ti ringrazio per le mie fisse, le mie ossessioni, le mie stramberie. Ti ringrazio per i pensieri bassi, stupidi, inutili che il mio mondo interiore produce a ciclo continuo (ne ho anche da esportare, se a qualcuno dovessero difettare). Ti ringrazio perché mi costringono a distogliere lo sguardo da me stessa, e a fissarlo su di te, se non voglio morire di disgusto. Ti ringrazio per le emozioni incontrollabili e pazze che ogni tanto vorrebbero prendere il comando della barca, e ti ringrazio perché solo con te – con quel po' di preghiera che riesco ad accozzare, col tuo stesso corpo al quale mi aggrappo ogni giorno a Messa come a una scialuppa – riesco sgangheratamente a mantenermi quasi decentemente fedele al piccolo posto di combattimento che mi hai assegnato. Ti ringrazio anche per tutte le qualità che mi hai dato, per le munizioni da spendere in battaglia, e ti ringrazio per avermele date così bene impastate ai difetti che non posso guardare le une senza vedere gli altri.
Ti ringrazio perché quando il mio limite non lo vedo permetti che qualcuno me lo faccia notare (il mio padre spirituale dice: «Se qualcuno è arrabbiato con te, e comincia a gridarti contro, chiedigli di aspettare un attimo, corri a prendere un registratore e prendi nota: ti sta facendo la grazia di mostrarti come sei realmente»), e sempre più desidero mettere lo sguardo su di te, unica vera bellezza. Ti ringrazio perché quando non ho la grazia di vedere il mio peccato, perché quella è la vera grazia, mi mandi oltre alle vibrate proteste di chi è arrabbiato con me, anche sempre qualche tuo figlio prediletto che mi corregge fraternamente, e che prega per la mia conversione, mettendo in moto la comunione dei santi, al grido di battaglia «al mio via, scatenate il paradiso» (copyright della mia amica Elisabetta).
Ti ringrazio perché la vita è insostenibile senza di te, è troppo difficile la fedeltà totale, la dedizione leale e incondizionata al proprio posto in trincea, così che o si cerca di imbucarsi, di nascondersi dietro un cespuglio lasciando che sia qualcun altro a fare la nostra parte, o bisogna appoggiarsi a te a peso morto. Ti ringrazio perché l'insostenibilità della vita e la nostra inadeguatezza ci costringono a fare memoria di te, a chiederci chi è che può rispondere al nostro desiderio, chi finalmente può colmare tutte le nostre attese, la nostra sete ardente.
A volte mi dicono "che bello avere una fede come la tua" e io un po' mi vergogno un po' mi spavento, perché io non so se davvero la mia sia fede, e mi sento come quando dai un'impressione troppo buona di te (per esempio come quando all'esame prendevi un voto più alto di quello che meritassi, probabilmente perché ti avevano fatto una domanda esattamente sulle sole due cose che sapevi, avendole casualmente ripassate la notte prima). Il fatto è che io non so se ho fede, ma ho bisogno, pretendo che tu, Dio, sia davvero mio Padre, che mi ami come dice il Vangelo.
Non potrei vivere se le cose non stessero così, e se ho bisogno di te, è proprio perché senza non funziono. Quando non funziono, quando vedo la struttura di male che c'è in me anche quando non collaboro attivamente col peccato, quando vedo la mia natura doppia, il male e il bene, ne cerco le ragioni, perché dello stare bene non abbiamo bisogno di chiederci nulla. E quando cerco le ragioni, è sempre a te che mi trovo costretta a volgere lo sguardo. La struttura di male che c'è in me mi mostra chiaramente il bisogno vitale, imprescindibile, di essere redenta.
Il senso della fede è avere un rapporto vero e personale con te, perdere la nostra vita, sgangherata pazza e malfunzionante, per cominciare a vivere la tua, e così realizzare la meravigliosa felice somiglianza per la quale ci hai pensati, creati. È arrivare a un rapporto vero, totalizzante, radicale, senza calcoli, con te. Solo allora saremo credibili, e qualcuno si fiderà di noi, e magari ci verrà anche un po' dietro. E così potremo oltre ad amarti anche magari farti amare da qualcuno.

Fonte: Blog di Costanza Miriano, 28/12/2013

4 - NAPOLEONE: ''SONO CATTOLICO ROMANO, E CREDO CIO' CHE CREDE LA CHIESA''
Esce il libro con le conversazioni dell'imperatore con i suoi generali in esilio a Sant'Elena
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Il Timone, novembre 2013

Materialista e saccheggiatore di chiese e di conventi, miscredente e fedifrago, anticlericale e sequestratore del papa: questa è l'opinione che molti hanno di Napoleone Bonaparte, opinione tanto diffusa quanto acriticamente accolta. Se andiamo alle fonti, e in particolare a queste conversazioni, scopriamo qualcosa di strabiliante. Napoleone grida con fierezza: «Sono cattolico romano, e credo ciò che crede la Chiesa».
Durante gli anni di isolamento a Sant'Elena Napoleone si intratteneva spesso con alcuni generali, suoi compagni di esilio, a conversare sulla fede. Si tratta di discorsi improvvisati che – come rivela uno dei suoi più fidati generali, il conte de Montholon – furono trascritti fedelmente e poi dati alle stampe da Antoine de Beauterne nel 1840. Dell'autenticità e della fedeltà della trascrizione possiamo essere certi, visto che, quando de Beauterne pubblica per la prima volta le conversazioni, sono ancora in vita molti testimoni e protagonisti di quegli anni di esilio. Napoleone ammette con candida onestà che quando era al trono ha avuto troppo rispetto umano e un'eccessiva prudenza per cui «non urlava la propria fede». Ma dice anche che: «Allora se qualcuno me lo avesse chiesto esplicitamente, gli avrei risposto: "Sì, sono cristiano"; e se avessi dovuto testimoniare la mia fede al prezzo della vita, avrei trovato il coraggio di farlo».
Soprattutto attraverso queste conversazioni impariamo che per Napoleone la fede e la religione erano l'adesione convinta, non a una teoria o a un'ideologia, ma a una persona viva, Gesù Cristo, che ha affidato l'efficacia perenne della sua missione di salvezza a «un segno strano», alla sua morte sulla croce. Perciò non ci stupiamo se Alessandro Manzoni nell'ode Cinque Maggio, composta pochi mesi dopo la morte di Napoleone, dà prova di conoscere la sua fisionomia spirituale quando scrive: «Bella Immortal! Benefica/ Fede ai trïonfi avvezza!/ Scrivi ancor questo, allegrati;/ che più superba altezza/ al disonor del Golgota/ giammai non si chinò». L'imperatore si sofferma a lungo con il generale Bertrand, dichiaratamente ateo e ostile alle manifestazioni di fede del suo superiore, regalandoci un'inaudita prova dell'esistenza di Dio, fondata sulla nozione di genio, e una lunga conversazione sulla divinità di Gesù Cristo. Degni della nostra ammirazione sono anche le considerazioni sull'ultima Cena di Gesù e i confronti tra la dottrina cattolica e le dottrine protestanti.
Alcune affermazioni di Napoleone mi trovano singolarmente consonante. Ad esempio, quando dice: «Tra il cristianesimo e qualsivoglia altra religione c'è la distanza dell'infinito», cogliendo così la sostanziale alterità tra l'evento cristiano e le dottrine religiose. Oppure la convinzione che l'essenza del cristianesimo è l'amore mistico che Cristo ci comunica continuamente: «Il più grande miracolo di Cristo è stato fondare il regno della carità: solo lui si è spinto ad elevare il cuore umano fino alle vette dell'inimmaginabile, all'annullamento del tempo; lui solo creando questa immolazione, ha stabilito un legame tra il cielo e la terra. Tutti coloro che credono in lui, avvertono questo amore straordinario, superiore, soprannaturale; fenomeno inspiegabile e impossibile alla ragione».
Alla luce di queste pagine non possiamo non ammettere che Napoleone non solo è credente, ma ha meditato sul contenuto della sua fede maturandone una profonda e sapienziale intelligenza. Questa a sua volta si è tradotta in fatti molto concreti: ha domandato con insistenza al governo inglese di ottenere la celebrazione della Messa domenicale a Sant'Elena; ha espresso gratitudine verso sua madre e de Voisins, vescovo di Nantes, perché da loro è stato «aiutato a raggiungere la piena adesione al cattolicesimo»; ha concesso il suo perdono a tutte le persone che lo hanno tradito. Infine, le conversazioni riferiscono le convinzioni di Napoleone sul sacramento della confessione e i suoi rapporti con il papa Pio VII, rivelando che: «quando il papa era in Francia, gli assegnai un palazzo magnifico a Fontainebleau, e 100.000 corone al mese; avevo messo a sua disposizione 15 vetture per lui e per i cardinali, anche se non uscì mai. Il papa era esausto per le calunnie in base alle quali si pretendeva che io lo avessi maltrattato, calunnie che il papa smentì pubblicamente». Queste conversazioni non solo hanno lasciato un segno indelebile nella memoria dei generali compagni di esilio, ma hanno anche concorso alla loro conversione. Lo stesso generale de Montholon ammette che: «L'Imperatore era cristiano; presso di lui, la fede era un fatto naturale ed essenziale; amava manifestare i propri sentimenti religiosi, anche in occasioni non formali. Era molto turbato quando gli capitava di assistere, o di evocare, comportamenti contrari alla religione. Allora, si dimostrava a disagio, non riusciva a celare il proprio malessere, la propria contrarietà e indignazione. Questo posso testimoniare, io che, durante la vita militare, avevo trascurato e addirittura dimenticato la mia religione, che peraltro non praticavo affatto. All'inizio, questi comportamenti di Napoleone mi stupivano, ma gradualmente sono arrivato a una consapevolezza intima e profonda delle mie stesse convinzioni religiose. Ho visto la religiosità dell'Imperatore, e mi sono detto: «E' morto nella religione, con il timore di Dio». Anch'io invecchio, e la morte si sta avvicinando anche per me, e perciò vorrei morire anch'io come il mio Imperatore. Anche il generale Bertrand farà lo stesso percorso dell'Imperatore e mio, e anche lui diventerà credente come noi». Ci auguriamo, quindi, che il rinnovato e attento ascolto di queste conversazioni renda onore alla memoria di Napoleone e ottenga frutti di conversione.

CARD. GIACOMO BIFFI
La fede che diventa cultura

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Fonte: Il Timone, novembre 2013

5 - POLITICI DI OGNI SCHIERAMENTO SI DEFINISCONO CATTOLICI, MA POI SONO A FAVORE DELLE UNIONI CIVILI...
Il padre di simili sbandamenti è Aldo Moro, per il quale non c'era solo la famiglia fondata sul matrimonio, ma anche altri tipi...
Autore: Tommaso Scandroglio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 30/12/2013

La Repubblica italiana è uno Stato democratico, la Chiesa no. Per volere di Cristo Santa Romana Chiesa non è un'istituzione democratica: i membri della sua gerarchia, al di là delle modalità di elezione, sono scelti - cioè chiamati - direttamente da Dio, non dai fedeli. Non solo: i principi e le norme di diritto divino attinenti a fede e morale varate dalla gerarchia ecclesiastica non possono perciò essere considerate leggi e principi emanati da rappresentanti del popolo dei fedeli, né possono essere sottoposte a vaglio referendario.
Dunque quando qualche sedicente cattolico si alza in piedi e chiede – se non impone – che la Chiesa cambi rotta su questioni fondamentali riguardanti fede e morale commette un errore da matita blu. La matita blu si è consumata assai a leggere le dichiarazioni di alcuni politici, autodefinitisi "cattolici", in merito alla recente proposta di legge sulle unioni civili a firma del renziano Andrea Marcucci e di Linda Lanzillotta, appartenente a Scelta Civica. Il contenuto della proposta di legge prevede il riconoscimento giuridico delle unioni civili, anche omosessuali: i conviventi sotto il profilo economico e in parte civilistico avranno tutti i diritti delle coppie sposate. E' prevista anche la possibilità della stepchild adoption, cioè la facoltà di adottare il figlio del compagno/a se manca l'altro genitore: "in caso di unione civile la parte contraente è considerata genitore del figlio dell'altra parte fin dal momento del concepimento in costanza di unione civile anche quando il concepimento avviene mediante il ricorso a tecniche di riproduzione medicalmente assistita".
Matteo Renzi ha commentato così: "Io sono il più prudente di tutti nel Pd, ma siccome ho vinto le primarie anche sulle unioni civili, è un tema di cui si può discutere... Ma basta con il giochino che mette laici contro cattolici e famiglia contro unioni civili. Iniziamo a fare qualcosa di concreto per la famiglia. Assisto con sdegno alla continua distruzione di tutto quello che serve a difendere la famiglia" e quindi con logica ferrea apre alle unioni civili anche omosessuali, che lui chiama civil partenership, e al relativo istituto dell'adozione gay, tutte cose che notoriamente fanno bene alla famiglia.
Renzi, solo a luglio scorso, in un'intervista a Famiglia Cristiana aveva difeso con orgoglio la sua appartenenza alla Chiesa cattolica: "La mia fede arricchisce tutto quello che faccio. Io credo nella Risurrezione, e dunque la prospettiva della mia vita è profondamente diversa. Da cattolico impegnato in politica non mi vergogno della mia appartenenza religiosa". E poi con limpida coerenza non poteva che esprimere il proprio consenso alla fecondazione artificiale: "Quando una coppia che non può avere figli ha la possibilità di ricorrere alla fecondazione assistita, è giusto che lo faccia ma non deve trasformarsi in un diritto a tutti i costi"; e all'eutanasia: "Sono stato molto colpito dalla vicenda Terri Schiavo in America. Se dovesse capitare a me vorrei che fossero i miei cari a decidere. In ogni caso, penso che su questi temi bisogna fare lo sforzo di ascoltarsi reciprocamente e non vivere verità assertive".
Torniamo alla proposta di Marcucci e Lanzillotta sulle unioni civili e alle reazioni di altri politici che non di rado presentano ai media un'autocertificazione di cattolicità. Rosy Bindi non chiude al riconoscimento delle coppie di fatto: "Sono pronta ad una valutazione con mentalità aperta, del resto ho iniziato io questo processo di riconoscimento delle unioni civili. Quanto all'adozione all'interno della coppia bisogna vedere come è fatta".
Angelino Alfano avverte: "Siamo pronti a intervenire sul codice civile, purché non si smonti la famiglia, che è composta da un uomo e una donna che procreano […] Siccome abbiamo grande rispetto per l'affettività siamo pronti per delle garanzie patrimoniali".
Stessa musica per Luigi Bobba, ex presidente ACLI: "Bisogna distinguere convivenze etero e gay. E poi basta il riconoscimento privatistico dei diritti senza troppe bandiere". Ricordiamo a quei politici che vivono il loro cattolicesimo, in quanto ad idee e valori, in modo disinvolto e che sono a favore del riconoscimento delle unioni civili anche solo per gli eterosessuali, oppure a favore del riconoscimento di singoli diritti dei conviventi, che queste posizioni non solo sono condannate dalla Chiesa (v. Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n. 81; Pio XI, Casti Connubii, Introduzione: "la legittima autorità ha diritto e dovere di frenare, impedire e punire questi turpi connubii, contrari a ragione e a natura" testo che non è andato in prescrizione), ma - a parte qualche eccezione - non sono neppure accettate dal nostro ordinamento giuridico. Infatti, almeno sulla carta, il nostro ordinamento privilegia l'istituto del matrimonio perché unica relazione che arricchisce la società e di conseguenza fa di tutto o dovrebbe fare di tutto per scoraggiare forme di convivenza che impoveriscono il bene comune perché intessute di mero affetto senza doveri giuridici. Da qui il rifiuto, nella maggioranza dei casi, di assegnare anche diritti ai singoli conviventi, che non siano ovviamente quelli fondamentali pertinenti alla persona umana in quanto tale, perché sarebbe un incentivo alla convivenza non matrimoniale.
Il meglio sul tema delle unioni civili lo dà però Sandro Bondi intervistato dalla Stampa: "Dobbiamo liberarci anche noi cattolici di un certo bigottismo che, specialmente sulla bioetica e i diritti civili, rischia di immiserire il valore della fede e di avvolgere in un'atmosfera di arretratezza la società italiana. […] Sui questi temi dobbiamo dire basta all'estremismo dottrinario e culturale di alcune posizioni religiose o ateo-devote che finiscono per diventare disumane".
Le verità dogmatiche di Papa Bondi sono a tutto campo e non riguardano solo i temi sociali e politici: "La Chiesa stessa fa fatica a comprendere la modernità e a entrare in una viva comprensione della vita degli uomini proprio perché alcuni istituti, come quello del celibato dei sacerdoti, impediscono di essere calati profondamente nella realtà della vita". Non solo Papa, ma anche profeta: "Quanto al ruolo delle donne, sono certo che non ora ma nel futuro la Chiesa cattolica comprenderà che ricchezza sarà integrare le donne nel sacerdozio e nell'episcopato". In merito al divieto per i divorziati risposati di accostarsi alla comunione il divorziato Bondi infine non ha dubbi: "E' una regola che appare di giorno in giorno più assurda e assolutamente contraria a ogni principio di umanità cristiana".
L'on. Bondi tratta la Chiesa o come un partito politico il quale, vivendo di consensi della base, deve intercettare i suoi umori e accondiscendere ad essi. Oppure come un'azienda in cui all'entrata c'è una cassetta dei suggerimenti. Anzi, egli pare andare oltre il puro consiglio disinteressato, visto il tono assertivo che usa e che per paradosso critica quando è invece adoperato dal Magistero. Bondi propone il meglio proprio in merito a quei temi su cui Nostro Signore e poi la Chiesa, già da tempo immemore, proposero l'ottimo alle coscienze dei credenti.
L'approccio di Bondi è rivelatore di una mutazione genetica del "cattolico" liberal-progressista: una volta per smarcarsi dalla Chiesa ci si appellava alla coscienza. Ora dal foro interno si è passati a quello pubblico, non solo perché si propalano idee non ortodosse sui media, ma anche perché si vorrebbe che tali idee diventassero leggi dello Stato.
Il padre nobile di tutte queste uscite scanzonate è Aldo Moro che il 5 novembre del 1946, in seno all'assemblea costituente, così si espresse sulle unioni di fatto: "Pur essendo molto caro ai democristiani il concetto del vincolo sacramentale nella famiglia, questo non impedisce di raffigurare anche una famiglia, comunque costituita, come una società che, presentando determinati caratteri di stabilità e di funzionalità umana, possa inserirsi nella vita sociale. Mettendo da parte il vincolo sacramentale, si può raffigurare la famiglia nella sua struttura come una società complessa non soltanto di interessi e di affetti, ma soprattutto dotata di una propria consistenza che trascende i vincoli che possono solo temporaneamente tenere unite due persone". Tradotto: non esiste solo la famiglia fondata sul matrimonio, ma anche altre famiglie di fatto.
A margine ricordiamo due cosette. Primo: i cattolici hanno il dovere di obbedire alle indicazioni vincolanti della Chiesa sui temi di morale e fede ("tutti sono tenuti a evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria", Codice di Diritto Canonico, Can. 750): il cattolico è colui che crede nelle cose a cui la Chiesa propone di credere e tenta con tutto se stesso di metterle in pratica. Seconda cosetta: come recita sempre il Codice di Diritto Canonico, "vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa" (Can. 751). E parlando di dubbi ce ne viene uno anche a noi: i politici di cui sopra sono dunque cattolici o eretici?

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 30/12/2013

6 - CINQUE TESTIMONI DEL 2013 DA NON DIMENTICARE
Cristiani perseguitati anche fino al martirio: dal Pakistan islamico alla Cina comunista, dalla Siria devastata dalla guerra fino alla laicissima Francia
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi, 26/12/2013

Rimsha Masih, Sarkis el Zakhm, monsignor Ma Daqin, Franck Talleu, Asia Bibi. Dal Pakistan estremista alla Cina comunista, dalla Siria devastata dalla guerra e dai terroristi fino alla laicissima Francia: cinque uomini e donne, sacerdoti e laici, perseguitati per la loro fede fino al martirio ai giorni nostri, cinque storie emblematiche che raccontano come il cristianesimo sia ancora sotto attacco, proprio come nei primi secoli, ma anche cinque testimonianze raccontate quest'anno da tempi.it di fede luminosa, riassumibili nelle ultime parole pronunciate in vita dal siriano Sarkis, prima di essere ucciso da chi voleva convertirlo all'islam: «Sono cristiano e se volete uccidermi per questo, fatelo».

1) RIMSHA MASIH (Pakistan)
Rimsha Masih stava giocando come tutti i giorni in strada davanti a casa sua nel villaggio di Mehrabadi, alle porte della capitale pakistana Islamabad, quando alcuni vicini l'hanno accusata di blasfemia per avere bruciato 10 pagine di un libro islamico, il Noorani Qaida, usato per imparare le basi dell'arabo e del Corano. Era il 16 agosto del 2012 e la cristiana di 14 anni, analfabeta e disabile mentale, non poteva immaginare che il giorno dopo folle di estremisti islamici avrebbero attaccato la sua famiglia e il quartiere cristiano costringendo 300 famiglie a fuggire.
Arrestata dalla polizia e rinchiusa nel carcere minorile di Rawalpindi, la giovane cristiana, come prevede la legge sulla blasfemia, ha rischiato la condanna a morte. Ma per la prima volta nella storia del Pakistan, la storia ha avuto un esito diverso. Invece che essere uccisa prima della fine del processo, Rimsha è stata giudicata e prosciolta da tutte le accuse.
Di più, il suo accusatore è stato condannato per aver fabbricato ad arte le "prove" e la comunità musulmana si è schierata con la giovane cristiana. Il 15 gennaio 2013 la Corte suprema del Pakistan ha riconosciuto in via definitiva l'innocenza di Rimsha, dimostrando a tutto il paese il modo strumentale in cui la legge sulla blasfemia viene usata per colpire i cristiani. Oggi Rimsha vive con la sua famiglia in Canada, perché in Pakistan rischierebbe ogni giorno la vita.

2) SARKIS EL ZAKHM (Siria)
«Sono cristiano e se volete uccidermi per questo, fatelo». Sono le ultime parole pronunciate da Sarkis el Zakhm prima di essere freddato dai terroristi legati ad al Qaeda di Jabhat al Nusra. Sarkis è stato ucciso «in odium fidei» insieme a Mikhael Taalab e Antoun Taalab, a Maloula in Siria, e la Chiesa ne ha chiesto la canonizzazione per martirio.
Lo scorso 4 settembre i terroristi islamici, che da quasi tre anni combattono il regime di Bashar Al Assad, hanno conquistato il villaggio di Maloula, incastonato tra due colossi di roccia, ritenuto la culla della cristianità siriana anche perché i suoi abitanti parlano ancora un "dialetto siriaco" molto simile, se non identico, al dialetto aramaico che parlavano Gesù e i primi cristiani.
Sarkis si è svegliato come tutta la città al mattino per gli spari e per gli islamisti che gridavano «Allahu Akbar», Dio è il più grande. I terroristi hanno buttato giù la porta di casa sua e hanno urlato: «Venite fuori e state tranquilli». Sarkis, insieme a Mikhael e Antoun, è uscito e ha fatto la sua professione di fede prima di essere ucciso come tanti altri cristiani in tutta la Siria a sangue freddo dai ribelli, che poi sono entrati in casa sparando e lanciando una bomba a mano.
La sorella di Antoun si è salvata ed è riuscita a recuperare i corpi dei tre cattolici, ai cui funerali nella cattedrale greco-cattolica di Damasco hanno partecipato centinaia di persone, «una via crucis immensa».

3) MA DAQIN (Cina)
Il 7 luglio 2013 doveva essere un giorno di festa per Taddeo Ma Daqin. Il giovane sacerdote, infatti, è stato consacrato vescovo ausiliare di Shanghai. Ma durante l'omelia, Ma ha deciso di annunciare davanti a tutti i fedeli che avrebbe abbandonato l'Associazione Patriottica, un surrogato della Chiesa cattolica creato dal Partito comunista cinese in opposizione al Papa e a Roma.
Queste le parole che sono costate a monsignor Ma l'inizio di un calvario che dura ancora oggi: «Con questa ordinazione, io consacro il mio cuore e la mia anima al ministero episcopale e all'evangelizzazione. Voglio dedicarmi ad assistere il vescovo [Jin Luxian, allora 96enne, oggi deceduto, ndr] e per questo ci sono alcune posizioni che mantengo e che risulterebbero sconvenienti. Da oggi in poi, dunque, non sarò più membro dell'Associazione patriottica».
Alla fine dell'ordinazione, la polizia ha aspettato il vescovo fuori dalla chiesa e l'ha arrestato portandolo nel monastero di Sheshan «per riposare». Per punirlo di essersi opposto al partito, la polizia l'ha privato della possibilità di uscire in pubblico e dire Messa per due anni. Infine, gli hanno anche revocato il titolo di vescovo, che resta però valido per la Chiesa Cattolica.
Sabato 27 aprile, Jin Luxian è morto e monsignor Ma è diventato il legittimo vescovo di Shanghai. Ma il partito comunista lo tiene ancora in prigione «per partecipare a dei "corsi di studio"» perché lui non ha voluto rinnegare il Papa come centinaia di altri sacerdoti cinesi. Da allora, le poche notizie che si hanno di lui si limitano a qualche articolo sulla natura pubblicato sul suo blog su internet.

4) FRANCK TALLEU (Francia)
Franck Talleu è francese e come in altri paesi europei anche in Francia non esiste la persecuzione violenta dei cristiani, ma una molto più sottile che vuole impedire loro di intervenire ed esprimersi pubblicamente nella società. Al contrario degli altri casi riportati, Franck non è stato minacciato di morte, né messo in prigione. Non a lungo, almeno.
Il direttore dell'Insegnamento cattolico a Soissons, Laon e Saint-Quentin lo scorso 1 aprile sfruttando la bella giornata è andato insieme alla moglie e ai sei figli a fare un pic-nic pasquale ai giardini del Lussemburgo. Ad aprile la società era pervasa dal dibattito sul matrimonio gay, poi approvato dal governo Hollande, e Franck portava la felpa della Manif pour tous, che rappresenta senza slogan un uomo, una donna e due bambini che si tengono per mano.
Le guardie che proteggono il Senato, che si trova vicino ai giardini, hanno avvicinato Franck e gli hanno imposto di togliersi o coprire la maglietta «perché contraria ai buoni costumi». «Io ho chiesto spiegazioni, dicendo che non era mia intenzione provocare nessuno, anche perché non vedo niente di scioccante o provocatorio nel simbolo – ha dichiarato Franck in un'intervista a tempi.it – Allora il tono si è un po' alzato, le guardie hanno detto che avrebbero steso un verbale e io ho risposto che non avevano il diritto di farmi un verbale perché indossavo una maglia. Allora mi hanno chiesto di seguirli al posto di polizia (foto a fianco, ndr) che si trova nel bel mezzo dei giardini e là mi hanno fatto una contravvenzione».
Franck è rimasto qualche ora al commissariato, poi è stato rilasciato dopo essere stato costretto a togliersi la maglia. Come testimoniato per primo da lui «chi sottolinea il fondamento naturale della famiglia, affermando un modello preferenziale di famiglia, rischia in Francia di creare dei problemi, perché c'è chi vuole che tutti i modi di formare una coppia siano messi sullo stesso piano». Franck è stato il primo, ma in tanti sono stati tenuti anche più di 15 ore in prigione per aver sostenuto che la famiglia è formata da uomo e donna.

5) ASIA BIBI (Pakistan)
Si trova in carcere da 1.649 giorni Asia Bibi. Anche lei cristiana, anche lei pakistana, anche lei accusata di blasfemia come Rimsha. La madre di 49 anni è colpevole di aver bevuto nel giugno 2009 nella stessa tazza di una musulmana e di aver rifiutato la conversione all'islam, chiedendo alle donne musulmane che si trovavano con lei se Maometto avesse fatto per loro la stessa cosa che ha fatto Gesù per i cristiani, morire in croce.
Per questo nel settembre 2010 Asia Bibi è stata condannata a morte e oggi aspetta ancora il processo di appello nel carcere femminile di Multan, lontana ore di viaggio da casa sua. Una Ong che segue la sua situazione giudiziaria ha reso note queste parole pronunciate dalla donna a giugno 2013: «Ho sacrificato la mia vita per seguire Gesù Cristo. Credo in Dio e nel suo grande amore e sono orgogliosa di sacrificarmi e passare la mia vita in prigione, come cristiana, piuttosto che convertirmi a un'altra religione in cambio della libertà».
Asia Bibi, oggi, potrebbe già essere fuori dal carcere prosciolta da ogni accusa. L'ha scritto lei stessa in una lettera, dando ulteriore testimonianza del suo coraggio e della sua fede: «Un giudice, l'onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha of­ferto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all'islam. Io l'ho rin­graziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta one­stà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musul­mana. "Sono stata condannata perché cristiana – gli ho detto –. Credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui"».

Fonte: Tempi, 26/12/2013

7 - LETTERE ALLA REDAZIONE: MI SONO CANCELLATO DALLA VOSTRA NEWSLETTER PERCHE' SIETE BIGOTTI ED EGOISTI
Sono cattolico praticante e favorevole al matrimonio gay: Cristo ci ha insegnato la libertà! Chi siamo noi per giudicare?
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie, 20 agosto 2013

Spettabile redazione,
vorrei spiegarvi perché mi sono cancellato dalla vostra newsletter.
Mi sono cancellato perché siete bigotti ed egoisti. Io sono un cristiano cattolico credente e praticante, ho un lungo passato in Azione Cattolica da catechista e animatore, ho passato anni coi bambini cercando di aiutarli a crescere cristianamente ma senza MAI mettere in discussione l'amore di Dio verso tutti, gay e lesbiche incluse. Che sono esseri umani come tutti gli altri, giusti e peccatori, credenti o laici...di certo meno fortunati della maggior parte per non avere la prospettiva della maternità e della paternità.
Che la Chiesa abbia le sue regole e non ammetta al suo interno matrimoni che non siano fra Uomo e Donna siamo tutti d'accordo, ma perché pure la società laica dovrebbe fare altrettanto? Su che basi? Perché il vostro amore deve essere considerato un prodotto superiore? Dove sta scritto? Perché non devono avere gli stessi diritti sociali di una coppia eterosessuale? Per quale motivo una coppia di gay non dovrebbe avere diritto a sentirsi e vedersi unita legalmente davanti allo Stato? Ma stiamo scherzando? Ho più amici gay che hanno un cervello e un cuore talmente immenso che la maggior parte dei cristiani "eccellenti" che conosco dovrebbero solo impallidire. Ma veramente credete che il Padre la pensi così? Cristo ci ha insegnato la Libertà signori!!! davvero De Andrè aveva ragione quando cantava che "lo sanno a memoria il diritto divino e scordane sempre il perdono"...che poi gay e lesbiche avranno da chieder perdono a tutti ma non certo a noi!
Poi la questione delle adozioni è tutta un'altra storia, evitiamo di tirarla in mezzo col dire "tanto ci si arriverà" perché è vile e ipocrita. La maternità non è un diritto, è un'opportunità. Per tutti.
Per di più parlare di questi argomenti proprio in questi mesi in cui la politica cerca di dare risposte alle esigenze di una parte consistente di popolazione puzza talmente di propaganda che la cancellazione dalla vostra newsletter è il minimo che possa fare.
Cordiali saluti.
Sandro

Gentile Sandro,
grazie innanzitutto per la sua mail che ci dà la possibilità di spiegare meglio alcuni concetti.
Lei inizia con il dire: "Mi sono cancellato perché siete bigotti ed egoisti. Io sono un cristiano cattolico credente e praticante [...] ma senza MAI mettere in discussione l'amore di Dio verso tutti, gay e lesbiche incluse. Che sono esseri umani come tutti gli altri...".
Siamo sinceramente stupiti delle accuse che ci rivolge.
Mai abbiamo messo in dubbio l'amore di Dio per ciascuna creatura, né la dignità e il valore che ogni essere umano possiede in virtù del dono della vita che viene da Lui.
Di certo saprà che esiste un Magistero della Chiesa molto preciso, che invita a distinguere l'accoglienza dovuta ad ogni persona dalla Verità della dottrina e di un diritto naturale che non ci appartengono e di cui non possiamo disporre.
Per sua comodità le riportiamo le parole del Catechismo della Chiesa Cattolica, recentemente citato da Papa Francesco nel viaggio di ritorno dal Brasile rispondendo alle domande dei giornalisti. Le televisioni hanno riportato solo la frase "Chi sono io per giudicare", ma il Papa poco prima aveva citato proprio il Catechismo. Ecco cosa c'è scritto sul Catechismo (nn. 2357-2359): "L'omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un'attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all'atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati. Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione. Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana".
Ma lei poi continua la sua mail dicendo: "Che la Chiesa abbia le sue regole e non ammetta al suo interno matrimoni che non siano fra Uomo e Donna siamo tutti d'accordo, ma perché pure la società laica dovrebbe fare altrettanto? [...] Per quale motivo una coppia di gay non dovrebbe avere diritto a sentirsi e vedersi unita legalmente davanti allo Stato?"
Purtroppo non è così scontato - come invece lei afferma - che presto anche le chiese non saranno trascinate in tribunale perché accusate di non celebrare matrimoni gay (ci permettiamo di segnalare che in Inghilterra proprio questo mese un omosessuale ha vinto una causa civile per costringere una chiesa a celebrare il suo "matrimonio" gay...).
Detto questo, le motivazioni per cui il riconoscimento delle unioni omosessuali anche da parte del diritto civile, non sono solo di tipo religioso, ma prima di tutto razionale poiché provenienti dal diritto naturale (cioè nella natura umana).
Gli omosessuali come individui già hanno tutti i diritti civili di chiunque altro, proprio perché per adesso non esistono diritti dipendenti dalla tendenza sessuale (cosa che presto non sarà più vera, se verrà approvata la legge antiomofobia).
Ma il riconoscimento del loro "matrimonio" è altra cosa. Il matrimonio non è un'invenzione umana: lo stato riconosce nella coppia, come unione sponsale di uomo e donna, un dato ad esso preesistente (derivante appunto dalla natura umana), di cui non può disporre.
Il matrimonio riconosciuto dallo stato (e come tale riconosciuto ad esempio dalla Costituzione Italiana che riconosce il matrimonio come realtà preesistente allo stato) deriva da un concetto di matrimonio naturale che esiste da molto prima dell'istituzione del matrimonio cristiano, e che accorda al matrimonio e alla famiglia un valore sociale da riconoscere.
Inoltre il matrimonio, dal punto di vista della società civile, non c'entra nulla con l'amore (nessun prete, ma anche nessun sindaco prima di sposarla le chiederà se ama quella donna accanto a Lei). Ciò che conta è l'impegno di formare una famiglia. Ciascuno è e sarà sempre libero di vivere i propri sentimenti e la propria sessualità come preferisce (in un paese libero), ma il riconoscimento civile è altra cosa.
Se uniti da un rapporto sentimentale, gay ed eterosessuali possono - con i mezzi messi a disposizione nella libertà negoziale privata - assicurarsi diritti analoghi a quelli dei coniugi sposati civilmente. Il motivo per cui si richiede il riconoscimento ufficiale non fa parte di una conquista dei diritti civili è una battaglia ideologica che punta alla funzione che la legge ha nel promuovere un cambiamento...
Lei sa benissimo che, dove istituiti, i registri per le unioni civili (aperti anche ai gay) non hanno avuto che pochissime adesioni. questo dimostra che il matrimonio non è un bisogno profondo delle coppie gay, non più di tanti altri sogni che appartengono a tutti noi.
La lotta politica in corso mira invece a scardinare l'assetto naturale della nostra società, tanto è vero che molte associazioni gay si sono dissociate - in Francia ad esempio - da tali rivendicazioni.
Lei scrive: "Ho più amici gay che hanno un cervello e un cuore talmente immenso che la maggior parte dei cristiani "eccellenti" che conosco dovrebbero solo impallidire. Ma veramente credete che il Padre la pensi così? Cristo ci ha insegnato la Libertà signori!!! davvero De Andrè aveva ragione quando cantava che "lo sanno a memoria il diritto divino e scordane sempre il perdono"...che poi gay e lesbiche avranno da chieder perdono a tutti ma non certo a noi!"
Per quanto riguarda il perdono auspicato da De André (!), mai la nostra azione di informazione ci ha spinto a giudicare le persone dalla loro tendenza sessuale piuttosto che dal loro cervello o cuore, e men che meno a perdonare o condannare le anime.
Tale ambito rientra nel foro interno di ciascuno e nella dottrina sulla confessione.
Noi cerchiamo di fare controinformazione per favorire un giudizio libero dalla cultura dominante. Se pubblichiamo gli articoli, lo facciamo proprio per amore dell'uomo, e per non chiudere gli occhi davanti all'errore.
La libertà insegnata da Cristo ha un limite oggettivo, non imposto. Non è Dio che limita la nostra libertà, ma Egli ci ha indicato chiaramente quali siano le conseguenze delle nostre libere scelte.... questo forse è un limite interessante per il nostro bene eterno.
Lei poi prosegue dicendo: "Poi la questione delle adozioni è tutta un'altra storia, evitiamo di tirarla in mezzo col dire tanto ci si arriverà perché è vile e ipocrita. La maternità non è un diritto, è un'opportunità. Per tutti".
Anche qui lei si sbaglia, purtroppo. In Francia, dopo la legge contro l'omofobia, è venuto il riconoscimento delle coppie omosessuali e poi le adozioni...non crediamo che affermare un fatto incontrovertibile e certo sia vile e ipocrita.
Per il resto, sinceramente non capiamo il riferimento alla maternità come opportunità per tutti... Non siamo certo noi che priviamo gli omosessuali della possibilità di diventare genitori, dato che questa opportunità è la natura a negarla.
Del resto è ben noto che la maternità omosessuale è oggigiorno possibile solo attraverso pratiche che prevedono l'uso (abuso?) di un corpo estraneo alla coppia (utero o seme), uso del corpo separato dalla sessualità (e quindi contrario alla dignità umana) e purtroppo spesso oggetto di mercato se non anche di sfruttamento.
La sua conclusione ci pare affrettata. Lei scrive: "Per di più parlare di questi argomenti proprio in questi mesi in cui la politica cerca di dare risposte alle esigenze di una parte consistente di popolazione puzza talmente di propaganda che la cancellazione dalla vostra newsletter è il minimo che possa fare".
A questa insinuazione, ci permettiamo di rispondere segnalandole un documento di dieci anni fa: "Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali", che è stato pubblicato il 31 luglio 2003 a firma del Prefetto Card. Joseph Ratzinger e del Segretario Mons. Angelo Amato, e approvato esplicitamente dal Beato Giovanni Paolo II.
E' a tutti gli effetti un atto di Magistero pontificio, e almeno per la data siamo certi che non possa essere accusato di propaganda politica.
Ci spiace molto che il nostro sito non incontri più il suo gradimento. Il nostro è un servizio completamente gratuito che viene offerto a chi lo desidera e quindi sono senza dubbio libere l'adesione così come la cancellazione, qualora qualcuno ritenga che la linea editoriale non corrisponda più al suo personale sentire.
Ci permettiamo però di farle altresì notare, visto che si è definito cattolico, che i punti su cui ha ritenuto di farci pervenire le sue critiche si riferiscono a questioni precise su cui il Magistero della Chiesa (con il sopra citato documento) e il Catechismo della Chiesa Cattolica hanno dato delle risposte difformi dal suo pensiero. Forse, da cattolico, più che prendersela con noi, dovrebbe riflettere su questi autorevoli interventi e comportarsi di conseguenza.

DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE"
Le risposte del direttore ai lettori

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Fonte: Redazione di BastaBugie, 20 agosto 2013

8 - OMELIA II DOMENICA DI NATALE - ANNO A - (Gv 1,1-18)
La grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo
Autore: Padre Gabriele Pellettieri - Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 05/01/2014)

La Liturgia di questa domenica è una prolungata riflessione sul mistero ineffabile della nascita di Gesù. La Chiesa oggi ci invita a tornare ancora una volta alla grotta di Betlemme per contemplare con occhi di fede il mistero mirabile di quel Bambino. Sotto i segni della sua umanità umile, fragile, povera, noi riconosciamo lo splendore della divinità del Figlio di Dio.
Le letture bibliche della Messa esprimono senza equivoci la certezza che Gesù è realmente Figlio di Dio. L'apostolo Giovanni, nella splendida pagina del Vangelo odierno, presenta Gesù come il "Verbo" o la "Parola" del Padre. In una sintesi stupenda ma anche in modo profondo, afferma: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio" (Gv 1,1). Il Verbo, dunque, è il Figlio di Dio, è Dio stesso, in tutto uguale al Padre; sempre presente nella sua mente, ne condivide in pienezza la sua divinità e in Lui trova tutta la compiacenza di amore e di vita. Dio ha compiuto ogni cosa per mezzo del suo Verbo e, nella pienezza dei tempi, compirà l'opera più grande: la Redenzione degli uomini. Con ispirate parole, così l'Apostolo prediletto di Gesù descrive il punto culminante del suo Vangelo e di tutta la storia della salvezza: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (ivi, 14). Il Verbo, inviato dal Padre, entra finalmente nel tempo, viene ad abitare in mezzo a noi e assume la nostra natura umana per comunicare all'uomo l'intimità della sua natura divina.
Oggi, però, sono in tanti a non credere nella divinità di Gesù. Anche tra i cristiani vi sono di quelli che affermano che Cristo è solo un uomo. Lo considerano un grande sapiente, un profeta che ha compiuto strepitosi prodigi, ma nulla di più. E' una tentazione sottile che oggi serpeggia nel cuore di molti. Questi non hanno ancora compreso che se Gesù fosse soltanto un uomo, non sarebbe diverso dai fondatori di altre religioni; non potrebbe essere, perciò, il fondatore della vera religione, né il nostro Salvatore. Un uomo, anche se il più sapiente di questo mondo, non può salvare l'uomo dai peccati, né garantirgli la vita eterna. Solo Gesù può salvarci, perché solo Lui è Dio. Dalla stupenda pagina del Vangelo odierno, l'apostolo san Giovanni ci offre una prova inconfutabile della divinità di Gesù. Egli è stato, insieme agli altri apostoli, un testimone oculare della vita pubblica di Gesù: ha condiviso con il Maestro divino fame, freddo, gioie, sofferenze; ha visto la potenza dei miracoli da Lui compiuti, la sapienza dei suoi insegnamenti, soprattutto le sue apparizioni da risorto e non esita a proclamarne la divinità. Oggi l'apostolo Paolo ci invita a pregare perché, come leggiamo oggi nella seconda lettura, "il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui" (Ef 1,17).
Ma la rivelazione di questo grande mistero non si ferma sul piano della conoscenza, è bensì finalizzata a coinvolgere gli uomini a partecipare della stessa vita divina di Gesù. Ecco, in definitiva, la ragione ultima della venuta di Dio in mezzo a noi e di tutto il mistero della salvezza: rendere l'uomo figlio di Dio. E' questa l'incredibile realtà realizzata da Dio per amore dell'uomo! San Giovanni l'afferma chiaramente nel Vangelo di oggi: "A coloro però che l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio" (ivi, 12); ed è quanto anche l'apostolo Paolo asserisce, ricordandoci l'eccelsa vocazione e la sublime dignità a cui siamo stati chiamati: In Gesù "siamo stati scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù" (Ef 1,4-5).
Molti cristiani, purtroppo, ignorano questa straordinaria realtà, non sanno di aver ricevuto da Gesù il grande dono di essere figli di Dio. E' nostro dovere, perciò, conoscere più a fondo questa verità, ricordandoci che non c'è al mondo dignità più sublime di questa, né Dio stesso poteva elevarci a una più grande. Anche san Pio da Pieitralcina, in un suo scritto, ci parla della straordinaria grandezza e dignità che derivano dall'essere cristiani: "Sì, il cristiano nel battesimo risorge in Gesù, viene sollevato ad una vita soprannaturale, acquista la bella speranza di sedere glorioso sopra trono celeste. Quale dignità!" (Epistolario II, p.229). Esortati dalle parole del nostro Santo, impegniamoci non solo a riflettere spesso sull'eccelsa dignità di essere figli di Dio e, quindi, partecipi della sua vita divina ed eredi delle sue eterne promesse, ma soprattutto a vivere in maniera conforme a questa vocazione, aspirando continuamente alla Patria Celeste, tenendo il nostro cuore distaccato dalle realtà di questo mondo e rinunziando per sempre a ogni forma di peccato che avvilisce e distrugge la nostra dignità di figli di Dio.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 05/01/2014)

9 - OMELIA EPIFANIA DEL SIGNORE - ANNO A - (Mt 2,1-12)
Prostratisi lo adorarono
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 06/01/2014)

Oggi è la solennità dell'Epifania. La parola "Epifania" significa "manifestazione": in Cristo, luce del mondo, il Padre Celeste rivela ai popoli il mistero della salvezza. A Betlemme, quando Gesù nacque, accorsero gli umili pastori, avvisati dagli angeli del Cielo; ora, guidati da una stella misteriosa, giungono i Magi. La riflessione che viene spontanea è quella che Dio sceglie di preferenza gli ultimi. Prima scelse i pastori che erano le persone tra le più disprezzate dal popolo; dopo chiamò addirittura dei pagani, persone che comunque cercavano sinceramente la Verità. Tutti gli altri rimasero indifferenti a quella Nascita che segnò una svolta nella storia dell'umanità.
Chi erano i Magi? Prima di tutto, bisogna dire che non erano dei re. Il testo del Vangelo non fa nessun riferimento a un loro eventuale potere regale. Antiche fonti storiche ci dicono che i Magi erano una casta di sapienti di origine persiana i quali, a motivo della loro sapienza, avevano comunque un ruolo importante nella religione e nella politica del loro antico paese. Non si sa quanti furono quelli che vennero a Betlemme. Il brano evangelico non ci dice che erano tre; si pensa che fossero stati tre in base ai doni che lasciarono al Bambino Gesù.
I Magi furono condotti a Betlemme da una misteriosa stella sorta all'orizzonte. Secondo l'antica tradizione persiana, doveva venire in questo mondo un "Soccorritore", il quale avrebbe portato la definitiva perfezione. La sua venuta sarebbe stata indicata da un segno luminoso su nel cielo. Dio si servì di questo antico racconto, che si tramandava di generazione in generazione, per condurre quegli uomini saggi e retti a trovare finalmente la Verità che cercavano tanto ansiosamente. Il Signore, in qualche modo, si adattò alla loro mentalità e li ispirò interiormente ad intraprendere quel lungo viaggio. D'altra parte, c'è anche da dire che era ormai da secoli, dai tempi del re Ciro, che gli ebrei erano entrati in contatto con i persiani, ed era molto probabile che i Magi conoscessero le profezie riguardanti il Messia, in modo particolare quella della stella: «Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17).
Giunti a Gerusalemme, i Magi chiesero dov'era Colui che era nato, il re dei Giudei. Il re Erode ne rimase turbato profondamente e si informò dai capi dei sacerdoti e dagli scribi ove doveva nascere il Messia. Saputo che Egli doveva nascere a Betlemme, vi mandò allora i Magi affinché si informassero accuratamente del Bambino. Il suo intento era quello di ucciderlo, ma, pur di conoscerlo, finse di volergli rendere onore. Ignari di questo inganno, i Magi si recarono a Betlemme guidati dalla misteriosa stella. Il Vangelo dice che, al vedere la stella, i Magi «provarono una gioia grandissima». È la gioia che provano tutti quelli che, nella loro vita, trovano Gesù. Solo Lui ci può rendere felici. Tutto il resto ci lascerà sempre con il cuore arido, riarso dalla sete. I Magi trovarono Gesù «con Maria sua madre». Ed è sempre così: chi trova Maria, trova Gesù. È più facile dividere la luce dal calore, piuttosto che separare la Madre dal Figlio. Lei è la stella che guida i nostri passi incontro al Signore. Seguendo Lei non possiamo sbagliare e giungeremo al porto sospirato della salvezza.
Il grande san Bernardo paragona la Madonna a una stella, e così scrive in una sua celebre Omelia: «O tu che nelle vicissitudini della vita, più che di camminare per terra hai l'impressione di essere sballottato tra tempeste e uragani, se non vuoi finire travolto dall'infuriare dei flutti, non distogliere lo sguardo dal chiarore di questa stella! Se insorgono i venti delle tentazioni, se ti imbatti negli scogli delle tribolazioni, guarda la stella, invoca Maria».
I Magi allora, entrati nella casa, adorarono il Bambino Gesù e gli donarono «oro, incenso e mirra». Questi sono doni profetici. L'oro simboleggia la Regalità di Gesù, l'incenso la sua Divinità, e la mirra la sua Passione dolorosa per mezzo della quale sarebbe poi culminata la salvezza del mondo. Anche noi, in qualche modo, dobbiamo offrire a Gesù questi tre doni. L'oro simboleggerà la nostra carità; l'incenso la nostra preghiera; infine, la mirra rappresenterà l'offerta dei nostri sacrifici quotidiani, dei nostri fioretti.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per il 06/01/2014)

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