BastaBugie n�391 del 04 marzo 2015

Stampa ArticoloStampa


1 GLI INSEGNANTI DEI NOSTRI FIGLI LI SCEGLIAMO NOI
Intervista alla coordinatrice di Alleanza Parentale, una iniziativa di un gruppo di genitori di Staggia Senese
Autore: Costanza Signorelli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 BRUXELLES, CAPITALE D'EUROPA E DEL MULTICULTURALISMO, DOVE ORMAI L'ISLAM E' LA PRIMA RELIGIONE DEL PAESE
Nel Belgio, patria dei suicidi, il cristianesimo si sta spegnendo e a un gaio nichilismo subentra il jihad
Autore: Giulio Meotti - Fonte: Il Foglio quotidiano
3 QUATTRO GRAVI ERRORI CHE HO COMMESSO COME MOGLIE
Oggi sono la ex e condivido la mia esperienza per evitare che facciate gli stessi sbagli
Fonte: Aleteia
4 LA CRISI GRECA SI RISOLVE SOLO CON MENO STATO
Come si è arrivati allo sfascio e perché Tsipras non è la soluzione
Autore: Maurizio Milano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
5 QUANDO LENIN IMPOSE AGLI ORTODOSSI LA DECISIONE DI UN PAPA
Il motivo? Semplice: come sempre la Chiesa Cattolica stava dalla parte della scienza, mentre i non cattolici la rifiutavano
Autore: Vittorio Messori - Fonte: Il Timone
6 SAN PIER DAMIANI DENUNCIA L'OMOSESSUALITA' COME IL PECCATO PIU' GRAVE
Nel Liber Gomorrhianus (recentemente pubblicato), senza falsa misericordia né compromessi, è convinto che il peccato contro natura vada immediatamente fermato con pugno di ferro
Autore: Roberto De Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana
7 I MONDIALI DI CALCIO IN QATAR SARANNO A RIDOSSO DEL NATALE: ANCHE QUI L'ISLAM DETTA LEGGE
In primavera gli sceicchi musulmani non lo vogliono perché nel 2022 il ramadan cade ad aprile... e chissenefrega dei cristiani
Autore: Luigi Santambrogio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
8 LETTERE ALLA REDAZIONE: SCONSIGLIATO PRENDERSI PER MANO DURANTE IL PADRE NOSTRO
Spiace constatare la vaghezza di alcune norme liturgiche attualmente in vigore
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie
9 OMELIA III DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B (Gv 2,13-25)
Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - GLI INSEGNANTI DEI NOSTRI FIGLI LI SCEGLIAMO NOI
Intervista alla coordinatrice di Alleanza Parentale, una iniziativa di un gruppo di genitori di Staggia Senese
Autore: Costanza Signorelli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26/02/2015

È ancora possibile oggi parlare di libertà di educazione? In una realtà dove lo Stato prepotente si è preso il monopolio dell'istruzione e la scuola paritaria rischia di essere ridotta, suo malgrado, ad una fotocopia sbiadita e costosa della formula pubblica, c'è ancora spazio per i genitori che desiderano essere i protagonisti dell'educazione dei propri figli? Esiste una possibilità perché mamme e papà si riapproprino del "diritto e dovere di educare e istruire", senza stare a guardare impotenti il cocktail letale che lo Stato somministra ai propri pargoli? Leggasi da ultimo, l'imminente obbligo ministeriale all'insegnamento delle teorie gender nelle scuole di ogni ordine e grado. È tutto già scritto? Ai genitori non rimane che il compito di tamponare e arginare - se va bene - i danni della mala educación scolastica?
Non esageriamo nel denunciare la deriva del sistema scolastico pubblico, cosi come non sono retorica le nostre domande. Questi stessi interrogativi animano la mente e il cuore di molti genitori, tutti quei genitori che desiderano educare i propri figli secondo i sani principi della nostra tradizione: l'amore incondizionato per la vita, dall'inizio alla fine; il valore della famiglia, una e indivisibile; il senso del bene, del vero e del bello. Ma si scontrano con una Scuola che, sempre più, li tradisce e li ostacola. Se molti di loro, per come possono, cercano di darvi una risposta, alcuni hanno deciso di farlo in un modo davvero speciale.
È quanto sta accadendo a Staggia Senese, un paesello di poco più di tremila anime in provincia di Siena (Toscana). È qui che un gruppo di mamme e papà hanno capito che per avere una scuola libera-per-davvero, non gli rimaneva che farsela da sé. Nasce così la Scuola Parentale di Staggia Senese, una scuola che si ispira al modello di Home-schooling nato in America una trentina di anni fa. Questa esperienza, in verità, non è che l'inizio di un'onda che sta coprendo tutte le regioni d'Italia, con una serie d'iniziative destinate a moltiplicarsi assai rapidamente. Il motivo? Lo ha detto in modo molto semplice Papa Francesco: "Per favore, non lasciamoci rubare l'amore per la scuola!" .
Ne abbiamo parlato con Giulia Pieragnoli, coordinatrice della Scuola Parentale di Staggia Senese.
Giulia come nasce l'idea della Scuola
a Staggia Senese?
Come gruppo di giovani genitori della nostra parrocchia, avendo ciascuno due o tre figli in età scolare, ci siamo posti la semplice domanda: dove mandiamo i nostri bambini a scuola? Desideravamo una scuola cattolica, ma soprattutto libera, cioè una scuola che ci garantisse la piena responsabilità educativa dei nostri figli. [...] In Toscana non ne esisteva ancora una, dunque ci siamo detti: perché non iniziare noi? Abbiamo chiesto la disponibilità dei locali della parrocchia al nostro parroco don Stefano Bimbi e lui si è dimostrato molto accogliente.
Cos'è l'educazione parentale?
Significa che il genitore si prende carico personalmente dell'educazione e dell'istruzione dei propri figli.
Cioè non manda i figli a scuola?
Il genitore può decidere di istruirli lui stesso a casa, oppure, come accade per la scuola parentale, può decidere di affidare l'istruzione dei figli a persone di sua fiducia, cioè gli insegnanti della nostra scuola.
Ma è legale non mandare i figli alle cosiddette "scuole dell'obbligo"?
Non solo è legale. È un diritto sancito dalla Costituzione. L'articolo 34 della Costituzione Italiana recita: "L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita". Quindi è l'istruzione ad essere obbligatoria, non la scuola. La "scuola dell'obbligo" non esiste. Inoltre l'articolo 30 dice che "è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli". Ciò significa che l'istruzione dei figli è in primis una responsabilità dei genitori, non dello Stato. In concreto, è sufficiente inoltrare una comunicazione formale e scritta alla direzione didattica di competenza in cui il singolo dichiara di prendersi carico in prima persona dell'istruzione del figlio. A quel punto la palla passa ai genitori che decidono personalmente come procedere.
Ma perché costruire una scuola parentale? Non bastava la scuola paritaria?
No, purtroppo oggi nemmeno la scuola paritaria cattolica è lasciata libera di insegnare ai bambini solo e precisamente quei principi che vogliono i genitori. [...] Invece noi, sganciandoci completamente dal sistema dello Stato, saremo veramente liberi di insegnare ciò che riteniamo positivo e di non insegnare ciò che riconosciamo come negativo per i bambini. Noi non siamo una scuola autorizzata dallo Stato proprio perché non vogliamo alcuna autorizzazione. Quello che vogliamo, al contrario, è realizzare un ambito di piena libertà di educazione in capo a genitori e insegnanti. E' questo il vero motivo per cui nasce scuola parentale: la libertà di educazione. Tutti a parole la invocano, ma poi di fatto non esiste. Nel nostro caso sì.
Parliamo della Scuola Parentale di Staggia Senese. Quali sono gli elementi di novità rispetto alle scuole che conosciamo?
Nella nostra scuola le classi saranno massimo di dieci bambini, perché crediamo sia fondamentale che gli insegnanti seguano personalmente ogni singolo alunno. Alle elementari abbiamo recuperato il vecchio e sano modello della maestra unica, la cosiddetta maestra-mamma, affinché i bambini possano avere una figura unica e stabile di riferimento. A livello didattico, non solo svolgeremo i programmi ministeriali come tutti, ma faremo molto di più.
Il nostro obiettivo è la personalizzazione del percorso educativo: i bambini non sono tutti uguali e perciò non apprendono tutti in modo uguale. Inoltre ognuno ha le sue inclinazioni e interessi per cui è giusto dare di più a chi ne ha la possibilità. Dunque la nostra scuola vede la diversità di ciascun bambino come una ricchezza e intende valorizzarla invece che livellarla, come è obbligato a fare chi si trova a insegnare in classi di 25/30 alunni.
Arricchiremo i programmi ministeriali con moltissime altre attività. C'è una mostra interessante in città? Si va. Il bambino racconta del nonno che coltiva la terra, si coglie l'occasione per una lezione nell'orto. Un genitore è esperto di musica? Si assiste insieme ad un concerto e via dicendo. Con massima libertà e in un filo diretto tra genitore e insegnante.
Come si svolge una mattinata in una scuola parentale?
La Scuola Parentale di Staggia Senese è una scuola cattolica, è per noi fondamentale iniziare la mattinata con un momento di preghiera insieme e l'ascolto di un canto sacro. Poi il tempo sarà gestito liberamente, giorno per giorno, dagli insegnanti, vale a dire: non ci sono gli schemi rigidi della campanella, il cambio d'insegnante, le materie a rotazione, l'intervallo fisso, ma sarà un tempo a misura di bambino. Se insieme ci si sta appassionando alla lettura di un racconto, non ci sarà certo la campanella e l'ingresso di una seconda maestra a interrompere l'attenzione. Sarà, per esempio, l'interesse del bambino a segnalare l'approfondimento di un dato argomento o la sua stanchezza ad indicare la necessità di una pausa, magari all'aria aperta. Il pomeriggio invece i bambini torneranno a casa dove saranno liberi di giocare, i compiti alla nostra scuola si fanno la mattina. Il fatto di avere un tempo a misura di bambino, non ha nulla a che vedere con l'improvvisazione. Tutti gli insegnanti sono preparatissimi, ma soprattutto molto appassionati allo studio e all'insegnamento.
In un ambiente così confidenziale, familiare e ristretto, non c'è il rischio che i bambini siano tenuti sotto una campana di vetro?
Questo è il punto più difficile da fare comprendere alle persone che non conoscono la realtà delle scuole parentale. Cioè, c'è la convinzione che si crei un ghetto, un ambiente ovattato e autoreferenziale e che, di conseguenza, i bambini facciano più fatica a socializzare, trovandosi poi disorientati nell'impatto con la realtà. Ecco tutto questo è assolutamente un falso mito, una leggenda. Anzi, l'esperienza che raccontano i genitori delle scuole parentali è l'esatto opposto. Tutti testimoniano una maggiore capacità di socializzazione dei propri bambini rispetto ai loro coetanei.
Perché?
Il fatto che la scuola rappresenti un contesto protetto e sicuro fa crescere l'autostima nel bambino. Lo rende più sicuro di sé. Per esempio, è difficile che nella scuola parentale si verifichino episodi di bullismo, perché i ragazzi sono seguiti personalmente anche nelle loro difficoltà e nei loro disagi. Sicché, un bambino che si sente sicuro e fa un'esperienza di relazione positiva nel piccolo, è poi portato ad aprirsi con fiducia anche in situazioni più articolate. Viceversa, il bambino che - pur in mezzo a 20 o 30 bambini - è però lasciato a se stesso ha più paura di socializzare.
Alla Scuola Parentale di Staggia Senese, cosa significa educare?
Papa Francesco, nell'incontro con il mondo della Scuola italiana, lo scorso maggio ha detto: "Amo la scuola perché ci educa al vero, al bene e al bello. Vanno insieme tutti e tre. L'educazione non può essere neutra. O è positiva o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la persona o la deprime, persino può corromperla. La missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, il senso del bene e il senso del bello. (...) La vera educazione ci fa amare la vita, ci apre alla pienezza della vita! E per favore... per favore, non lasciamoci rubare l'amore per la scuola!" Questo, per noi della Scuola Parentale di Staggia Senese, significa educare.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26/02/2015

2 - BRUXELLES, CAPITALE D'EUROPA E DEL MULTICULTURALISMO, DOVE ORMAI L'ISLAM E' LA PRIMA RELIGIONE DEL PAESE
Nel Belgio, patria dei suicidi, il cristianesimo si sta spegnendo e a un gaio nichilismo subentra il jihad
Autore: Giulio Meotti - Fonte: Il Foglio quotidiano, 06/02/2015

Era il 30 marzo 2013 e Robert Rediger all'epoca viveva a Bruxelles. Aveva voglia di un drink al bar Metropolis, capolavoro dell'art nouveau. "Passavo per caso e vidi un cartello che diceva che il bar avrebbe chiuso quella sera. Ero sbalordito. Ho chiesto ai camerieri. Hanno confermato; non conoscevano i motivi precisi della chiusura. Adesso tutto questo stava per scomparire, di colpo, nel cuore della capitale d'Europa... E' stato in quel preciso momento che ho capito: l'Europa aveva già commesso il proprio suicidio". E' a Bruxelles che Michel Houellebecq celebra la conversione all'islam di uno dei protagonisti del suo ultimo romanzo "Sottomissione".

LA CAPITALE DELLA GUERRA SANTA
Nei giorni scorsi il Belgio ha raggiunto un nuovo record: il più alto numero pro capite di combattenti islamici in Siria e Iraq rispetto a qualsiasi altro paese europeo. Bruxelles è diventata la capitale della guerra santa, oltre che dell'Unione europea.
La prima cittadina del Vecchio continente a morire sui campi di battaglia del jihad fu Muriel Degauque, una ragazza belga cattolica originaria di Charleroi, la capitale del carbone e di quel sobborgo di Marcinelle nei cui cunicoli, una mattina dell'agosto 1956, trovarono la morte oltre cento operai italiani. Muriel si convertì all'islam, cambiò il proprio nome in Myriam (un congedo dal Belgio in cui era nata e cresciuta) e trovò la morte vicino a Baghdad come bomba umana. Era il 9 novembre 2005.
Ma già nel 2001, due giorni prima dell'11 settembre, due tunisini reclutati in Belgio erano riusciti a farsi passare da giornalisti e a uccidere, facendosi esplodere, il comandante afghano Massoud, nemico di al Qaida e dei talebani
La scoperta del ruolo centrale del Belgio nello scacchiere del terrorismo è casuale: tutto inizia nel marzo 2004, quando la polizia olandese ferma un panettiere belga, Khalid Bouloudo, per un faro dell'auto rotto. Contro di lui c'è un mandato d'arresto internazionale che lo accusa di essere coinvolto negli attentati di Casablanca. E' l'operazione "Asparagi", prodotto tipico della città fiamminga di Maaseik, dove risiede Bouloudo.
Tra gli arrestati Hassan el Haski, mente degli attentati di Madrid, Mourad Chabarou, reclutatore di combattenti per l'Iraq, e Youssef Belhadj, autore del video di rivendicazione di Madrid. Sono affiliati al Gruppo islamico combattente, in contatto con il gruppo olandese Hofstad, legato all'omicidio di Theo van Gogh.

BELGISTAN
Com'è stato possibile che Maaseik, la città di Van Eyck e Rubens e del cristianesimo belga, sia diventata allora una centrale del terrorismo islamico in tutta Europa e oggi una delle città con più reclutamenti per la guerra santa in Siria e Iraq?
Lo chiamano "Belgistan", è la triste evoluzione di un paese agiato, annoiato e scettico che non è mai riuscito a sostituire altri ideali a quelli tramontati dell'impero. Eppure, parlate con un belga: vi darà la sensazione di un uomo soddisfatto. La questione sociale? Sotto controllo. La vita famigliare? Decente. Le distrazioni alle fatiche quotidiane? Abbondano. Paura della guerra? Nessuno ci pensa. E' la gaia incoscienza del Belgio, caratteristica del borghese confortato da una sorte propizia. Un mondo di caffè, di teatri, di circoli municipali, di fanfare operaie, di vini cordiali, di lavoro per tutti, di conversazioni argute, di carillons, di librerie, di cooperative prosperose, ricco di umore meridionale (i belgi sono i meridionali del nord).
Bruxelles era destinata a diventare, come Londra, Parigi o Atene, il luogo per eccellenza della fusione nazionale. Doveva funzionare come un crogiuolo, dove si sarebbero mescolati funzionari valloni, fiamminghi e stranieri e si sarebbe creato l'homo belgicus. Messi fra Germania, Francia e Olanda, si direbbe che i belgi abbiano assorbito attraverso le frontiere la brillante grazia dei francesi, la pacata struttura psicologica degli olandesi, la vocazione al lavoro dei tedeschi. Essi costituiscono l'esempio massimo di sintesi dell'uomo qualunque europeo, la cerniera di mondo latino e germanico e con essa l'incontro di due aspetti squisitamente europei del cristianesimo: il cattolicesimo e la riforma. Eppure, il paese è malato. E avanza lo spettro di una nuova religione.
Il Belgio, oltre a detenere il record di jihadisti in Europa, è oggi il primo paese europeo per tasso di suicidi. Sono i suoi fiori del male. Il più noto suicida è il premio Nobel per la Medicina, Christian de Duve, che si è ucciso due anni fa tramite iniezione letale in un surreale, ultimo incontro con i suoi quattro figli. Sei suicidi al giorno. Duemila all'anno. Con un tasso di suicidio stimato a più di venti ogni 100 mila abitanti, il Belgio batte tutti i record in Europa occidentale (la media mondiale è di 14,5 per 100 mila abitanti).
Il suicidio è la prima causa di mortalità tra i belgi che hanno tra i 25 e i 44 anni e la seconda causa, dopo gli incidenti automobilistici, fra quanti ne hanno tra i 15 e i 24. Una gioventù bella ma malata. I giovani belgi, afferma con desolazione il quotidiano Libre Belgique, "soffrono la vita".
Secondo uno studio, compilato dai professori Moens, Haenen e Van de Voorde sulla base di dati forniti dall'Organizzazione mondiale della Sanità, il numero dei suicidi fra i giovani è aumentato dell'81 per cento rispetto a dieci anni fa. E sono ancora troppi, affermano gli studiosi di Lovanio, quelli che vengono spiegati in altro modo: misteriosi incidenti stradali, inspiegabili avvelenamenti che mascherano talora le reali intenzioni della vittima. E' la "legge del silenzio" che per motivi umanitari induce molti medici a risparmiare ulteriore dolore ai genitori e ai parenti registrando un'altra causa sul certificato di morte.
La tragica statistica si gonfierebbe, inoltre, se andassero a segno alcuni dei tentativi di suicidio (migliaia) che si registrano ogni anno, e se considerassimo anche la legge dell'eutanasia, con altre sei morti al giorno. In Belgio è nato anche il primo "supermercato della morte". A Flémalle, una cittadina poco lontano da Liegi. Le lapidi? In quarta fila. Le corone? In fondo a destra. Le bare? A sinistra.

L'ISLAM È GIÀ OGGI LA PRIMA RELIGIONE DEL PAESE
Un paese dominato dal nichilismo, dove l'islam è già oggi la prima religione del paese. Nelle scuole di Bruxelles l'insegnamento della religione musulmana ha superato per numero di studenti quello della religione cattolica. Lo dice il Centro di ricerca e informazione sociopolitica: secondo l'indagine, fra i ragazzi degli istituti primari, nell'ora di religione per scelta delle famiglie il 43 per cento studia l'islam (una quota che si attesta al 41,4 nei licei); il 27,9 per cento segue corsi di "morale laica" (ateismo), e solo il 23,3 per cento ha optato per la fede cattolica.
Già oggi, a Bruxelles un cittadino su tre è musulmano, e il nome più frequente all'anagrafe fra i nuovi residenti è Mohammed. Nel 2035 la città sarà a maggioranza musulmana. I grandi momenti della vita, come battesimi, matrimoni e funerali, in Belgio non sono più legati alla cristianità, in un paese i cui simboli sono stati a lungo l'Adorazione dell'agnello di Van Eyck, la Madonna di Bruges di Michelangelo, i quadri di Bruegel, Memling, Van der Weyde, la cattedrale di Anversa, il cane di Sant'Uberto e l'università di Lovanio (fondata da Papa Martino V).
A Bruxelles oggi soltanto sette matrimoni su cento sono cattolici, i bambini battezzati sono solo il 14,8 per cento e i funerali cattolici si fermano al 22,6 per cento. "E' la fine del cattolicesimo sociologico", dice uno studio del Crisp citato dal quotidiano Le Soir. Di recente, le autorità belghe hanno deciso che le feste cardine della cultura europea e cristiana, come Ognissanti, Natale e la Pasqua, dovevano essere sostituite dalle più neutre "Vacanze d'autunno", "Vacanze d'inverno" e "Vacanze di primavera". Un solstizio laicista. E due anni fa ha debuttato il nuovo albero di Natale secolarizzato, simbolo di un paese trasparente, senz'anima. Non più l'abete delle foreste delle Ardenne, ma un Xmas Tree di acciaio, luci e proiezioni video.
Fu nel 1986 che avvenne la svolta, quando per la prima volta l'antica università cattolica di Lovanio nominò un rettore ateo. Fondata nel 1425 per iniziativa del duca Giovanni IV di Brabante, autorizzato da una bolla pontificia di Martino V, l'ateneo era sempre stato un centro di cultura umanistica e un caposaldo nella lotta contro la Riforma luterana. Oggi produce alcune delle idee più progressiste d'Europa.
Fu lì che si riunirono i capi della riforma cattolica, il tedesco Karl Rahner, il belga Edward Schillebeeckx, padre del "nuovo catechismo olandese", i francesi Yves Marie Congar e Marie Dominique Chenu, lo statunitense Gregory Baum, severo critico dell'enciclica Humanae vitae e lo svizzero-tedesco Hans Küng, teorico della fallibilità papale. Oggi Lovanio offre il primo corso di laurea in Teologia islamica in Europa.

GLI ESITI DEL MULTICULTURALISMO
Di pari passo, infatti, il Belgio adottava la forma più radicale di multiculturalismo che l'Europa abbia mai conosciuto. Nel 1974, il governo belga riconobbe ufficialmente la religione islamica. Il primo risultato di questo riconoscimento fu l'approvazione, nel 1975, dell'inserimento della religione islamica nel curriculum scolastico. I musulmani in Belgio sono al 75 per cento praticanti. "Una gioventù radicalizzata, che rifiuta i valori occidentali", scrive la giornalista fiamminga Hind Fraihi: "A Bruxelles, ci sono isole come Molenbeek, dove si fatica a credere di essere in Belgio". Il proselitismo intanto straripa.
Il numero totale dei belgi convertiti all'islam è stimato in 20 mila. Nei tribunali, la sharia interferisce insidiosamente nei giudizi dei magistrati e ad Anversa è nata la prima corte che legifera con la legge islamica. Le scuole pubbliche distribuiscono anche pasti halal. Negli ultimi anni in molti quartieri di Bruxelles sono scomparse le donne e ricomparsi i veli integrali. I mercati sono in mano alla comunità musulmana e in molti quartieri non esistono più macellerie con costolette di maiale.
Ad Anderlecht, un comune brussellese ad alta densità islamica ma anche con un'importante comunità ebraica, non si contano più gli atti di antisemitismo e gli ebrei stanno fuggendo dal paese dopo la strage al Museo ebraico della capitale di un anno fa. Gli alloctoni illuminati come Mimount Bousakla – politica di origine marocchina che attacca il dogma del multiculturalismo – sono minacciati di morte dai fondamentalisti islamici. A due passi dalle istituzioni europee, gli imam predicano contro Bruxelles, "capitale degli infedeli".
Molte chiese, appena macchiate da qualche incrostazione della controriforma spagnola, sono rimaste esteriormente uguali. Ma dentro sono diventate delle moschee, come la Signora del Perpetuo Soccorso. In una chiesa di Bruges è conservato il "Sangue Santo", che un conte di Fiandra riportò dalla Palestina dopo una crociata. Ma il prodigio della liquefazione, dicono le guide, non avviene più da parecchi secoli. Si è seccato.

Fonte: Il Foglio quotidiano, 06/02/2015

3 - QUATTRO GRAVI ERRORI CHE HO COMMESSO COME MOGLIE
Oggi sono la ex e condivido la mia esperienza per evitare che facciate gli stessi sbagli
Fonte Aleteia, 12/02/2015

Quando Sloane Bradshaw ha divorziato dal marito dopo 10 anni di matrimonio, ha trascorso mesi incolpando il marito per il fallimento della relazione. Lui l'aveva ingannata e abbandonata. Dopo tutto questo, a chi altro poteva dare la colpa?
Quando è entrata in terapia, tuttavia, ha dovuto affrontare la realtà: ogni rapporto è costruito a due, e quando finisce entrambi i coniugi sono responsabili.
Ecco i 4 elementi che Sloane ha capito.

1. HO MESSO AL PRIMO POSTO I FIGLI
È facile amare i propri figli. Non bisogna sforzarsi molto e loro vi ameranno, indipendentemente da quello che fate. Il matrimonio è tutto l'opposto: significa lavoro. E ogni volta che io iniziavo a sentire il mio matrimonio come qualcosa che richiedeva grande sforzo, finivo per allontanarmi e portavo in giro i miei figli. In genere progettavo quelle avventure quando mio marito non poteva unirsi a noi (e rovinare il nostro divertimento).
Mi dicevo che era giusto, perché lui preferiva lavorare e non gli piaceva quando uscivamo tutti insieme. Spesso andavo a dormire con i miei figli, incolpando mio marito del fatto che andava a letto molto tardi.
Come risultato, mio marito e io non restavamo quasi mai insieme e da soli, e non c'erano mai notti in cui i bambini non fossero presenti. Forse avveniva solo una volta all'anno, il giorno dell'anniversario del nostro matrimonio...

2. NON HO POSTO LIMITI AI MIEI GENITORI
I miei genitori venivano spesso a casa nostra, a volte presentandosi senza preavviso. Ci "aiutavano" con le cose di casa, svolgendo compiti che neanche chiedevamo, come piegare i nostri panni puliti (nel modo sbagliato, ovviamente).
Andavamo in vacanza con loro. Sfidavano i nostri figli davanti a noi. La mia paura di infastidire i miei genitori mi impediva di metterli al loro posto. Sono state poche le volte in cui ho difeso l'autonomia della mia famiglia. Mio marito si era letteralmente sposato con tutta la mia famiglia.

3. L'HO TRATTATO MALE
Pensavo che l'amore avesse a che vedere con l'onestà, ma sappiamo tutti che la verità fa male. Man mano che abbiamo iniziato ad essere più a nostro agio (leggasi: pigri) con la nostra relazione, ho smesso di cercare di dire le cose in modo gentile. Parlavo male di lui con le mie amiche, con mia madre e i miei colleghi al lavoro. Sempre. "Ci credi che non ha fatto questo?", "Perché ha fatto quello?", e così via.
Invece di aumentare l'autostima di mio marito, l'ho calpestata. Lo sminuivo spesso, dicendo che il suo lavoro non era importante e riferendomi ai suoi amici in modo negativo.
Lo rimproveravo perché faceva male le cose, ma in realtà era solo perché non le faceva come volevo io. A volte parlavo con lui come con un bambino. Controllavo il denaro della nostra famiglia e ogni centesimo che spendeva. Anche a letto pensavo che facesse tutto nel modo sbagliato e glielo dicevo.
Nella misura in cui il nostro matrimonio si disfaceva, mi concentravo sempre più sui suoi errori e sulle sue mancanze per giustificare la mia superiorità. Alla fine non avevo più rispetto per lui e lo esprimevo chiaramente, perché lo sapesse e lo sentisse ogni giorno.

4. NON HO VOLUTO PERDERE TEMPO DISCUTENDO NEL MODO ADEGUATO
So che sembra strano suggerire che esista un modo adeguato di discutere, ma la verità è che esiste. In genere mantenevo la pace della nostra famiglia tenendo la bocca chiusa quando c'erano cose che non mi andavano bene.
Come potete immaginare, tutte queste piccole cose mi facevano impazzire e mi trasformavano in un vulcano d'ira che finiva per eruttare in modo sproporzionato. E quando parlo di "ira" mi riferisco al suo concetto clinico.
Quando tutto tornava alla calma, giustificavo la mia ira dicendo che la donna ha un limite per le cose che può sopportare. Oggi, quando guardo al passato, mi vedo come una persona che incuteva davvero paura in quegli episodi.
Non lo scrivo sperando che mi perdoni o a questo scopo. Scrivo perché non riesco a credere di essere stata cieca per tanto tempo, di aver messo la testa sotto la sabbia.
Spero che altre donne riescano a tornare in superficie e a guardarsi bene intorno.
Anche se è doloroso sapere che mio marito ha deciso di risolvere i nostri conflitti nel letto di un'altra donna – visto che parlare e andare in terapia avrebbe potuto aiutarci –, so che anch'io non lo curavo.

Fonte: Aleteia, 12/02/2015

4 - LA CRISI GRECA SI RISOLVE SOLO CON MENO STATO
Come si è arrivati allo sfascio e perché Tsipras non è la soluzione
Autore: Maurizio Milano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26/02/2015

La Grecia inizia a dare segnali di grave instabilità delle finanze pubbliche nel 2009, a causa di una crescita esponenziale del proprio debito, in un contesto di bassa crescita economica. Il debito pubblico ellenico viene declassato a "spazzatura" nell'aprile 2010 ed il Paese galleggia solo grazie ad ingenti prestiti–salvataggio concessi dagli altri Paesi dell'euro zona e dal Fondo Monetario Internazionale (per 240 miliardi di euro). Nella primavera del 2012 i creditori privati subiscono una pesante ristrutturazione del proprio credito, perdendo circa il 75% dei propri risparmi. Nonostante ciò, il debito dal 2012 ha ripreso a salire portando le finanze elleniche nuovamente al collasso.
Nelle trattative di questi giorni l'eurogruppo ha accordato quattro mesi al governo greco per individuare una via di uscita dall'impasse, chiedendo la definizione di linee guida per arrivare ad un avanzo primario di bilancio: senza considerare gli interessi su debito il Paese dovrà quindi dimostrare di restringere la spesa pubblica a livelli compatibili con le entrate fiscali. Entro il 28 febbraio – prossima data di debiti in scadenza – il governo ellenico dovrà avere ottenuto il via libera al proprio piano da Bce, Commissione europea, Fondo Monetario Internazionale e diversi Parlamenti nazionali dell'area euro, in modo che il cosiddetto Fondo salva-Stati, l'Efsf (European Financial Stability Facility) possa intervenire evitando alla Grecia un default disordinato, il collasso del proprio sistema bancario e la conseguente fuoriuscita dall'euro.
Al di là dell'evoluzione delle trattative tra il governo ellenico di Tsipras-Varoufakis e le autorità europee – una telenovela sui cui non vale la pena addentrarsi oltre perché riserverà ancora molte puntate nei mesi a venire, tra ballon d'essai e tatticismi incrociati – sembra più utile ragionare sul processo che ha portato la Grecia e gli altri Paesi periferici, tra cui l'Italia, in una situazione di collasso delle finanze pubbliche e di crescita economica asfittica. Un ragionamento che quindi vale, mutatis mutandis, non solo per la Grecia ma anche per tutti i Paesi maturi afflitti dal debito, dallo statalismo e dal collasso demografico.

COME FA UN PAESE A CRESCERE IN MODO SOSTENIBILE?
In un'economia sana e libera, la crescita si sviluppa a partire dal lavoro e dal risparmio attraverso un processo di accumulazione di capitale - non solo materiale ma anche di conoscenze, catalizzato dall'iniziativa imprenditoriale – che fa salire la produttività ed i salari reali, realizzando beni e servizi utili alle famiglie. Un processo che parte dal basso, senza pianificatori centrali, in cui il sistema dei prezzi e la concorrenza orientano le scelte economiche di risparmio, consumo ed investimento, all'interno ovviamente di un quadro giuridico-istituzionale e di un tessuto sociale sano ed articolato. Il ruolo dello Stato è quindi limitato a pochi compiti, e sempre secondo una logica di sussidiarietà. In Grecia – e in Italia – le cose non sono andate esattamente in questi termini...
Nella visione keynesiana, dominante nell'accademia e nelle politiche dei governi negli ultimi 70 anni, la crescita dipende invece dalla "domanda aggregata", il focus è cioè sul consumo: in caso di "risorse inutilizzate" la crescita deve essere stimolata dal governo e dalle Banche Centrali con vari mix di politiche "espansive", sia fiscali (aumento spesa pubblica) sia monetarie (manipolazione al ribasso dei tassi di interesse, monetizzazione del debito), per arrivare alla piena occupazione. Questa impostazione – vera e propria fallacia economica – ha fornito e continua a fornire ai governi di mezzo mondo l'alibi per l'adozione di politiche economiche dirigistiche, con un interventismo crescente nella vita sociale ed economica. Ciò ha portato all'ipertrofia dei moderni Stati assistenziali e imprenditori, in cui l'allargamento del perimetro pubblico pare inarrestabile. Una "lezione" che Atene ha imparato a perfezione, ma che riguarda anche Roma, Parigi, Washington, Tokyo... senza escludere neppure Berlino.
Lo spiazzamento dell'iniziativa privata, in tale contesto, viene aggravato dalla falsificazione della concorrenza, non più né libera né leale, portando ad un intreccio clientelare tra imprese e politica: utili privati e perdite pubbliche, cattivi investimenti, malversazioni, spreco di risorse a danno dei consumatori-contribuenti, con prezzi troppo elevati dei beni e servizi prodotti oltre ad un imposizione fiscale crescente che strangola l'economia. Le politiche di deficit spending – il disavanzo di Bilancio dovuto all'eccedenza della spesa pubblica sulle entrate fiscali – portano ad un'accumulazione di debito pubblico: un vero e proprio "schema Ponzi", in cui l'emissione di nuovo debito serve a pagare gli interessi e a rimborsare il debito in scadenza, in una crescita esponenziale che si autoalimenta. Quando le dinamiche della crescita del debito superano quelle della crescita economia (il famoso rapporto debito/Pil) si arriva ad un punto di non-ritorno. Ulteriori giri di vite fiscali servirebbero solo a strangolare ancora di più l'economia reale e a far contrarre il Pil, rendendo ancora più insostenibile la traiettoria debito/Pil: una vera e propria "trappola del debito", che vampirizza la possibilità di crescita economica. É la storia della Grecia degli ultimi anni, ma anche del nostro Paese, con un'accelerazione dal 2011.

IL SUICIDIO DEMOGRAFICO
Il "suicidio demografico" di cui parlava san Giovanni Paolo II parlando dei Paesi maturi (in primis Giappone e Russia ma anche Grecia, Italia, Germania) accelera la rottura di una traiettoria già di per sé insostenibile. Basti pensare alla crescente insostenibilità del sistema sanitario e previdenziale con il progressivo aumento della popolazione ultra 65-enne rispetto alla popolazione in età lavorativa. Le "piramidi demografiche" dei Paesi maturi assomigliano sempre di più a dei funghi: una base di giovanissimi e giovani erosa, un allargamento nella fascia di mezza età – gli ex-baby boomers oramai invecchiati – e un "cappello" ogni anno più grosso: a tendere una piramide "rovesciata", che non può stare in piedi, né in Grecia né nel nostro Paese.
Come si esce dall'impasse? La soluzione più trasparente sarebbe il default de jure: si procede a una sforbiciata ai debiti insolvibili e i creditori "incassano la perdita", per poi ripartire col piede giusto. In alternativa, senza escludere soluzioni intermedie, si può tentare un'uscita inflazionistica, attraverso la manipolazione al ribasso dei tassi di interesse e la crescita dell'inflazione. In tal modo, se si riescono a mantenere in territorio negativo i rendimenti reali per diversi anni, il debito viene "svalutato": una sorta di tassa occulta ai danni del risparmio, con trasferimento di ricchezza dai creditori ai debitori. É questa la via intrapresa dalla Bce, il cui quantitative easing porta a una monetizzazione indiretta dei debiti sovrani dei Paesi periferici come l'Italia.
In ogni caso, però, quando si ha a che fare con crisi di "solvibilità" – e non, semplicemente, di "liquidità" – la formica che ha ingenuamente finanziato la cicala prima o poi si trova beffata: sicuramente Esopo avrebbe diffidato di Lord Keynes. Oltre al trasferimento di ricchezza, la manipolazione al ribasso dei rendimenti attraverso le politiche monetarie ultra-espansive delle Banche centrali comporta vari effetti collaterali: inadeguata remunerazione del risparmio, invio di falsi segnali all'economia con incentivo all'azzardo morale, alla "finanziarizzazione dell'economia" ed a cattivi investimenti. Il rischio è quello di minare alla radice il processo di accumulazione capitalistico essenziale per la crescita di produttività, salari reali e diffusione del benessere. I primi danneggiati, contrariamente alla vulgata "solidaristica", sarebbero proprio le classi sociali più disagiate, le categorie meno beneficiate dagli intrecci malsani col potere pubblico, e le giovani generazioni in generale, il cui futuro viene compromesso. La storia del collasso dei Paesi del "socialismo reale" dovrebbe averci insegnato qualcosa.

SCENARI ALLA GIAPPONESE
Per gli anni a venire si delineano scenari "alla giapponese" per tutti i Paesi maturi, intrappolati nel debito ed afflitti dal declino demografico, siano o non siano nell'euro, che ci rimangano o che ne fuoriescano. La Grecia è solo l'avanguardia. Occorre prendere atto della fine del paradigma di "crescita a debito", che porta al fallimento di sistemi socio-economici di fatto "socialisti" in cui le interferenze pubbliche premiano scelte sbagliate e fanno emergere dalla competizione non i migliori ma i più intrallazzati. Ciò porta inesorabilmente a far inaridire le fonti stesse della ricchezza, a scoraggiare l'iniziativa, la laboriosità e l'austerità, a danno dei consumatori, dei lavoratori, delle imprese sane, dei contribuenti. I corpi intermedi si trovano così svuotati della loro vitalità, depressi nella loro creatività imprenditoriale da una mentalità parassitaria ed assistenzialistica. La fuga dalla responsabilità e la conseguente abdicazione alla libertà distruggono le "virtù" di un popolo, fanno evaporare la classe media, inaridire il benessere materiale e crescere tensioni e conflittualità.
I tedeschi inistono sul dovere di pagare i debiti; i greci lamentano l'impossibilità di onorarli; il paradosso è che sono vere entrambe le posizioni. Hanno sbagliato i debitori ad indebitarsi – come una famiglia che vive al di sopra dei propri mezzi – ma hanno sbagliato anche i creditori ad alimentare questo atteggiamento: il male, lungi dal guarire, si è solo incancrenito. Il default e l'uscita della Grecia dall'euro sono strade percorribili? Probabilmente si farà di tutto per evitare tale scenario, perché costituirebbe un precedente pericoloso per gli altri Paesi "periferici" (a partire dall'Italia), oltre che per possibili ricadute geopolitiche. La Grecia pesa poco sul piano economico, ma la sua posizione geografica potrebbe attirare aiuti interessati da altre potenze, come la Russia e la Cina.
Che cosa accadrà? Nel breve lo scenario più probabile rimane il solito teatrino: la Grecia fingerà di impegnarsi per il risanamento chiedendo margini operativi più ampi, e le controparti europee fingeranno di crederci. Si "comprerà" ancora tempo, rinviando ad un futuro imprecisato scelte più draconiane. Il "tempo", tuttavia, è parte della soluzione solo quando si intraprende la strada giusta, altrimenti diviene parte del problema. Comunque vada a finire, la "crisi greca", quindi, assurge ad emblema di una crisi generale: il presente della Grecia potrebbe divenire il futuro dell'Italia e di tutti gli altri Paesi statalisti, che strangolano l'economia con le tasse, fanno fuggire le imprese ed i giovani più validi, incoraggiano l'assistenzialismo ed il parassitismo. La moneta cattiva scaccia la moneta buona...
Siamo dentro una profonda crisi "generazionale": comunque vada a finire con la Grecia e con l'euro, l'unica certezza è che ne avremo per molti anni a venire. Continuare ad illudersi che si tratti solo di una "congiuntura" sfortunata non aiuterà ad invertire tendenza. Prima accetteremo che la ricchezza non viene creata dai governi e dalle Banche centrali e prima rivedremo la luce.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26/02/2015

5 - QUANDO LENIN IMPOSE AGLI ORTODOSSI LA DECISIONE DI UN PAPA
Il motivo? Semplice: come sempre la Chiesa Cattolica stava dalla parte della scienza, mentre i non cattolici la rifiutavano
Autore: Vittorio Messori - Fonte: Il Timone, Dicembre 2014

A proposito di Unione Sovietica: fu essa che, trattando brutalmente quella Chiesa ortodossa russa che perseguitava, decise di adeguarsi alla decisione di un pontefice romano. Un paradosso significativo. Lenin, insomma, che accettava e imponeva una decisione di un Papa che proprio dei cristiani da secoli non volevano accettare. Vale la pena di raccontarlo.
Come tutti sanno, papa Gregorio XIII decise nel 1582 di mettere mano all'antico calendario che, a causa delle insufficienti conoscenze astronomiche, era ormai sfalsato di una decina di giorni rispetto alle fasi stagionali. I Paesi cattolici accettarono subito la riforma, necessaria e attesa da tempo. Non così quelli protestanti che diedero un esempio poco edificante di settarismo, rifiutando un calendario elaborato dai migliori scienziati e matematici dell'epoca, uno strumento che risolveva molti problemi anche pratici, ma che aveva un peccato originale. Quello, cioè, di essere stato redatto da una commissione convocata dalla Chiesa cattolica. Non era certo questione di teologia ma di scienza e tutti i sapienti, di qualunque confessione, concordavano che i risultati del lavoro erano stati i migliori possibili. Eppure, i Paesi dove il protestantesimo era maggioranza continuarono a servirsi dell'antico, imperfetto calendario giuliano: elaborato sì anch'esso a Roma, ma in quella pagana, non in quella pontificia. Per fare un solo esempio ma significativo: l'Inghilterra, che pur aveva interessi non solo in Europa ma in tutti i continenti conosciuti e quindi necessitava in modo particolare di una concordanza nelle date, si decise ad adottare la riforma di papa Gregorio solo nel 1752. Nella Svizzera, che era unita in una confederazione, i cantoni cattolici si erano subito adeguati al nuovo calendario ma quelli protestanti si rassegnarono soltanto un paio di secoli dopo o addirittura - come alcune zone dei Grigioni - verso il 1810, con quasi due secoli e mezzo di ritardo.
Ancor più tenace fu il rifiuto previo, di principio, nell'area dell'ortodossia greco-slava. Mosse essi pure dal rifiuto di tutto ciò che venisse da Roma, foss'anche un risultato scientifico, quelle Chiese non vollero accettare la riforma gregoriana. Non solo continuarono a seguire l'antico calendario giuliano per l'anno liturgico, ma ottennero che anche gli Stati e i loro governi lo imponessero a tutti, pure al mondo civile. In Grecia si giunse persino a uno scisma quando, nel 1924, il Santo Sinodo di quel patriarcato tentò un compromesso e decise di accettare il calendario del XVI secolo per le feste fisse, conservando quello antico per le feste mobili, a cominciare dalla Pasqua. Ci fu una insurrezione - fomentata dai monaci, con quelli del Monte Athos tra i primi - e si gridò anche sulle piazze che la Chiesa greca si sottometteva al cattolicesimo e ne nacque una comunità scismatica che ancora esiste. La stessa rivolta esplose in Bulgaria. Per superare quella allergia dei popoli ortodossi verso un pontificato che aborrivano, sarebbe occorso un despota che le domasse. E proprio questo accadde in Russia. Quel despota fu nientemeno che Lenin che nel marzo del 1923, un anno prima della morte, impose per diktat a tutti, in tutti i territori della giovane Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, il calendario gregoriano. Fu dunque il più feroce apostolo del XX secolo dell'ateismo e del materialismo dialettico a voler adottare una misura, voluta ed elaborata da quel cattolicesimo in cui vedeva uno dei principali avversari. Ma, per ancora maggior paradosso, successe pure che mentre il governo dei "senza Dio" accettava un sistema "cattolico", quanto restava della Chiesa russa, soggetta alla sanguinosa persecuzione che sappiamo, si ostinava in un rifiuto indomabile.

Fonte: Il Timone, Dicembre 2014

6 - SAN PIER DAMIANI DENUNCIA L'OMOSESSUALITA' COME IL PECCATO PIU' GRAVE
Nel Liber Gomorrhianus (recentemente pubblicato), senza falsa misericordia né compromessi, è convinto che il peccato contro natura vada immediatamente fermato con pugno di ferro
Autore: Roberto De Mattei - Fonte: Corrispondenza Romana, 11/02/2015

San Pier Damiani (1007-1072), abate del monastero di Fonte Avellana e poi cardinale vescovo di Ostia. fu una delle personalità più spiccate della riforma cattolica dell'undicesimo secolo. Il suo Liber Gomorrhianus, apparve attorno al 1049, in un'epoca in cui la corruzione era largamente diffusa, fino ai vertici del mondo ecclesiastico. In questo scritto, diretto al Papa Leone IX, Pier Damiani denuncia i vizi perversi del suo tempo con un linguaggio che non conosce falsa misericordia e compromessi.
Egli è convinto che di tutti i peccati, il più grave sia la sodomia, termine che comprende tutti gli atti contro natura, che vogliono soddisfare il piacere sessuale distogliendolo dalla procreazione «Se questo vizio assolutamente ignominioso e abominevole non sarà immediatamente fermato con un pugno di ferro, – scrive – la spada della collera divina calerà su di noi, portando molti alla rovina». Il Liber Gomorrhianus è stato ora pubblicato dalle Edizioni Fiducia (Roma 2015, euro 10). La traduzione, con una nota bibliografica è di Gianandrea de Antonellis e l'introduzione di Roberto de Mattei. Riportiamo alcuni passi tratti dall'introduzione.

LA CHIESA NON È MAI PECCATRICE, MA AL SUO INTERNO I PECCATORI SI AFFIANCANO AI SANTI
La Chiesa cattolica è un organismo che ha, come il suo fondatore Gesù Cristo, una natura divina e una natura umana, intimamente connesse. Ma a differenza di Gesù Cristo, perfetto non solo nella sua divinità, ma anche nella sua umanità, la Chiesa, santa e immacolata, è composta di uomini soggetti al peccato. Essa non è mai peccatrice, ma al suo interno i peccatori si affiancano ai santi.
Vi sono momenti della sua storia in cui la santità la pervade ed altri in cui la defezione dei sui membri la sprofonda nell'oscurità: sembra quasi che la divinità la abbandoni. Ma questo mai accade. La Chiesa non tramonta: supera le prove più difficili e avanza invitta nella storia, verso la Parusia, il trionfo finale, in terra e in cielo, quando Essa si unirà definitivamente al suo sposo divino». Questa visione teologica era ben chiara a san Pier Damiani, quando, attorno al 1049, si accinse a scrivere il Liber Gomorrhianus, un'opera in cui non teme di alzare il velo sulle ignominie degli uomini di Chiesa del suo tempo.
Mille anni sono passati da allora e mille erano allora passati dalla morte e Resurrezione di Cristo. Ma la voce di Pier Damiani risuona, oggi come ieri, di sprone e di conforto per tutti coloro che nella storia avrebbero come lui combattuto, sofferto, gridato e sperato. Pier Damiani, sentì la fragilità della carne, il peso del peccato, la caducità delle cose del mondo, l'avanzare inesorabile della morte, ma si abbandonò con fiducia alla misericordia di Dio e ottenne la celeste ricompensa. Fu universalmente venerato come santo sin dal momento della sua morte.
Dante lo colloca nel settimo cielo tra i contemplativi. Papa Leone XII lo onorò con il titolo di Dottore della Chiesa (Costituzione Providentissimus Deus del 1 ottobre 1828). L'insegnamento di un Dottore della Chiesa rifulge per la purezza della fede e la profondità della scienza teologica e morale. Queste note contraddistinguono tutte le opere di san Pier Damiani, a cominciare dal Liber Gomorrhianus, di cui vogliamo cogliere soprattutto lo spirito. Spirito di verità perché san Pier Damiani non distolse lo sguardo davanti alla lordura morale, ma sollevò il velo con cui gli altri ecclesiastici volevano coprire il male e ne mostrò la deformità e l'orrore. Spirito soprannaturale perché non si fece intimorire dal falso giudizio del mondo, ma tutto considerò alla luce della legge divina e naturale.
Spirito profetico perché non solo vide i mali, ma ne previde le conseguenze nella società e nella vita delle anime e ne indicò i rimedi necessari, in una vita di Grazia, di penitenza e di lotta. Non moderò il linguaggio, ma lo rese infuocato per mostrare tutta la sua indignazione. Non ebbe timore di esprimere il suo odio intransigente verso il peccato e fu proprio quest'odio a rendere incandescente il suo amore per la Verità ed il Bene.

NEL TERZO MILLENNIO
Oggi, all'inizio del terzo millennio dalla nascita di Cristo, sacerdoti, vescovi e conferenze episcopali, rivendicano il matrimonio dei preti e mettono in dubbio l'indissolubilità del legame matrimoniale tra un uomo e una donna, accettando allo stesso tempo l'introduzione nelle leggi dello pseudo-matrimonio omosessuale. La sodomia non è considerata un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio ed è diffusa nei seminari, nei collegi, nelle università ecclesiastiche, perfino all'interno delle Sacre Mura della Città del Vaticano .
Il Liber Gomorrhianus ci ricorda che c'è qualcosa di peggio del vizio morale praticato e teorizzato. È il silenzio di chi dovrebbe parlare, l'astensione di chi dovrebbe intervenire, il legame di complicità che si stabilisce tra i malvagi e coloro che con il pretesto di evitare lo scandalo tacciono e tacendo acconsentono. Più grave ancora è l'accettazione da parte di uomini di Chiesa dell'omosessualità, considerata non come un abominevole peccato, ma come una "tensione" positiva verso il bene, degna di accoglienza pastorale e di protezione giuridica.
Nella Relatio post disceptationem riassuntiva della prima settimana di lavori del Sinodo dei vescovi dell'ottobre 2014, un paragrafo affermava che «le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana», rivolgendo ai vescovi l'invito ad «accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità?». Questa scandalosa affermazione è stata cancellata dalla relazione finale, ma alcuni vescovi e cardinali, dentro e fuori l'aula sinodale, hanno ribadito la richiesta di cogliere gli aspetti positivi dell'unione contro natura, fino ad auspicare «una codificazione di diritti che possano essere garantiti a persone che vivono in unioni omosessuali».
San Pier Damiani da semplice monaco, e a maggior ragione da cardinale, non esitò a mettere sotto accusa persino i Papi del tempo, per le loro scandalose omissioni. Porterà la lettura del Liber Gomorrhianus a infondere nel cuore di qualche prelato o laico lo spirito di san Pier Damiani, scuotendolo dal torpore e spingendolo a parlare e ad agire?
Pur così abissalmente lontani dalla santità e dallo spirito profetico di san Pier Damiani facciamo nostra la sua indignazione contro il male e con le parole che concludono il suo trattato ci rivolgiamo al Vicario di Cristo, Sua Santità il Papa Francesco, oggi regnante, perché intervenga per por fine agli scandali dottrinali e morali: «Ci dia aiuto il Signore onnipotente, Reverendissimo Padre, così che nel periodo del Vostro Apostolato del tutto anche il mostro di questo vizio venga abbattuto e la condizione della Chiesa, ora prostrata, possa risorgere del tutto ai diritti del suo vigore».

Fonte: Corrispondenza Romana, 11/02/2015

7 - I MONDIALI DI CALCIO IN QATAR SARANNO A RIDOSSO DEL NATALE: ANCHE QUI L'ISLAM DETTA LEGGE
In primavera gli sceicchi musulmani non lo vogliono perché nel 2022 il ramadan cade ad aprile... e chissenefrega dei cristiani
Autore: Luigi Santambrogio - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26/02/2015

Succederà nel 2022: in Europa e in tutto l'Occidente il Natale non verrà più celebrato, i riti dell'Avvento saranno posticipati in primavera, presepi, stelle e babbi natale perderanno ogni fascino per grandi e piccini. Al posto della stella cometa, splenderà nel cielo un grande pallone multicolore, dirette non stop sulla World Cup con la notte santa della vigilia in collegamento planetario con lo stadio di Doha per la finalissima. A riscaldare i cuori non ci saranno il bue e l'asinello, ma i 30 gradi all'ombra del Quatar. Con la benedizione dell'islam e sotto la protezione dei potenti sceicchi delle petromonarchie del Golfo. É la pura realtà, mica il fantasioso sequel di Soumission II, La Partita Finale di Michel Houellebecq (il suo romanzo, tra l'altro, è proprio ambientato nel 2002). E a questa partita finale, Gli Stati arabi si stanno preparando da tempo, insieme ai vertici del bureau mondiale del calcio: Fifa, Uefa, Comitato esecutivo, Federazioni e singole società calcistiche nazionali.
In Qatar i Mondiali si giocheranno fra il 19 novembre e il 23 dicembre e non, come al solito in estate, per il fatto che a luglio le temperature arrivano a sfiorare i 50 gradi. Una bolgia infernale più che una partita di calcio. Scartata la finestra estiva, sono state bocciate altre soluzioni perché incompatibili con altri importanti appuntamenti sportivi (Giochi olimpici invernali e altro). A maggio poi, periodo suggerito dai club, fa già troppo caldo. Ci sarebbe la primavera. Scherziamo? Non se ne parla proprio, hanno subito obiettato i qatarini: nel 2022 il ramadan, mese sacro dell'islam, cade proprio ad aprile e mica si può giocare a calcio mentre milioni di musulmani pregano e digiunano. Meglio dunque (per loro) un Mondiale sotto l'Albero e davanti alla grotta di Betlemme. Tutti d'accordo: messe a tacere anche le proteste delle Federazioni che non volevano interrompere i campionati per sei o sette settimane. Problema risolto con la promessi di indennizzi milionari: da quelle parti il denaro non manca.
Silenziate e insabbiate anche le accuse di corruzione e brogli nell'assegnazione dei Mondiali al Paese arabo. Allora si parlò di commissari corrotti e da sostanziose mazzette, 5 milioni di dollari, per comprare il voto favorevole dei delegati africani. L'indagine della Commissione etica della Fifa, però, non riscontrò «alcuna violazione di norme e regolamenti» e la cosa si chiuse lì. Resta la grana dei diritti umani, ma pure questa è stata monetizzata. Per costruire stadi e infrastrutture a tempo di record, il Qatar ricorre a operai di 42 diverse nazionalità (Nepal e India) pagati niente e spesso ricattati col ritiro del passaporto. Già adesso le vittime nei cantieri sarebbero già mille, il prezzo del Mondiale potrebbe essere di 4mila vite, alla fine. Ma per i dollari degli sceicchi e i futuri investimenti in quell'area dove la sabbia vale oro, questo e altro. E nell'altro c'è pure lo spostamento obbligato dei giochi a ridosso del Natale per non intralciare il ramadan islamico. E chi se ne importa dei cristiani e delle loro feste sacre.

QUATTRINI E FANATISMO
Lo Stato islamico ha appena rapito centinaia di cristiani assiri in Siria, tagliato la gola ai copti, bruciatele chiese e deportato le popolazioni cristiane dell'Iraq, abbatte le croci come fossero piante velenose. In Europa noi le rimuoviamo e aboliamo riti e tradizioni millenarie solo per compiacere Allah. Ora anche il calcio, diventato business planetario, si sottomette al peloso e ipocrita rispetto a dell'unica religione che mette insieme quattrini e fanatismo, petrolio e terrore, società quotate in Borsa e indifferenza ai diritti umani più elementari. Ed è davvero scandaloso che proprio al Qatar l'Occidente regali il dono di grandissimo valore di diventare la vetrina del calcio mondiale: tra i Paesi arabi, il Qatar è stato e probabilmente continui a essere, uno dei maggiori finanziatori del Califfato dell'Is, nonostante partecipi alla Coalizione degli Stati del Golfo contri lo Stati islamico. Doppio gioco, recentemente messo alla scoperto anche dalle accuse di terrorismo rivolte da Egitto e Giordania.
Sottomissione volontaria anche se non gratuita che ha spinto qualche mese fa i dirigenti della squadra di calcio del Real Madrid di accogliere la richiesta della Banca nazionale di Abu Dhabi di rimuovere la croce dorata posta in cima al suo celebre stemma. Meglio non innervosire gli sceicchi. Così come il Barcellona, sponsorizzato da Qatar Airways, durante una tournée in Medio Oriente aveva sostituito la croce di San Giorgio stampata sulla maglietta con una linea rossa verticale. La stessa croce cancellata da alcuni gate dell'aeroporto di Heathrow o dai taxi di Blackpool e Cheltenham, in Inghilterra. In Turchia, l'Inter fu accusata per aver indossato una maglia speciale, in occasione del centenario, in cui una grande croce rossa campeggiava su sfondo bianco. Troppo in stile templare e "islamofoba", per i maomettani turchi. Grandi compagnie come Swatch, Tissot e Victorinox, hanno eliminato la croce della bandiera svizzera dalle pubblicità nei Paesi arabi e asiatici.
In Norvegia, la Nrk, la televisione pubblica, ha censurato, per "offesa all'islam", la sua anchorwoman di punta, Kristin Saellmann, per essersi presentata alle telecamere con un crocifisso al collo. Nelle missioni internazionali, i mezzi della Croce Rossa hanno rinunciato al loro storico logo e non è detto che prima e poi anche la Ue toglierà dalla sua bandiera le stelle gialle su sfondo blu. Ricordano troppo la Vergine Maria e la sua corona di dodici stelle. Domanda finale: come si comporteranno gli arbitri di Doha quando qualche giocatore, prima della partita, si farà il segno della croce in diretta mondiale? In Arabia Saudita quel gesto costa la galera. Perché non invitare i calciatori europei a dare un bel bacio al crocifisso ogni volta che scendono in campo?

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 26/02/2015

8 - LETTERE ALLA REDAZIONE: SCONSIGLIATO PRENDERSI PER MANO DURANTE IL PADRE NOSTRO
Spiace constatare la vaghezza di alcune norme liturgiche attualmente in vigore
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie, 01/03/2015

Gentile redazione di BastaBugie,
vi scrivo riguardo all'articolo da voi pubblicato con il titolo "Prendersi per mano durante il Padre Nostro?" pubblicato su BastaBugie n. 384 (https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3580).
Devo dire innanzitutto che concordo pienamente con il rifiuto della recita del Padre Nostro "tenendosi per mano"...
Invece vorrei dire che per quanto riguarda la parte relativa alla preghiera con le mani alzate, secondo me l'articolo non è molto esatto e riflette più le opinioni dello scrittore che quelle della Chiesa. Infatti il Messale Romano così riporta: «Conclusa la Preghiera eucaristica, il sacerdote, a mani giunte, dice la monizione che precede l'orazione del Signore e recita poi il Padre nostro, con le braccia allargate, insieme con il popolo» (Ordinamento generale del Messale Romano 152). E le Precisazioni della Cei aggiungono: «Durante il canto o la recita del Padre nostro, si possono tenere le braccia allargate; questo gesto, purché opportunamente spiegato, si svolga con dignità in clima fraterno di preghiera».
Riguardo poi il gesto delle braccia aperte (gesto antichissimo) riporto quanto segue: «Per i cristiani le braccia allargate hanno un significato cristologico: esse ci ricordano le braccia di Cristo distese sulla croce. Il Crocifisso ha dato una nuova profondità al primordiale gesto umano di preghiera. Allargando le braccia, vogliamo pregare insieme al Crocifisso, unirci ai suoi "sentimenti" (Fil 2,5) . Nelle braccia spalancate di Cristo sulla Croce i cristiani hanno visto un duplice significato:
- esprimono anche in Lui, proprio in Lui, la forma radicale dell'adorazione, dell'unità della volontà umana con la volontà del Padre;
- ma al tempo stesso, queste braccia sono aperte verso di noi sono il grande abbraccio con cui Cristo vuole attirarci a sé (Gv 12,32)».
Adorazione di Dio ed amore del prossimo - il contenuto del Comandamento principale in cui sono riassunti la Legge e i Profeti - coincidono in questo gesto; l'apertura a Dio, l'abbandono totale a Lui, è al contempo e inscindibilmente la dedizione al prossimo. Questo fondersi insieme delle due direzioni, che si trova nel gesto di Cristo sulla croce, indica la nuova profondità della preghiera cristiana in modo corporalmente visibile ed esprime così anche la legge interiore della nostra preghiera.
Più tardi si è sviluppato il gesto delle mani giunte, che ha origine forse dal feudalesimo: colui che riceve il feudo, nell'atto della presa in consegna mette le sue mani giunte nelle mani del feudatario, un meraviglioso gesto simbolico: io metto le mie mani nelle tue, le lascio racchiudere dalle tue. E' un'espressione sia di fiducia che di fedeltà.
Cordiali saluti
Stefano

Caro Stefano,
l'articolo poneva l'attenzione principale sulla cattiva abitudine, purtroppo ormai abbastanza diffusa, di darsi la mano durante il Padre Nostro. Sia il titolo che il sottotitolo parlava appunto di questo aspetto. Poi si facevano anche alcune osservazioni sulla opportunità (non sulla liceità) di "copiare" gesti del sacerdote da parte dei fedeli.
Insomma, per farla breve, mi fa piacere che anche lei disapprovi, come noi e l'autore dell'articolo, la diffusa pratica di darsi la mano al Padre Nostro. Per quanto riguarda invece la preghiera con le mani alzate ognuno può comportarsi come ritiene più opportuno.
Spiace semmai constatare la vaghezza di alcune norme liturgiche attualmente in vigore. Questo, almeno nella preghiera pubblica, appare più come debolezza che come libertà.
Per approfondimenti su come rapportarsi con la Santa Messa si può leggere l'articolo di Timothy Dolan e il simpatico video del seguente link:
LA MESSA E' NOIOSA? E' UN PROBLEMA NOSTRO, NON DELLA MESSA
Siamo abituati a esperienze mordi e fuggi, a fare zapping... insomma siamo dei ragazzini viziati (VIDEO: il Concilio Vaticano II vuole il canto gregoriano e l'organo a canne)
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3367
E' inoltre consigliabile la lettura di questo documento sullo scambio della pace soprattutto la parte in grassetto:
PAPA FRANCESCO APPROVA UNA LETTERA CIRCOLARE PER ELIMINARE GLI ABUSI DURANTE LO SCAMBIO DELLA PACE
Abolito il canto per la pace (inesistente nel Rito romano); vietato lo spostamento dei fedeli dal loro posto per scambiarsi la pace; il sacerdote non può allontanarsi dall'altare (neppure a matrimoni e funerali); in alcuni casi lo scambio della pace deve essere
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3401


DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE"
Le risposte del direttore ai lettori

Per vedere tutti gli articoli, clicca qui!

Fonte: Redazione di BastaBugie, 01/03/2015

9 - OMELIA III DOMENICA DI QUARESIMA - ANNO B (Gv 2,13-25)
Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere
Fonte Il settimanale di Padre Pio, (omelia per l'8 marzo 2015)

Siamo ormai giunti alla terza domenica di Quaresima e, nel Vangelo di oggi, abbiamo un chiaro annuncio della morte e risurrezione di Gesù. Ai Giudei che lo interrogavano, Gesù disse: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (Gv 2,19). Gesù intendeva parlare del tempio del suo Corpo, che è il vero tempio della divinità, di cui la costruzione di pietra era solo una immagine.
Gesù parla della sua prossima passione e morte, ma i farisei non comprendono questo linguaggio. Anche noi tante volte non comprendiamo il linguaggio della croce e cerchiamo di allontanare quanto più è possibile questo mistero dalla nostra vita. San Paolo, invece, nella seconda lettura ci vuole far comprendere che la Croce «è potenza di Dio e sapienza di Dio» (1Cor 1,24).
Anche noi, come i Giudei, chiediamo dei segni, o, come i pagani, cerchiamo solo una sapienza umana; ma Gesù ci offre un solo segno: la sua Croce; e ci insegna una sola sapienza: quella che lo condusse a offrire la sua vita in sacrificio per noi. Il cristiano deve comprendere bene questa lezione e saper riconoscere nella croce che porta un dono che lo rende ancora più simile al nostro Maestro Divino.
Il brano del Vangelo di oggi deve essere compreso bene. Il gesto di Gesù non deve essere inteso come un atto di impazienza di fronte ai venditori di animali e ai cambiavalute. Dobbiamo infatti ricordare che il Tempio di Gerusalemme aveva dei locali che si utilizzavano appositamente per la vendita degli animali destinati al sacrificio, e per il cambio delle monete. Infatti, questi animali dovevano essere comprati con una moneta speciale, di qui la necessità dei cambiavalute.
Gesù non era contrario a questo culto esterno: Egli stesso si recava al Tempio per adempiere queste prescrizioni. Il vero significato del suo gesto è un richiamo all'interiorità. Se questa mancasse, la cerimonia esterna diverrebbe un gesto inutile, buono solo ad ingannare la coscienza, facendo credere di essere a posto con Dio, quando invece non lo si è.
La Quaresima è il tempo adatto per penetrare anche noi in questa interiorità, per scrollarci di dosso la nostra superficialità nel culto divino. Il nostro culto esteriore, le nostre preghiere, la penitenza e i digiuni devono essere un'espressione d'amore, altrimenti varranno ben poco. Queste pratiche dovranno essere accompagnate dalla misericordia verso il nostro prossimo. Se con la preghiera chiediamo, sarà sempre con la misericordia che otterremo. Le più grandi penitenze non serviranno a nulla se saremo dominati dalla durezza del cuore.
Comunque, il gesto di Gesù è di grande insegnamento anche per il rispetto esteriore che dobbiamo avere per la Casa di Dio. Per questo motivo valgono le severe parole di Gesù: «Non fate della casa del Padre mio un mercato!» (Gv 2,16). Anche noi rischiamo di rendere la chiesa non solo un mercato, ma addirittura un teatro e un luogo di divertimento, profanato spesso da mode indecenti e scandalose.
Gesù stesso, un giorno, si lamentò con santa Gemma Galgani in questo modo: «Il mio Cuore è sempre contristato, me ne rimango quasi sempre solo nelle chiese e se molti si radunano hanno ben altri motivi e devo soffrire di vedere la mia chiesa, la mia casa ridotta in un teatro di divertimento...». E, a santa Margherita Maria, così diceva: «Io ho una sete ardente d'essere onorato dagli uomini nel Santissimo Sacramento e non trovo quasi nessuno che, secondo il mio desiderio, si sforzi di dissetarmi, usando verso di me qualche contraccambio».
In questa Quaresima dobbiamo fare un proposito molto importante: quello di venire spesso in chiesa, non soltanto per la Messa domenicale, ma anche per delle brevi visite a Gesù Sacramentato. Il pensiero che Gesù rimane notte e giorno nelle nostre chiese, nei nostri tabernacoli, non ci deve lasciare indifferenti. Dobbiamo sentire il dovere di venire ad adorare Gesù, di metterci ai suoi piedi e di donargli un po' del nostro tempo. Sarà il tempo meglio speso, e il Signore ci ricolmerà delle sue benedizioni.
La prima lettura di oggi ci richiama, invece, alla fedeltà alla Legge di Dio, ovvero ai dieci Comandamenti. I dieci Comandamenti tracciano quello che deve essere il nostro cammino, il cammino di ogni uomo che vuole raggiungere la felicità non solo su questa terra, ma, soprattutto, in Paradiso. Solo dall'osservanza di questa legge potrà scaturire la vera gioia, una gioia che nessuno potrà toglierci. Ad un certo punto della sua vita, san Leonardo da Porto Maurizio così diceva: «Ho settantadue anni e non sono stato neppure un giorno triste». Questo lo poteva dire perché egli visse sempre nell'amicizia con Dio, nell'osservanza dei suoi Comandamenti. Così potremo dire anche noi se faremo di questa legge di vita la luce per il nostro cammino.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio, (omelia per l'8 marzo 2015)

Stampa ArticoloStampa


BastaBugie è una selezione di articoli per difendersi dalle bugie della cultura dominante: televisioni, giornali, internet, scuola, ecc. Non dipendiamo da partiti politici, né da lobby di potere. Soltanto vogliamo pensare con la nostra testa, senza paraocchi e senza pregiudizi! I titoli di tutti gli articoli sono redazionali, cioè ideati dalla redazione di BastaBugie per rendere più semplice e immediata la comprensione dell'argomento trattato. Possono essere copiati, ma è necessario citare BastaBugie come fonte. Il materiale che si trova in questo sito è pubblicato senza fini di lucro e a solo scopo di studio, commento didattico e ricerca. Eventuali violazioni di copyright segnalate dagli aventi diritto saranno celermente rimosse.