BastaBugie n�126 del 05 febbraio 2010

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1 IL CALENDARIO CARITAS DIMENTICA I SANTI E FESTEGGIA MAOMETTO
Incredibile corsa all'autodistruzione
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Libero
2 PER CHI PUO' VOTARE UN CATTOLICO?
Il caso emblematico del Piemonte
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Avvenire
3 IL TIMONE CONTRO I DOGMI D'OGGI
Evoluzionismo, omosessualita' e vangeli tardivi
Autore: Gianpaolo Barra - Fonte: Il Timone
4 STORIA DI SHAZIA, 12 ANNI
Ecco un esempio di come le ragazze cristiane in Pakistan sono sovente vittime di abusi e violenze fisiche, sessuali e psicologiche
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
5 COME MAI ALCUNI CATTOLICI SI VERGOGNANO DI ATTACCARE LA BONINO, CANDIDATA PRESIDENTE DELLA REGIONE LAZIO E DA SEMPRE ACERRIMA NEMICA DEI CATTOLICI?

Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: IL FOGLIO
6 QUANDO LA CHIESA TEDESCA SCOMUNICO' IL NAZISMO (O NAZIONAL-SOCIALISMO)
La conferma dei documenti storici
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: ZENIT
7 IL SACERDOTE E LA PASTORALE NEL MONDO DIGITALE (I NUOVI MEDIA AL SERVIZIO DELLA PAROLA DI DIO)
Giornata mondiale delle comunicazioni sociali
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Vatican.va
8 LETTERE ALLA REDAZIONE: SAN FRANCESCO GIUSTIFICA LE CROCIATE E NON ERA PACIFISTA
Ecco le prove testimoniali di chi ha conosciuto il santo
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie
9 OMELIA PER LA V DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 5, 1-11)

Autore: Padre Antonio Izquierdo - Fonte: Sacerdos

1 - IL CALENDARIO CARITAS DIMENTICA I SANTI E FESTEGGIA MAOMETTO
Incredibile corsa all'autodistruzione
Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: Libero, 6 Gennaio 2010

Un calendario 2010 che mescola insieme ricorrenze cattoliche musulmane, ortodosse e cinesi, il tutto in un tripudio di "giornate", da quella per la pace a quella per il risparmio energetico.
Di questi tempi, nei quali vanno di moda le "contaminazioni" e il "meltingpot", non ci sarebbe nulla di originale, se non fosse che a curare e diffondere un simile almanacco è un giornale cattolico, e precisamente il periodico della Diocesi di Adria-Rovigo «La Settimana». Che per il nuovo anno ha pensato bene di offrire ai suoi lettori un calendario nel quale accanto al Santo Natale e all'Epifania (che per errore è però collocata curiosamente al 3 e non al 6 gennaio), compaiono in bella evidenza la musulmana ascensione del Profeta, la festa cinese della luna e il Ramadan. «Che male c'è?» dirà qualcuno. «In fondo, un anno è lungo, e c'è posto per tutti». Il guaio è che, quando si imbocca a tutta velocità la strada dell'ecumenismo e del sincretismo delle fedi, quando si getta benzina sul fuoco che alimenta l'indifferentismo religioso al grido di "crediamo tutti nello stesso Dio", quando si strizza l'occhio al "volemmossebbene" interculturale, succede che non ci si limita ad aggiungere, ma si inizia con il togliere, con il tagliare, con il perdere per strada pezzi della propria identità. Uno, magari, pensa di ragionare come i vecchi imbonitori da fiera e sta sulla porta urlando «Più credenze entrano e più feste si vedono» e poi finisce per rimanere fuori proprio Lui.
SANTA OBIEZIONE
Tanto che, scorrendo questo calendario "ecumenico", la prima cosa che balza all'occhio è la scomparsa dei santi. Ne sopravvive solo una sparuta rappresentanza forse tra quelli ritenuti più politicamente corretti: San Massimiliano (patrono degli obiettori di coscienza), San Francesco (patrono d'Italia) e Santo Stefano (senza spiegazioni). Scompare ogni riferimento al Giovedì Santo (quando Gesù istituisce il sacramento dell'eucarestia). A luglio si staglia, unica in tutta la pagina, la musulmana ascensione del Profeta (con la "P" maiuscola), mentre ad agosto si ricorda, in coda al Ramadan e alla giornata internazionale della gioventù, l'Assunzione di Maria vergine (con la "v" minuscola). L'Immacolata concezione di Maria sta appiattita fra il capodanno musulmano e la giornata internazionale dei diritti umani. Il 16 maggio non è il giorno dell'Ascensione di Nostro Signore, ma la 44^ giornata delle comunicazioni sociali. E a settembre?
Arrivano la 5^ giornata per la salvaguardia del creato, il Lialat Al qudir, la fine del Ramadan, la giornata internazionale della pace e la festa cinese della luna. Con buona pace delle feste mariane il primo gennaio si celebra la "43^ giornata della pace", ed è vero, ma probabilmente non secondo l'anelito politicamente corretto degli estensori del calendario. In compenso, non si dice che, prima di tutto, il Capodanno è la festa di Maria Madre di Dio, ed è questo il motivo per cui la Chiesa stabilisce fra l'altro il precetto di assistere alla Messa. Se il buon giorno si vede dal mattino, si capisce che nel calendario politicamente corretto le "giornate" devono ritagliarsi un ruolo da protagoniste. Se ne contano in tutto ben 34: dalla giornata del risparmio energetico, a quella dei consumatori.
Questa mania delle "giornate", che piace tanto anche a un gran numero di cattolici, è una trovata efficace per mandare in soffitta il vecchio calendario canonico, nel quale il tempo è scandito da feste dei Santi e ricorrenze liturgiche. Una strategia indolore grazie alla quale si impone un nuovo "calendario laico" in cui Dio scompare per essere rimpiazzato dalla Giornata Internazionale della Meteorologia e dalla Giornata Internazionale dell'Infermiere. Il vecchio progetto giacobino che non riuscì ai rivoluzionari, oggi sembra andare in porto, grazie alle agende acquistate in cartoleria o ricevute in dono dalla propria banca, nelle quali sono stati rimossi come pericolosi bacilli infettivi i nomi dei santi e talvolta perfino il Natale o la Pasqua.
L'Europa che dà lo sfratto esecutivo ai Crocefissi vuole sloggiare il Nazareno anche dal calendario. Ma c'è da restare di stucco nel vedere che siano proprio dei cattolici ad alimentare lo stato confusionale degli almanacchi, rimuovendo le ricorrenze cattoliche e rimpiazzandole con le "giornate" laiche e con le festività di altre religioni.
REAZIONI
Uno sconcerto che ha suscitato le reazioni di qualche fedele della diocesi di Adria-Rovigo. Francesca Pivirotto ha scritto alla "Settimana": «Non appenderò in casa il vostro calendario. Capisco che possiate pensare che quello che appendo o non appendo in casa mia sono affari miei. Probabilmente avete ragione, ma sentivo il bisogno di rendere pubbliche le mie proteste. Davvero l'integrazione passa attraverso la distruzione sistematica non solo della nostra cultura ma anche della nostra identità religiosa (operata per giunta da strutture interne alla diocesi)? Io non ne sono convinta, per cui ho appeso in casa il calendario che mi ha dato il mio amico legatore: ogni giorno un Santo a tenermi compagnia e a ricordarmi che sono cattolica, apostolica, romana.
Ogni giorno dell'anno un cattolico deve affrontare la vita con Cristo. Lui è la soluzione (la Via), non un ostacolo all'integrazione e a tutto il resto».
Se, al momento di andare in stampa con questo articolo, non è cambiato qualcosa, anche a noi risulta che sia così.

Fonte: Libero, 6 Gennaio 2010

2 - PER CHI PUO' VOTARE UN CATTOLICO?
Il caso emblematico del Piemonte
Autore: Massimo Introvigne - Fonte: Avvenire, 21 gennaio 2010

È iniziata la campagna elettorale in Piemonte tra Mercedes Bresso (PD), candidata del centro-sinistra, e Roberto Cota (Lega Nord), candidato del centro-destra. Come mi è capitato di rilevare in un articolo su Libero dell’8 gennaio 2010, Mercedes Bresso offre il raro esempio di una vita tutta consacrata al laicismo. Da questo punto di vista, il rilievo del personaggio è nazionale.
A Mercedes Bresso si deve riconoscere almeno una qualità. Non fa mistero della sua avversione alla Chiesa e del suo anticlericalismo. Sbandiera le origini del suo impegno politico, che viene «da un’antica militanza radicale e dalla collaborazione con Emma Bonino» in nome del «diritto all’aborto»: «con Franca Rame facemmo una dichiarazione di aborto. Fummo incriminate per autocalunnia» (intervista a Gay TV, 5.6.2009). Con la Bonino oggi la Bresso chiede l’abolizione del Concordato con la Chiesa Cattolica: «I Patti Lateranensi?... Sì, sarebbe il momento di abolirli» (Corriere della Sera, 24.2.2009). E presenta francamente anche la sua vita privata: «Mi sono sposata due volte. Entrambe con rito civile» (ibid.). «Non ho figli perché non ne ho voluti. Sensi di colpa? Pas du tout» (Corriere della Sera, 16.4.2008).
Non si rende dunque un buon servizio, oltre che alla verità, neppure alla stessa Bresso quando per difendere l’indifendibile – il sostegno di cattolici alla sua candidatura – si divulgano bugie sperando nella memoria corta di elettori più o meno male informati. Almeno cinque bugie meritano una chiara risposta.
Prima bugia: «Non è vero che la Bresso sostiene il matrimonio omosessuale». Falso: la Bresso afferma che «per il momento credo si debba introdurre un provvedimento simile al Pacs che garantisca diritti veri. In prospettiva, compatibilmente con il necessario cambiamento culturale, credo che si debba pensare ad un riconoscimento vero e proprio come il matrimonio» (Gay TV, 5.6.2009).
Seconda bugia: «Non è vero che la Bresso si sia particolarmente impegnata, in occasione del caso Eluana Englaro, per sostenere che alla vita della ragazza si doveva porre fine sospendendo l’alimentazione e l’idratazione». Falso: la Bresso si è vantata di avere tra le prime in Italia offerto a Beppino Englaro le strutture pubbliche della Regione Piemonte (La Stampa, 20.1.2009), spiegando che per lei «la vita di Eluana è artificiale. Si sostiene che alimentazione e idratazione non sono trattamenti medici e questo è un falso» (L’Unità, 23.1.2009).
Terza bugia: «Sostenere la Bresso alle Elezioni Regionali è una scelta che non tocca la vita e la famiglia perché su queste materie la Regione non ha competenza». Falso: le scelte in materia di aborto e di fine vita in concreto coinvolgono gli ospedali, su cui la Regione ha un’ampia competenza. E infatti la stessa Bresso ci spiega che la Regione Piemonte da lei guidata assicurerà un’ampia diffusione della pillola abortiva RU486 senza badare a spese (dei contribuenti): «un eventuale aggravio di costi per la Regione è del tutto indifferente» (dichiarazione del 6.8.2009, sul suo sito). Quanto alle unioni omosessuali, ancora la Bresso ci assicura che «per quanto riguarda la Regione ci muoveremo per garantire pari opportunità a tutti i cittadini e per combattere ogni discriminazione» (30.9.2005). Altro che materie «non di competenza regionale»!
Quarta bugia: «Molti cattolici, senza che i vescovi protestassero, hanno sostenuto nel 2008 il candidato alla presidenza del Friuli Venezia Giulia del PDL, Renzo Tondo, il quale – come avrebbe poi praticamente dimostrato sul caso Eluana – in materia di fine vita aveva posizioni molto diverse da quelle della dottrina cattolica. Se hanno sostenuto Tondo, possono sostenere anche la Bresso». Falso: il fatto di avere sbagliato una volta non è un buon motivo per sbagliare di nuovo la seconda. Ad hominem, a politici che vengono dalla Democrazia Cristiana – con tutto il rispetto per le tante persone degnissime che ne hanno fatto parte –, si sarebbe tentati di ricordare una vecchia battuta di Giovanni Guareschi: «sbagliare è umano, perseverare è democristiano». Inoltre è ingeneroso paragonare Tondo, le cui posizioni in materia di fine vita sono certo inaccettabili, alla Bresso, la quale fa del laicismo un tratto dominante di tutta la sua esperienza politica e si schiera contro le posizioni care ai cattolici non solo sul fine vita ma su tutti i temi «non negoziabili»: aborto, RU486, matrimonio omosessuale.
Quinta bugia: «La Bresso sarà pure l’equivalente della Bonino ma anche il suo avversario Cota, esponente della Lega Nord, sull’immigrazione ha posizioni diverse da quelle dei vescovi. Sì, la Bresso ha le stesse posizioni della Bonino ma in Lazio l’alternativa alla Bonino è l’accettabile Polverini, in Piemonte è l’inaccettabile Cota, e per fermare la deriva xenofoba della Lega i poveri cattolici piemontesi sono dunque costretti a votare Bresso». Falso. E falso, in questo caso, tre volte. Falso in linea di principio, anzitutto perché chi fosse convinto che entrambi i candidati in caso di vittoria opereranno contro il bene comune non dovrebbe sostenere nessuno dei due.
Ma soprattutto perché per i cattolici i temi che determinano le scelte politiche non sono affatto tutti uguali. Come scriveva la Congregazione per la Dottrina della Fede in una nota trasmessa ai vescovi americani durante la campagna elettorale statunitense del 2004 ci sono temi su cui «ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici» – gli esempi indicati riguardano il campo della sicurezza e la guerra in Iraq, temi certo non meno gravi dell’immigrazione – «non però in alcun modo riguardo all’aborto e all’eutanasia» e ai principi non negoziabili di ordine morale. Ammettendo anche che Cota sia in dissenso dalla posizione dei vescovi italiani – o di qualcuno di loro – sulle materie dell’immigrazione, si tratterebbe comunque di temi «negoziabili», appunto su cui «ci può essere una legittima diversità di opinione anche tra i cattolici», mentre la Bresso è in totale e radicale opposizione alle dottrina della Chiesa su principi «non negoziabili» – aborto, fine vita, unioni omosessuali – da cui un cattolico non può dissentire «in alcun modo».
Ma – in terzo luogo – l’argomento è falso anche in linea di fatto. La posizione del governo Berlusconi – che certamente Cota sostiene e condivide – in tema d’immigrazione è oggetto di critiche da parte di alcuni vescovi. Come tutti i problemi complessi e tecnici se ne può e se ne deve discutere seriamente e pacatamente. La tesi del governo secondo cui l’Italia non può accogliere un numero illimitato d’immigrati e tale numero deve essere limitato trova sostegno nel Catechismo della Chiesa Cattolica, certo più autorevole delle interviste di questo o quel monsignore, il quale afferma al n. 2241 che la nazioni ricche sono tenute ad accogliere gli immigrati «nella misura del possibile» e che «le autorità politiche, in vista del bene comune, di cui sono responsabili, possono subordinare l'esercizio del diritto di immigrazione a diverse condizioni giuridiche». Quanto alla tesi del governo secondo cui il miglior modo di aiutare i cittadini dei Paesi poveri è aiutarli a vivere dignitosamente a casa loro, assomiglia molto a questa affermazione sul problema dell’immigrazione: «La soluzione fondamentale è che non ci sia più bisogno di emigrare, perché ci sono in Patria posti di lavoro sufficienti, un tessuto sociale sufficiente, così che nessuno abbia più bisogno di emigrare». L’affermazione non è né di Berlusconi né di Cota. È di Papa Benedetto XVI, 15 aprile 2008.

Fonte: Avvenire, 21 gennaio 2010

3 - IL TIMONE CONTRO I DOGMI D'OGGI
Evoluzionismo, omosessualita' e vangeli tardivi
Autore: Gianpaolo Barra - Fonte: Il Timone, gennaio 2010

Date un’occhiata – meglio: leggete con attenzione – il dossier pubblicato su questo numero. Tratta di un “dogma” moderno del quale, per molti, non si dovrebbe dubitare. Anzi, non si dovrebbe nemmeno parlare. E il dogma è questo: l’evoluzionismo è verità incontrovertibile, dimostrata, assoluta, perciò indiscutibile. Punto e fine! Invece, nel dossier scriviamo che si tratta solo di un’ipotesi, e tale resterà fino a quando non sarà scientificamente fondata. Guai, però, a contestare questo dogma laicista. Lo sa bene Roberto de Mattei, vice presidente del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) e firma nota ai lettori del Timone, che ha organizzato un convegno, a porte chiuse, con fior fior di scienziati i quali, sulla base delle loro conoscenze e studi, dubitano dell’evoluzionismo. Non appena pubblicati gli atti (Evoluzionismo: il tramonto di una ipotesi, Cantagalli), poche settimane fa, apriti cielo! Come è possibile – si sono chiesti gli arcigni dogmatici di casa laicista – che qualcuno si sia permesso di dubitare dell’evoluzionismo? E perché gli è ancora consentito di ricoprire quella prestigiosa carica? Sottinteso, ma neanche tanto: quanto si deve aspettare prima di buttarlo fuori dal CNR?
Fatti del genere non riguardano, purtroppo, solo il mondo dei non cattolici. Anche in casa nostra abbiamo dato prova di saper fare cose analoghe, se non peggiori.
Nel 1974 il gesuita José O’Callaghan scoprì che un frammento trovato a Qumran, catalogato con la sigla 7Q5, conteneva un passaggio del Vangelo di Marco. Fu subissato di critiche feroci, anche sulla sua persona, ed emarginato dai colleghi, molti dei quali religiosi cattolici. La casta degli esegeti e dei biblisti dell’epoca, infatti, sosteneva che i Vangeli fossero stati scritti – ad andar bene – solo a partire dalla fine del primo secolo, più probabilmente nel secondo, quando i testimoni oculari erano passati a miglior vita. E loro – gli studiosi – s’erano indaffarati una vita a spiegarci che cosa in quei Vangeli aveva veramente detto il Signore e che cosa era stato aggiunto dai discepoli decenni dopo la sua morte e risurrezione.
Poiché Qumran conteneva papiri databili a prima del 68, e quel 7Q5 era addirittura del 50 d.C., la scoperta di O’Callaghan minava l’allora imperante dogma esegetico-biblico, quindi il gesuita – non solo la sua opinione, ma la persona! – non aveva diritto di cittadinanza e di parola. Impossibile, per quegli esegeti, che 7Q5 fosse un frammento del Vangelo. Invece, lo è, come provarono indagini successive di molti anni. Ma la casta resistette a oltranza e con durezza: difficile, per chi ne faceva parte, ammettere d’aver trascorso una vita a sostenere un errore. L’umiltà è rara, si sa, e non solo nel mondo laicista.
Oggi, qualcosa di simile emerge quando si parla di omosessualità. Che sia una condizione normale è un dogma della cultura dominante, e provi qualcuno a dubitarne, se ci riesce. Gli amici di Chaire e di altre realtà che, contando tra le loro fila diversi ex-omosessuali, si impegnano per recuperare chi lo desideri ad una condizione di normale eterosessualità, devono agire con prudenza, talvolta in clandestinità. La lobby gay, in Italia come altrove, è potente. Ed è cattiva. Non pensarla come loro può costare.
Così va il mondo, oggi: lecito dubitare di tutto, ma non di certi dogmi. Con qualche eccezione. Una siamo noi del Timone. E, se non ci piglia un colpo di sole, lo saremo anche in futuro. Voi, cari lettori, dateci una mano. Con la vostra preghiera, innanzitutto, e poi con la vostra fattiva solidarietà.

Fonte: Il Timone, gennaio 2010

4 - STORIA DI SHAZIA, 12 ANNI
Ecco un esempio di come le ragazze cristiane in Pakistan sono sovente vittime di abusi e violenze fisiche, sessuali e psicologiche
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 31 gennaio 2010

Nessuno a Hollywood le dedicherà un film (che pure sarebbe da Oscar), nessuno scrittore la immortalerà in un romanzo, nessun giornale occidentale – che dedica pagine e pagine al burqa in Francia – ha sollevato clamore.
Perché i cristiani sono tornati come al tempo di san Paolo: “siamo diventati la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti”. Dunque la triste storia di Shazia Bashir, 12 anni, cristiana, non può far notizia.Come non fa notizia che proprio i cristiani siano il gruppo umano più perseguitato del pianeta. Nemmeno i credenti lo sanno e si fanno semmai bersagliare dalle accuse opposte. (...)
Detto questo la storia di questa ragazzina cristiana, Shazia Bashir, non si può tacere. Oltretutto è solo la punta dell’iceberg.
L’ha fatta emergere dal silenzio, una settimana fa, l’agenzia missionaria Asianews (del Pontificio istituto missioni estere), che fa un lavoro eccezionale, ma come una voce che grida nel deserto. Ha lanciato la notizia così, dal Pakistan: “Lahore, domestica cristiana 12enne torturata e uccisa”. L’agenzia riferisce che viene accusato il padrone musulmano: “La giovane lavorava presso la famiglia di un potente avvocato della città, dove era soggetta a violenze sessuali, fisiche e psicologiche. La morte della ragazza ha scatenato le proteste della comunità cristiana, che chiede giustizia. Attivista per i diritti umani: il 99 per cento delle giovani cristiane che lavorano per musulmani sono vittime di violenze e abusi”.
Vedremo se e come le autorità arriveranno a individuare e punire il o i colpevoli. Ma non ci si possono fare illusioni sulla tutela dei cristiani in un paese come il Pakistan.
L’agenzia Asianews aggiunge: “ ‘I genitori di Shazia non hanno potuto vedere la figlia’ denuncia Razia Bibi, 44 anni, zia della vittima. La 12enne è morta il 22 gennaio scorso in ospedale a causa delle ferite subite. Sohail Johnson, (attivista per i diritti umani, nda) conferma che il cadavere presentava i segni delle torture in 12 punti diversi del corpo ed è stata ricoverata ‘con la mandibola fratturata’. In un primo momento la famiglia dell’avvocato ha proposto un risarcimento di 250 dollari ai genitori per non sporgere denuncia; poi si sono dati alla fuga. La polizia li ha arrestati dietro pressioni del governo federale”.
Il giorno dopo la morte di Shazia i cristiani hanno manifestato di fronte agli uffici dell’Assemblea provinciale del Punjab. “L’associazione dei legali di Lahore, invece, si è schierata a difesa del potente avvocato musulmano. La minoranza cristiana” scrive ancora Asianews “esprime dubbi sull’indipendenza e l’efficacia delle indagini avviate dalla polizia”.
Va detto che non stiamo parlando di un paese marginale: il Pakistan ha 180 milioni di abitanti, è addirittura una potenza nucleare e si trova in una posizione geopolitica strategica, fondamentale nella lotta occidentale al terrorismo islamico.
Ma gli Stati Uniti sbagliano profondamente se si illudono di potere vincere quella guerra solo tramite la via militare, in alleanza col regime pakistano.
Anche perché il Pakistan, che dovrebbe essere un pilastro di questa lotta al terrorismo, è uno dei paesi più integralisti, quello dove è stata inventata ed è tuttora in vigore la vergognosa “legge sulla blasfemia” che dà praticamente diritto di vita o di morte sui cristiani o su chi non si riconosca nel credo coranico.
I cristiani lì sono una minoranza ridotta alla miseria, vessata in ogni modo. Le famiglie cristiane sono così povere che per sopravvivere sono costrette a mandare le figlie a lavorare già da bambine e in genere l’unico lavoro che possono fare è quello delle serve presso le ricche famiglia musulmane.
Dove però – scrive Asianews – “sono sovente vittime di abusi e violenze fisiche, sessuali e psicologiche”.
Secondo un’organizzazione per i diritti umani “in alcuni casi i loro padroni le danno in spose a domestici musulmani, obbligandole a convertirsi all’islam”. In sostanza “queste vulnerabili ragazze cristiane non godono di alcuna protezione”.
La Chiesa italiana e il Vaticano si sono spesso (anche in queste ore) pronunciati in difesa degli immigrati. Giustamente. Ma chi si occupa dei poveri cristiani di quei paesi, così poveri da non poter neanche tentare di emigrare?
Ragazzine come Shazia sono costrette a subire una vita infernale per una paga di 12 dollari al mese, a volte neanche corrisposta: perché la Chiesa, tramite le parrocchie, la Caritas o tante altre organizzazioni, non lancia una grande campagna per le “adozioni a distanza” di queste ragazzine cristiane?
Io credo che tantissimi sarebbero disposti a dare 12 dollari al mese, cioè 8 euro al mese, per salvare queste povere fanciulle da un simile inferno. La vita di una fanciulla cristiana di dodici anni vale almeno 8 euro?
Mi chiedo perché gli stessi cattolici, che nei primi secoli onoravano e veneravano le giovani cristiane martirizzate dai pagani, ignorano la sorte terribile e il martirio di tante fanciulle in molti paesi.
Nei primi secoli addirittura i padri della Chiesa scrivevano pagine immortali in onore di queste fanciulle: penso al caso di sant’Agnese, martire a 16 anni. Sant’Ambrogio, san Girolamo e san Damaso esaltarono il suo esempio, la Chiesa la venera da 1700 anni, a lei ha dedicato chiese e memorie liturgiche.
Mentre noi cristiani del XXI secolo neanche conosciamo i nomi dei martiri di oggi. Nel tempo dell’informazione planetaria globale i cattolici stessi ignorano la vastità e la crudeltà dell’odio anticristiano e delle persecuzioni nel mondo.
Così nessuno ha mai pensato di aiutare le povere famiglie cristiane di questi paesi, né di realizzare un qualche osservatorio internazionale o un’agenzia di difesa sul modello dell’ “Anti defamation league” o di Amnesty international.
Non si potrebbe sostenere di più il lavoro di associazioni come “L’Aiuto alla Chiesa che soffre”? Non si potrebbero moltiplicare gli sforzi e le organizzazioni di questo tipo?
Non  potrebbero i cattolici e il Vaticano, anche in accordo con le organizzazioni cristiane protestanti (questo sarebbe il vero ecumenismo), creare ad esempio un’équipe di avvocati specializzati con la missione di fornire assistenza legale gratuita a livello internazionale, per patrocinare le cause dei cristiani perseguitati in ogni sede giuridica, politica o amministrativa?
Sono domande che personalmente pongo da anni, con articoli, libri e conferenze. Ma non ho mai avuto il barlume di una risposta. Forse perché i molti uffici del Vaticano sono impegnati con tanti altri problemi delicati.
Ma siamo sicuri che la tragedia dei cristiani perseguitati sia una questioncella secondaria? Siamo sicuri che non si possa fare di più? (...)

Fonte: Libero, 31 gennaio 2010

5 - COME MAI ALCUNI CATTOLICI SI VERGOGNANO DI ATTACCARE LA BONINO, CANDIDATA PRESIDENTE DELLA REGIONE LAZIO E DA SEMPRE ACERRIMA NEMICA DEI CATTOLICI?

Autore: Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro - Fonte: IL FOGLIO, 26 gennaio 2010

La cattiva politica è sempre figlia della cattiva teologia, che a sua volta ha per ancella una cattiva filosofia. In questo sta il perché del disarmante atteggiamento del mondo cattolico a fronte della candidatura di Emma Bonino. Un fenomeno che potrebbe apparire strano se si pensa che questo mondo, solo l’altro ieri, aveva partorito il Family day. Eppure, strano non è, lo dicono i fatti.
Nel viterbese, una nutrita rappresentanza della base cattolica voterà Bonino senza neanche turarsi il naso. Dal canto suo, Avvenire, quotidiano della Conferenza episcopale italiana, nasconde a pagina 11 una critica alla candidata radicale riducendo a rango di parere quello che avrebbe dovuto essere un articolo di fondo: lo ha denunciato il direttore del laico Foglio, tirando in ballo il diavolo, argomento così giù di moda in casa cattolica. Non basta: perché un cervello non certo gettato all’ammasso del politicamente corretto come Antonio Socci spiega che la Bonino e il diavolo non si accostano neanche in iperbole, ché si mischiano indebitamente politica e teologia: e lo spiega, naturalmente, al direttore del laico Foglio. Intanto, il direttore di Avvenire illustra che lui impagina come vuole, in piena autonomia, eccetera: e lo illustra sempre al direttore del laico Foglio.
In un mondo, non si dice ideale, ma quasi normale, tutto questo avrebbe del grottesco e i fatti di cui sopra andrebbero capovolti di segno. E invece no. All’indomani, o al massimo dopodomani, del Family day, il direttore del laico Foglio, si trova messo in croce dagli ambienti cattolici per aver detto ciò che essi stessi dovrebbero avere, se non il coraggio di dire, almeno la coerenza di pensare. Il paradosso nasce dal fatto che Giuliano Ferrara, ha l’abitudine di argomentare sillogisticamente, e mal gliene incoglie perché tale abitudine il mondo cattolico l’ha buttata alle ortiche assieme da vari decenni.
Il caso Bonino è la summa di tale debacle. Ragionare per credere, e partire dalla realtà per ragionare.
Ora, la realtà dice che i radicali, sono dei praticanti rigorosi che professano un anticattolicesimo ortodosso, argomentato, dottrinale. Si occupano di tutto ciò che sta a cuore al Papa e alla chiesa, tenendo immancabilmente una posizione inversa. Il loro obiettivo non è soltanto quello di cambiare le leggi o di mettere a segno vittorie politiche. La loro vera scommessa è capovolgere la mentalità dell’opinione pubblica senza che nessuno se ne accorga. E ora hanno piazzato la Bonino nella corsa alla presidenza del Lazio, imponendola a un Partito democratico che, a dispetto di certi sommessi e comunque colpevoli rigurgiti teodem, non è affatto estraneo alla ideologia radicale, ma ne rappresenta l’incarnazione di massa.
A fronte di tale premessa maggiore del sillogismo, traducibile in “la Bonino è il diavolo”, si trova la premessa minore “i cattolici combattono il diavolo”, cui dovrebbe seguire la conclusione “dunque i cattolici combattono la Bonino”. Ma la conclusione non segue. E non può seguire poiché il mondo cattolico è in debito di dottrina, e non solo nella sua cosiddetta ala sinistra. Il risultato è una popolazione cattolica spesso animata dalle migliori intenzioni, ma che ha convinzioni, princìpi, criteri di riferimento totalmente alternativi e contraddittori.
Tutto questo non è accaduto tra il Family day e la candidatura della Bonino. Ha radici ben più profonde, messe in luce acutamente da Luigi Manconi in un articolo pubblicato sull’Unità il 15 gennaio con l’inequivocabile titolo “I cattolici appoggeranno Emma Bonino”. Dopo aver spiegato che la secolarizzazione è “la tendenza ad adottare comportamenti e modelli di vita immanenti non derivati da dogmi di fede o da morali sovradeterminate”, e dopo aver messo in luce, evocando lo “scisma sommerso” di Pietro Prini, che “tale processo non riguarda solo i semplici fedeli, ma coinvolge anche una parte delle gerarchie”, Manconi fornisce le ragioni del fenomeno.
“Le politiche sulle questioni di fine vita” dice “ma anche lo stesso antiproibizionismo, sono il frutto di una riflessione morale che pone al centro l’integrità della persona umana, la sua dignità e i suoi diritti”. E da ciò desume che “l’antropologia radicale rivela profondi punti di contatto con l’antropologia, anch’essa fondata sui concetti di dignità e integrità della persona. (…) In altre parole, le controversie etiche finiscono con l’avvicinare i cattolici (e anche le gerarchie) ai Radicali più di quanto li avvicinino i titolari di una concezione agnostica e amorale della vita”.
E’ ovvio che, quando è integro, il cattolicesimo non offre alcun appiglio a tale prospettiva. Ma le cose cambiano totalmente se si pensa che Manconi ci sta descrivendo impietosamente quel magma informe che oggi porta sulla divisa la targhetta di “mondo cattolico”. Un coacervo che attraversa la politica, la teologia, la filosofia, e che può scegliere Hans Kung o Sant’Alfonso Maria de Liguori, Kant o Tommaso d’Aquino, Bonino o Berlusconi, Martini o Ratzinger, sostenendo di appartenere alla stessa religione.
Lo svarione teologico, che si traduce in svarione morale e politico, ha come strumento uno svarione filosofico: l’assunzione del metodo, delle categorie e dei princìpi di filosofie estranee al cattolicesimo. Per cui, davanti a un qualsiasi fenomeno nato in quel brodo culturale, non si è in grado di dare risposte cattoliche.
L’impostazione di un problema ne determina la soluzione, quindi le questioni sociali formulate oggi all’interno del radicalismo possono avere, con sfumature diverse, soltanto soluzioni radicali. E’ il dialogo, bellezza. Peguy denunciava questo dramma già nel 1900 parlando di “cristiani sfaldati nel loro cristianesimo. Perché è da dirsi che non sono più cristiani; forse non lo sono più in nulla e sono puramente, propriamente moderni”. Gente che, votando la Bonino, si illude persino di perfezionare, purificare il cristianesimo. Ma, è sempre Peguy che parla, “perfezionare il cristianesimo è quasi come se si volesse perfezionare il nord, la direzione del nord. Ma il cristianesimo è naturalmente e sovrannaturalmente fisso”.

Fonte: IL FOGLIO, 26 gennaio 2010

6 - QUANDO LA CHIESA TEDESCA SCOMUNICO' IL NAZISMO (O NAZIONAL-SOCIALISMO)
La conferma dei documenti storici
Autore: Antonio Gaspari - Fonte: ZENIT, 1° ottobre 2009

Altro che Papa di Hitler. Altro che volenterosi collaboratori del nazismo. Alcuni documenti trovati in Germania dalla Pave the Way Foundation (PTWF) provano che già dal settembre del 1930 i Vescovi cattolici scomunicarono il Partito Nazista di Hitler.
Dai documenti trovati da Michael Hesemann, collaboratore della PTWF, risulta che nel settembre del 1930, tre anni prima che Adolf Hitler salisse al potere, l’arcidiocesi di Magonza condannò in forma pubblica il Partito Nazista.
Secondo le norme pubblicate dall’Ordinariato di Magonza era “vietato a qualsiasi cattolico iscriversi nelle fila del partito nazionalsocialista di Hitler”.
 “Ai membri del partito hitleriano non era permesso prendere parte in gruppo a funerali o altre simili funzioni cattoliche”. Inoltre, “finchè un cattolico rimaneva iscritto al partito hitleriano non poteva essere ammesso ai sacramenti”.
La denuncia dell’arcidiocesi di Magonza venne riportata in prima pagina da “L’Osservatore Romano” con un articolo pubblicato l’11 ottobre del 1930.
Il titolo dell’articolo è “Il partito di Hitler condannato dall’autorità ecclesiastica”.
Allora, venne dichiarata l’incompatibilità della fede cattolica con il nazionalsocialismo. Nessuna persona che si dichiarava cattolica poteva diventare membro del Partito Nazista, pena l’esclusione dai sacramenti.
Nel febbraio del 1931 fu la diocesi di Monaco a confermare l’incompatibilità della fede cattolica con il partito nazista.
Nel marzo del 1931 anche le diocesi di Colonia, Paderrborn e delle province renane, denunciarono l’ideologia nazista, vietando in forma pubblica ogni contatto con i nazisti.
Indignati e furiosi per la scomunica emessa dalla Chiesa cattolica, i nazisti inviarono Hermann Göring a Roma con la richiesta di udienza al Segretario di Stato Eugenio Pacelli. Il 30 aprile del 1931, il Cardinale Pacelli si rifiutò di incontrare Göring, il quale fu ricevuto dal Sottosegretario monsignor Giuseppe Pizzardo con l’incarico di prendere nota di ciò che i nazisti chiedevano.
Nell’agosto del 1932, la Chiesa cattolica scomunicò tutti i dirigenti del Partito Nazista. Tra i principi anticristiani denunciati come eretici, la Chiesa cattolica tedesca menzionò esplicitamente le teorie razziali ed il razzismo.
Sempre nell’agosto del 1932, la Conferenza Episcopale Tedesca pubblicò un dettagliato documento in cui dava istruzioni su come relazionarsi con il Partito Nazista.
Nel documento è scritto che era assolutamente vietato per i cattolici diventare membri del Partito nazionalsocialista. Chi disobbediva veniva immediatamente scomunicato.
Nel documento della Conferenza Episcopale trovato dalla PTWF è scritto che “tutti gli Ordinari hanno dichiarato illecito l’appartenere al Partito Nazista”, perchè “le manifestazioni di numerosi capi e pubblicisti del partito hanno carattere ostile alla fede” e “sono contrarie alla dottrine fondamentali ed agli indirizzi della Chiesa cattolica”.
Nel gennaio del 1933 Adolf Hitler giunse al potere e le organizzazioni cattoliche tedesche diffusero un volantino intitolato “Un appello serio in un momento grave”, in cui consideravano la vittoria del Partito nazionalsocialista “un disastro” per il popolo e per la nazione.
Il 10 marzo del 1933, la Conferenza Episcopale Tedesca riunita a Fulda scrisse un appello al Presidente della Germania, il generale Paul L. von Beneckendorff und von Hindenburg, per esprimere "le nostre preoccupazioni più gravi che sono condivise da ampi settori della popolazione”.
I Vescovi tedeschi si rivolsero a von Hindenburg manifestando il timore che i nazisti non avrebbero rispettato “il Santuario della Chiesa e la posizione della Chiesa nella vita pubblica”.
Per questo chiesero al Presidente una “urgente protezione della Chiesa e della vita ecclesiastica”.
Tuttavia, i Vescovi cattolici non furono ascoltati.

Fonte: ZENIT, 1° ottobre 2009

7 - IL SACERDOTE E LA PASTORALE NEL MONDO DIGITALE (I NUOVI MEDIA AL SERVIZIO DELLA PAROLA DI DIO)
Giornata mondiale delle comunicazioni sociali
Autore: Benedetto XVI - Fonte: Vatican.va, 24 gennaio 2010 [Messaggio per domenica 16 maggio 2010]

Cari fratelli e sorelle,
il tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali –“Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola”–, si inserisce felicemente nel cammino dell’Anno sacerdotale, e pone in primo piano la riflessione su un ambito pastorale vasto e delicato come quello della comunicazione e del mondo digitale, nel quale vengono offerte al Sacerdote nuove possibilità di esercitare il proprio servizio alla Parola e della Parola. I moderni mezzi di comunicazione sono entrati da tempo a far parte degli strumenti ordinari, attraverso i quali le comunità ecclesiali si esprimono, entrando in contatto con il proprio territorio ed instaurando, molto spesso, forme di dialogo a più vasto raggio, ma la loro recente e pervasiva diffusione e il loro notevole influsso ne rendono sempre più importante ed utile l’uso nel ministero sacerdotale.
Compito primario del Sacerdote è quello di annunciare Cristo, la Parola di Dio fatta carne, e comunicare la multiforme grazia divina apportatrice di salvezza mediante i Sacramenti. Convocata dalla Parola, la Chiesa si pone come segno e strumento della comunione che Dio realizza con l’uomo e che ogni Sacerdote è chiamato a edificare in Lui e con Lui. Sta qui l’altissima dignità e bellezza della missione sacerdotale, in cui viene ad attuarsi in maniera privilegiata quanto afferma l’apostolo Paolo: “Dice infatti la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso… Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati?” (Rm 10,11.13-15).
Per dare risposte adeguate a queste domande all’interno dei grandi cambiamenti culturali, particolarmente avvertiti nel mondo giovanile, le vie di comunicazione aperte dalle conquiste tecnologiche sono ormai uno strumento indispensabile. Infatti, il mondo digitale, ponendo a disposizione mezzi che consentono una capacità di espressione pressoché illimitata, apre notevoli prospettive ed attualizzazioni all’esortazione paolina: “Guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1Cor 9,16). Con la loro diffusione, pertanto, la responsabilità dell’annuncio non solo aumenta, ma si fa più impellente e reclama un impegno più motivato ed efficace. Al riguardo, il Sacerdote viene a trovarsi come all’inizio di una “storia nuova”, perché, quanto più le moderne tecnologie creeranno relazioni sempre più intense e il mondo digitale amplierà i suoi confini, tanto più egli sarà chiamato a occuparsene pastoralmente, moltiplicando il proprio impegno, per porre i media al servizio della Parola.
Tuttavia, la diffusa multimedialità e la variegata “tastiera di funzioni” della medesima comunicazione possono comportare il rischio di un’utilizzazione dettata principalmente dalla mera esigenza di rendersi presente, e di considerare erroneamente il web solo come uno spazio da occupare. Ai Presbiteri, invece, è richiesta la capacità di essere presenti nel mondo digitale nella costante fedeltà al messaggio evangelico, per esercitare il proprio ruolo di animatori di comunità che si esprimono ormai, sempre più spesso, attraverso le tante “voci” scaturite dal mondo digitale, ed annunciare il Vangelo avvalendosi, accanto agli strumenti tradizionali, dell’apporto di quella nuova generazione di audiovisivi (foto, video, animazioni, blog, siti web), che rappresentano inedite occasioni di dialogo e utili mezzi anche per l’evangelizzazione e la catechesi.
Attraverso i moderni mezzi di comunicazione, il Sacerdote potrà far conoscere la vita della Chiesa e aiutare gli uomini di oggi a scoprire il volto di Cristo, coniugando l’uso opportuno e competente di tali strumenti, acquisito anche nel periodo di formazione, con una solida preparazione teologica e una spiccata spiritualità sacerdotale, alimentata dal continuo colloquio con il Signore. Più che la mano dell’operatore dei media, il Presbitero nell’impatto con il mondo digitale deve far trasparire il suo cuore di consacrato, per dare un’anima non solo al proprio impegno pastorale, ma anche all’ininterrotto flusso comunicativo della “rete”.
Anche nel mondo digitale deve emergere che l’attenzione amorevole di Dio in Cristo per noi non è una cosa del passato e neppure una teoria erudita, ma una realtà del tutto concreta e attuale. La pastorale nel mondo digitale, infatti, deve poter mostrare agli uomini del nostro tempo, e all’umanità smarrita di oggi, che “Dio è vicino; che in Cristo tutti ci apparteniamo a vicenda” (Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana per la presentazione degli auguri natalizi: L’Osservatore Romano, 21-22 dicembre 2009, p. 6).
Chi meglio di un uomo di Dio può sviluppare e mettere in pratica, attraverso le proprie competenze nell’ambito dei nuovi mezzi digitali, una pastorale che renda vivo e attuale Dio nella realtà di oggi e presenti la sapienza religiosa del passato come ricchezza cui attingere per vivere degnamente l’oggi e costruire adeguatamente il futuro? Compito di chi, da consacrato, opera nei media è quello di spianare la strada a nuovi incontri, assicurando sempre la qualità del contatto umano e l’attenzione alle persone e ai loro veri bisogni spirituali; offrendo agli uomini che vivono questo nostro tempo “digitale” i segni necessari per riconoscere il Signore; donando l’opportunità di educarsi all’attesa e alla speranza e di accostarsi alla Parola di Dio, che salva e favorisce lo sviluppo umano integrale. Questa potrà così prendere il largo tra gli innumerevoli crocevia creati dal fitto intreccio delle autostrade che solcano il cyberspazio e affermare il diritto di cittadinanza di Dio in ogni epoca, affinché, attraverso le nuove forme di comunicazione, Egli possa avanzare lungo le vie delle città e fermarsi davanti alle soglie delle case e dei cuori per dire ancora: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).
Nel Messaggio dello scorso anno ho incoraggiato i responsabili dei processi comunicativi a promuovere una cultura di rispetto per la dignità e il valore della persona umana. E’ questa una delle strade nelle quali la Chiesa è chiamata ad esercitare una “diaconia della cultura” nell’odierno “continente digitale”. Con il Vangelo nelle mani e nel cuore, occorre ribadire che è tempo anche di continuare a preparare cammini che conducono alla Parola di Dio, senza trascurare di dedicare un’attenzione particolare a chi si trova nella condizione di ricerca, anzi procurando di tenerla desta come primo passo dell’evangelizzazione. Una pastorale nel mondo digitale, infatti, è chiamata a tener conto anche di quanti non credono, sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche, dal momento che i nuovi mezzi consentono di entrare in contatto con credenti di ogni religione, con non credenti e persone di ogni cultura. Come il profeta Isaia arrivò a immaginare una casa di preghiera per tutti i popoli (cfr Is 56,7), è forse possibile ipotizzare che il web possa fare spazio - come il “cortile dei gentili” del Tempio di Gerusalemme - anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto?
Lo sviluppo delle nuove tecnologie e, nella sua dimensione complessiva, tutto il mondo digitale rappresentano una grande risorsa per l’umanità nel suo insieme e per l’uomo nella singolarità del suo essere e uno stimolo per il confronto e il dialogo. Ma essi si pongono, altresì, come una grande opportunità per i credenti. Nessuna strada, infatti, può e deve essere preclusa a chi, nel nome del Cristo risorto, si impegna a farsi sempre più prossimo all’uomo. I nuovi media, pertanto, offrono innanzitutto ai Presbiteri prospettive sempre nuove e pastoralmente sconfinate, che li sollecitano a valorizzare la dimensione universale della Chiesa, per una comunione vasta e concreta; ad essere testimoni, nel mondo d’oggi, della vita sempre nuova, generata dall’ascolto del Vangelo di Gesù, il Figlio eterno venuto fra noi per salvarci. Non bisogna dimenticare, però, che la fecondità del ministero sacerdotale deriva innanzitutto dal Cristo incontrato e ascoltato nella preghiera; annunciato con la predicazione e la testimonianza della vita; conosciuto, amato e celebrato nei Sacramenti, soprattutto della Santissima Eucaristia e della Riconciliazione.
A voi, carissimi Sacerdoti, rinnovo l’invito a cogliere con saggezza le singolari opportunità offerte dalla moderna comunicazione. Il Signore vi renda annunciatori appassionati della buona novella anche nella nuova “agorà” posta in essere dagli attuali mezzi di comunicazione.
Con tali voti, invoco su di voi la protezione della Madre di Dio e del Santo Curato d’Ars e con affetto imparto a ciascuno la Benedizione Apostolica.

Fonte: Vatican.va, 24 gennaio 2010 [Messaggio per domenica 16 maggio 2010]

8 - LETTERE ALLA REDAZIONE: SAN FRANCESCO GIUSTIFICA LE CROCIATE E NON ERA PACIFISTA
Ecco le prove testimoniali di chi ha conosciuto il santo
Autore: Giano Colli - Fonte: Redazione di BastaBugie, 2 febbraio 2010

Gentile redazione,
sull'ultimo di BASTABUGIE che ho appena ora ricevuto, e come al solito fatto molto bene, l'occhio mi è andato a cadere, sull'articolo di P. Mariano Pellegrini (OMELIA...), dove a pag 10 leggo (ultimo rigo) che "San Francesco d'Assisi... voleva recarsi tra i saraceni per annunziare il Vangelo; ma, non potendovi andare, nel 1219 egli inviò sei frati, i santi Berardo e compagni..." . - Fin qui la citazione. Ma è ben noto che dopo un tentativo, fallito a causa delle avversità meteorologiche, di recarsi presso i saraceni per convertirli, al tempo della V crociata, nel 1219, quel santo si recò in Egitto dove fu molto onorevolmente accolto dal sultano, recandosi quindi in Palestina, dove poi i francescani assunsero la custodia dei luoghi sacri. Egitto e Palestina sono allora cosa diversa dai territori abitati dai saraceni?
Sarei molto grato per darmi o farmi avere una risposta, a vostro comodo naturalmente, e molto caramente vi saluto.
FDP

Caro FDP,
l'omelia in questione aveva come scopo quello di sottolineare l'importanza e l'urgenza della missione per evangelizzare. Importanza che ben hanno compreso i santi di cui San Francesco fu un bell'esempio. Si diceva che l'esempio dei frati francescani morti martiri impressionarono molto un giovane portoghese che poi sarebbe diventato il grande sant'Antonio da Padova.
Per venire alla sua critica (costruttiva e molto corretta), devo dire che la trovo giustificata in quanto san Francesco, successivamente ai fatti a cui si riferisce l'omelia, si recò egli stesso in territori dominati dai musulmani; in questo caso in Egitto. Il fatto, riportato anche dalle Fonti Francescane, è particolarmente significativo in quanto si vede che san Francesco non era per nulla pacifista come vorrebbero credere alcuni oggi, ma anzi giustificava, VANGELO ALLA MANO, le crociate come giusta risposta agli attacchi degli infedeli. Il sultano citando anch'esso il Vangelo, ma stravolgendone il significato (in senso pacifista), diceva a san Francesco che il cristiano non può giustificare MAI l'uso della forza, neanche per difendersi, san Francesco rispondeva, invece, che il Vangelo va letto tutto per intero. Infatti gli errori più grandi riguardo alla Sacra Scrittura sono sempre stati fatti da chi ha citato un versetto della Bibbia per interpretarlo a modo suo, anziché rispettando il messaggio completo della Divina Rivelazione. In questo senso l'esempio di san Francesco merita particolare attenzione per evitare che venga usato come simbolo da ideologie contrarie al vero pensiero del santo stesso. Mi viene in mente uno spot televisivo di qualche lustro fa, che si concludeva con una immagine di san Francesco e la scritta "anche lui oggi sarebbe un socio del WWF".
Per evitare lo stravolgimento del VERO SAN FRANCESCO riporto dal numero 2691 delle Fonti Francescane l'intero illuminante episodio (che purtroppo è riportato solo nel volume intero delle Fonti Francescane, mentre non si trova purtroppo nell'edizione tascabile di tale volume); e bisogna ricordare che questo brano è stato scritto da frati che hanno vissuto insieme a san Francesco, quindi sono più affidabili di chi oggi vorrebbe delegittimare il loro racconto, a vantaggio di una propria personale visione della vita, ma che non c'entra poi molto con il pensiero di san Francesco. Ecco dunque il brano:
"Il sultano gli sottopose anche un'altra questione: «Il vostro Signore insegna nei Vangeli che voi non dovete rendere male per male, e non dovete rifiutare neppure il mantello a chi vi vuol togliere la tonaca, ecc. Quanto più voi cristiani non dovreste invadere le nostre terre, ecc.». Rispose il beato Francesco: «Mi sembra che voi non abbiate letto tutto il Vangelo. Altrove, infatti, è detto: Se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo lontano da te (Mt 5,25). E con questo ha voluto insegnarci che se anche un uomo ci fosse amico o parente, o perfino fosse a noi caro come la pupilla dell'occhio, dovremmo essere disposti a separarlo, ad allontanarlo, a sradicarlo da noi, se tenta di allontanarci dalla fede e dall'amore del nostro Dio. Proprio per questo, i cristiani agiscono secondo giustizia quando invadono le vostre terre e vi combattono, perché voi bestemmiate il nome di Cristo e vi adoperate ad allontanare dalla religione di lui quanti più uomini potete. Se invece voi voleste conoscere, confessare e adorare il Creatore e Redentore del mondo, vi amerebbero come se stessi». Tutti gli astanti furono presi da ammirazione per le risposte di lui."

DOSSIER "LETTERE ALLA REDAZIONE"
Le risposte del direttore ai lettori

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DOSSIER "SAN FRANCESCO"
Quello vero!

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Fonte: Redazione di BastaBugie, 2 febbraio 2010

9 - OMELIA PER LA V DOMENICA TEMPO ORDINARIO - ANNO C - (Lc 5, 1-11)

Autore: Padre Antonio Izquierdo - Fonte: Sacerdos, (omelia per il 7 febbraio 2010)

La liturgia ci presenta da diverse prospettive il tema della vocazione, della chiamata di Dio a predicare nel suo nome. Il profeta Isaia ha una visione nel tempio, sente la presenza di Dio, sperimenta la sua santità e il santo timor di Dio, ed ascolta la chiamata: 'Chi manderò e chi andrà per noi?'. Con animo coraggioso e deciso risponde: 'Eccomi, manda me!' (prima lettura). Nel vangelo, invece, contempliamo la vocazione di Pietro che, avendo pescato per tutta la notte senza aver preso un solo pesce, si affida al Signore e torna in mare aperto per lanciare ancora le reti. Gesù gli dice: 'Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini' (seconda lettura). Paolo, nella seconda lettura, ci si presenta come colui che dà testimonianza di Cristo, che con semplicità e fermezza proclama che Gesù è morto per i nostri peccati ed è resuscitato il terzo giorno. Tre vocazioni, ma una stessa realtà: la chiamata di Dio a predicare il vangelo.
MESSAGGIO DOTTRINALE
1. Il timore del Signore. Nella prima lettura viene sottolineata in modo speciale la santità di Dio. Isaia, scorgendo in visione il Signore ed i serafini, si crede perduto. Sa di essere un uomo impuro, che abita in mezzo ad un popolo impuro, perché, infatti, chi può proclamarsi senza peccato davanti a Dio? Questa visione ci aiuta a meditare sul timore del Signore. La Sacra Scrittura ci dice che il principio della saggezza è il timore del Signore (Salmo 111,10; Pr 1, 7; Pr 9, 10). Ma cosa significa timor di Dio? Sembra che sia difficile comprenderlo per la nostra mentalità moderna. Tentiamo di spiegarlo: la possibilità di peccare e allontanarci da Dio appartiene alla nostra fondamentale condizione naturale. Da ciò deriva un giusto ed ordinato timore: violando la legge di Dio, posso diventare pericoloso per me stesso e per i miei fratelli. Posso perdere Dio. L’educazione cristiana, pertanto, non deve mirare ad annullare del tutto il timore — perché andrebbe contro la natura stessa della persona umana —, ma piuttosto ad orientarlo e dargli il suo vero significato. Si tratta di purificare il timore, di collocarlo nel suo giusto posto ed integrarlo con la speranza e con l’amore, in modo che lo stesso timore sia una protezione e un aiuto. Così maturano il vero slancio e l’ardimento, dei quali l’uomo non avrebbe bisogno, se non ci fosse il timore. Quando si elimina il santo timor di Dio sorgono nell’uomo molte altre paure irrazionali: paura del futuro, paura delle malattie contagiose, dei progressi tecnologici... Da qui emergono molte inquietudini.
Perciò, per chi ama Dio, l’unico vero pericolo è il perderlo, perdere Dio. Il timor di Dio è quello che spunta quando si scopre Dio stesso come santo e al contempo come misericordioso e vicino, e si sperimenta davvero la disgrazia di poter perderlo. È l’incontro con Dio, che è amore infinito. Questo sperimentò Isaia nella lettura che oggi leggiamo. La santità di Dio lo colmò totalmente, sentì la sua pochezza e miseria, provò quel che potrebbe essere perdere Dio, ma si affidò proprio a quel Dio che lo chiamava a predicare la sua parola. Questo sperimentò Pietro che davanti al mistero di Gesù e alla sua stessa indegnità esclamò: 'allontanati da me che sono un peccatore'. Santo timor di Dio! Santo timor di Dio che viene ricambiato dalle parole: 'Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini'.
Il cardinal Ratzinger commenta al riguardo: 'L’assenza del timor di Dio è il principio di ogni follia. Dove non regna più il timor di Dio che ha il suo luogo proprio all’interno dell’amor di Dio, l’uomo perde la sua misura; il timore degli uomini assume il dominio su di lui, così giunge all’idolatria delle cose che sono apparenti (non vere), e si apre la porta a qualunque sproposito' (J. Ratzinger, Guardare Cristo, Jaca Book, Milano 1989, p. 70).
Una definizione del timor di Dio potremmo darla con Romano Guardini: 'Timor di Dio non significa aver paura di Dio, bensì sperimentare in Lui il Santo (la santità); l’inaccessibile eppure vicino; ... Perciò, (il timor di Dio) significa fuggire impauriti da tutto ciò che è contrario a Dio; ma allo stesso tempo fidarsi di Lui, senza limiti, molto più che di qualsiasi altro potere finito' (Romano Guardini, Wahrheit und Ordnung 3, München, 1995 p.75). Questo è proprio ciò che fecero Pietro, Paolo ed Isaia. Ognuno in modo particolare e in diverse circostanze. Ognuno scoprì la sua personale vocazione e si consolidò nella fiducia e nella sicurezza di se stesso.
2. Gesù Cristo morì per i nostri peccati ed è risuscitato il terzo giorno. Nel capitolo 15 della lettera ai Corinzi, Paolo analizza il tema della resurrezione. Molti corinzi trovavano difficoltà a comprenderlo. Alcuni si credevano già totalmente salvi, altri pensavano alla resurrezione come un ritorno alla vita nello stesso stato, il che risultava ripugnante. Paolo annuncia il dogma cristiano: 'Cristo morì per i nostri peccati (...) fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno'. Questo annuncio solenne rivolto ai Corinzi è una verità fondamentale della nostra fede: Cristo è morto per i nostri peccati. Quando noi eravamo nel peccato, Egli, il Giusto, ha dato la sua vita per noi. Con la sua morte e resurrezione ha sconfitto il diavolo, ha vinto il peccato, ha debellato la morte e ci ha aperto le porte del cielo. Ci ha riconciliati col Padre. Si afferma così solennemente la verità della resurrezione. Da qui nasce tutto l’amore che il cristiano ha per Cristo, vero Dio e vero uomo. Il Figlio unigenito del Padre che si rivestì di umanità per riscattarci dai nostri peccati.
SUGGERIMENTI PASTORALI
1. L’insegnamento religioso. Viviamo tempi di profondi e vertiginosi cambiamenti. Sembra che queste trasformazioni siano sempre più rapide della nostra capacità di adattarci ad esse. Ciò ha le sue inevitabili ripercussioni sulla vita di fede. In passato la fede veniva trasmessa nell’ambito familiare, scolastico e parrocchiale in modo naturale. C’era, per così dire, un ambiente favorevole e tutto contribuiva ad una trasmissione della fede quasi per osmosi. Oggi, invece, non è così. Il mondo cammina molto rapidamente, le nozioni di fede continuano a diminuire nei nuovi genitori che a loro volta, li trasmettono in modo incompleto e difettoso ai loro figli. Questo panorama non deve scoraggiare nessun cristiano, ma piuttosto deve spingerlo a raccogliere la sfida dei tempi e ad intraprendere una nuova catechesi coi moderni mezzi che la tecnologia ci offre. Anche i primi cristiani vivevano in un mondo pagano, come noi oggi; anche loro subivano attacchi, come noi oggi; anche allora c’erano eresie e dissensi interni, come quelli che attraversano oggi la Chiesa. Intraprendiamo l’appassionante compito di comunicare il vangelo con tutti i nostri mezzi: partecipiamo all’azione parrocchiale aiutando nella catechesi, nell’animazione liturgica; avviamo piccole o grandi pubblicazioni all’interno della parrocchia o negli ambienti familiari; creiamo iniziative di azione sociale, aiutando i più bisognosi, visitando i malati o aiutando i poveri; partecipiamo alla vita pubblica per rendere presenti i valori e i simboli cristiani. "Ciò che è l’anima per il corpo, sono i cristiani per il mondo", diceva la lettera a Diogneto.
2. L’amore personale per Cristo. I primi cristiani, nonostante i tempi difficili, vissero una fede viva, nitida, meditavano profondamente quelle parole di Paolo: "Cristo morì per i nostri peccati...". Cristo era la loro forza, la loro verità, la loro ragione di vivere e di morire. Lo sapeva bene Policarpo di Smirne che, essendogli stato intimato di rinnegare Cristo, diede questa testimonianza: "Sono 80 anni che lo servo e non mi ha mai fatto del male, perché devo rinnegarlo?". Diamo vita, proprio come quei primi cristiani, ad una nuova catechesi. Incominciamo in casa nostra, coi nostri figli, fratelli e parenti. Quanto è importante per i figli vedere i loro genitori pregare e fare la comunione! Quanto si può fare in quella piccola Chiesa domestica che è la famiglia!

Fonte: Sacerdos, (omelia per il 7 febbraio 2010)

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