BastaBugie n�599 del 13 febbraio 2019

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1 IL VINCITORE DI SANREMO 2019 E' MUSULMANO E STRIZZA L'OCCHIO AI GAY, MA SOPRATTUTTO...
Mahmood è un nome tipicamente musulmano che deriva dalla stessa radice di Maometto... ma soprattutto Sanremo ha sdoganato il maledetto genere trap che causò la tragedia di Corinaldo (ve la ricordate?)
Autore: Andrea Zambrano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 LA BUFALA CHE ANDREOTTI SI SIA PENTITO DI AVER FIRMATO LA LEGGE SULL'ABORTO
La legge italiana sull'aborto è l'unica al mondo promulgata con la firma di soli politici democristiani (assuefatti al compromesso che di male minore in male minore ha distrutto l'Italia)
Autore: Vincenzo Gubitosi - Fonte: Notizie Provita
3 SONO PIU' DEL DOPPIO LE DONNE CHE NON SONO D'ACCORDO CON LE FEMMINISTE
La BBC non riesce a comprendere perché così poche donne si dicono femministe... ma glielo spieghiamo noi (VIDEO: femministe assaltano una cattedrale)
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi
4 TESTO INTEGRALE DEL ''MANIFESTO DELLA FEDE'' DEL CARDINALE MÜLLER
L'ex Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede esprime preoccupazione per molti cristiani i quali non conoscono più nemmeno i fondamenti della fede
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
5 NON CE LO DICONO, MA L'UNIONE EUROPEA E' IN CRISI, MENTRE IL RESTO DEL MONDO E' IN RIPRESA
I veri dati dell'economia sono clamorosi e confermano quello che è successo negli ultimi venti anni nel mondo (di positivo) e nella Unione Europea (di negativo)
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero
6 LA BRUTTEZZA NELL'ARTE CONTEMPORANEA... E NELLA NOSTRA VITA
L'irrompere del brutto non è casuale, ma è una modalità della guerra contro la ragione umana come principio a cui spetta indirizzare le azioni, e a volte anche contro Dio
Autore: Roberto Marchesini - Fonte: Il Timone
7 IL MARTIRIO DELLA FAMIGLIA REALE DI FRANCIA
Papa Pio VI parlò di martirio del cristianissimo re Luigi XVI decapitato dai rivoluzionari in odio alla religione cattolica
Autore: Cristina Siccardi - Fonte: Corrispondenza Romana
8 OMELIA VI DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 6,17.20-26)
Rallegratevi in quel giorno ed esultate
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - IL VINCITORE DI SANREMO 2019 E' MUSULMANO E STRIZZA L'OCCHIO AI GAY, MA SOPRATTUTTO...
Mahmood è un nome tipicamente musulmano che deriva dalla stessa radice di Maometto... ma soprattutto Sanremo ha sdoganato il maledetto genere trap che causò la tragedia di Corinaldo (ve la ricordate?)
Autore: Andrea Zambrano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11/02/2019

"Sanremo specchio del Paese" l'hanno titolato alle ore 1 e 44 poco dopo l'incoronazione di Mahmood. E da lì è stato un continuo, suggellato dalla colossale sentenza di Aldo Cazzullo: "Ci vorrebbero più Mahmood, è l'inevitabile integrazione che arricchisce l'Italia in perenne calo demogafico". La notizia ha occupato le prime pagine dei siti e dei giornali per tutta la domenica, manco fosse un terremoto in Appennino con 100 vittime. Poi si è iniziato con i test d'ingresso: gli immigrati? Prova superata: è di padre egiziano e madre sarda e nella canzone c'è una frase in arabo che non è un proclama jhiadista, ma una frase di una mamma a un figlio; i diritti lgbt? Pure: ha rilasciato un'intervista a gay.it in cui sembrava fare coming out; le famiglie non tradizionali? Fatto, la canzone vincitrice del 69esimo Festival di Sanremo "Soldi", parla proprio di questo. Il Pd esulta: "Abbiamo trovato l'erede di Berlinguer".
E' il Morocco pop la cornice entro la quale si muove il 24enne vincitore a sorpresa di Sanremo: sonorità arabeggianti, muezzin e trap, tanta trap a suggellare uno stile musicale che è destinato a imporsi da qui ai prossimi anni. Per le allodole abituate a specchiarsi è la rivincita della vera Italia integrata contro l'Italia sovranista, becera, razzista. L'Italia che avrebbe votato Il Volo. L'Italia che Salvini sta conducendo alla catastrofe. Che strano: l'anno scorso sul palco dell'Ariston ha trionfato Ermal Meta, il quale è albanese, ma non si ricordano impazzimenti generali sul versante politico.

SANREMO NASCONDE ABILMENTE I PERICOLI PER I NOSTRI FIGLI
Invece, ma quasi era scontato, adesso sembra che Mahmood sia la risposta a quel satrapo di Salvini. Il quale, divertito, non ci ha pensato due volte a scrivere che avrebbe preferito Ultimo con la sua I tuoi particolari. Si procede di provocazione in provocazione, per allietare la domenica pomeriggio del popolino. Ma così si perde di vista il dato significativo di questa vittoria e soprattutto il perché è stata strumentalizzata da più parti.
Mahmood in realtà è la tempesta perfetta per imporre il genere trap nell'empireo del mondo musicale. Da genere maledetto e di periferia, pericolo per i nostri figli, a motivetto da canticchiare tra le corsie del Carrefour: il passo è breve e il passo è Mahmood.
In pochi lo sanno, ma chi mastica di trap, pur non conoscendo nulla di Mahmood, il quale fino a ieri era un perfetto sconosciuto, ha capito tutto quando ha visto il post di Charlie Charles. "Vincere Sanremo? Fatto". Chi è Charlie Charles? Soltanto noi siamo così stranieri nel mondo del rap da non sapere che Charlie Charles, al secolo Paolo Monachetti è il principale producer dei trapper più famosi del panorama italiano: da Izi a Sfera Ebbasta, da Tedua a Ghali. Influente? Di più: con Sfera e Ghali sono amicissimi tanto da aver fondato insieme una etichetta. Insomma: Charlie Charles, che ultimamente viene invitato nelle dirette dei grandi network radiofonici come vero e proprio nume tutelare del genere trap è ormai il produttore indiscusso del settore. E anche il giovane Alessandro Mahmoud è entrato nel suo giro da quando ha chiesto proprio al rapper di lavorare insieme all'arrangiamento del brano sanremese. Ecco perché Charlie Charles si è intestato poi l'indomani mattina quel merito. Che non deve avere tutti quei significati politici che oggi le marevenier e gli aldicazzullo vorrebbero dargli. Ma che sono comunque funzionali alla causa.

QUALCOSA DI RASSICURANTE
Ricordate la tragedia di Corinaldo? Sfera Ebbasta massacrato da tutti per le sue canzoni tra sesso e droga? I ragazzini in preda all'orco? I genitori disarmati? Che diamine è mai questa trap che sta avvelenando i nostri figli? Niente paura. Ci pensa Sanremo, che da sempre consola e consacra. Ecco prima Achille Lauro, ma il pubblico non è ancora pronto per questi poeti maledetti [vedi nota in fondo a questo articolo].
Ci vuole qualcosa di rassicurante, condito di immigrazionismo, buoni sentimenti e conformismo. L'obiettivo è far digerire la trap non solo ai ragazzi, ma soprattutto ai genitori. Charlie Charles e il suo clan non ci hanno pensato un attimo. Ecco a voi Mahmood: faccia pulita, low profile e soprattutto appetibile dal mainstream che lo ha immediatamente accalappiato per fargli dire tutto ciò che serve per tenere alta la bandiera della Sinistra radical perennemente alla ricerca di salvatori della patria.
Intanto, con questo piccolo capolavoro, la tragedia di Corinaldo è dimenticata. C'è una trap che funziona anche al Bagno Silvano mentre ordiniamo il Calippo. E che è rassicurante e politicamente corretta. Punta alla mitologia dell'integrazione con cantanti nati qui ma di origini magrebine. Il sottobosco musicale dei ghetti di Settimo Milanese consacrato dai giornalisti e dalla giuria di qualità di Sanremo, in opposizione a quella popolare che avrebbe voluto infatti Ulitmo. Se non è l'incontro perfetto tra la Sinistra à la page e i nuovi barbari questo, dite voi che cosa dovrebbe esserlo. In quanto alla musica, al canto e queste altre sottigliezze, vabbè... ma se fai musica mica devi andare a Sanremo, questo lo sapevamo già.

Nota di BastaBugie: nella foto in alto Mahmood è a sinistra (Mahmood è un nome tipicamente musulmano che deriva dalla stessa radice di Maometto, e ha il suo stesso significato, ossia "degno di lode"), mentre nella foto a destra c'è il "cantante" che ha partecipato a Sanremo 2019 di cui parla l'articolo seguente dal titolo "Il giovanilismo degli adulti che si meritano Achille Lauro". Andrea Zambrano racconta come anche Famiglia Cristiana parla di lui cercando di minimizzare l'impatto che avrà sui giovani. Tutto per nascondere la bomba atomica esplosa in faccia di fronte ai nostri figli.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 9 febbraio 2019:
Se vincerà o no il 69 esimo Festival di Sanremo in fondo non gli importerà granché. Achille Lauro ha già raggiunto il suo obiettivo: diventare famoso, e quindi ricco propagando il sacro verbo della musica trap che tanto piace ai giovani e che oggi gli adulti stanno scoprendo con quel misto di giovanilismo compiaciuto. Una star, finalmente, penserà di se stesso. Niente di più facile. E la grancassa mediatica che da ieri si è abbattuta su di lui non farà altro che alimentarne l'autorevolezza e il conto in banca.
Già ha pubblicato un libro per Rizzoli chiamato "Sono io Amleto". Chissà se conosce il destino tragico del principe di Danimarca dato che in un'intervista ha ammesso, quasi vantandosene, di non aver studiato. Al secolo Lauro De Marinis, Achille Lauro oggi dispensa interviste dal palco di Sanremo con un passato da pusher in una vita ai margini che la musica, come in una favola moderna, ha riscattato. Eppure non è tutto oro quello che luccica, neppure l'oro del lusso che ostentatamente esibisce come tutti gli altri trapper di giro. La sua canzone si chiama Rolls Roys ed è un inno al lusso finalmente conquistato con i guadagni ottenuti facendosi conoscere anzitutto dai 13enni che lo hanno scaricato milioni e milioni di volte su Youtube.
Però in fondo è un prodotto commerciale, esattamente come quelli che giocavano a fare la rivoluzione e poi si ritrovarono con un posto in banca (cit. Venditti). Adesso si parla del fatto che la sua canzone è un inno nascosto all'ecstasy. Possibile? Perché no? Lui nega, ma Striscia la notizia che lo ha smascherato lo inchioda. La Rolls Royce infatti è detta anche Spirit of ecstasy (è la vittoria alata che svetta sul cofano dell'auto lussuosa per eccellenza). Ebbene, come mostrano le cronache Spirit of Ecstasy è un tipo di allucinogeno a base di mdma che è stato recentemente sequestrato in un'operazione di polizia. Droga, insomma. Come droga è il comune denominatore, assieme alla musica, dei divi citati nella sua canzone: da Jim Morrison a Hendrix, da Billie Joe a Amy Whinehouse etc...
La stessa droga che Achille Lauro racconta di aver venduto in passato (ha appena 28 anni!) facendolo diventare ricco. "Entrai in contatto con famiglie criminali. Compravo chili di droga che facevo vendere a una squadra di spacciatori che avevo creato. Divenni ricco, avevo una bella vasca idromassaggio", racconta nelle interviste. Uno spacciatore, dunque. A proposito, avrà mai pagato per quei reati? Sembra che si sia fatto qualche mese, ma il casellario giudiziale non viene fornito nelle schede artisti in Riviera.
Niente male. Ma in fondo nulla di nuovo sotto il sole, anche il fatto che la Rai, attraverso Sanremo lo spinga così, giocando sull'ambiguità della canzone, che, sempre perché niente di nuovo è sotto il sole, abbiamo già visto all'opera tante volte a cominciare da Lucy in the Sky with diamond dei Beatles (LSD).
Adesso i giornali fanno la gara a intervistarlo e a questo rito non si è sottratta neppure Famiglia Cristiana. Proprio il settimanale dei Paolini lo mette in copertina nel numero appena uscito assieme agli altri trapper che ascoltano i nostri figli. E che dice? Ecco il titolo: "Dormivo in auto, ora canto all'Ariston". Un cenerentolo finalmente riscattato. Il testo dell'intervista è un insieme di banalità e di non detti che fa paura. "La musica mi ha salvato", "La cosa peggiore non è la droga, è il non sapere che cosa fare della propria vita", "mia madre ci leggeva il Vangelo, poi crescendo si cambia".
Emerge nel corso dell'intervista col settimanale cattolico (sic!) un passaggio erroneo: "Siamo giovani e usiamo lo stesso linguaggio di chi ci ascolta". Sbagliato. Semmai sono i giovani che imparano a parlare ascoltando certi idoli. Nessun 13enne si sognerebbe il lusso, il sesso sfrenato e orgiastico, il potere e soprattutto soldi a palate se non ci fosse qualcuno che con le sue parole, il suo stile e la sua musica non lo imbeccasse a forza come un'oca d'allevamento.
Ma soprattutto manca nelle pagine e in quelle successive del servizio in cui si analizzano gli altri fenomeni trap del momento (Sfera Ebbasta, Ghali, Salmo etc...) un giudizio fermo sul messaggio che certi cantati-si-fa-per-dire veicolano. Eppure, basta leggere i testi delle canzoni per comprenderlo, ma Famiglia Cristiana si è fermata solo a quelle poche frasi senza parolacce. In un pretesco e un po' bigotto giovanilismo compiaciuto che non è in grado di dare ai genitori uno strumento soddisfacente per comprendere che cosa ascoltano i loro figli. Ascoltano porcherie. Porcherie del tipo, e qui siamo a Salmo, "dopo scopiamo, tu vieni sei volte. Cazzo diranno i vicini di me?".
Invece, dal taglio del settimanale cattolico questa ossessiva e malvagia sete di sesso, soldi, droga e potere non emerge. Si presenta come tutto sommato positivo un personaggio che ha fatto lo spacciatore e che ora grazie alla musica sembra redento. Redento da che cosa? Cosa offre in cambio per avere l'attenzione dei nostri figli? Quale redenzione ci potrà mai essere in un cantante che si presenta da ex spacciatore come se si trattasse di un passo naturale della gavetta? Come se fosse un rider di Foodora che dopo tanti sacrifici ce l'ha fatta. Di questo un giornale cattolico dovrebbe interrogarsi invece di cadere nella trappola del conformismo redentivo a prezzi di saldo.
Ci si ferma al fenomeno sociale, limitandosi al fatto che in fondo i genitori ascoltavano Vasco Rossi e i nonni i Rolling Stones. Peccato che nel frattempo sia completamente venuto meno il filtro della trasgressione che almeno faceva comprendere che di fronte a certi messaggi si entrava in un luogo proibito. Invece oggi quel limite del proibito non c'è più: tutto è fagocitato da un demone che ottenebra. E marchette discografiche come quelle del settimanale dei Paolini non fanno altro che confermare che il problema non è Achille Lauro, ma il mondo degli adulti che non si è accorto di quanto questi trogloditi musicanti stiano facendo male ai nostri figli.
Il problema non è quello che farà d'ora in avanti Achille Lauro: avrà la sua carriera di eccessi ritagliandosi un angolino nel comodo salotto dei cantanti dal cuore ribelle e dal portafoglio pieno. E' un percorso protetto di trasgressione istituzionalizzata. Il problema era prima, quando noi adulti non lo conoscevamo, ma nel frattempo i nostri figli lo ascoltavano al riparo dei loro smartophone dandogli loro stessi con i loro "innocui" "mi piace" la golden share diretta per il palco dell'Ariston.


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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11/02/2019

2 - LA BUFALA CHE ANDREOTTI SI SIA PENTITO DI AVER FIRMATO LA LEGGE SULL'ABORTO
La legge italiana sull'aborto è l'unica al mondo promulgata con la firma di soli politici democristiani (assuefatti al compromesso che di male minore in male minore ha distrutto l'Italia)
Autore: Vincenzo Gubitosi - Fonte: Notizie Provita, 22/01/2019

Il 14 gennaio, anniversario della nascita di Giulio Andreotti, Serena, figlia dello statista, ha rilasciato a InTerris un'intervista che reca nel titolo: «Mio padre si pentì della legge sull'aborto». Proponiamo qui una lettura di alcuni segni che vanno, ci sembra, in una direzione e anche nell'altra. Come da tradizione democristiana.
Cominciamo col dire che la 194 è l'unica legge abortista al mondo ratificata e promulgata con la firma di soli politici cattolici. È celebre quel passaggio che Andreotti, allora presidente del consiglio, annotò nel suo diario: «Mi sono posto il problema della controfirma a questa legge (lo ha fatto anche Leone per la firma) ma se mi rifiutassi non solo apriremmo una crisi appena dopo aver cominciato a turare le falle, ma oltre a subire la legge sull'aborto la Dc perderebbe anche la presidenza e sarebbe davvero più grave». Come ricorda anche la figlia nell'intervista, Andreotti giudicò prevalente la "ragion di Stato" in un momento storico molto duro per l'Italia, che aveva assistito solo due mesi prima all'omicidio di Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse. Siamo convinti che quella "perdita della presidenza" valutata «più grave» dell'approvazione di una legge omicida, derivasse dal sincero desiderio di risparmiare alla nazione una crisi istituzionale e non da un triste attaccamento alla poltrona. Pur tuttavia, come imparano i bambini al catechismo, il fine (buono) non giustifica i mezzi (cattivi).

PARE DI SÌ, PARE DI NO
Nessuna sciagura, per quanto grave, avrebbe mai legittimato la firma di quella legge. Scrive Roberto de Mattei: «Andreotti si difese in una lettera a padre Rotondi, dicendo che il suo era "un atto dovuto". Atto dovuto forse secondo i princìpi del positivismo giuridico, ma non certo secondo quelli della morale cattolica, per la quale gli unici doveri assoluti che abbiamo sono quelli nei confronti della legge divina e naturale che, nel caso specifico, vieta di uccidere l'innocente». In realtà, cosa che non tutti sanno, il governo si spinse fino al compimento di un atto per nulla dovuto, al fine di sostenere la neonata legge sull'aborto: nell'udienza del 5 dicembre 1979 dinanzi alla Corte Costituzionale, l'Avvocatura dello Stato difese la costituzionalità della 194, invece di sollevare questione di legittimità.
Andreotti ha manifestato pubblicamente il suo pentimento per quella firma?
Pare di sì, se stiamo alla dichiarazione rilasciata in occasione del venticinquesimo anniversario della 194, quando disse: «Oggi preferirei dimettermi piuttosto che controfirmare quella legge».
Pare di no, se stiamo a quanto dichiarato al Foglio nel maggio del 2008: «Ritardare [l'approvazione della legge, ndr], certo, poteva evitare nell'immediato un impatto un po' traumatico; però avrebbe anche protratto un dibattito su un tema così forte che giustamente interessava tutte le forze politiche [...]. In quel contesto è corretto dire che riuscire a convergere su una legge di quel tipo fu un segnale politico forte. [...] Ma siccome la gran parte delle legislazioni del mondo l'aborto lo contemplava, ringraziamo Dio che ce lo siamo levato di torno perché ce lo saremmo ritrovato successivamente e magari avrebbe complicato ancora di più le cose».

DI MALE MINORE IN MALE MINORE
A leggere queste ultime dichiarazioni non si direbbe di avere a che fare con il mea culpa di un politico che fa pubblica ammenda. A ciò si aggiunga che nel 2003, in occasione della presentazione in parlamento di quella che sarebbe divenuta la legge 40/2004 sulla c.d. "procreazione medicalmente assistita", il senatore Andreotti votò a favore. Chi possiede anche solo qualche nozione sulla procedura per la fecondazione artificiale, sa bene che si tratta di una tecnica intrinsecamente occisiva perché richiede, per il suo "successo", il sacrificio di un elevato numero di embrioni.
Giulio Andreotti, è doveroso dirlo, non sembra aver mai manifestato, pubblicamente, una posizione di ravvedimento netta, univoca e soprattutto coerente nel tempo, che fosse proporzionata alla gravità dell'atto compiuto in quel maggio del 1978. È doveroso dirlo perché, complice quella Democrazia Cristiana che avrebbe dovuto agire da baluardo del diritto naturale, in troppi, da qualche decennio a questa parte, si sono assuefatti al compromesso sull'esempio di un'azione politica perennemente ondivaga. Così, di male minore in male minore, siamo passati dalla padella alla brace.

Fonte: Notizie Provita, 22/01/2019

3 - SONO PIU' DEL DOPPIO LE DONNE CHE NON SONO D'ACCORDO CON LE FEMMINISTE
La BBC non riesce a comprendere perché così poche donne si dicono femministe... ma glielo spieghiamo noi (VIDEO: femministe assaltano una cattedrale)
Autore: Leone Grotti - Fonte: Tempi, 11/02/2019

Ma come? «Milioni di donne» hanno marciato contro Donald Trump nel 2017; più di 80 attrici hanno avuto il coraggio di denunciare gli abusi sessuali di Harvey Weinstein; mezzo milione di utenti hanno condiviso l'hashtag #MeToo il giorno in cui è stato lanciato su Twitter; attrici e star internazionali hanno abbracciato pubblicamente la battaglia sull'uguaglianza tra i generi; movimenti come #everydaysexism hanno guadagnato le luci della ribalta; tutto questo e molto di più è successo nel giro di pochi anni e ancora così poche donne «si definiscono femministe»?

LO STUPORE DELLA BBC
La Bbc non riesce proprio a capacitarsene e così ha affidato alla docente del King's College di Londra, Christina Scharff, uno studio. Secondo diversi sondaggi realizzati da YouGov e altri istituti che conducono ricerche di opinione, solo il 34% delle donne nel Regno Unito si definisce femminista. In altri paesi non va meglio: in Svezia, patria dei diritti delle donne, il femminismo attrae il 40% delle donne, il 33 in Francia, il 29 in Norvegia, il 22 in Danimarca, il 17 in Finlandia e solo l'8 in Germania.
Il fatto è tanto più sconcertante, continua Scharff, se si considera che oltre l'80% delle donne sostiene che «uomini e donne sono uguali», altrettante concordano nel condannare il sessismo, eppure più si abbassa il livello di istruzione delle persone censite, più è grande la tendenza a rifiutare l'etichetta femminista, che però «difende» tutte queste cause.
La colpa sarebbe di vecchi stereotipi che «associano il termine "femminismo" con l'odio nei confronti degli uomini, l'essere lesbiche e la mancanza di femminilità». Ma Scharff non riesce proprio a comprendere come possano sopravvivere nel XXI secolo simili pregiudizi. Poiché i giornalisti della Bbc, al pari di tante ricercatrici e docenti universitarie, sembrano vivere più su twitter che nel mondo reale, proviamo a ricordare alcuni appetibili modelli che la causa femminista ha offerto alle donne occidentali negli ultimi anni e alcune soluzioni che ha avanzato per correggere la società patriarcale maschilista.

GIOCARE A BRUCIARE LE CHIESE
Un gruppo famosissimo di femministe, osannato dai media, le Femen, si fregia di manifestare tette al vento in ogni angolo del mondo per denunciare il «patriarcato» e ha come leader una donna che accetterebbe «donazioni anche da Satana pur di diffondere il femminismo».
Altri esempi di collettivi femministi pacati e pacifici si possono ritrovare in Argentina, dove ogni anno l'8 marzo si cerca di bruciare le chiese del paese e si gioca a far abortire la Madonna; oppure in Spagna, dove le femministe diffondono scatole di fiammiferi con sopra scritto: «L'unica Chiesa che illumina è quella che brucia. Contribusici!».

GUARIRE GLI UOMINI
In Svezia è stata introdotta una legge «per cambiare la mentalità di ogni uomo e ogni ragazzo» che impone di chiedere alla controparte, meglio se in forma scritta, l'esplicito consenso al rapporto sessuale. Senza, chiunque può essere accusato formalmente di stupro. Sempre in Svezia un docente di neurofisiologia è stato messo sotto indagine, accusato di «antifemminismo», per aver detto a lezione che dal punto di vista biologico «uomini e donne sono diversi».
Tanto per restare in questo paradiso del femminismo, ecco altre battaglie appoggiate dalle nostre eroine: leggi per modificare la dizione "donna incinta" con "persona incinta" per non discriminare i transessuali; asili dove per eliminare il «sessismo» ci si rivolge ai bambini con pronomi neutri; corsi per guarire gli uomini dalla «mascolinità tossica». E ci fermiamo qui per non discriminare gli altri paesi.

LA SCRITTURA INCLUSIVA
In Francia è stata inventata la "scrittura inclusiva" per cambiare le regole della grammatica e del linguaggio al fine di garantire finalmente «l'uguaglianza tra uomini e donne». Una norma di questa novalingua prevede di scomporre il plurale, che utilizza il maschile anche per designare quei gruppi all'interno dei quali ci sono sia uomini che donne, e inserire dopo la radice della parola il suffisso maschile e quello femminile separati da un punto a mezza altezza. È più facile scriverlo che descriverlo: per indicare "i candidati alla presidenza della Repubblica" bisognerà scrivere "i candidat•e•i". La stessa cosa è stata proposta anche in Spagna.
Sempre Oltralpe, una paladina del femminismo, Titiou Lecoq, si è vantata di non aver portato suo figlio per giorni dall'otorino perché «doveva occuparsene il mio compagno». Il bambino si è ritrovato così con un timpano perforato ma in compenso «lui ora ha capito».

#METOO, REGGISENI E SEX TOY
In Italia Repubblica sponsorizza la causa femminista parlando di reggiseni senza ferretto, che magari piaceranno meno agli uomini, ma anche «la prospettiva con cui si guarda a un prodotto come l'intimo femminile è figlio di una consapevolezza diversa da parte delle donne del proprio modo di occupare uno spazio nella società». Culturalmente rilevante anche la campagna femminista a favore dei sex toy.
Non parliamo poi del #MeToo, che ha eretto a sistema in tutto l'Occidente la legge: primum sputtanare, deinde verificare. Quanti uomini sono stati accusati di molestie, hanno perso lavoro e famiglia, e poi sono stati scagionati da ogni accusa, quando da twitter le carte sono state passate a un vero tribunale? Come ha suggerito Alain Finkielkraut l'obiettivo dell'iperbolica campagna social sulle molestie è «la scomparsa dell'uomo».

UOMINI NO, MUSULMANI SÌ
Il femminismo è anche famoso per usare due pesi e due misure: l'uomo è sempre colpevole, salvo quando è di fede islamica. Le Femen non hanno mai protestato in una moschea; quando le donne francesi del quartiere Chapelle-Pajol di Parigi hanno denunciato che «gli uomini ci insultano se portiamo la gonna, non possiamo più uscire di casa», l'ultra-femminista Marlène Schiappa, ministro dell'uguaglianza di genere, la stessa che ha patrocinato la scrittura inclusiva, è rimasta zitta perché gli uomini in questione erano immigrati e musulmani. L'emblema di queste sviste è il silenzio sui fatti turpi della notte di Capodanno a Colonia.
Si potrebbero citare mille altri esempi (vi dice qualcosa Laura Boldrini?) ma è meglio fermarsi qui. Siamo felici che la Bbc abbia fatto un tuffo nel mondo reale attraverso i sondaggi. [...]

Nota di BastaBugie: nell'articolo seguente pubblicato da Tempi con il titolo "Argentina, le femministe lanciano le molotov" si raccontano le "bravate" delle femministe in Argentina avvenute nell'ottobre 2018. Sotto abbiamo messo un video che si riferisce sempre all'Argentina dove per l'8 marzo, la festa della donna, assaltano una cattedrale.
Atti di vandalismo, lanci di molotov, pietre e oggetti contro il municipio e la chiesa cattolica di Maria Ausiliatrice. Come da tradizione, il National Encounter of Women, che quest'anno si è tenuto dal 13 al 15 ottobre a Trelew (città della provincia argentina del Chubut in Patagonia), si è concluso con le violente proteste delle femministe. Dopo aver manifestato sotto gli slogan "abortisci la tua eterosessualità" "Chiesa e Stato, affari separati", "morte al macho non è una metafora", "lesbica te stessa" radunatesi nel centro della città hanno iniziato ad assaltare e imbrattare vetrine, abitazioni, edifici pubblici e la chiesa, dove era radunata gente in preghiera.
La serata si è conclusa con dieci arresti. Da quando ad agosto il Senato argentino ha votato contro la legge per depenalizzare l'aborto si registrano numerosi attacchi alle chiese cattoliche del paese. Lo scorso anno, al termine dell'evento, le femministe diedero l'assalto alla cattedrale di Resistencia incendiando bidoni della spazzatura, agitando tamponi imbrattati di rosso e cantato "Chiesa spazzatura, tu sei la nostra dittatura", "porta i tuoi rosari fuori dalle nostre ovaie", "vogliamo essere puttane, travestiti e lesbiche. Aborto legale in qualsiasi luogo".



https://www.youtube.com/watch?v=wZu_rYZrAAU

DOSSIER "FESTA DELLA DONNA"
L'ideologia dell'8 marzo

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Fonte: Tempi, 11/02/2019

4 - TESTO INTEGRALE DEL ''MANIFESTO DELLA FEDE'' DEL CARDINALE MÜLLER
L'ex Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede esprime preoccupazione per molti cristiani i quali non conoscono più nemmeno i fondamenti della fede
Autore: Riccardo Cascioli - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11/02/2019

Tutti conosciamo il famoso "incidente di Antiochia" in cui San Paolo prende una netta posizione contro San Pietro a proposito dei costumi giudei che il vicario di Cristo voleva imporre ai pagani. È lo stesso San Paolo che lo racconta nella Lettera ai Galati, affermando che «mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto» (Gal 2, 11). Non era cosa di poco conto perché, come dice sempre San Paolo, c'era in ballo «la verità del vangelo». Né San Paolo ci andò leggero, visto che a Pietro rimprovera addirittura di essere ipocrita.
Pensiamo a come un vaticanista medio odierno - di quelli che bivaccano nei principali giornali laici italiani - avrebbe dato conto di questo incidente: «Paolo attacca Pietro» sarebbe certamente il titolo, e giù commenti contro Paolo che osa mettere in discussione l'autorità del Papa. A seguire, approfondimenti sulla cospirazione contro Pietro di cui Paolo farebbe parte insieme ai ricchi capitalisti di Antiochia, diffidenti nei confronti di un "pescatore con l'odore dei pesci". E grande spazio a Giacomo, bersaglio delle frecciate di Paolo, un altro modo per delegittimare Pietro di cui Giacomo è stretto collaboratore. Per l'opinione pubblica dunque Paolo sarebbe stato additato come un nemico del Papa, un apostolo che con la sua ostilità avrebbe lavorato per le dimissioni di Pietro, magari ambendo a prendere il suo posto.
Fortunatamente all'epoca non c'erano né Repubblica né Vatican Insider, e anche La Civiltà Cattolica era di là da venire. E così abbiamo imparato che tra i discepoli di Gesù ci possono essere anche confronti duri, ma avendo a cuore la verità e non proprie posizioni ideologiche. Si può anche chiedere conto al Papa di certe sue decisioni senza minimamente mettere in dubbio la sua legittimità e la sua posizione.

CARDINALI CHE HANNO A CUORE L'UNITÀ DELLA CHIESA
È perciò più che comprensibile il fastidio e il dolore di cardinali che hanno a cuore l'unità della Chiesa, come Gerhard Müller e prima di lui i cardinali dei Dubia - Caffarra, Meisner, Burke e Brandmüller -, a essere dipinti come nemici del Papa soltanto per aver posto delle domande chiarificatrici o aver ricordato la dottrina cattolica. Cioè molto meno di quanto abbia fatto San Paolo. A questo proposito è però interessante notare come Vatican Insider nel titolo sul Manifesto della Fede del cardinale Müller [che riportiamo per intero nella nota in fondo a questo articolo, N.d.BB] afferma che esso corregge «la dottrina del Papa», avallando l'idea - certamente non cattolica - che sia il Papa a fare la dottrina. A volte i titoli tradiscono il retropensiero di chi controlla i media.
Fortunatamente ai tempi degli apostoli non c'era neanche Avvenire altrimenti, per non mettere in subbuglio l'animo dei cristiani, la notizia sarebbe stata che «Tra San Paolo e San Pietro si conferma piena identità di vedute». Basti vedere i due articoli dedicati al Manifesto della Fede del cardinale Müller: nel primo un vaticanista deduce che il Papa non c'entri niente perché non viene neanche nominato; nel secondo un docente di teologia fondamentale ci spiega che quanto scrive Müller è esattamente quanto sempre sostenuto da papa Francesco. E il lettore avrebbe a questo punto tutto le ragioni per chiedersi che necessità avesse il cardinale Müller di scrivere il Manifesto della Fede, domanda a cui Avvenire ovviamente non risponde.

UNA CRESCENTE CONFUSIONE
Ora è chiaro che il problema della crescente «confusione nell'insegnamento della fede» che fa da prologo al documento di Müller non è da imputare semplicemente a Papa Francesco: è un processo che viene da lontano e che in questo pontificato sta dando i suoi frutti tanto maturi quanto avvelenati, ma sostenere che il cardinale Müller affronti la questione allo stesso modo del Papa significa prendere i lettori per deficienti. Da «prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede 2012-2017» (interessante che si firmi così e non ex prefetto o prefetto emerito) egli esprime con chiarezza e decisione il pensiero della Chiesa sui temi oggi maggiormente controversi laddove papa Francesco ha sempre risposto picche a chi tale chiarezza chiedeva (vedi i Dubia).
Per questo l'appello finale si rivolge soprattutto ai vescovi e ai sacerdoti perché escano allo scoperto per confermare esplicitamente la fedeltà alla dottrina della Chiesa (non di un Papa o di un altro): non è una chiamata alla ribellione ma a mantenere la Chiesa unita intorno alla verità rivelata da Gesù. Ed è questo il migliore aiuto al Papa che si possa dare in questo momento.

Nota di BastaBugie: ecco in versione integrale il testo del "Manifesto della Fede" del card. Gerhard L. Müller pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 9 febbraio 2019:
Dinanzi a una sempre più diffusa confusione nell'insegnamento della fede, molti vescovi, sacerdoti, religiosi e laici della Chiesa cattolica mi hanno invitato a dare pubblica testimonianza verso la Verità della rivelazione. È compito proprio dei pastori guidare gli uomini loro affidati sulla via della salvezza, e ciò può avvenire solamente se tale via è conosciuta e se loro per primi la percorrono. A proposito ammoniva l'Apostolo: «A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto» (1Cor 15,3). Oggi molti cristiani non conoscono più nemmeno i fondamenti della fede, con un pericolo crescente di non trovare più il cammino che porta alla vita eterna. Tuttavia, compito proprio della Chiesa rimane quello di condurre gli uomini verso Gesù Cristo, luce delle genti (vedi LG 1). In questa situazione, ci si chiede come trovare il giusto orientamento. Secondo Giovanni Paolo II, il Catechismo della Chiesa Cattolica rappresenta una «norma sicura per l'insegnamento della fede» (Fidei Depositum IV). Esso è stato scritto allo scopo di rafforzare i fratelli e le sorelle nella fede, una fede messa duramente alla prova dalla «dittatura del relativismo» [I numeri nel testo si riferiscono al Catechismo della Chiesa cattolica].

1. DIO UNO E TRINO, RIVELATO IN GESÙ CRISTO
L'epitome della fede di tutti i cristiani risiede nella confessione della Santissima Trinità. Siamo diventati discepoli di Gesù, figli e amici di Dio, attraverso il battesimo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. La differenza delle tre persone nell'unità divina (254) segna una differenza fondamentale nella fede in Dio e nell'immagine dell'uomo rispetto alle altre religioni. Riconosciuto Gesù Cristo, i fantasmi scompaiono. Egli è vero Dio e vero uomo, incarnato nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. Il Verbo fatto carne, il Figlio di Dio è l'unico Salvatore del mondo (679) e l'unico mediatore tra Dio e gli uomini (846). Per questo, la prima lettera di Giovanni si riferisce a colui che nega la sua divinità come all'anticristo (1Gv 2,22), poiché Gesù Cristo, Figlio di Dio, dall'eternità è un unico essere con Dio, suo Padre (663). È con chiara determinazione che occorre affrontare la ricomparsa di antiche eresie che in Gesù Cristo vedevano solo una brava persona, un fratello e un amico, un profeta e un esempio di vita morale. Egli è prima di tutto la Parola che era con Dio ed è Dio, il Figlio del Padre, che ha preso la nostra natura umana per redimerci e che verrà a giudicare i vivi e i morti. Lui solo adoriamo in unità con il Padre e lo Spirito Santo come unico e vero Dio (691).

2. LA CHIESA
Gesù Cristo ha fondato la Chiesa come segno visibile e strumento di salvezza, che sussiste nella Chiesa cattolica (816). Diede alla sua Chiesa, che «è nata dal cuore trafitto di Cristo morto sulla croce» (766), una struttura sacramentale che rimarrà fino al pieno compimento del Regno (765). Cristo, capo, e i credenti come membra del corpo sono una mistica persona (795), per questo motivo la Chiesa è santa, poiché Cristo, unico mediatore, l'ha costituita sulla terra come organismo visibile e continuamente la sostiene (771). Attraverso di essa l'opera redentrice di Cristo diventa presente nel tempo e nello spazio con la celebrazione dei SS. Sacramenti, soprattutto nel Sacrificio eucaristico, la S. Messa (1330). La Chiesa trasmette con l'autorità di Cristo la divina rivelazione, «che si estende a tutti gli elementi di dottrina, ivi compresa la morale, senza i quali le verità salvifiche della fede non possono essere custodite, esposte o osservate» (2035).

3. L'ORDINE SACRAMENTALE
La Chiesa è in Gesù Cristo il sacramento universale della salvezza (776). Essa non riflette sé stessa ma la luce di Cristo, che splende sul suo volto, e ciò può avvenire solo quando il punto di riferimento non è l'opinione della maggioranza né lo spirito dei tempi, ma piuttosto la Verità rivelata in Gesù Cristo, che ha affidato alla Chiesa cattolica la pienezza di grazia e di verità (819): Egli stesso è presente nei sacramenti della Chiesa.
La Chiesa non è un'associazione creata dall'uomo, la cui struttura può essere modificata dai suoi membri a proprio piacimento: essa è di origine divina. «È Cristo stesso l'origine del ministero nella Chiesa. Egli l'ha istituita, le ha dato autorità e missione, orientamento e fine» (874). Ancora oggi è valido l'ammonimento dell'Apostolo secondo cui maledetto è chiunque proclami un altro Vangelo, «anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo» (Gal 1,8). La mediazione della fede è inscindibilmente legata alla credibilità umana dei suoi annunziatori: essi, in alcuni casi, hanno abbandonato quanti erano stati loro affidati, turbandoli e danneggiando gravemente la loro fede. Per loro si realizza la parola della Scrittura: «non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci» (2 Tim 4,3-4).
Compito del Magistero della Chiesa nei riguardi del popolo di Dio è quello di «salvaguardarlo dalle deviazioni e dai cedimenti» affinché possa «professare senza errore l'autentica fede» (890). Questo è particolarmente vero per quanto riguarda i sette sacramenti. La S. Eucaristia è «fonte e culmine di tutta la vita cristiana» (1324). Il sacrificio eucaristico, in cui Cristo ci coinvolge nel suo sacrificio della croce, è finalizzato alla più intima unione con Lui (1382). Per questo la Sacra Scrittura ammonisce riguardo alle condizioni per ricevere la santa Comunione: «chiunque mangia il pane o beve il calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole del corpo e del sangue del Signore» (1Cor 11, 27), dunque «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione» (1385). Dalla logica interna del sacramento si capisce che i divorziati risposati civilmente, il cui matrimonio sacramentale davanti a Dio è ancora valido, come anche tutti quei cristiani che non sono in piena comunione con la fede cattolica e pure tutti coloro che non sono debitamente disposti, non ricevano la santa Eucaristia fruttuosamente (1457), perché in tal modo essa non li conduce alla salvezza. Metterlo in evidenza corrisponde a un'opera di misericordia spirituale.
Il riconoscimento dei peccati nella santa confessione almeno una volta all'anno è uno dei precetti della Chiesa (2042). Quando i credenti non confessano più i loro peccati ricevendone l'assoluzione, si rende vana la salvezza portata da Cristo, Egli infatti si è fatto uomo per redimerci dai nostri peccati. Il potere del perdono, che il Risorto ha conferito agli Apostoli e ai loro successori nell'Episcopato e nel Sacerdozio, rimette i peccati gravi e veniali commessi dopo il Battesimo. L'attuale pratica della confessione evidenzia come la coscienza dei credenti non sia oggi sufficientemente formata. La misericordia di Dio ci è data, affinché adempiamo i suoi comandamenti per conformaci alla sua santa volontà e non per evitare la chiamata alla conversione (1458).
«È il sacerdote che continua l'opera di redenzione sulla terra» (1589). L'ordinazione, che conferisce al sacerdote «un potere sacro» (1592), è insostituibile perché attraverso di essa Gesù diventa sacramentalmente presente nella sua azione salvifica. I sacerdoti scelgono volontariamente il celibato come «segno di questa vita nuova» (1579). Si tratta della donazione di sé stesso al servizio di Cristo e del Suo Regno che viene. Al fine di conferire validamente l'ordinazione nei tre gradi di questo sacramento, la Chiesa si riconosce vincolata alla scelta compiuta dal Signore stesso, «per questo motivo l'ordinazione delle donne non è possibile» (1577). A tale riguardo, parlare di una discriminazione della donna dimostra chiaramente una erronea comprensione di questo sacramento, che non riguarda un potere terreno ma la rappresentazione di Cristo, lo Sposo della Chiesa.

4. LA LEGGE MORALE
Fede e vita sono inseparabili, poiché la fede senza le opere compiute nel Signore è morta (1815). La legge morale è opera della sapienza divina e conduce l'uomo alla beatitudine promessa (1950). Di conseguenza, la «Legge divina e naturale mostra all'uomo la via da seguire per compiere il bene e raggiungere il proprio fine» (1955). La sua osservanza è necessaria a tutte le persone di buona volontà per conseguire la salvezza eterna. Infatti colui che muore in peccato mortale senza pentimento rimarrà per sempre separato da Dio (1033). Ciò comporta delle conseguenze pratiche nella vita dei cristiani, tra le quali è opportuno richiamare quelle oggi più frequentemente trascurate (cfr 2270-2283; 2350-2381). La legge morale non è un peso ma fa parte di quella verità liberatrice (cfr Gv 8,32) attraverso la quale il cristiano percorre la via della salvezza e non deve essere relativizzata.

5. LA VITA ETERNA
Molti si chiedono oggi per quale motivo la Chiesa esista ancora se gli stessi vescovi preferiscono agire da politici piuttosto che da maestri della fede proclamare il Vangelo. Lo sguardo non deve soffermarsi su questioni secondarie, ma è più che mai necessario che la Chiesa si assuma il suo compito proprio. Ogni essere umano ha un'anima immortale, che alla sua morte si separa dal corpo, però con la speranza della risurrezione dei morti (366). La morte rende definitiva la decisione dell'uomo a favore o contro Dio. Tutti devono affrontare il giudizio personale subito dopo la morte (1021): o sarà necessaria ancora una purificazione oppure l'uomo andrà direttamente verso la beatitudine celeste e gli sarà permesso di contemplare Dio faccia a faccia. Esiste però anche la terribile possibilità che una persona, fino alla fine, resti in contraddizione con Dio: rifiutando definitivamente il Suo amore, essa «si dannerà immediatamente per sempre» (1022). «Dio, che ci ha creati senza di noi, non ha voluto salvarci senza di noi» (1847). L'eternità della punizione dell'inferno è una realtà terribile, che - secondo la testimonianza della Sacra Scrittura - riguarda tutti coloro che «muoiono in stato di peccato mortale» (1035). Il cristiano attraversa la porta stretta, «perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano» (Mt 7,13).
Tacere su queste e altre verità di fede oppure insegnare il contrario è il peggiore inganno contro cui il Catechismo ammonisce vigorosamente. Ciò rappresenta l'ultima prova della Chiesa, ovvero «una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell'apostasia della verità» (675). È l'inganno dell'Anticristo, che viene «con tutte le seduzioni dell'iniquità, a danno di quelli che vanno in rovina perché non accolsero l'amore della verità per essere salvati» (2Ts 2,10).

APPELLO
Come lavoratori nella vigna del Signore, noi tutti abbiamo la responsabilità di ricordare queste verità fondamentali aggrappandoci a ciò che noi stessi abbiamo ricevuto. Vogliamo dare coraggio per percorrere la via di Gesù Cristo con determinazione, così da ottenere la vita eterna seguendo i Suoi comandamenti (2075).
Chiediamo al Signore di farci conoscere quanto è grande il dono della fede cattolica, attraverso il quale si apre la porta alla vita eterna. «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,38). Pertanto ci impegniamo a rafforzare la fede confessando la verità che è Gesù Cristo stesso.
L'avvertimento che Paolo, l'apostolo di Gesù Cristo, dà al suo collaboratore e successore Timoteo è rivolto in modo particolare a noi, vescovi e sacerdoti. Egli scriveva: «Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, pur di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro alle favole. Tu però vigila attentamente, sopporta le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi il tuo ministero» (2Tm 4,1-5).
Possa Maria, Madre di Dio, implorarci la grazia di aggrapparci alla confessione della verità di Gesù Cristo senza vacillare.
Uniti nella fede e nella preghiera
Gerhard Cardinale Müller
Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede dal 2012-2017
Roma, 10 febbraio 2019

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 11/02/2019

5 - NON CE LO DICONO, MA L'UNIONE EUROPEA E' IN CRISI, MENTRE IL RESTO DEL MONDO E' IN RIPRESA
I veri dati dell'economia sono clamorosi e confermano quello che è successo negli ultimi venti anni nel mondo (di positivo) e nella Unione Europea (di negativo)
Autore: Antonio Socci - Fonte: Libero, 10/02/2019

Andiamo sempre peggio, si sente dire al Bar del pensiero luogocomunista. Si ripete: i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi, e poi violenze, inquinamento, catastrofi, esaurimento delle risorse, fame e malattie, sottosviluppo, inevitabili migrazioni di massa.
"Questa è l'immagine che quasi tutti gli occidentali vedono nei media e si imprimono nella mente. Io la chiamo visione iperdrammatica del mondo, una concezione stressante e ingannevole". Così scrive Hans Rosling in "Factfulness" (Rizzoli).
Questo libro, il cui autore è membro dell'Accademia di Svezia e fondatore della sezione svedese di Medici senza frontiere,
elenca una serie impressionante di dati che dimostrano l'esatto contrario.
Ovvero che il mondo va sempre meglio, l'umanità ha compiuto progressi spettacolari e ha conseguito un benessere inimmaginabile.
Quindi i media ci danno una rappresentazione totalmente ribaltata della situazione? La risposta è: sì. Ma c'è un'altra rappresentazione ribaltata della realtà (e, in questo caso è più difficile trovare i dati veri che ci fanno scoprire la verità): si tratta del tema Europa/Italia.
Quando si parla dell'Unione Europea i media vanno in sollucchero. Fin da quando è stata varata - circa 25 anni fa - si predisse che questo esperimento politico (con la moneta unica) ci avrebbe portato nella terra promessa dove scorre latte e miele, ci avrebbe fatto ricchi e ci avrebbe protetto da tutte le intemperie finanziarie e politiche.
E' accaduto l'esatto contrario (vedremo i dati) e va sempre peggio, ma la rappresentazione mediatica continua a raccontare la favola della propaganda iniziale.
C'è un nesso fra i due fenomeni, quello globale (positivo) e quello euro-italiano (negativo)? Certo che c'è. Ma prima vediamo un po' di numeri.
Sono dati ufficiali della grandi istituzioni internazionali. Ecco qualche esempio.

BUONE NOTIZIE DAL MONDO
Nel 1800, l'85% della popolazione mondiale viveva nella condizione di povertà estrema. Venti anni fa era il 29% e oggi il 9%. Un successo strepitoso (con un balzo eccezionale negli ultimi 20 anni), eppure nessuno se ne rende conto.
Scrive Rosling: "Nel 1800, quando gli svedesi morivano di fame e i bambini britannici lavoravano nelle miniere di carbone, l'aspettativa di vita era di circa 30 anni in tutto il mondo. Il dato era sempre stato questo. Circa metà dei bambini moriva durante l'infanzia. Quasi tutti gli altri perdevano la vita tra i 50 e i 70 anni. Perciò la media si aggirava intorno ai 30". Oggi nel mondo l'aspettativa di vita media è di 72 anni (da noi sopra gli 80).
Consideriamo poi "tutte le vittime di inondazioni, terremoti, tempeste, siccità, incendi e temperature estreme, nonché i decessi durante gli sfollamenti e le pandemie che seguono questi episodi".
Oggi, spiega Rosling, il numero annuale di decessi dovuti a tali calamità è solo il 25% di quello di un secolo fa, ma siccome la popolazione è aumentata di 5 miliardi da allora, il crollo dei decessi è ancora più clamoroso: abbiamo solo il 6% dei decessi di cent'anni
fa. Grazie agli enormi progressi che ci permettono di difenderci.
Un dato che esemplifica il miglioramento della qualità della vita: oggi l'80% delle persone ha un qualche accesso all'elettricità.
Inoltre si ripete che l'Africa è una bomba a orologeria, che, con il boom demografico, la fame, le malattie e il sottosviluppo porteranno in Europa milioni di migranti.
Si ignora invece che in questi anni, in cui i paesi europei stentano a far crescere il pil dell'1%, in Africa la crescita è ben superiore e paesi come Ghana, Nigeria, Kenya o Etiopia (come il Bangladesh in Asia) sono cresciuti sopra al 5 %.
E ci sono paesi come Tunisia, Algeria, Marocco, Libia ed Egitto che "hanno aspettative di vita superiori alla media mondiale di 72 anni. In altre parole, si trovano dove la Svezia era nel 1970".
Rosling elenca pure una serie di cose orrende che sono sparite o stanno sparendo dal mondo: dalla schiavitù legale ai paesi con casi di vaiolo, ai morti in incidenti aerei.
In fortissima diminuzione la percentuale di persone denutrite (passate dal 28% del 1970 all'11% del 2015), le armi nucleari (da 64 mila del 1986 a 9 mila del 2017), le sostanze nocive per l'ozono (da 1663 del 1970 a 22 del 2016, in migliaia di tonnellate), il lavoro minorile, l'inquinamento derivante da piombo nella benzina e incidenti con perdite di petrolio.
Invece cresce nel mondo la resa cerearicola per ettaro (da 1.400 KG per ettaro del 1961 a 4 mila del 2014), la superficie terrestre protetta da parchi, l'alfabetizzazione (dal 10% del 1800 all'86% del 2016) per non parlare della ricerca scientifica, della democrazia (e del voto femminile).
Si potrebbero elencare molti altri indici, riportati da Rosling. Ovviamente sono indici di benessere prevalentemente economico, che non escludono l'esistenza di altri problemi umani o fatti molto negativi.

PESSIME NOTIZIE EURO-ITALIANE
Veniamo invece al caso euroitaliano: perché da noi - al contrario del resto del mondo - le cose sono andate indietro ?
Bastino due dati: nel 1999 il prodotto interno lordo dell'eurozona era il 22% di quello mondiale. Nel 2017 è ormai al 16%. Una caduta micidiale.
Nel 2000 l'economia USA superava del 13% quella dell'eurozona, nel 2016 questa percentuale era raddoppiata: al 26%.
Anche se i media continuano a raccontare la favola dell'UE felice, la gente comune si è accorta dell'inganno, paga sulla propria pelle il peggioramento della qualità della vita e comincia a protestare, nelle urne (Italia e Gran Bretagna) o nelle piazze (Francia).
C'è un nesso fra i due fenomeni, quello globale (positivo) e quello (negativo) relativo a Italia/Europa? Sì. Il nesso si chiama globalizzazione. Fino alla caduta del Muro di Berlino si è avuto un progresso globale ordinato e regolato, guidato e trainato dagli Stati Uniti e dall'Europa occidentale.
Dagli anni Novanta si è imposta una globalizzazione selvaggia, con un Mercato globale senza regole e, per esempio, l'ingresso di colpo sulla scena di un gigante come la Cina che, di fatto, fa concorrenza sleale a tutti.
La follia europea è stata quella di legarsi le mani con i Trattati di Maastricht (che hanno al centro il mercato e l'inflazione, anziché il lavoro e la crescita economica) e con una moneta unica che, oltre a impedire le preziose politiche monetarie nazionali, ha regalato alla Germania un marco super-svalutato e a noi una lira sopravvalutata.
Così i tedeschi hanno vampirizzato le altre economie europee, specie quella italiana. Infatti in 18 anni di euro la manifattura italiana è crollata del 16%, quella tedesca è cresciuta del 30%.
Ecco perché nel 1999 - all'ingresso nell'euro - il reddito pro-capite degli italiani era il 96% di quello tedesco, mentre nel 2015 dopo sedici anni di euro il reddito degli italiani è il 76% di quello dei tedeschi.
Il nostro reddito pro capite è addirittura diminuito da 34.802 dollari del 1999 a 34.752 del 2017. Negli anni ottanta, un italiano risparmiava in media 1/4 del suo reddito: oggi quasi zero.
L'Italia che, fra 1960 e 1979, vedeva crescere il Pil del 4,8% medio annuo (ed era ancora al 2% fra 1980 e 1999), dal 2000 al 2018 è ferma : la crescita media annua allo 0,2% significa che siamo in coma.
E questo si paga salatamente nella qualità della vita. Significa più disoccupazione e povertà, meno investimenti in infrastrutture, nell'educazione e nella sanità. Significa blocco del cosiddetto "ascensore sociale".
Significa avere giovani senza un futuro, senza possibilità di fare un progetto di vita e significa anche gravissima denatalità. È la via del declino irreversibile.

Fonte: Libero, 10/02/2019

6 - LA BRUTTEZZA NELL'ARTE CONTEMPORANEA... E NELLA NOSTRA VITA
L'irrompere del brutto non è casuale, ma è una modalità della guerra contro la ragione umana come principio a cui spetta indirizzare le azioni, e a volte anche contro Dio
Autore: Roberto Marchesini - Fonte: Il Timone, dicembre 2018 (n. 179)

A cosa è dovuto l'irrompere del brutto nell'arte contemporanea (e, di conseguenza, nella nostra vita)? È semplicemente la conseguenza di un venir meno del bello?
Purtroppo no: si tratta di una strategia della guerra culturale che da secoli si combatte contro il cattolicesimo e, più in generale, contro il logos/Logos: contro l'armonia, contro la ragione umana come principio a cui spetta presiedere alle nostre scelte ed azioni in vista del bene, e a volte anche contro Dio, che è la Ragione (e l'Amore) di cui la nostra ragione (come la nostra volontà-amore) è imago. Ogni arte è la manifestazione di un pensiero. L'arte classica, ad esempio, è l'espressione di un pensiero metafisico: il suo obiettivo è quello di rappresentare le cose come dovrebbero essere (non come sono in realtà). L'arte romantica celebra (con la letteratura, la pittura...), spesso, il trionfo delle passioni. L'arte verista o naturalista è un'arte materialista; e cosi via. E l'arte tardomoderna e contemporanea? Ha, spesso, salvo eccezioni (Tolkien, Chagall, Mahler, ecc.: non vogliamo generalizzare, sia chiaro), lo scopo esplicito di stravolgere il senso comune del bello, dell'ordine e dell'armonia. Qualche esempio chiarirà il concetto.

LA RIVOLUZIONE ATTRAVERSO L'ARTE
Richard Wagner (che pur ha composto anche musiche molto belle, sia chiaro) combattè sulle barricate a Dresda accanto al rivoluzionario professionista Mikhail Bakunin, nel 1848. Dopo il fallimento dei disordini, Wagner si ritirò a riflettere, dopodiché pubblicò un libretto intitolato La Rivoluzione nell'arte (che influenzò moltissimo Nietzsche), in cui riassume le sue conclusioni: la rivoluzione non si fa combattendo sulle barricate, bensì con l'arte. L'arte è lo strumento più efficace per la guerra contro il Logos. Da quel momento abbandonò completamente la musica tonale per dedicarsi allo studio e all'uso della musica cromatica (Wagner ha talvolta anche espresso un senso religioso, per es., nel Parsifal, che fu deplorato da Nietzsche, in Nietzsche contra Wagner).
La musica tonale rispecchia la sensibilità spontanea dell'uomo (è "naturale"), è gerarchica (organizzata attorno ad un suono centrale, la nota "tonica") e teleologica (orienta l'ascolto verso la conclusione del brano). La musica cromatica trasgredisce tutte queste regole naturali: non ha gerarchie tra le note, non ha una tonica dominante e non è orientata verso una conclusione (è la musica, per intenderci, usata, non a caso, nella colonna sonora del celebre Shining di Kubrick, un film horror che ha un'atmosfera allucinata).
Un altro esempio è dato dal celebre pittore Pablo Picasso, che ruppe gli schemi pittorici classici "inventando" il cubismo. In realtà, Picasso non fece altro che sostituire i volti delle Demoiselle d'Avignon (prostitute che frequentava e con le quali aveva recentemente litigato) con delle maschere africane che aveva visto poco prima ad una mostra. L'Africa era considerata, razzisticamente, una terra "senza logos": una terra nella quale le leggi morali e religiose (soprattutto quelle riguardanti la sessualità) non avevano giurisdizione. Così Picasso: «Quando ho scoperto l'arte negra, e ho dipinto quel che si dice la mia epoca negra, era per opporsi a ciò che nei musei era indicato come "bellezza"».
Altre citazioni dello stesso autore chiariranno meglio il concetto: "La mia adesione al Partito Comunista è il seguito logico di tutta la mia vita, di tutta la mia opera. [...] Sì, ho coscienza di avere sempre lottato con la mia pittura come un vero rivoluzionario"; e ancora: "La pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico". E chi potrebbe essere questo "nemico" se non il Logos?

UN CAPOVOLGIMENTO ANTROPOLOGICO
Potremmo anche citare Byron e Shelley, attivamente impegnati a realizzare la Seconda Rivoluzione Sessuale (dopo la Prima, quella illuminista, che vide il suo vertice nel marchese de Sade; e anteriormente alla Terza, che accompagnò il Sessantotto). Essi non trovarono niente di meglio, per abbattere le leggi morali e religiose che regolano la sessualità umana, che sfruttare il Romanticismo. Il Romanticismo - scrisse Huysmans, un romantico pentito - ruota attorno a un solo tema: l'adulterio (talvolta l'incesto; Huysmans esagera, perché i temi sono anche altri, ma comunque evidenzia un tema molto frequente). Nel romanzo romantico (da non confondersi con le storie d'amore medievali come Paolo e Francesca, Romeo e Giulietta...) la trama è spesso quella: c'è una coppia sposata e un terzo; tra la moglie e il terzo scoppia la passione e il marito si oppone. Lo svolgimento del romanzo relega il marito tradito nella posizione del "cattivo", mentre il lettore è indotto a fare il tifo per gli adulteri. Il lieto fine prevede la consumazione della passione sessuale tra i due amanti. Traduciamo: assecondare le passioni è sempre buono, le leggi morali e religiose che regolano matrimonio e sessualità sono cattive.
Potremmo continuare a lungo, ma ormai abbiamo capito il meccanismo: l'arte è un'arma (molto efficace) nella guerra culturale contro il Logos e la legge morale naturale. Ed ecco spiegato l'irrompere del brutto nell'arte: non si tratta di un decadimento del senso del bello, o almeno non solo. Si tratta di una strategia per devastare e distruggere la sensibilità delle persone per la bellezza, l'ordine e l'armonia. Per rovesciare l'antropologia classica - che vede la ragione, in sinergia con la volontà, a capo della persona - e sostituirla con un'altra antropologia, nella quale la persona è dominata dalle passioni, che (per i classici) non devono essere estirpate e mortificate, ma vanno coltivate ed educate.
Non si tratta di un processo spontaneo, bensì di una strategia tanto tremenda quanto efficace per allontanare gli uomini dal Logos, che si è incarnato nella persona di Gesù.
In principio era il Logos, e il Logos era presso Dio, e il Logos era Dio. Così scrive san Giovanni iniziando il Vangelo, presentando Gesù. L'arte tardomoderna e contemporanea, spesso, non è altro che uno strumento nella lotta eterna tra il Bene e il male.

Fonte: Il Timone, dicembre 2018 (n. 179)

7 - IL MARTIRIO DELLA FAMIGLIA REALE DI FRANCIA
Papa Pio VI parlò di martirio del cristianissimo re Luigi XVI decapitato dai rivoluzionari in odio alla religione cattolica
Autore: Cristina Siccardi - Fonte: Corrispondenza Romana, 30/01/2019

Il 21 gennaio scorso, con diverse sante Messe in Francia e non solo, si è celebrato l'anniversario della decapitazione di re Luigi XVI. Nulla può la propaganda di fronte alle pagine di Storia. La persecuzione perpetrata nei confronti dei cattolici Reali di Francia è Storia: è scritta nelle cronache, nelle memorie, nei documenti d'archivio, nelle testimonianze, nei libri.
Ciò che la famiglia reale visse sotto la Rivoluzione francese, genitrice di persecuzione e di mostruosità, appartiene a quelle vicende che nessuno può cancellare, anche se non vengono raccontate e insegnate perché nemiche di quei principi che pervadono ancora la Francia e l'Europa di oggi. Gli esponenti della Rivoluzione francese avviarono la scristianizzazione nel Continente a colpi ideologici di "libertà" e di ghigliottina. La vulgata bara, le fonti sono pietra viva.
Pietra viva come i racconti di Madame Royale, ovvero Maria Teresa Carlotta di Borbone-Francia (Versailles, 19 dicembre 1778 - Frohsdorf, 19 ottobre 1851), figlia primogenita di Luigi XVI di Borbone-Francia e di Maria Antonietta d'Asburgo-Lorena, duchessa d'Angoulême, delfina di Francia (per alcuni minuti nel 1830 anche Regina di Francia), contessa di Marnes in esilio.
Nelle sue Memorie ella parla della prigionia della sua famiglia incarcerata nella Torre del Tempio: «[...] si aveva avuto la crudeltà di lasciar solo il mio povero fratello; barbarie inaudita; [...] Abbandonare così un infelice fanciullo di otto anni [...] senza altro soccorso che un cattivo campanello che egli non suonava mai, tanto aveva terrore della gente che avrebbe chiamato, preferendo mancare di tutto, che domandare la più piccola cosa ai suoi persecutori. Egli stava in un letto che non era mai stato rifatto da più di sei mesi e che egli non aveva più la forza di rifare; le pulci e le cimici lo coprivano; la biancheria e la sua persona ne erano piene. [...] Le sue feci restavano nella camera, e nessuno le aveva tolte in questo periodo. La sua finestra, chiusa a catenaccio, e con sbarre, non veniva mai aperta e non si poteva restare in quella camera per l'odore infetto» (Racconto degli avvenimenti accaduti al Tempio dal 13-8-1792- alla morte del Delfino Luigi XVII, Casa Editrice Ceschina, Milano 1964, pp. 95-96). Il fratello era Luigi Carlo Borbone (Versailles, 27 marzo 1785 - Parigi, 8 giugno 1795). Dalla morte di suo padre nel 1793, fu considerato re di Francia e di Navarra con il nome di Luigi XVII dai monarchici francesi e dalle corti europee. Venne murato vivo nel Tempio in condizioni disumane, sotto il controllo degli aguzzini per oltre due anni che lo lasciarono in una cella putrida, piena di topi, di insetti e di parassiti, con poca luce di giorno e buio completo di notte. Malnutrito e malato, morì all'età di dieci anni.

SCENE ORRIBILI DI VIOLENZA, CON MASSACRI E TESTE DECAPITATE
La famiglia reale di Francia venne catturata nella notte del 6 ottobre 1789, quando un'orda inferocita ed avvinazzata di 20 mila persone, armate di fucili, sciabole, forche e bastoni da Parigi si diresse a Versailles, invadendo il castello. Mentre si verificavano scene orribili di violenza, con massacri, teste decapitate e portate sui picchetti come trofei, Luigi XVI e i suoi congiunti vennero trasportati a Parigi fra le urla, le minacce e le imprecazioni. La famiglia venne imprigionata nel palazzo delle Tuileries. Mentre tutti i principi e le principesse cercarono di fuggire fuori dalla capitale e dalla Francia, la sorella del Re, Elisabeth Philippine Marie-Helene de Bourbon, chiamata Madame Elisabeth, rimase al proprio posto, vicino al fratello, alla cognata, al piccolo Delfino di Francia e alla nipotina Carlotta, assolvendo la propria missione di consolatrice.
Dopo umiliazioni indicibili e sofferenze inaudite, Maria Antonietta venne decapitata il 16 ottobre 1793. La sua ultima lettera, conosciuta come Testamento (scolpito nel marmo nero e a caratteri dorati nella Chapelle expiatoire di Parigi, in piazza Luigi XVI, al 29 di rue Pasquier, nell'VIII arrondissement), fu indirizzata alla cognata Elisabetta: «È a voi, sorella mia, che scrivo per l'ultima volta; sono condannata non ad una morte infamante, perché tale è soltanto per i criminali, ma a raggiungere vostro fratello». E dopo averla pregata di essere la seconda madre dei suoi orfani, si accommiatò con queste parole: «Addio, mia buona e tenera sorella; speriamo che questa vi giunga! Pensate sempre a me; vi bacio con tutto il cuore, insieme con quei poveri e cari bambini!». La lettera non fu recapitata. Persuasa che l'irreligione e l'immoralità attirassero sul Paese i castighi di Dio, Elisabetta considerava il Sacro Cuore di Gesù come il solo rimedio per le sofferenze del popolo e la salvezza della nazione. Compose vari atti di consacrazione della Francia al Divin Cuore e fu anche molto devota al Sacro Cuore di Maria Santissima.

REX CHRISTIANISSIMUS
I persecutori dell'ordine e della Chiesa di Cristo non potevano tollerare il titolo di Rex Christianissimus di Luigi XVI, né che egli fosse stato unto con l'olio sacro nella cattedrale di Reims e lo assassinarono. Lo fecero salire sul patibolo il 21 gennaio 1793. Il corteo che lo condusse dalla Torre del Tempio alla Place de la Révolution (oggi Concorde), avanzò fra due linee di guardie armate di fucili e di picche, tra gli insulti dei sanculotti ubriachi. Il suo confessore, l'irlandese padre Edgeworth de Firmont, gli sussurrò all'orecchio: «Sire, in questo supremo oltraggio io non vedo altro che un ulteriore tratto di somiglianza fra Voi e Nostro Signore Gesù Cristo, che sarà la vostra ricompensa». Presentandosi al boia Sanson, il Re gli porse le mani e se le fece legare: «Fate ciò che volete!». Poi avanzando verso il patibolo: «Perdono gli autori della mia morte...». Allora lanciò un proclama alla piazza affollata: «Figli di Francia! Io muoio innocente! Perdono gli autori della mia morte, e chiedo a Dio che il sangue oggi versato non ricada mai sulla Francia. Quanto a voi, o popolo sfortunato...». Il generale Santerre, comandante della truppa schierata sulla piazza, temendo una reazione positiva della gente per il sovrano, levò la spada e ordinò di riprendere il rullio dei tamburi per coprire la voce del Re. La lama della ghigliottina cadde sul collo di Luigi XVI. Sanson prese per i capelli la sua testa gocciolante di sangue e la mostrò al popolo silenzioso.
Papa Pio VI, profondamente ferito da quella barbarie - che aveva abolito «la più prestigiosa forma di governo, quella monarchica» - parlerà di «martirio» del «cristianissimo re Luigi XVI», inflitto in odio alla religione cattolica, nell'allocuzione Quare lacrymae del 17 giugno 1793. Il Papa paragona il martirio di Luigi XVI a quello di Maria Stuarda: «Sappiamo da Sant'Agostino che "non è il supplizio che fa il martire, ma la causa". [...] Pertanto per dichiarare un vero martirio è sufficiente che il persecutore, per procurare la morte, sia mosso dall'odio contro la Fede, anche se l'occasione della morte provenisse da altri motivi, che, a causa delle circostanze, non appartengono alla fede" [...] E chi mai potrebbe mettere in dubbio che quel Re fu messo a morte per odio contro la Fede e oltraggio ai dogmi del Cattolicesimo».
Condotta al patibolo il 10 maggio 1794, Elisabetta, che contava 30 anni e aveva vissuto in virtù, consacrandosi in cuor suo a Dio all'età di 15, non soltanto non si coprì gli occhi di fronte alla carneficina, ma rimase sorridente e orante fino alla fine. Ad alta voce chiamò, una ad una, le vittime che venivano ghigliottinate senza pietà, invitandole ad aver fede in Dio e, se donne, le abbracciava oppure le salutava con un sorriso. Poi toccò a lei. E quando il biondo capo cadde, aggiungendo sangue su sangue, la piazza ammutolì. Nel novembre 2017 è stata introdotta la sua causa di beatificazione

Fonte: Corrispondenza Romana, 30/01/2019

8 - OMELIA VI DOMENICA T. ORD. - ANNO C (Lc 6,17.20-26)
Rallegratevi in quel giorno ed esultate
Fonte Il settimanale di Padre Pio

Nella nostra vita cristiana ci dobbiamo su due fondamenti. Il primo è la consapevolezza della nostra miseria e nullità. Da soli siamo capaci solo di sbagliare, di peccare. Il secondo fondamento è la fiducia in Dio. "Tutto posso in colui che mi dà forza", affermava san Paolo apostolo. Anche se grande è la nostra miseria, con l'aiuto di Dio riusciremo a superare ogni ostacolo e a farci santi come Dio vuole. È quanto il profeta Geremia ci ricorda con queste parole: "Maledetto l'uomo che confido nell'uomo [...]. Benedetto l'uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia". Non dobbiamo confidare in noi stessi, nelle nostre forze e capacità e nemmeno nell'aiuto degli altri. "Solo in Dio riposa l'anima mia, da Lui la mia salvezza", recita un Salmo. Solo nella preghiera umile e fiduciosa sta la forza dell'uomo. L'uomo deve impegnarsi a fondo nel fare il bene e deve essere consapevole che solo da Dio dipenderà il risultato dei suoi sforzi. Questo concetto è espresso molto bene da quel proverbio popolare: aiutati che Dio ti aiuta. Senza il nostro sforzo sarebbe una presunzione confidare nell'aiuto di Dio. La buona volontà da parte nostra è il punto di contatto tra la nostra miseria e l'Onnipotenza divina.
Nel Santo Vangelo, san Luca scrive una delle pagine più belle di tutto il Nuovo Testamento, cioè quella delle Beatitudini. Con le Beatitudini abbiamo un capovolgimento dei valori, del modo di ragionare. Il mondo esalta la ricchezza, il benessere, il quieto vivere; Gesù invece proclama beati i poveri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati. E quanto insegna san Paolo nelle sue lettere: "Sovrabbondo di gioia in ogni tribolazione". E questa gioia nella tribolazione è un dono, un frutto dello Spirito Santo. Ecco perché tante volte i Martiri andavano lieti e festanti incontro alle torture e alla morte. Si può dire che le Beatitudini sono il frutto più maturo della vita cristiana, non è più un ragionare secondo il mondo ma secondo Dio, è la Sapienza della Croce, che ci fa trovare dolce tutto ciò che è amaro. È beato colui che riproduce nella sua vita Gesù povero, afflitto e perseguitato. Chi più assomiglia a Gesù, più è felice.
Gesù stesso disse un giorno a santa Margherita Maria Alacoque che il Santo più vicino al Suo cuore è stato san Francesco d'Assisi ed è proprio per questo che il Santo d'Assisi è il santo della letizia, il santo che più ha esultato in mezzo alle più grandi sofferenze, fino a divenire una copia vivente del Crocifisso; il primo stigmatizzato, che ha sovrabbondato di gioia, nelle acerbe sofferenze della croce. Fin dopo la sua conversione imparò ad assaporare la dolcezza della croce, ma fu soprattutto sul monte della Verna che raggiunse il vertice delle Beatitudini. Beato perché crocifisso con Cristo.
Il giovane Francesco d'Assisi, da poco convertito da una vita spensierata, andando a cavallo, un giorno incontrò inaspettatamente un lebbroso. La sola vista dei lebbrosi era sufficiente a Francesco per provarne un orrore tale da volgersi alla fuga irresistibilmente. Quel giorno però, se istintivamente stava per turarsi il naso e spronare il cavallo alla fuga, interiormente una voce lo fermò: "Come si comporta un cavaliere di Cristo? ...". Francesco si buttò giù da cavallo con un balzo, corse al lebbroso, gli prese e gli baciò la mano cancrenosa, vi depose sopra una moneta e rimontò a cavallo. Si era vinto! Quasi non credeva a se stesso. Si girò attorno per guardare il lebbroso: ma non lo vide più. Dov'era? Era sparito. Da quel giorno seppe vincere così perfettamente se stesso che non solo non evitava i lebbrosi , ma andava lui stesso a curarli e servirli.
San Francesco stesso dirà prima di morire: "Ciò che prima mi sembrava amaro, mi si convertì in dolcezza di anima e di corpo". Gesù nel Vangelo dice a tutti quelli che sono nella sofferenza e nella persecuzione: "Rallegratevi [...] ed esultate, perché la vostra ricompensa è grande nel cielo". San Francesco diceva nella sofferenza: "Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto". Ci insegna in questo modo che nelle sofferenze dobbiamo innalzare lo sguardo alla ricompensa celeste. Di fronte alla gloria del Paradiso, ogni croce diventa dolce. Sulla terra, solo il possesso di Dio è sorgente di pace e di serenità, pur tra le lacrime e le angustie del mondo. Il patire è breve, la gioia è infinita. San Francesco amò la croce perché lo rendeva sempre più simile a Gesù Cristo.
Per salire il Monte delle Beatitudini, per raggiungere la piena somiglianza con Gesù Crocifisso e Risorto, dobbiamo amare, venerare, pregare e servire Maria, l'umile Serva del Signore. La devozione a Lei è un segreto di grazia che ci facilita in questa ardua ascesa. Un antico Autore così esclamava: "Beato colui che si consacra a Maria, il suo nome è scritto nel libro della vita".

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

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