BastaBugie n�633 del 09 ottobre 2019

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1 TOGLIERE IL CROCIFISSO DALLE SCUOLE? L'ASSURDA IDEA DEL MINISTRO DELL'ISTRUZIONE
Dopo la sponsorizzazione dello sciopero per il clima il ministro Fioramonti se la prende con il crocifisso... del resto lo sappiamo: la scuola di Stato non può che essere totalitaria (VIDEO: un sacerdote difende il crocifisso)
Autore: Marco Lepore - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 IN UNGHERIA I MATRIMONI SONO AUMENTATI DEL 42% E LA FERTILITÀ DEL 21%
I numeri che ci illustra la vice del presidente Orban rivelano un quadro positivo per le politiche familiari e in controtendenza rispetto al resto dei paesi europei
Autore: Matteo Orlando - Fonte: Il Giornale
3 L'ARMATA DI BAMBINI CHE L'ISLAM USA PER LA GUERRA SANTA ALL'OCCIDENTE
Nel contesto dello Stato Islamico (ISIS) i bambini sono usati allo stesso modo degli adulti, il che significa che l'uso di bambini e ragazzi è normale nella jihad (VIDEO: l'Isis non c'entra nulla con l'islam?)
Autore: Lorenza Formicola - Fonte: Analisi Difesa
4 OTTO DOMANDE PER VEDERE SE PREGHI IN MANIERA CATTOLICA
Una corposa nota dei vescovi spagnoli mette in luce la pericolosità dalla spiritualità orientale che qualcuno definisce ''zen cristiano'' (VIDEO: Budda in fila indiana)
Autore: Andrea Zambrano - Fonte: Sito del Timone
5 L'IKEA LICENZIA UN DIPENDENTE POLACCO PERCHE' RIFIUTAVA L'IDEOLOGIA GAY
Intanto a Siena l'Ordine dei medici fa organizzare all'Arcigay un corso ''professionale'' con lo scopo di indottrinare tutti i medici
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana
6 IL NUOVO CARDINALE LITUANO CONFINATO 10 ANNI IN SIBERIA DURANTE L'OCCUPAZIONE SOVIETICA
Pubblicò la Cronaca clandestina della Chiesa in Lituania e per questo fu deportato nei campi di ''lavoro'' siberiani (VIDEO: trasmissione di Tv2000 in cui il neo cardinale racconta la persecuzione comunista in Lituania)
Autore: Matteo Orlando - Fonte: Il Giornale
7 LA CORTE EUROPEA DI STRASBURGO RESPINGE IL RICORSO DELL'ITALIA E LA OBBLIGA AD ABOLIRE L'ERGASTOLO... SARANNO CONTENTI I MAFIOSI
L'ergastolo ha senso ancora oggi, infatti non aggiunge al male compiuto dal criminale un altro compiuto dallo Stato per vendetta, ma permette al criminale di riparare al male fatto scontando una punizione adeguata
Fonte: I Tre Sentieri
8 BEATA VERGINE MARIA DEL ROSARIO: QUANDO E' NATA LA FESTA E PERCHE'?
Il 7 ottobre 1571 a Lepanto, la flotta cristiana della Lega Santa con l'intercessione di Maria sconfisse per sempre quella musulmana (VIDEO: la battaglia di Lepanto)
Autore: Ermes Dovico - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
9 OMELIA XXVIII DOM. T.ORD. - ANNO C (Lc 17.11-19)
Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - TOGLIERE IL CROCIFISSO DALLE SCUOLE? L'ASSURDA IDEA DEL MINISTRO DELL'ISTRUZIONE
Dopo la sponsorizzazione dello sciopero per il clima il ministro Fioramonti se la prende con il crocifisso... del resto lo sappiamo: la scuola di Stato non può che essere totalitaria (VIDEO: un sacerdote difende il crocifisso)
Autore: Marco Lepore - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 04/10/2019

Per chi ancora non lo avesse capito, in Italia l'orizzonte educativo che deve avere la scuola statale lo decide il ministro di turno. Forse è sempre stato così, probabilmente, ma oggi questo è diventato esplicito come non mai. Fino a livelli allarmanti. Meno male, vien da dire, chissà che non si arrivi finalmente a comprendere dove sta l'inghippo...
Pochi giorni fa è esplosa la vicenda dello sciopero per il clima, con la presa di posizione e conseguente circolare alle scuole del ministro Fioramonti, per chiedere ai dirigenti di considerare giustificata la partecipazione degli studenti alle manifestazioni "gretine".
Subito dopo, a seguire, è riesplosa l'annosa questione del crocifisso in aula e si è scatenata ancora una volta una bagarre tra i sostenitori della scuola laica-laicista e quelli (confortati tra l'altro da diverse sentenze nazionali e internazionali) che vogliono il crocifisso esposto perché rappresenta i fondamenti della nostra storia e cultura.
Non facciamoci illusioni, nemmeno stavolta il problema sarà risolto. Fioramonti probabilmente continuerà ad affermare le proprie legittime convinzioni (e, con lui, tutti i presidi - e sono tanti - che non vogliono il crocifisso a scuola), fino al prossimo ministro. Quello uscente, ad esempio, era favorevole, e si stava muovendo affinché fosse ripristinato. Insomma, il caos.

APERTE UN'INFINITÀ DI QUESTIONI
Il problema è che questo accade non solo sul crocifisso, ma su un'infinità di questioni. Chi ne fa le spese sono innanzitutto gli studenti con le loro famiglie, e poi tutto il personale della scuola, che vive in un clima di terremoto perenne. Si può andare avanti così?
Il peccato originale è proprio nella natura stessa della scuola italiana. Facciamoci una domanda: a chi appartiene la scuola statale? E, di conseguenza, qual è (o quale deve essere) la sua identità? Non è del ministro, né del governo in carica, nemmeno (men che meno) dei sindacati, e neppure dei docenti, degli studenti o delle famiglie. I "buonisti" risponderebbero: "è della società, cioè di tutti questi!". E in un certo senso potrebbe essere vero, ma il tentativo di realizzare la scuola della concertazione (dopo il '68, coi decreti delegati, che furono pensati proprio per avviare la scuola del dialogo e della collaborazione fra tutte le parti in causa) si è rivelato ampiamente fallimentare e prevedibilmente illusorio.
La scuola di Stato, in definitiva, è drammaticamente senza identità, o, meglio, con identità fluttuanti e contraddittorie, dipendenti dal potere politico che, in Italia, è quanto di più instabile esista. Insomma: una fabbrica permanente di conflitti, di scontento, di tristezza, e di manipolazioni ideologiche.
Affermare che la scuola è fatta per educare/formare le nuove generazioni, che dovrebbe rappresentare il meglio della nostra storia e cultura, che dovrebbe essere il trampolino di lancio degli studenti per esprimere i loro talenti in funzione della realizzazione personale e del bene comune, che dovrebbe sostenersi su dinamiche virtuose di collaborazione col territorio, le imprese e le famiglie, è pura teoria. Il fallimento è sotto gli occhi di tutti.
C'è una soluzione, e si chiama libertà di educazione. In un sistema davvero libero, anche ammesso che lo Stato voglia continuare ad essere gestore diretto di scuole, il problema del crocifisso non si porrebbe. E nemmeno tanti altri.

LA SCUOLA DI STATO È DISASTROSA
Le famiglie, che da dettato costituzionale sono le principali depositarie del diritto di educare e istruire i figli, potrebbero mandare questi ultimi nella scuola che preferiscono. Lo Stato è laico (laicista) e non vuole il crocifisso, oppure cambia orientamento continuamente? Benissimo, è possibile iscrivere i figli in altre scuole, chiaramente e stabilmente connotate, a parità di condizione. Il problema è che manca proprio questa possibilità. O, meglio, è alla portata solo di chi se la può permettere economicamente. Ed è una vergogna tutta italiana.
E poiché il peccato originale di una scuola di Stato (sempre più evidentemente Stato etico) non può essere risolto, gli studenti e le famiglie dovranno obtorto collo continuare a farne le spese. Le conseguenze, però, come vediamo, sono e saranno sempre più a carico di tutti.
A meno che... ed è la controprova di quanto detto sopra: le scuole che rappresentano il meglio della nostra storia e cultura, che sono il trampolino di lancio degli studenti per esprimere i loro talenti in funzione della realizzazione personale e del bene comune, che si sostengono su dinamiche virtuose di collaborazione col territorio, le imprese e le famiglie, esistono anche in Italia, e sono fra le paritarie e parentali. Cioè fra scuole libere, non statali. Sarà un caso?
Esistono anche gli strumenti per realizzare un'effettiva parità scolastica e libertà di scelta educativa per le famiglie: il costo standard, buono scuola, finanziamenti diretti dello Stato, e altro ancora. Basterebbe volerli attuare. Perché allora si continua così? Eh già, forse fa comodo a qualcuno...

Nota di BastaBugie: nel seguente video, tratto da una trasmissione televisiva andata in onda in diretta il 16 novembre 2009, don Stefano Bimbi risponde alle telefonate pro e contro la presenza del crocifisso negli edifici pubblici.


https://www.youtube.com/watch?v=mfKfqAshZaU&t=682

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 04/10/2019

2 - IN UNGHERIA I MATRIMONI SONO AUMENTATI DEL 42% E LA FERTILITÀ DEL 21%
I numeri che ci illustra la vice del presidente Orban rivelano un quadro positivo per le politiche familiari e in controtendenza rispetto al resto dei paesi europei
Autore: Matteo Orlando - Fonte: Il Giornale, 08/09/2019

I dati che arrivano dall'Ungheria sovranista di Viktor Orban mostrano numeri estremamente positivi per le politiche familiari.
Dal 2010 ad oggi i matrimoni sono aumentati del 42 percento e il tasso di fertilità del 21%.
Grazie alle politiche del governo Orban, ha spiegato Katalin Novák, Segretaria di Stato per la Famiglia e per gli Affari Giovanili, Vice Presidente del partito Fidesz - Hungarian Civic Alliance, il partito di Orban, "anche il numero di aborti è ai minimi storici, seppur è ancora elevato".
La giovane ministro, che è lei stessa mamma di tre figli, ha ricordato durante una conferenza internazionale con i giornalisti cristiani tenutasi a Budapest, che questi dati non arrivano per caso, ma sono frutto delle iniziative del governo popolare di Orban, che ha rovesciato le politica antifamiliari del precedente governo ungherese di sinistra, permettendo all'Ungheria di spendere il doppio della media Ocse per il sostegno alle famiglie.
La Novák ha spiegato che c'è una tendenza generale alla sovrappopolazione nella maggior parte del mondo, mentre in Europa l'attuale tasso di fertilità "non permette a nessuno dei paesi del continente di garantire una adeguata sostituzione generazionale".
"La popolazione europea è cresciuta in termini assoluti, ma solo a causa della migrazione", ha affermato la segretaria di Stato ungherese. Il governo ungherese ha risposto al problema del declino della popolazione con una forte politica di sostegno alla famiglia (quella tradizionale, dove "secondo le credenze ungheresi, ogni bambino ha diritto a un padre e una madre"), con politiche familiari radicate nella Costituzione per garantire, come spiegava lo stesso Orban, la loro protezione a lungo termine da decisioni giudiziarie "chiaramente anti-familiari" e da organizzazioni non governative "spesso anti-familiari" che "possono infiltrarsi nel processo decisionale ungherese" (riferendosi al filantropo miliardario ungherese-americano George Soros, considerato dal premier Orban un nemico ideologico).
La nuova Costituzione ungherese, entrata in vigore nel 2012, è stata approvata grazie alla maggioranza parlamentare dei due terzi del partito di Fidesz di Orban. Uno dei suoi articoli afferma che l'Ungheria "protegge l'istituzione del matrimonio come unione di un uomo e una donna".
Al termine della sua conferenza la Novák ha annunciato che il suo piano sarà quello di introdurre ogni anno più misure di sostegno alla famiglia, senza eliminare quelle esistenti. Attualmente l'Ungheria spende il cinque percento del suo Pil in piani di sostegno alle famiglie, il doppio della media Ocse e due volte e mezzo in più rispetto al 2010, quando Orban arrivò al governo del paese centro-orientale europeo.

DOSSIER "VIKTOR ORBAN"
Chi è il premier dell'Ungheria

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Fonte: Il Giornale, 08/09/2019

3 - L'ARMATA DI BAMBINI CHE L'ISLAM USA PER LA GUERRA SANTA ALL'OCCIDENTE
Nel contesto dello Stato Islamico (ISIS) i bambini sono usati allo stesso modo degli adulti, il che significa che l'uso di bambini e ragazzi è normale nella jihad (VIDEO: l'Isis non c'entra nulla con l'islam?)
Autore: Lorenza Formicola - Fonte: Analisi Difesa, 03/08/2019

Il tredicenne che il 12 luglio s'è fatto saltare in aria in un attentato suicida, durante un matrimonio, nella provincia di Nangarhar nell'Afghanistan orientale, uccidendo cinque persone e ferendone 40, ha riproposto il problema della radicalizzazione islamica di bambini e adolescenti.
Uno spettacolo horror di dimensione globale, oggi facilitato dall'islam grazie alla tecnologia - strumento sfruttato al massimo dai terroristi islamici in conformità con il mandato dei Fratelli Musulmani di "indebolire l'Occidente anche con le loro armi". Ma non è solo la propaganda su YouTube a rubare le coscienze dei bambini.
Le Nazioni Unite già nel 2006 denunciavano l'esistenza di 250.000 bambini che in tutto il mondo erano stati arruolati per combattere in circa 20 conflitti differenti. Allora il sedicente Stato Islamico era solo un'idea, eppure in poco tempo è stata poi costruita l'organizzazione di quella radicalizzazione che nei primi mesi del 2015 aveva già oltre 1.500 bambini a combattere in prima linea e ne aveva addestrati oltre mille come kamikaze.
Il Combating Terrorism Center, nel più recente rapporto in materia, condusse tra il 2015 e il 2016 una meticolosa indagine per svelare come le organizzazioni estremiste violente, e in particolare quelle legate all'islam, da tempo reclutavano bambini a un ritmo sempre più sostenuto.
I talebani pakistani gestiscono ad oggi numerose cosiddette scuole dedicate alla formazione di terroristi preadolescenti; gli houthi - gruppo armato sciita nello Yemen - hanno sistematicamente introdotto l'inclusione dei bambini nelle loro fila mentre la milizia Hezbollah in Libano ha iniziato a inquadrare adolescenti per rafforzare la presenza in Siria.
Il fenomeno non è nuovo e ha diversi antecedenti storici. C'è sicuramente la matrice nazionalsocialista, conclusione a cui è arrivato anche Quilliam - think tank londinese - nel rapporto The Children of Islamic State. Secondo gli autori l'isis si è ispirato anche alla Gioventù Hitleriana per indottrinare i bambini e prima ancora era stato il comunismo a inquadrare i bambini anche prelevandoli dalle famiglie.

I RAGAZZI DELL'ISLAM
Non è un caso che le Nazioni Unite recentemente abbiano ricevuto notizie credibili, ma non verificate, su un'ala giovanile dell'Isis, Fityan al-Islam - "ragazzi dell'islam".
Che esista o meno il gruppo, è certo che bambini e ragazzini vengono costretti a memorizzare i versetti del Corano e a partecipare all'addestramento jihadista, che prevede sparatorie, armi e arti marziali.
Lo Stato Islamico ha investito - e pubblicizzato - così tanto sulla radicalizzazione dei bambini che ogni preoccupazione organizzativa sovrasta i meri benefici della propaganda a breve termine. È chiaro che la leadership dello Stato Islamico ha una visione a lungo termine della gioventù e dei suoi sforzi jihadisti: i bambini militanti di oggi saranno i terroristi di domani, con ogni probabilità. E le questioni morali islamiche, radicalizzate anche dall'impegno sul campo di battaglia con i giovani musulmani, saranno probabilmente all'ordine del giorno nei proclami jihadisti negli anni a venire.
C'è stato un momento in cui la presenza e la partecipazione dei bambini nella propaganda dello Stato Islamico è stata ostentata quasi quotidianamente: bambini presenti in molteplici contesti, dalle esecuzioni altamente pubblicizzate ai campi di addestramento, alle spedizioni daw'a.
Il Combating Terrorism Center ha analizzato proprio la propaganda fotografica diffusa sul martirio con bambini e giovani per tirare fuori dati importantissimi.
Dal 1° gennaio 2015 al 31 gennaio 2016, 89 bambini e giovani sono stati elogiati nella propaganda dello Stato Islamico. Il 51% è stato dichiarato morto in Iraq, mentre il 36% è morto in Siria. Il resto è stato ucciso durante le operazioni in Yemen, Libia e Nigeria. Il 60% percento del campione è stato classificato come "adolescente", il restante 40% sono preadolescenti o un po' più grandi. Degli 89 casi, il 39% è deceduto dopo aver fatto esplodere un dispositivo esplosivo improvvisato a bordo di un veicolo contro l'obiettivo.
Il 33% è stato ucciso in operazioni sul campo di battaglia non specificate, il 6% è morto mentre lavorava come propagandista all'interno di unità e il 4% si è suicidato in attentati contro civili. Per il resto del 18% si è trattato di morte in operazioni di saccheggio in cui un gruppo di combattenti, per lo più adulti, s'infiltra e attacca una posizione nemica usando armi automatiche leggere prima di uccidersi facendo esplodere cinture suicide. Il 40% delle volte, i bambini e i giovani sono morti in operazioni contro le forze di sicurezza, militari e polizia. E solo il 3% ha compiuto attacchi suicidi contro civili.

I BAMBINI SOLDATO
C'è ancora un elemento particolarmente esemplificativo e, secondo sempre il Combating Terrorism Center, è deducibile dalle fotografie diffuse.
Nel 6 per cento delle fotografie, i bambini e i giovani sono mascherati. Dei rimanenti casi, il 46 per cento è rappresentato con sorrisi sui volti. Un ulteriore 28% dei bambini e dei giovani si trovava in frutteti e prati, uno scenario presumibilmente scelto per riecheggiare il paradiso a cui sono convinti di essere destinati. Si tratta del tema della felicità nella prospettiva del martirio islamico: quando ci si uccide per uccidere.
Così come è altrettanto sorprendente che i bambini e i giovani dello Stato Islamico operino in modo simile agli adulti. I bambini stanno combattendo, e hanno combattuto, a fianco, piuttosto che al posto, di maschi adulti. In altre circostanze storiche i bambini soldato sono stati una strategia di ultima istanza, come un modo per "sostituire rapidamente le perdite sul campo di battaglia" o in operazioni specializzate per le quali gli adulti potrebbero essere meno efficaci. Nel contesto dello Stato islamico i bambini sono usati più o meno allo stesso modo degli adulti, il che significa che l'uso di bambini e ragazzi è stato normalizzato sotto il dominio dell'Isis. Invece di salutarli come giovani eroi, i media islamici li celebrano semplicemente come eroi.
Secondo i dati Onu, attualmente, sono ben 58 i gruppi armati di matrice islamica, in 15 paesi del mondo, che radicalizzano, reclutano e si servono di bambini.
Da più di un anno lo stato di allerta interessa anche la Germania. Dove, secondo Hans-Georg Maaßen, quando era ancora a capo dell'Ufficio per la protezione della Costituzione (i servizi segreti tedeschi), diverse centinaia di bambini sono a rischio di radicalizzazione islamica e rappresentano un rischio "non trascurabile" per la sicurezza nazionale.
Sono bambini e adolescenti che crescono in famiglie da cui ricevono un'educazione radicalmente islamica. Devoti ad una "una visione del mondo estremista che legittima la violenza verso gli altri e sminuisce coloro che non appartengono al loro gruppo", riferiva un rapporto dell'anno scorso dell'Ufficio federale tedesco per la protezione della Costituzione.
L'esposizione dei minori all'islam radicale è "allarmante" e rappresenta una "sfida" per gli anni a venire, ha detto oltre un anno fa Maaßen. E l'attenzione dei servizi di sicurezza tedeschi è contemporaneamente rivolta anche ai bambini che stanno tornando con le loro famiglie, o da soli, dai territori occupati dall'Isis.

UNA STRATEGIA ANTI-RADICALIZZAZIONE
In Inghilterra lo stesso fenomeno e le medesime preoccupazioni hanno spinto il governo già nel 2015 ad attuare una strategia anti-radicalizzazione, "Prevent". Il che significa che tutti gli enti pubblici sono stati istruiti a riconoscere la radicalizzazione nei più giovani e, se necessario, costretti a segnalarlo all'autorità locali. "Prevent" è una strategia basata sul rischio; identificare i giovani che sembrano essere a rischio di radicalizzazione e mettere in atto interventi per impedire che si trasformi in violenza.
Secondo il think tank Quilliam circa 50 bambini del Regno Unito sono cresciuti in un territorio controllato dallo Stato Islamico e si ritiene siano andati in Siria per combattere. "L'obiettivo è quello di preparare una nuova, più forte, seconda generazione di mujaheddin, istruita ad essere una risorsa futura per il gruppo", aggiunge il rapporto.
Ritengono, inoltre, che lo Stato Islamico abbia preparato il suo esercito indottrinando i bambini nelle sue scuole e normalizzandoli alla violenza anche attraverso la testimonianza di esecuzioni pubbliche.
Un caso eclatante in merito è il macabro video del 2016 che mostrava un bambino inglese di quattro anni ripreso mentre faceva esplodere un'autobomba, uccidendo quattro presunte spie intrappolate nel veicolo.
La missione di assistenza delle Nazioni Unite per l'Iraq stima che l'Isis abbia rapito tra gli 800 e i 900 bambini di età compresa tra i nove e i 15 anni. Da agosto 2014 a giugno 2015, centinaia di ragazzi, tra cui Yazidi e Turkmeni, sono stati forzatamente prelevati dalle loro famiglie a Ninive e inviati ai centri di addestramento, dove ai ragazzi di otto anni, come già riportato, veniva insegnato il Corano, l'uso delle armi e le tattiche di combattimento.
La radicalizzazione dei bambini è un fenomeno che riguarda anche il Nord America. La CNN ha riferito l'anno scorso che circa 1.000 indagini a riguardo sono state aperte in tutti i 50 Stati. Nell'agosto 2018, undici bambini sono stati trovati in un campo del New Mexico dove venivano addestrati all'uso delle armi da un radicale islamista americano. A Minneapolis, 45 ragazzi hanno lasciato la comunità somala locale per unirsi ad al-Shabab o all'Isis.
A giugno un 22enne del Bangladesh, che vive a New York, è stato arrestato perché stava pianificando un attentato a Times Square. Dati parziali che evidenziano l'enorme pericolo rappresentato dalla radicalizzazione dei giovani anche in Occidente.

Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 10 minuti) dal titolo "L'Isis non c'entra nulla con l'islam" viene spiegato con un efficace cartone animato che non c'è differenza tra islam radicale e islam moderato. C'è un solo islam. Ad esempio l'Isis è islam, vero islam al 100%.


https://www.youtube.com/watch?v=Pq7DWrS-NCI

Fonte: Analisi Difesa, 03/08/2019

4 - OTTO DOMANDE PER VEDERE SE PREGHI IN MANIERA CATTOLICA
Una corposa nota dei vescovi spagnoli mette in luce la pericolosità dalla spiritualità orientale che qualcuno definisce ''zen cristiano'' (VIDEO: Budda in fila indiana)
Autore: Andrea Zambrano - Fonte: Sito del Timone, 12 settembre 2019

Niente zen, siamo cattolici. I vescovi spagnoli hanno diramato una corposa nota che analizza la problematica relativa a quelle forme di nuova spiritualità orientale che in alcuni ambienti ha preso ad essere definito "zen cristiano". Ebbene, cominciamo col dire che non esiste uno "zen cristiano" e che tutte le forme di meditazione, oggi si chiama mindfulness, volte a ricercare benessere personale, corporeo e spirituale, non sono altro che pericolose deviazioni dall'oggetto principale dell'attività di orazione che è Dio.
Nel documento "La mia anima ha sete, ha sete del Dio vivente" (30 pagine) i vescovi responsabili della Dottrina della Fede in Spagna spiegano sostanzialmente che è inutile cercare pace, relazione interiore e equilibrio perché niente riempirà i nostri vuoti se non la pace autentica che dona Dio.
«È Gesù infatti il nostro maestro che ci va vivere in equilibrio e che ci insegna come pregare», spiegano i prelati cercando di utilizzare quel linguaggio usato da una moltitudine di persone che cerca - per stare bene - rifugio in pratiche orientali che alla fine portano al rischio dell'escapismo, cioè della fuga dalla realtà
La commissione ha infatti analizzato le tecniche di meditazione più in voga e che generano un indotto economico notevole, ma non sono le tecniche a salvarci, bensì l'attitudine a sentirsi in pace con Dio. Per fare questo ci possono essere anche tecniche specifiche, ma non intese come metodo o itinerario. Si tratta però di tecniche che predispongono il corpo e lo spirito al silenzio necessario per pregare, non sono il fine della preghiera.
In questo senso invece i vescovi sono molti chiari nell'individuare il grande inganno che può dare la serenità interiore di certe tecniche con «la vera pace che solo Dio può dare».
Ma come si fa a capire se si è di fronte ad una vera preghiera cristiana? Il giornale Religion en liberdad ha individuato dal testo dei vescovi 8 punti:
- La preghiera è un incontro con Dio o con se stessi?
- È un aprirsi alla volontà di Dio o una tecnica per affrontare le difficoltà della vita mediante l'autocontrollo?
- È Dio il più importante o se stessi?
- Nel caso in cui si ammetta una apertura a un essere trascendente, questi ha un volto concreto o siamo davanti a un essere indeterminato?
- Il cammino di avvicinamento a Dio che ci ha aperto Gesù Cristo è uno dei tanti o è il solo che ci conduce al Dio vero?
- Che valore ha per un cristiano gli insegnamenti di Gesù sulla preghiera?
- Che elementi della tradizione secolare della Chiesa si devono mantenere?
- Che aspetti proprio delle altre regioni posso essere incorporati per un cristiano nella sua vita spirituale?
Il problema principale che si apre è quello di un'intera generazione che non sa più pregare. Ma niente paura: a soccorrerci vengono incontro gli insegnamenti di Gesù sulla preghiera (ad esempio, pregare sempre senza stancarsi Lc 11, 5-13), i Sacramenti, il Rosario e la vita dei santi, dal trattare con amicizia Dio come Santa Teresa d'Avila alle parole di gratitudine di Santa Teresa di Lisieux. Sono queste quattro delle principali vie consigliate dai vescovi. Insomma, la cara e vecchia tradizione della Chiesa, dispensatrice di tutte le risposte alla nostra sete spirituale.
Noi ci permettiamo di aggiungere le parole di un altro santo spagnolo, San Josemaria Escrivà de Balaguer che in Cammino ha scritto tantissimo sulle modalità di preghiera. E scegliamo questa: «Non sai pregare? - Mettiti alla presenza di Dio, e non appena comincerai a dire: "Signore,... non so fare orazione!...", sii certo che avrai cominciato a farla». (Cammino, 90)

Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 1 ora e 27 minuti) dal titolo "Budda in fila indiana" Padre François Dermine spiega come, a suo parere, l'avvento in occidente delle tecniche di meditazione orientali siano in parte responsabili della secolarizzazione e dell'allontanamento dalla fede cattolica.


https://www.youtube.com/watch?v=f_wwWewF6Yw

Fonte: Sito del Timone, 12 settembre 2019

5 - L'IKEA LICENZIA UN DIPENDENTE POLACCO PERCHE' RIFIUTAVA L'IDEOLOGIA GAY
Intanto a Siena l'Ordine dei medici fa organizzare all'Arcigay un corso ''professionale'' con lo scopo di indottrinare tutti i medici
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Corrispondenza Romana, 3 Luglio 2019

In occasione dell'ultima Giornata internazionale contro l'omofobia, lo scorso 17 maggio, si pensava che Ikea avesse già dato il meglio, anzi il peggio di sé. Per tale ricorrenza aveva pensato bene, infatti, di pubblicare sui suoi social uno spot pro-Lgbtqia, 80 secondi con nove storie di «politicamente corretto»; poi volle tingere coi colori arcobaleno la sua borsa più venduta, la Frakta; infine, decise di donare mobili per un progetto di co-housing sociale destinato alla prima casa di accoglienza pensata a Torino per tutti gli Lgbtqia, che dovessero lasciare la propria famiglia, perché rifiutati dopo aver fatto outing.
Insomma, si può proprio dire che la multinazionale svedese dell'arredamento non si fosse risparmiata. Ma ora ha voluto superare sé stessa in un gioco al continuo ribasso. Come?
È accaduto in una sua filiale polacca. Alla vigilia della Giornata internazionale contro l'omofobia Ikea ha pubblicato, infatti, sul suo Intranet un avviso, in cui ha chiesto ai propri dipendenti di unirsi alle celebrazioni e di sensibilizzarsi sul tema, ad esempio chiedendo ai trans con quale pronome volessero essere definiti. Un invito, questo, che non è per niente piaciuto ad un suo dipendente, Tomasz K., da molti anni assunto presso la filiale di Cracovia, in Polonia.
L'uomo ha pensato bene di rispondere picche online, chiarendo di ritenere l'appello lanciato dall'azienda inaccettabile, irricevibile ed in ogni caso lungi dal rappresentare un dovere per i lavoratori, anche perché ha specificato come, in realtà, accettare e promuovere «l'omosessualità ed altre devianze sia fonte di scandalo». Questione di coscienza, insomma.

SCATTANO LE SANZIONI
Per chiarire meglio il suo pensiero, Tomasz ha aggiunto due brani della Sacra Bibbia. Il primo tratto dal Vangelo di Matteo: «Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino e fosse gettato negli abissi del mare» (Mt 18,6). Ed il secondo brano tratto dal Levitico: «Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro» (Lev 20, 13).
Il commento non è piaciuto ai superiori di Tomasz, che gli hanno promesso conseguenze. Detto, fatto. Nel giro di pochi giorni l'uomo è stato licenziato in tronco, invitato a raccogliere in fretta le proprie cose dall'armadietto, a restituire il badge aziendale e poi ad andarsene. A Ikea non sono piaciuti i riferimenti dell'Antico Testamento sulla sorte, che attende sodomiti e dintorni, da lui citati nel post.
A riprova del clima di terrore, che si è ormai generato attorno a queste tematiche, basti la decisione dell'ormai ex-dipendente, colpito dai fulmini gay-friendly della sua azienda, di non voler rivelare il proprio nome per esteso, per paura che nessun'altro poi lo voglia più assumere: «Sono rimasto scioccato - ha comunque commentato nel corso di un'intervista all'emittente Tvp Info - Io sono cattolico e questi sono i miei valori. Non posso censurare Dio».
Il drastico licenziamento, questa volta, però ha suscitato un vasto malcontento, ottenendo probabilmente il risultato opposto a quello sperato da Ikea. In un tweet, ad esempio, Jerzy Kwaśniewski, presidente dell'istituto Ordo Iuris, si è chiesto se citare un brano del Levitico possa rappresentare un «incitamento all'odio». Ed ha accusato l'azienda di antisemitismo, di cristianofobia, nonché di voler «censurare le Sacre Scritture. Una citazione dell'Antico Testamento è giuridicamente accettabile e non giustifica il licenziamento di un dipendente».

PREGIUDIZIO CONTRO I CRISTIANI
La decisione di Ikea potrebbe insomma essere interpretata come motivata da pregiudizio contro i cristiani. Per questo, Ordo Iuris ha fatto causa contro la multinazionale svedese, citandola in giudizio presso il Tribunale distrettuale di Cracovia e chiedendo di invalidare il licenziamento e di risarcire Tomasz K. per i danni subiti. Il sindacato Solidarność, a sua volta, si è offerto di appoggiare la causa di questo sfortunato lavoratore, benché non sia un proprio iscritto: «Stiamo monitorando la situazione - ha dichiarato Marek Lewandowski, portavoce del sindacato -. Se potremo essere utili, agiremo». Esponenti di governo hanno invocato il boicottaggio di Ikea in risposta alla sua politica aziendale intimidatoria ed irrispettosa nei confronti dei propri dipendenti.
Il ministro di Giustizia in carica, Zbigniew Ziobro, ha incaricato la Procura di verificare se il colosso dell'arredamento abbia violato i diritti dei lavoratori e lo stesso codice penale, definendo quanto accaduto «inaccettabile» ed «assolutamente oltraggioso». Il Difensore Civico, dal canto suo, sta verificando se tale licenziamento sia anche gravato dalla pregiudiziale di una discriminazione antireligiosa.
Già nei giorni scorsi s'era registrata tensione nella fabbrica della Volvo a Breslavia per la decisione dell'azienda di promuovere la costituzione di una sorta di «comunità Lgbtq+» interna. Iniziativa, accolta con malumore dalle stesse forze sindacali. Grzegorz Zachara, presidente di Solidarność, ha spiegato ai media come non competa ad un datore di lavoro «promuovere minoranze o maggioranze sessuali, religiose o politiche». Ciò che pare certo è, come ha sottolineato Grzegorz Upper, caporedattore della rivista cattolica polacca Fronda, il tentativo attuato in molte aziende di promuovere consapevolmente e reiteratamente «l'ideologia estrema degli attivisti omosessuali», creando tra i lavoratori un autentico clima intimidatorio. La minaccia è chiara: o ci si adegua o si perde il posto di lavoro.
La Polonia ci mostra, non a parole ma coi fatti, come sia possibile dire "no" ed opporsi a questo inaudito ed antisindacale gioco al massacro. Che se ne prenda accurata nota anche in Italia. E che si agisca.

Nota di BastaBugie: Andrea Zambrano nell'articolo seguente dal titolo "Arcigay in cattedra al corso per medici: indottrinamento" rivela che l'Ordine dei medici di Siena fa organizzare all'Arcigay un corso professionale sulle relazioni di cura Lgbt che si propone di indottrinare tutti i medici all'ideologia omosessualista.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 3 ottobre 2019:
Arcigay in cattedra e medici sui banchi di scuola. E' questa l'immagine che si materializzerà sabato prossimo a Siena nella sala convegni dell'Ordine dei medici. Relatori alcuni attivisti di Arcigay e del Movimento Pansessuale di Siena che svolgeranno il tema "IL FIORE DELLE IDENTITÀ-Percorsi tra identità e orientamenti per un migliore approccio alla relazione di cura".
Tema molto liquido per trattazione e tematiche affrontate dato che in calendario nella tre giorni di convegni, che si svolgeranno su tre date, si tratterà di argomenti tra i più svariati avendo però sempre come focus centrale lo sguardo Lgbt: stereotipi e pregiudizi, componenti dell'identità sessuale, linguaggio inclusivo, benessere delle persone Lgbt e relazione d'aiuto con le persone Lgbt.
Il convegno infatti viene presentato come organizzato dall'Omceo di Siena, ma "a cura della rete di Formazione Arcigay e Movimento Pansessuale di Siena". Praticamente l'Ordine ci mette le strutture e l'accreditamento per i professionisti che parteciperanno e gli attivisti Arcigay faranno da insegnanti.
La cosa non è andata giù a diversi medici che hanno manifestato al presidente dell'Ordine il proprio disappunto. Non per la trattazione della tematica omosessualità. Ma per quello che è sembrato a molti uno scarso approccio scientifico al problema.
Anche il neonato Osservatorio di bioetica di Siena, che ha al suo interno anche diversi medici, ha espresso le sue riserve. E ha preso carta e penna scrivendo al presidente dell'ordine Roberto Monaco, lamentando la scarsa scientificità dell'iniziativa.
Nella comunicazione tra Ordine e Osservatorio ci si stupisce dell'assenza di quelle professionalità mediche indispensabili per affrontare scientificamente le tematiche dell'omosessualità dal punto di vista medico-clinico. Tanto più che l'unico medico presente è specializzato in anestesiologia e rianimazione. Assenti invece - solo per fare un esempio - endocrinologi, psicologi, pedopsichiatri, psichiatri, pediatri, infettivologi e medici di medicina generale. Insufficiente per un convegno che si fregia di essere scientifico.
Con queste premesse il sospetto che si tratti di un indottrinamento è molto elevato. Con un contraddittorio assente, la presenza di relatori provenienti tutti dallo stesso contesto militante della causa Lgbt, l'osservatorio di bioetica teme dunque che i medici ricevano nozioni prive di basi scientifiche e vengano dunque indottrinati.
Non la pensa così il presidente dell'Ordine di Siena, Monaco, il quale, raggiunto dalla Nuova BQ, ha cercato di gettare acqua sul fuoco non senza ammettere un moto di fastidio: "Ancora con questa storia? E' vero, non ho ancora risposto ai colleghi, ma adesso lo farò". Per dire che cosa? Chiediamo. "Che io considero l'Ordine non soltanto un luogo dove si rilasciano certificati, ma anche un laboratorio di idee".
Chiediamo come è nata l'idea di questo seminario: "E' stato un collega dell'Ordine dei medici che è anche Presidente dell'Arcigay che ci ha chiesto di organizzare un corso di formazione per creare un aiuto nelle relazioni di cura tra persone che hanno un orientamento sessuale differente e che hanno difficoltà a parlare col medico curante per paura di pregiudizi". Monaco ci ha spiegato di aver avuto l'ok dalla Federazione nazionale dei medici che ha rilasciato l'accreditamento formativo.
E per quanto riguarda i relatori? "Si sta parlando di relazione di cura - prosegue - tant'è vero che i relatori sono filosofi e counselor. E poi ci sono io come garante". A questo proposito, che cosa risponde all'Osservatorio che lamenta il rischio indottrinamento? "E' un timore che comprendo, ma esigerò al collega di mantenere un atteggiamento professionale e non di parte o non scientifico. Il fatto che il collega che ha promosso il corso sia un attivista forse può aver creato qualche dubbio, ma sono certo che il convegno si manterrà sul piano scientifico".
Sarà. Quel che è certo è che la piattaforma Pro Vita & Famiglia ieri ha già fatto partire una petizione per fermare il corso in cui si sottolinea che "siamo di fronte a un corso di indottrinamento basato sulle teorie del gender, ovvero ad un corso rivolto ai medici basato su teorie senza fondamento scientifico". In appena un giorno le firme sono già più di mille.

Fonte: Corrispondenza Romana, 3 Luglio 2019

6 - IL NUOVO CARDINALE LITUANO CONFINATO 10 ANNI IN SIBERIA DURANTE L'OCCUPAZIONE SOVIETICA
Pubblicò la Cronaca clandestina della Chiesa in Lituania e per questo fu deportato nei campi di ''lavoro'' siberiani (VIDEO: trasmissione di Tv2000 in cui il neo cardinale racconta la persecuzione comunista in Lituania)
Autore: Matteo Orlando - Fonte: Il Giornale, 07/10/2019

Tra i 13 prelati scelti da papa Francesco come nuovi cardinali della Chiesa cattolica ha molto emozionato la testimonianza del neo cardinale Sigitas Tamkevičius contro una delle peggiori ideologie del '900: il comunismo.
L'arcivescovo emerito di Kaunas (già titolare della diocesi dal 1996 al 2015), un gesuita lituano (il quarto cardinale di origine lituana nella storia), durante l'occupazione sovietica era un dissidente e pubblicò la Cronaca clandestina della Chiesa cattolica lituana. Per le sue attività antisovietiche fu pesantemente interrogato nella prigione del Kgb di Vilnius e fu deportato nei campi sovietici.
In particolare il neo cardinale fu internato, per ben 10 anni, nei 'campi di lavoro' comunisti in Siberia. "Ho avuto alcuni momenti difficili in prigione, i fatti peggiori si verificavano durante gli interrogatori", ha detto Tamkevičius ai giornalisti presenti in Vaticano. "I miei interrogatori sono durati per mesi".
Giovane sacerdote gesuita non disposto a tacere sulle ingiustizie perpetuate dal comunismo, il neo cardinale ha spiegato di aver avuto la consapevolezza dei rischi dello svolgimento del ministero sacerdotale sotto il regime sovietico, tuttavia la sua deportazione nei campi in Siberia l'aveva accolta con sorpresa: "non mi aspettavo questa notizia. Era arrivata in modo improvviso".

LA FEDE E LA SANTA MESSA
Il cardinale ha ricordato come sia sopravvissuto a 10 anni nella prigione sovietica grazie alla fede e alla Santa Messa. "Il sostegno centrale per me è stata la mia fede, che ho mantenuto viva pregando molto. Potevo celebrare la Messa solo in segreto. Ho celebrato l'Eucaristia regolarmente e per me è stata una grande forza in prigione". Per ottenere il pane e il vino necessari per la transustanziazione eucaristica nel Corpo e Sangue di Gesù Cristo il neo porporato ha usato frammenti di pane azzimo, che riusciva a ricevere durante la prigionia, e qualche acino di uva secca dal quale ricavava il vino. Tamkevičius ha ricordato che la forza che traeva dall'Eucaristia gli ha permesso di attira l'attenzione degli altri prigionieri che gli dicevano: "è più facile per te perché hai fede, perché puoi dire Messa e questo ti rende più forte di noi".
Il neo cardinale ha sottolineato la sua sintonia con Papa Francesco sull'importanza della dimensione del martirio, perché "se un credente non è disposto a soffrire per la sua fede, allora è un credente molto debole. La nostra Chiesa locale può dare il buon esempio a tutta la Chiesa perché durante i 50 anni di comunismo abbiamo custodito la nostra fede". Ecco perché il neo porporato ha sottolineato che la sua nomina non è un dono fatto a lui dal Papa ma un dono che il Santo Padre "ha voluto fare a tutta quella Chiesa che ha sofferto negli anni sovietici a causa del comunismo".

MI SONO MESSO NELLE MANI DELLA VERGINE
Tamkevičius ha sottolineato che gli anni della persecuzione durante il regime comunista e l'occupazione sovietica paradossalmente servirono a rafforzare anche le relazioni ecumeniche tra cattolici e ortodossi. "Quando eravamo nel campo di lavoro forzato sedevano allo stesso tavolo e mangiavamo dallo stesso piatto".
"Durante i 10 anni di prigione in Siberia mi sono messo nelle mani della Vergine", ha concluso il neo cardinale. Poi, quando è ritornato dalla Siberia, "appena sceso dal treno, sono andato immediatamente alla cappella della Madonna della Porta dell'Alba a Vilnius. Lì ho celebrato la Messa, ringraziando il Signore e anche la Vergine d'essere sopravvissuto a quell'orrore".
Il presidente lituano, l'economista Gitanas Nausėda ha affermato che Sigitas Tamkevičius è un modello di ferma determinazione e lotta per la libertà di religione. Il Presidente ha spiegato che la fedeltà del clero alla loro vocazione e la loro lotta al Comunismo continua ancora ad ispirare molti. "Attraverso l'esperienza della Chiesa 'sotterranea' il neo cardinale Tamkevičius ha dato esempi di perseveranza, spirito incrollabile e determinazione, lotta per la libertà di espressione e di religione". A parte la berretta cardinalizia, per i suoi meriti in Lituania il cardinal Tamkevičius ha già ricevuto vari riconoscimenti statali.
Lo scorso anno, durante la visita di Papa Francesco nel paese baltico, Tamkevičius ha accompagnato il Santo Padre durante la sua visita all'ex carcere del Kgb, proprio dove l'alto prelato era stato imprigionato.

Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 52 minuti) dal titolo "L'altra Lituania" si può vedere una puntata della trasmissione "I militi ignoti della fede" andata in onda su Tv2000 il 7 gennaio 2016. Nel corso del video viene intervistato il neo cardinale Sigitas Tamkevičius di cui si è parlato nell'articolo qui sopra.


https://www.youtube.com/watch?v=Xi0PuQv-Fmc

Fonte: Il Giornale, 07/10/2019

7 - LA CORTE EUROPEA DI STRASBURGO RESPINGE IL RICORSO DELL'ITALIA E LA OBBLIGA AD ABOLIRE L'ERGASTOLO... SARANNO CONTENTI I MAFIOSI
L'ergastolo ha senso ancora oggi, infatti non aggiunge al male compiuto dal criminale un altro compiuto dallo Stato per vendetta, ma permette al criminale di riparare al male fatto scontando una punizione adeguata
Fonte I Tre Sentieri, 9 ottobre 2019

La Corte di Strasburgo ha sentenziato che l'ergastolo ostativo è cosa brutta: sarebbe contro i diritti dell'uomo. Motivo? Non può essere una pena rieducativa. Per la logica: se uno deve rimanere in galera tutta la vita, non si vede come questa galera possa rieducare se poi non se ne esce più.
La logica c'è. Ma quale? Quella che si è fatta strada a partire dal trionfo dei cosiddetti "diritti dell'uomo" di illuministica memoria. Ma attenzione: non tanto perché questi diritti richiamino la necessità di pene giuste, dignitose e non vendicative; quanto per una convinzione da cui non si dovrebbe prescindere, e cioè che la realizzazione dell'uomo sarebbe solo "qui", nella vita terrena. Per cui se un recluso non può uscire più dalla galera, vuol dire che questa (la galera) non è più utile in quanto l'ergastolano non può essere reintrodotto nella società.
La visione autenticamente cattolica impone, invece, di vedere le cose in maniera diversa. Prima di tutto bisogna capire che afflizione e rieducazione non sono in contrapposizione, anzi. Ci si riabilita quando si prende coscienza del male compiuto, e tale coscienza viene facilitata proprio quando si è costretti a vivere come non si desidera vivere. D'altronde -questo capita a tutti- quand'è che iniziamo ad apprezzare determinate cose? Quando le perdiamo o corriamo il serio rischio di perderle. Purtroppo è così.
E qui s'innesta la seconda questione, ovvero quella della perpetuità della pena, come avviene (o dovrebbe avvenire) per l'ergastolo. Anche in questo caso il concetto di rieducazione non solo non viene meno, ma addirittura, in considerazione dell'enorme gravità dei reati, diventa tra quelle più proporzionate. Ma se non si esce più, come è possibile parlare di rieducazione? Qui viene fuori la risposta cristiana, secondo cui la vita non finisce qui, ma è preparazione per un'altra.

Nota di BastaBugie: Tommaso Scandroglio nell'articolo seguente dal titolo "L'ergastolo, una porta aperta sull'uomo" spiega perché ancora oggi l'ergastolo ha senso, infatti non aggiunge ad un male compiuto dal criminale un altro male compiuto dallo Stato per vendetta. Più un delitto è grave, più chi lo ha compiuto necessita di emenda, magari un lavoro lungo tutta la vita.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 31-07-2013:
"Tutti portiamo in noi il nostro ergastolo, i nostri delitti e le nostre devastazioni". È Albert Camus a scriverlo in L'uomo in rivolta. Gli errori, le nefandezze, le malvagità gratuite, le meschinerie le paghiamo tutte e all'istante nel foro della nostra coscienza, vuole dirci Camus, posto che la coscienza sia retta ovviamente. Lì viene emesso un verdetto di colpevolezza per il male commesso e sempre lì viene comminata una pena - il cosiddetto rimorso di coscienza - immediatamente esecutiva. Pena che poi chiede soddisfazione attraverso il compimento di atti buoni o tramite l'offerta delle proprie sofferenza in riparazione del danno commesso. E quella voce interiore che riprova in continuazione non cesserà di sussurrare o gridare il male commesso per rammentarcelo finché appunto tale male si sarà dissolto in un'azione davvero assolutoria che donerà di nuovo quiete allo spirito.
Tanto più l'uomo si fa spregevole compiendo il male tanto più la pena interiore della coscienza sarà severa. Una sanzione che per i delitti più gravi, ci suggerisce Camus, assomiglierà ad un vero e proprio ergastolo dell'anima. Ma se questa può essere la condizione interiore dell'assassino, dello stupratore, del tiranno sterminatore di popoli è giusto che tale intima condizione trovi un suo omologo anche all'esterno, nelle leggi degli uomini? In altre parole, ha ancora senso la pena detentiva dell'ergastolo ai giorni nostri? La risposta pensiamo che possa essere affermativa.
Innanzitutto il "fine pena mai" risponde ai tre fini classici della sanzione penale. In primis lo scopo retributivo: riparare al volto della giustizia deturpato dall'atto criminale. La pena chiede di essere commisurata al male commesso: più questo è grave più la risposta sanzionatoria dello Stato sarà severa. È la qualità dell'illecito, insieme ad altre variabili, che determina la qualità della pena. Questo proprio perché più il vulnus alla giustizia è stato esteso e profondo, più estesa e profonda dovrà essere la sanzione per ricucire lo strappo inferto al bene. È questione di proporzioni. E dunque ad esempio a chi ha tolto un vita occorrerà comminare una sanzione che rispecchi la gravità dell'atto commesso. Chi in radice contraddice un bene fondamentale della persona merita una pena altrettanto radicale. Il "per sempre" dell'ergastolo è il riverbero giuridico della negazione assoluta espressa dalla condotta delittuosa.
In secondo luogo l'ergastolo senza dubbio ha una potenziale efficacia di deterrenza nei confronti dei consociati. Se su un versante è quanto mai evidente che vi sono criminali i quali si sono macchiati di orrendi delitti anche se ben consci che potevano finire dietro alle sbarre per sempre, su altro versante non si può escludere a priori che altri aspiranti rei si sono astenuti dal compiere il male per paura di questa sanzione così grave. Senza tener conto poi che l'efficacia dell'elemento di intimidazione della pena risiede non tanto nella previsione contenuta nei codici della sanzione stessa, cioè nella sua esistenza cartacea, bensì nella reale irrogazione della pena, aspetto più teorico che pratico da noi in Italia. Altrimenti l'antifona che rischia di passare è la seguente: "Delinqui pure, tanto il carcere a vita non c'è più".
L'obiezione che si solleva in merito all'ergastolo riguarda il più delle volte il fine rieducativo di una simile detenzione. Si argomenta più o meno così: permettere ad un condannato di lasciare il carcere solo dentro una bara non consentirà a questa persona di rifarsi una vita. L'obiezione è mal fondata e risente di una torsione, se non perversione, del fine rieducativo della pena. Secondo una prospettiva illuminista e poi comunista la sanzione doveva servire sì per la rieducazione del reo, ma intesa nel senso di "reinserimento sociale", cioè allineamento agli standard comportamentali vigenti e legali. Il fine pedagogico, cosiddetta teoria dell'emenda che si incardina su un'antropologia fondata su una morale naturale ed oggettiva, viene sostituito dalla riabilitazione sociale, più centrata sull'obiettivo della mera assenza dei conflitti sociali, un obiettivo di basso profilo a dire il vero. Forse è su questa linea che si è mossa la Corte Europea dei diritti dell'uomo la quale in una sentenza del 9 luglio scorso ha stabilito che l'ergastolo, senza possibilità che questo si tramuti mai in una scarcerazione o nel caso di impossibilità di revisione del processo, è una violazione dei diritti umani.
Anche oggi nel nostro ordinamento giuridico parlare di fine pedagogico della pena sa di inappropriato moralismo tipico di uno Stato etico, a maggior ragione se ci riferiamo all'ergastolo. Invece uno degli elementi di efficacia della sanzione è la riconquista da parte del condannato di quella parte di umanità andata persa con il delitto. Esiste per paradosso quindi un vero e proprio diritto alla pena da parte del colpevole perché tramite la sanzione egli si può emendare. L'ergastolo che ci portiamo in noi, per rifarci ancora a Camus, chiede che si concreti nella rispettiva condizione reale. Il "fine pena mai" non aggiunge ad un male compiuto dal criminale un altro male compiuto dallo Stato per vendetta. Non è contro l'uomo il carcere a vita, ma per l'uomo. In questa prospettiva il quantum della pena non nasce, o non dovrebbe nascere, solo dalla valutazione della gravità del delitto, ma anche dalla considerazione che più un delitto è grave più chi lo ha commesso necessita di emenda. E dunque l'ergastolo si attaglia al reo che avendo compiuto atti efferatissimi ha di fronte a sé di necessità una lunga strada per tornare ad essere pienamente uomo. Un lavoro su di sé lungo tutta una vita. Più il malato è grave più ha bisogno di una cura altrettanto robusta. E se il malato è cronico la terapia lo seguirà per tutta la sua esistenza.
La pena, proprio nel suo significato primigenio di "sofferenza", è dunque strumento prezioso per ricostruire la dignità della persona negata dal volontario atto criminoso. E si può tornare ad essere uomini anche in carcere - posto che questo luogo sia davvero un luogo per il recupero del reo e non per il suo abbrutimento - anche quando il carcere è a vita. Anzi: il ritorno al bene e alla virtù di necessità deve compiersi prima dentro - dentro sé e dentro il carcere - altrimenti vivere da uomini liberi oltre le mura del penitenziario non ha senso. Però nel caso dell'ergastolo, una volta verificato che il recluso si è emendato, il carcere a vita non ha più senso di esistere avendo ormai soddisfatto il suo fine. E dunque per il reo si possono aprire le strade o della libertà o di altre pene minori. Ciò deve essere permesso anche nella consapevolezza che nessun uomo - neppure il mafioso pluriomicida, né il serial killer più sanguinario - si può ridurre alla sua colpa e dunque alla sua pena. L'uomo è chiamato per virtù propria e per grazia di Dio ad andare oltre ai propri errori. La pena quindi non deve essere l'ultima parola sulla persona che ha sbagliato. Negarlo sarebbe scadere nel determinismo più pessimista: tu sei un criminale e mai cambierai.
Senza dubbio comunque l'ergastolo esplica anche una sua funzione sociale, di beneficio quindi della intera collettività. Infatti ad esempio tiene separato il criminale dal consesso sociale, è di monito come abbiamo accennato a quanti vogliono delinquere e quindi esplica una funzione anche di garanzia e tutela della vita civile. Per il credente infine l'ergastolo richiama l'inferno, il luogo dove realmente la pena non avrà mai fine. In questo caso l'ergastolo ricorda uno dei Novissimi, lo mima in un certo modo su questa terra e inoltre offre al reo la possibilità di scampare alla pena infinita dell'aldilà perché ha scontato nell'aldiquà un pena non infinita seppur vitalizia. Uno strumento quindi di salvezza. [...]

Fonte: I Tre Sentieri, 9 ottobre 2019

8 - BEATA VERGINE MARIA DEL ROSARIO: QUANDO E' NATA LA FESTA E PERCHE'?
Il 7 ottobre 1571 a Lepanto, la flotta cristiana della Lega Santa con l'intercessione di Maria sconfisse per sempre quella musulmana (VIDEO: la battaglia di Lepanto)
Autore: Ermes Dovico - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 07/10/2019

Il 7 ottobre 1571, nelle acque greche di Lepanto, la flotta musulmana dell'Impero Ottomano si scontrò con la flotta cristiana della Lega Santa, che riuniva le repubbliche di Venezia e Genova, lo Stato Pontificio, l'Impero Spagnolo, i maggiori ducati italiani e i Cavalieri di Malta. Lo stendardo della Lega Santa, benedetto prima della partenza da san Pio V, raffigurava il Crocifisso tra gli apostoli Pietro e Paolo, sormontato dal motto In hoc signo vinces. Fu l'unico simbolo a sventolare nello schieramento cristiano, assieme a un'immagine della Madonna con la scritta Sancta Maria succurre miseris, mentre il vessillo della flotta turca riportava migliaia di volte il nome di Allah. Prima della battaglia, i cristiani recitarono il Rosario e chiesero l'intercessione di Maria.
Quel 7 ottobre segnò la prima grande vittoria di un'armata cristiana dell'Europa - allora consapevole delle proprie radici e della necessità di difenderle - contro l'Impero Ottomano e il suo espansionismo che aveva già islamizzato molti territori. I messaggeri informarono Roma solo 23 giorni dopo, ma il giorno stesso della battaglia san Pio V aveva avuto una visione e ordinato: «Sono le 12, suonate le campane, abbiamo vinto a Lepanto per intercessione della Vergine Santissima». Così nacque la festa di Santa Maria della Vittoria, chiamata poi Madonna del Rosario, fino alla denominazione attuale che nasce dalla riforma del calendario del 1969. Nel 1883, intanto, Leone XIII aveva «consacrato e dedicato alla celeste Vergine del Rosario» tutto ottobre, incoraggiando la recita quotidiana dell'orazione per l'intero mese.
Il Rosario aveva conosciuto uno straordinario impulso già nel XIII secolo grazie ai domenicani (san Domenico, che aveva pregato per capire come sconfiggere l'eresia catara, vide la Vergine che gli consegnava la coroncina) e alle varie confraternite nate proprio con lo scopo di diffondere questa preghiera, che pure nei secoli precedenti stava pian piano prendendo forma. Le apparizioni di Fatima hanno poi fatto aumentare la consapevolezza sull'importanza del Rosario nel disegno salvifico di Dio, come arma contro Satana. La Madonna ne raccomandò ai pastorelli la recita quotidiana già nella prima apparizione del 13 maggio 1917, «per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra».
Suor Lucia ne spiegò ulteriormente la potenza in un'intervista con padre Fuentes: «La Santissima Vergine ha voluto dare, in questi ultimi tempi in cui viviamo, una nuova efficacia alla recita del Santo Rosario. Ella ha talmente rinforzato la sua efficacia che non esiste problema, per quanto difficile, di natura materiale o specialmente spirituale, nella vita privata di ognuno di noi o in quella delle nostre famiglie, delle famiglie di tutto il mondo, delle comunità religiose o addirittura nella vita dei popoli e delle nazioni, che non possa essere risolto dalla preghiera del Santo Rosario. Non c'è problema, vi dico, per quanto difficile, che non possa essere risolto dalla recita del Santo Rosario. Con il Santo Rosario ci salveremo, ci santificheremo, consoleremo Nostro Signore e otterremo la salvezza di molte anime».

Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 6 minuti) viene ricostruita la Battaglia navale dove la Lega Santa cristiana sconfisse la Flotta Ottomana (musulmana) nel Golfo di Lepanto e Patrasso.


https://www.youtube.com/watch?v=LAgxnA8dymo

LA MADONNA DEL ROSARIO E LA BATTAGLIA DI LEPANTO
Fede, coraggio e sacrificio di una società che voleva rimanere cristiana
di Cristina Siccardi
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4875

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 07/10/2019

9 - OMELIA XXVIII DOM. T.ORD. - ANNO C (Lc 17.11-19)
Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?
Fonte Il settimanale di Padre Pio

Il tema del Vangelo di oggi è la gratitudine. Gesù si stava recando a Gerusalemme quando gli vennero incontro dieci lebbrosi, i quali supplicavano: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi» (Lc 17,13). La legge ebraica prescriveva che i lebbrosi dovevano vivere appartati, ai margini della società, per evitare il rischio del contagio. La loro era una situazione drammatica; il loro allontanarsi dalla società era quasi sempre un viaggio senza ritorno. Una eventuale guarigione doveva essere costatata da un sacerdote che riammetteva quella persona nella società in seguito all'offerta di un sacrificio.
Tra quei dieci lebbrosi vi era anche un samaritano. I samaritani non erano ben visti dai giudei. L'evangelista Luca, in altri passi del suo Vangelo, ci fa comprendere come essi erano guardati con disprezzo a causa della loro ibrida origine etnica e religiosa. Gesù andò contro quella mentalità additando come modello di carità fraterna il buon Samaritano (cf Lc 10,33-37).
La stessa sciagura aveva accomunato un lebbroso samaritano a nove lebbrosi giudei. Certamente essi avevano sentito parlare di Gesù, dei suoi miracoli, della sua compassione verso i miseri. Animati da quella speranza, si fecero coraggio e si avvicinarono al Maestro per chiedere la grazia. Non la chiesero esplicitamente, ma si limitarono a invocare pietà; fu Gesù stesso che andò incontro al loro più profondo e straziante desiderio, invitandoli a recarsi dai sacerdoti: «Andate a presentarvi ai sacerdoti» (Lc 17,14). Solo i sacerdoti potevano, una volta accertata la guarigione, riammetterli nella vita sociale e religiosa di Israele.
Da notare che la grazia non era stata ancora fatta e Gesù li mandò dai sacerdoti. In un'altra circostanza, il Signore mandò un lebbroso dal sacerdote dopo averlo miracolato (cf Lc 5,14). Per quale motivo, nell'episodio del Vangelo di oggi, Gesù mandò quei dieci lebbrosi dai sacerdoti prima ancora di averli guariti? È chiaro che Gesù volle mettere alla prova la fede di quegli infelici. La guarigione, infatti, avvenne mentre i dieci erano in cammino.
Avvenuto il miracolo, soltanto uno tornò indietro per ringraziare. Quell'uomo era proprio il samaritano. Gli altri nove proseguirono per raggiungere i sacerdoti e ritrovare quindi la sospirata libertà; soltanto il povero samaritano sentì la necessità di fermarsi e di tornare indietro. Egli si gettò ai piedi di Gesù e lo ringraziò di cuore (cf Lc 17,16).
L'episodio culmina con l'affermazione risentita di Gesù: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?» (Lc 17,17-18). E poi disse al samaritano: «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato» (Lc 17,19).
Nella Bibbia la lebbra è il simbolo del peccato. Di questa lebbra siamo stati infetti tante volte, e Gesù ci ha guariti con il suo perdono. Anche se siamo molto pentiti, però, Gesù ci manda dai sacerdoti per ricevere l'assoluzione sacramentale. La Chiesa ci ricorda con forza che, anche se grande è il nostro pentimento, in caso di peccato mortale, prima di ricevere la Comunione, dobbiamo confessare i nostri peccati dal sacerdote e riceverne l'assoluzione. Ricordiamocelo sempre.
Siamo stati beneficati tante e tante volte da Gesù. Pensiamo a quante volte abbiamo ricevuto il perdono di Dio attraverso il sacramento della Confessione e abbiamo ricevuto la Comunione. Domandiamoci: abbiamo sempre ringraziato, oppure ci siamo comportati come gli altri nove lebbrosi?
Vogliamo dunque prendere un proposito pratico quest'oggi, quello di fare bene il ringraziamento dopo la Comunione. Non dobbiamo e non possiamo andarcene via come se niente fosse. Dentro di noi abbiamo Gesù. Fermiamoci, per quanto è possibile, a parlare familiarmente con Lui. Durante il quarto d'ora che segue la Comunione, Gesù è realmente presente dentro di noi, nel nostro cuore, finché perdurano le sembianze del Pane eucaristico. Non sprechiamo malamente quei minuti che sono i più importanti della nostra giornata. Adoriamo e ringraziamo, come ha fatto il povero lebbroso. Inoltre, abituiamoci a ringraziare Gesù ogni volta che riceviamo il suo perdono nel sacramento della Confessione. Non è una cosa da poco essere perdonati da Dio.
Ricordiamocelo sempre: quanto più ringrazieremo, tanto più riceveremo. La mancanza di gratitudine, al contrario, allontana da noi i benefici di Dio.

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

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