BastaBugie n�822 del 24 maggio 2023

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1 LA NATURA DEL MASCHIO SOCCORRITORE
L'alluvione in Emilia Romagna dimostra l'importanza della mascolinità quando c'è da difendere con coraggio e audacia chi è nella debolezza e nella fragilità
Autore: Manuela Antonacci - Fonte: Sito del Timone
2 LA VERA SCIENZA NON HA DUBBI: NON DERIVIAMO DALLE SCIMMIE
La prima pulce nell'orecchio su Darwin e l'evoluzionismo me la mise un signore che si chiedeva: ''Ma se io fossi un'ameba, perché mai dovrei uscire dall'acquitrino dove sto bene?'' (VIDEO: L'inganno di Darwin)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Blog di Nicola Porro
3 LE FALSITA' DEL FILM DI BELLOCCHIO SUL CASO MORTARA
A Cannes il film ''Rapito'' sul bambino ebreo battezzato in articulo mortis è pieno di menzogne per colpire la Chiesa (tra l'altro tutte smentite dallo stesso Mortara)
Autore: Ermes Dovico - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
4 L'ARROGANZA DI TRUDEAU E LA REMISSIVITA' DELLA MELONI
Trudeau attacca l'Italia sui diritti Lgbt e il governo che fa? Invece di rinfacciare al premier canadese i suoi disastri come ad esempio la repressione dei camionisti, approva in Senato con la sinistra una mozione antiomofobia
Autore: Andrea Zambrano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
5 STALIN, LA TENTAZIONE DI ESTIRPARE IL MALE CON LA VIOLENZA
Processo e morte di Stalin di Eugenio Corti è un'opera teatrale sulla natura del comunismo... attuale anche a 70 anni dalla morte del dittatore (VIDEO: The soviet story)
Autore: Vincenzo Sansonetti - Fonte: Il Sussidiario
6 FAMIGLIE NUMEROSE... CHE FORZA!
La fiera testimonianza di una celebre giornalista australiana, primogenita di 9 figli (8 femmine e un maschio)
Autore: Christine Stoddard - Fonte: Aleteia
7 OMELIA PENTECOSTE - ANNO A (Gv 20,19-23)
A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati
Fonte: Il settimanale di Padre Pio

1 - LA NATURA DEL MASCHIO SOCCORRITORE
L'alluvione in Emilia Romagna dimostra l'importanza della mascolinità quando c'è da difendere con coraggio e audacia chi è nella debolezza e nella fragilità
Autore: Manuela Antonacci - Fonte: Sito del Timone, 19 maggio 2023

Drammatici i dati dell'alluvione che ha sconvolto l'Emilia Romagna in questi giorni, con oltre 20 fiumi esondati. Migliaia gli sfollati e le persone fatte evacuare, al punto che il 23 maggio sarà deliberato lo stato di calamità. Una situazione drammatica che ha visto una mobilitazione e uno dispiegamento di forze enorme: oltre 1.000 mezzi impiegati e più di 4.900 uomini e donne tra Vigili del Fuoco, Guardia Costiera, Forze di polizia, Forze armate, organizzazioni di volontariato di protezione civile ecc. E ciò che emerge dalle varie foto e video, è senz'altro il clima di solidarietà che si manifesta nel prestare i soccorsi ad anziani, donne e bambini.
In particolare in un video si nota una donna stretta in un angolo con l'acqua che le arriva al petto e una bambina di circa un anno in braccio. La donna grida in preda al panico chiedendo che qualcuno le tenga la sua bambina ed ecco che uno degli uomini immersi anche lui nell'acqua, si dirige prontamente verso la signora, caricando la bambina sulle sue spalle e portandola in salvo. Così ci imbattiamo anche nelle immagini dei carabinieri che salvano anziani signori aiutandoli ad uscire dai portoni dei palazzi allagati. Insomma, a colpi di semplici immagini, sembrano vacillare tanti discorsi di condanna della cosiddetta "virilità tossica", del patriarcato e via dicendo.
La concretezza delle situazioni, evidentemente, più di qualsiasi ideologia elaborata a tavolino, dimostra come la mascolinità possa rivelarsi una risorsa preziosa quando c'è da tirare fuori il coraggio, l'audacia, la prontezza nel difendere chi in quel momento è in una condizione di debolezza e fragilità. E che "maschio è bello" ce lo hanno insegnato anche a scuola! Ebbene sì, nelle stesse aule in cui si parla dei femminicidi impostando, però il discorso anziché sulla riscoperta dell'alleanza tra l'uomo e la donna e la valorizzazione della loro strutturale preziosa complementarietà, su una visione, invece, distorta del maschio quasi oppressore e violento per natura.
Eppure sui banchi delle stesse aule abbiamo imparato tutto il contrario: che è esistito un tempo in cui è venuta pienamente alla luce la mascolinità in tutta la sua fiorente, costitutiva bellezza, ovvero il tempo dei cavalieri e delle dame. Nell'amore cavalleresco emerge come le virtù virili: il coraggio, la forza, la fedeltà, l'onore fossero dei collanti preziosi che legavano il cavaliere alla propria dama, in quanto non strumenti di sopraffazione, ma al contrario, di servizio.
La stessa cosa potremmo dire per i cavalieri di oggi, gli uomini in divisa. Ma quale divisa? Secondo un'indagine di Men's Health che ha pubblicato un sondaggio realizzato dall' istituto Eta Meta su un campione di donne tra i 20 e i 45 anni una quota equivalente a 7.705.000 donne, mette al primo posto tra le sue preferenze il carabiniere, tuttavia nella classifica se la cavano bene anche i medici. Qual è allora il tratto comune? Che alle donne piace l'uomo che usa la sua forza per proteggere, curare e difendere. Inoltre la divisa (che sia quella che si usa per combattere o che sia quella che si usa per guarire) manifesta un'identità forte.
Insomma, tappatevi le orecchie cari profeti dell'ideologia woke e teorici del gender fluid, alle donne piace l'uomo forte e virile, con buona pace di tutte le altre 77 e passa identità di genere e alla faccia del politicamente corretto. Allora viene da chiedersi se l'uso sbagliato della forza che oggi si riscontra nella nostra società, non sia frutto di ben altre cause: del venir meno di quell'apparato di valori che sono alla base di ogni relazione, compresa quella tra l'uomo e la donna ridotta o a puro soddisfacimento degli istinti o a braccio di ferro eterno e ineluttabile.
Ma come sempre, quando il giudizio è annebbiato, ci pensa la realtà a dargli una bella lucidata ed ecco che dopo tanti feroci discorsi contro il patriarcato (che oggi peraltro non esiste più, anzi, siamo sempre di più di fronte ad una società senza padri, ahinoi) quando c'è bisogno degli uomini veri, il cui coraggio è la vera cifra e può essere determinante in alcune situazioni, come stiamo vedendo in queste ore drammatiche per l'Emilia Romagna, ecco che si spiega il tappeto rosso e si riconosce il valore degli eroi di turno. E allora onore ai soccorritori e ai militari ora all'opera nelle aree alluvionate.

Nota di BastaBugie: Riccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "Italia sott'acqua tra teorie pseudo-scientifiche e complottismi" sbugiarda sia le bufale sui cambiamenti climatici provocati dall'uomo sia, dall'altra parte, le teorie complottiste. Sono due facce della stessa medaglia, la "fuga dalla realtà", che impedisce di affrontare seriamente i veri problemi.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 24 maggio 2023:

Ormai non c'è evento naturale disastroso che non scateni ipotesi surreali da una parte o teorie preconfezionate dall'altra che pretendono di spiegare tutto. Sono due facce della stessa medaglia che si chiama "fuga dalla realtà". E può apparire paradossale che questo avvenga in un'epoca dominata dal culto della Scienza. In realtà è proprio la scienza elevata a religione (e sfruttata dalla politica) che è causa prima di questo rifiuto della realtà, e per sua natura genera una reazione altrettanto irrazionale.
Ultimo esempio è l'alluvione in Emilia Romagna. La risposta ufficiale - e scontata - è: colpa dei cambiamenti climatici causati dall'uomo, e ovviamente con un intensificarsi degli eventi estremi; ormai è un ritornello con cui si pensa di poter spiegare tutto. Eppure ci troviamo davanti a fenomeni per nulla nuovi o eccezionali: frane e alluvioni sono una costante storica in Italia e basta consultare il sito dell'Istituto di Ricerca per la protezione idrogeologica (Irpi) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) per rendersene conto: addirittura tra il 1915 e il 2014 in Italia ci sono stati 1319 eventi di frana e 972 inondazioni con un bilancio totale di 7.500 morti e 4.600 feriti circa, con picchi che si sono registrati tra il 1950 e il 1955 e a cavallo del 1965. E se dalle conseguenze ci spostiamo al fenomeno delle piogge violente, che causano frane e alluvioni, troviamo che in cento anni non ci sono stati trend significativi per l'Italia, vale a dire che non si registra nessuna variazione di rilievo. In particolare ci si riferisce al gruppo di ricerca dell'Università di Torino che nel 2019 ha pubblicato un lavoro sistematico di analisi sull'intensità pluviometrica in Italia, riferendosi a oltre 5mila stazioni per il periodo 1915-2015: il risultato è che l'86-91% delle stazioni non ha trend, il 4-7% ha trend significativo crescente e il 5-7% ha trend significativo decrescente.
Non solo, le piogge che hanno provocato l'alluvione in Emilia-Romagna non sono state neanche particolarmente eccezionali. È piovuto molto, certo, ma senza particolari picchi di intensità: il massimo che si è registrato è di 11mm all'ora quando l'anno scorso nelle Marche si è arrivati a 100mm in un'ora. E anche la pioggia complessiva, pur molto abbondante, non è certamente da record: 230-240 mm caduti in 3 giorni all'inizio di maggio in Romagna, sono la metà di quanto caduto nelle Marche l'anno scorso in un solo giorno, per non parlare di altre alluvioni famose, come quella di Genova del 1970 quando in sole 24 ore si registrarono dai 308 ai 948mm di pioggia (a seconda delle zone).
Ma se la narrazione dei cambiamenti climatici contraddice la realtà, le varie teorie cospirazioniste che spuntano come funghi in queste occasioni, sono l'altra faccia della medaglia. Ancora una volta è spuntato un aereo, il cui moto circolare continuo sulle zone romagnole colpite dall'alluvione in coincidenza delle piogge ha fatto gridare alla cospirazione. E a poco è valso dimostrare che si trattava dell'aereo che faceva da ponte per le trasmissioni delle immagini del Giro d'Italia. Soprattutto sui social la teoria dell'alluvione provocata dalle scie chimiche o dalla tecnica dell'inseminazione delle nubi continua ad andare per la maggiore. Peraltro l'inseminazione delle nubi è una vecchia tecnica sperimentata decenni fa ma che in Italia non viene più praticata per mancanza di risultati apprezzabili. E oltretutto lo scopo era quello non di provocare piogge abbondanti, ma di diluire la pioggia in modo da evitare piogge torrenziali e grandine, che danneggiano l'agricoltura.
Altra teoria cospirazionista di successo è il sabotaggio delle dighe, ovvero la volontà di non meglio precisati protagonisti di provocare l'alluvione per altrettanto non meglio precisati motivi. Sotto accusa in particolare è la diga di Ridracoli, che oltretutto ha un sistema di scarico naturale, progettata proprio per tracimare tranquillamente una volta che ha raggiunto il livello massimo. In realtà il problema è che dopo la prima ondata di piogge dell'1-3 maggio la diga si è riempita ed era ancora piena quando è arrivata la seconda ondata di piogge il 16 e 17 maggio (vedi tabella a fianco): in questo modo la piena è passata come se la diga non ci fosse, non ha trovato alcun freno. Casomai dunque, si potrebbe discutere sul perché non è stato ordinato un abbassamento delle acque della diga in previsione di altre pesanti piogge. Così come si dovrebbe riflettere sul fatto che in Italia dal 2000 non si costruiscono più dighe malgrado ce ne fossero progettate ben 500: l'ideologia ambientalista e la burocrazia non lo permettono.
Il problema dunque non sono fantomatiche cospirazioni né i normali cambiamenti climatici che con le attività umane hanno ben poco a che fare. La realtà è che, pur considerando che eventi meteo estremi sono ricorrenti in Italia così come è un dato di fatto la vulnerabilità del nostro territorio, non si fa nulla per ridurre al minimo i rischi e le conseguenze di questi eventi. Abbiamo parlato delle dighe, ma si deve parlare anche della mancanza di casse di espansione per i fiumi; della mancata pulizia dei letti dei torrenti; del restringimento forzato degli alvei dei torrenti che diventa certezza di esondazioni in caso di piena; dello smantellamento del servizio idrografico nazionale nel 1998 per creare autorità regionali che sono andate in ordine sparso; del cambiamento della destinazione dei terreni in montagna, dove negli ultimi decenni i boschi hanno preso il posto dei terreni agricoli e degli allevamenti. Proprio quest'ultimo aspetto è importante perché significa cambiamenti sia nella frequenza delle precipitazioni sia nella cura del territorio, fattori che sono stati trascurati dalle amministrazioni regionali.
Insomma, responsabilità da attribuire e politiche da cambiare ce ne sono: ideologie folli, teorie pseudo-scientifiche e complottismi vari non fanno altro che coprire le vere responsabilità e impedire di affrontare e risolvere i problemi reali.

Fonte: Sito del Timone, 19 maggio 2023

2 - LA VERA SCIENZA NON HA DUBBI: NON DERIVIAMO DALLE SCIMMIE
La prima pulce nell'orecchio su Darwin e l'evoluzionismo me la mise un signore che si chiedeva: ''Ma se io fossi un'ameba, perché mai dovrei uscire dall'acquitrino dove sto bene?'' (VIDEO: L'inganno di Darwin)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Blog di Nicola Porro, 19 maggio 2023

Avete presente quei disegni ormai diventati iconici che rappresentano l'evoluzione umana? Dall'ameba all'homo sapiens, passando ovviamente dalle scimmie e i neanderthaliani. Fanno talmente parte del nostro immaginario - e della narrazione - fin dalle elementari - che dico? dall'asilo - che non ci soffermiamo mai a rifletterci sopra. Come il sole e il panorama, le case e i semafori: ci sono sempre stati, solo i poeti vi indugiano.
La prima pulce nell'orecchio me la mise un signore seduto dietro di me mentre assistevamo a una dotta conferenza accademica sull'evoluzione umana. Alla fine della dissertazione, all'ora delle domande, quel signore si alzò e chiese: «Ma se io fossi un'ameba, perché mai dovrei uscire dall'acquitrino dove sto bene?». La risposta fu la solita sparata sull'enorme quantità di tempo, i milioni di anni che rendevano la fuoruscita dell'ameba non solo probabile ma anche sicura. Quanto ci sia di scientifico in questa affermazione lo lascio alla vostra valutazione. Per me è come quando la Hack diceva che gli alieni esistono per forza perché l'universo è così smisurato che non è possibile che non esistano. Ma non tutti gli astrofisici sono così, anche se, detta da uno di loro, la fola assume tutto un altro aspetto. Come il tizio in camice bianco che, in tivù, pubblicizza il dentifricio. Per far dimenticare che è solo un sapone per i denti.
Per esempio, Isaac Asimov, che era un fisico nucleare, in tutta la sua sterminata produzione fantascientifica non ci mise un solo alieno: correttamente, non ci credeva. Ci sono prove? No, manco una. Solo dicerie, e foto sfocate. Ma torniamo all'evoluzionismo. Non posso negare che, se guardo una discoteca piena o un reality, qualche dubbio mi viene: forse davvero discendiamo dalle scimmie. Solo che anche la mia è un'ipotesi. Ora, però, perché la mia ipotesi fa sorridere mentre quella opposta viene insegnata nelle università? E perché ogni volta che qualcuno avanza dei dubbi seri, scientifici davvero, la teoria muta? Il «cespuglio», poi la «poligenesi», poi «il caso e la necessità», poi la «serie di mutazioni casuali». Un tornado in un hangar di pezzi di ricambio, molti tornado consecutivi e, prima o poi, uscirà un aereo perfettamente montato. Oppure: un branco di oranghi che battono all'impazzata su macchine per scrivere; in qualche milione di anni prima o poi da una di esse uscirà la Divina Commedia.
La cosa cominciò con l'Expo Univérsale di Parigi del 1900, dove un intero padiglione spiegava come e qualmente discendiamo dalle scimmie. Ora, la domanda da cento milioni di dollari è la seguente: di solito la Scienza quando una teoria si ostina a non produrre prove cambia strada e ricerca altrove. Invece, l'evoluzionismo va avanti da quasi due secoli e lo si dà per dimostrato mentre non lo è affatto. Come il vaccino Covid, insomma. È stato appena ripubblicato un libretto interessante e significativo che val la pena leggere anche solo per sentire altre campane: Pier Carlo Landucci, La verità sull'evoluzione e l'origine dell'uomo (Edizioni Fiducia, pp. 100, euro 10).
Qualcuno sospetta che sia tutta una storia di razionalismo: discendere da Dio, che ci avrebbe fatti a Sua immagine e somiglianza, è religione, mica scienza. Così sarebbe l'uomo a essersi inventato un Dio a sua immagine e somiglianza. Comunque sia, però, anche il razionalismo è filosofia, e per molti è pure religione. La Scienza, invece, non esiste: esiste semmai il metodo scientifico. Il quale esige prove, non parole. Prove. Per esempio, l'uomo-scimmia, il famoso anello mancante e che continua a mancare. Sì, perché il solo uomo-scimmia a noi noto è Tarzan, creazione letteraria. A parte Romolo e Remo, i soli bimbi allevati da bestie ritrovati erano umani inselvatichiti, mica Mowgli.

Nota di BastaBugie: nel seguente video (durata: 1 ora e 9 minuti) dal titolo "L'INGANNO DI DARWIN" il prof. Roberto De Mattei, già vicedirettore del C.N.R. (Consiglio Nazionale delle Ricerche), ha affrontato il tema dell'evoluzionismo: oggi è molto difficile parlarne, in quanto viene insegnato nella scuole e nei mezzi di comunicazione come un dogma intoccabile scientificamente dimostrato. Egli aveva già trattato tale argomento nel libro "Evoluzionismo: tramonto di un'ipotesi" nel quale erano raccolti i contributi di scienziati di varie discipline che avevano partecipato a un convegno internazionale da lui organizzato al CNR. L'evoluzionismo è la visione filosofica secondo cui l'universo e tutta la materia sarebbero in continua evoluzione da forme imperfette a forme sempre più perfette e l'uomo farebbe parte di questo processo. Noi non ce ne accorgiamo, ma ormai le nostre idee e il nostro linguaggio sono imbevuti di questo modo di pensare. Eppure quella evoluzionista è soltanto una teoria, cioè non è dimostrata scientificamente.


https://www.youtube.com/watch?v=CjwM3ApKtVA

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Fonte: Blog di Nicola Porro, 19 maggio 2023

3 - LE FALSITA' DEL FILM DI BELLOCCHIO SUL CASO MORTARA
A Cannes il film ''Rapito'' sul bambino ebreo battezzato in articulo mortis è pieno di menzogne per colpire la Chiesa (tra l'altro tutte smentite dallo stesso Mortara)
Autore: Ermes Dovico - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23 maggio 2023

Al Festival di Cannes oggi è il giorno di Rapito, il film di Marco Bellocchio incentrato sul caso Mortara, ovvero il bambino che nel 1858 fu separato dalla sua famiglia d'origine, ebrea, a seguito di un battesimo avvenuto in circostanze eccezionali. La pellicola si ispira liberamente a un libro di Daniele Scalise (Il caso Mortara, Mondadori, 1996), che ha contribuito a rilanciare la leggenda nera contro la Chiesa cattolica. Al di là del titolo del film, già dal trailer si capisce il genere di mistificazioni che saranno proiettate sugli schermi.
Nel trailer si vede un messo ecclesiastico che si reca in piena notte, accompagnato da alcune guardie, in casa dei Mortara per comunicare loro per la prima volta che il loro piccolo Edgardo è stato battezzato e che c'è l'ordine di «portarlo via». Si vede quindi il padre prendere di scatto il bambino tra le braccia e dirigersi verso la finestra, urlando «Vogliono portarcelo via!». Si dirà che è una versione romanzata, ma la distorsione clamorosa dei fatti - per un film che comunque dice di fare riferimento a una storia vera - rimane. Così come rimarrà il condizionamento nelle menti di quanti vedranno scene simili, ignorando appunto le tante verità taciute, a danno della Chiesa.
Eppure, basterebbe leggere l'esaustivo memoriale che il protagonista della vicenda, Edgardo Mortara, scrisse nella sua piena maturità, nel 1888, quando aveva 37 anni. Un memoriale scritto in castigliano durante il suo apostolato in Spagna e poi custodito negli archivi romani dei Canonici Regolari del Santissimo Salvatore Lateranense, l'ordine in cui don Pio Maria Mortara, il suo nome in religione, volle liberamente e fortemente entrare non appena l'età glielo consentì. Tradotto in italiano, il memoriale è stato pubblicato integralmente nel 2005 in un libro introdotto da Vittorio Messori («Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX». Il memoriale inedito del protagonista del «caso Mortara», Mondadori), che smonta pezzo per pezzo la leggenda nera e dà conto, in modo esemplare, delle ragioni della fede. È quindi curioso che certe élite culturali continuino a preferire ricostruzioni parziali, pur di propagare la propria ideologia. Guardiamo dunque i fatti.

LA VITA DI EDGARDO MORTARA
Siamo a Bologna, allora nello Stato Pontificio. Edgardo, nono dei 12 figli di Marianna e Salomone Mortara, ha poco più di un anno quando viene colpito da una terribile malattia con violenti febbri. Il male progredisce con sintomi tali che nel giro di alcuni giorni i medici lo danno per spacciato. La morte appare imminente. È in queste circostanze che la giovane Anna Morisi, la domestica cattolica dei Mortara, si ricorda quanto insegna la Chiesa a proposito del battesimo di necessità, cioè in articulo mortis. Di nascosto, con in mano un bicchiere d'acqua, battezza il bambino per aspersione, pensando che quel gesto avrebbe donato - di lì a breve - il Paradiso al piccolo Edgardo. Solo che l'attesa morte non sopraggiunge. A poco a poco, infatti, il bambino si ristabilisce completamente. Anna entra nel panico, comprendendo le possibili conseguenze di una sua rivelazione. E decide di tacere.
Passano circa cinque anni. Stavolta, ad ammalarsi è un fratellino di Edgardo, Aristide. Anche lui è in pericolo di morte. Le amiche di Anna la supplicano di battezzarlo, ma lei rifiuta, e confida infine quanto avvenuto cinque anni prima con Edgardo. Intanto, il piccolo Aristide muore, non battezzato. Su consiglio delle amiche, Anna rivela la vicenda di Edgardo al proprio confessore e da lì a breve la catena di comunicazioni, con il consenso della giovane, arriva fino al papa. Il beato Pio IX non perde tempo. Dà ordine che si mettano in atto tutti i tentativi possibili di conciliazione, per far capire ai genitori che la Chiesa ha il dovere - in quanto Edgardo è stato eccezionalmente ma validamente battezzato - di dare al bambino un'educazione cristiana. Lo stesso papa assicurava che avrebbe mantenuto a sue spese il bambino in un collegio cattolico di Bologna, dove sarebbe rimasto fino alla maggiore età e dove i genitori avrebbero potuto visitarlo a loro piacimento.
C'è da aggiungere che nei territori pontifici c'erano allora delle leggi che proibivano agli ebrei di avere al loro servizio domestiche cristiane: leggi che erano intese a tutelare la stessa comunità ebraica, evitando all'origine situazioni complicate, come già era avvenuto sotto altri papi. I genitori di Edgardo sapevano insomma a quale “rischio”, nella loro prospettiva, andavano incontro prendendo in casa una cattolica.
Ma nonostante tutto i Mortara, presi da un dolore misto a rabbia, respinsero i vari tentativi di conciliazione susseguitisi nel tempo e ciò anche quando furono informati dal buon padre Pier Gaetano Feletti (incaricato di gestire il caso) che la Chiesa, seppur con dispiacere, sarebbe stata costretta - in caso di nuovo rifiuto - a procedere al sequestro forzato del bambino. Cosa che avvenne, dopo un'ulteriore preparazione, il 24 giugno 1858. Il “rapimento” improvviso messo in scena da Bellocchio è dunque un falso storico.

UN SEQUESTRO NECESSARIO PER EVITARE UN'APOSTASIA
Il sequestro si rendeva peraltro necessario per il pericolo che Edgardo fosse spinto a una forzata apostasia e per il clima rovente che l'ampia fazione avversa alla Chiesa aveva creato, fino alla minaccia di scontri a sangue. Sul caso, con il pretesto di voler difendere la comunità ebraica ma in realtà di umiliare la Chiesa, si fiondarono i governi, la stampa, le logge massoniche e i politici di mezzo mondo. In testa all'opposizione, come spiega lo stesso don Pio Mortara, c'era Napoleone III, manovrato dalle suddette logge e infastidito da un atteggiamento ecclesiale che giudicava anacronistico. Seguivano a ruota Cavour e altri, che vedevano nella vicenda di quel bambino - come emerge dalle lettere di quegli stessi personaggi - un'occasione unica per porre fine al potere temporale della Chiesa. Difatti, il caso Mortara contribuì ad accelerare la «questione romana» che culminò nella breccia di Porta Pia. Ma soprattutto quell'attacco era diretto alla missione spirituale della Chiesa.
Quello che i laicisti e anche i cattolici liberali dell'epoca rifiutavano di accettare era il significato del sacramento del Battesimo, che era invece ben noto a Pio IX e sarebbe stato poi spiegato con straordinaria efficacia dal nostro Edgardo. Nonostante per i suoi primi sette anni di vita fosse stato educato nella più stretta osservanza dell'ebraismo e non avesse mai sentito parlare di Gesù, don Pio Mortara testimonia, con diversi esempi, come l'azione invisibile della Grazia operasse in lui fin da prima del sequestro, suscitando in lui, bambino, un'attrazione soprannaturale verso chiese e funzioni cristiane.
Anche la docilità che manifestò fin dalle prime ore dopo il sequestro, seppur in mezzo a qualche comprensibile moto di ribellione per la separazione dai genitori, risulta inspiegabile a una logica meramente umana. Nel viaggio verso Roma gli erano stati insegnati il Padre Nostro e l'Ave Maria, con i primi rudimenti di fede cristiana. L'operare della Grazia nell'animo del piccolo Mortara fu tale che quando i genitori, poco tempo dopo, giunsero a Roma - andandolo a visitare per almeno un mese di seguito, nella speranza di riportarlo a casa - fu lo stesso bambino a guardare con orrore a quella prospettiva. E ciò nonostante provasse e avrebbe continuato a provare per tutta la vita un grande amore per i suoi genitori. Ma già da allora, bambino di sette anni, pregava perché accogliessero Gesù. Edgardo era e si sentiva già in tutto e per tutto cristiano e, da lì in poi, fino alla fine della sua vita terrena, a 88 anni e mezzo, avrebbe cercato di conquistare anime a Cristo, morendo in odore di santità.
Il tutto dopo una vita vissuta in una profonda gratitudine verso gli uomini e le donne che lo avevano reso un figlio della Chiesa, da Anna Morisi a Pio IX. Un papa che - per citare uno dei tanti elogi contenuti nel memoriale di Mortara - «rimanda tutto, dimentica tutto, per occuparsi del futuro di un povero bambino che una giovane domestica ha reso figlio di Dio, fratello di Cristo, erede della gloria eterna in seno a una famiglia israelita. Per salvare l'anima di questo bambino, il grande pontefice sopporta tutto, si espone a tutto, sacrifica tutto, mette a rischio persino i suoi Stati, davanti al furore, all'infernale accanimento dei nemici di Dio». Un papa, dunque, che era mosso da un'unica consapevolezza: nemmeno il mondo intero vale una sola anima.

Nota di BastaBugie: l'autore del precedente articolo, Ermes Dovico, nell'articolo seguente dal titolo "Mortara, nel Rapito di Bellocchio un castello di falsità" spiega perché la pellicola di Bellocchio contiene solo falsità, tra l'altro smentite dagli scritti dello stesso don Mortara.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 27 maggio 2023:

Dal 25 maggio è in proiezione nelle sale Rapito, il film di Marco Bellocchio sul caso Mortara di cui la Bussola ha già ricostruito le tappe principali. Abbiamo visto il film, che nella sua interezza conferma quanto risultava già evidente dal trailer e dall'ampia campagna pubblicitaria: in Rapito, "liberamente ispirato" a un libro che già di suo aveva alimentato la leggenda nera contro la Chiesa, non c'è nessun interesse a rappresentare la verità. Del resto, se Bellocchio avesse basato la sua pellicola sul memoriale autografo del 1888 e sulle altre diverse testimonianze rese nella sua vita dallo stesso Edgardo Mortara (1851-1940), difficilmente il regista avrebbe ricevuto 13 minuti di applausi in quel di Cannes e presumibilmente non lo avrebbero nemmeno selezionato per il Festival.
Della prima mistificazione avevamo già detto commentando il trailer: il film salta a piè pari tutti i tentativi di conciliazione che la Chiesa mise in atto prima del sequestro cui si vide costretta dall'intransigenza dei coniugi Mortara. Tra questi tentativi, l'offerta di allevare Edgardo in un collegio cattolico di Bologna fino alla maggiore età (raggiunta la quale avrebbe preso le sue decisioni), a spese della stessa Chiesa e dove i genitori avrebbero potuto visitarlo liberamente.
Fin dalle prime scene lo spettatore è invece immerso in atmosfere cupe, a partire dal campanello che suona in piena notte a casa Mortara, con il maresciallo - inviato dal Sant'Uffizio e senza alcun preavviso - che comunica agli sconvolti genitori la notizia del battesimo. Irruzione notturna cui segue di lì a un paio di giorni - nei tempi falsati del film - il sequestro.
Le varie figure di sacerdoti coinvolti nel caso vengono dipinti in modo truce. Pio IX è rappresentato come irascibile, superbo e attaccato al potere. La fede viene abilmente ridotta a macchietta, anche attraverso figure di bambini volte a catturare la simpatia del pubblico (vedi Elia, che dopo la Comunione spiega a Edgardo di star facendo «la contemplazione di Cristo»). Oppure è ridotta a superstizione, sia nei suoi simboli, come il crocifisso («è un portafortuna», risponde a un certo punto Edgardo a chi gli chiede che cosa porti al collo) sia nelle persone che la professano, come la cameriera che dice al piccolo Mortara di non mettere il cappello sul letto perché porta sfortuna. La figura della giovane Anna Morisi, la domestica che battezzò Edgardo in articulo mortis, viene restituita con appiccicate tutte le nefandezze di questo mondo: ladra, donna di facili costumi, bugiarda, corrotta. Don Pio Maria Mortara, nel suo già citato memoriale, ricordava che quella giovane - da lui definita sua «propria madre nell'ordine soprannaturale» - aveva dovuto lasciare Bologna «per sfuggire a violente vessazioni e rappresaglie» da parte dell'ampia fazione che avversava la Chiesa.
Ma tra tutte le mistificazioni, a uscire più offesa dal film di Bellocchio è proprio la figura di Edgardo Mortara, sia da piccolo che da adulto. La pellicola deforma tutto il suo vissuto, che fu un vissuto di reale e profonda devozione fin dai primi tempi dopo il sequestro. Culmine di questa mistificazione scenica è l'incontro con la madre nei suoi primi mesi a Roma: nel film, mentre la madre - che ha appena strappato il crocifisso dal collo del figlio - viene allontanata, si vede Edgardo correre ad abbracciarla e dirle, tra le lacrime, che vuole tornare a casa dai suoi fratelli. Ma è falso.
Come racconta Edgardo in persona, i suoi genitori (eravamo ancora nel 1858) lo andarono a trovare «per un mese intero o forse due, tutti i giorni […] in casa dello stesso rettore [don Enrico Sarra]» a cui era stato affidato. Ebbene, non solo Edgardo non manifestò mai il desiderio di tornare a casa, ma già allora - a 7 anni - non desiderava altro che anche i suoi genitori abbracciassero la fede cattolica perché, amandoli, voleva che anche loro riconoscessero la verità, che è Gesù stesso. Davanti alle promesse e alle mille lusinghe dei suoi, replicava: «Sono cristiano, se volete che venga con voi, non c'è che un modo: convertitevi anche voi». Tra i primi doni che aveva ricevuto dopo il sequestro c'era lo Scapolare della Madonna del Carmelo. E a proposito val la pena citare un episodio emblematico di uno di quei giorni dell'autunno 1858: il bambino parlò alla madre con così «grande convincimento, misto a filiale affetto e tenerezza, dei sublimi misteri della religione cattolica, di Maria Santissima e del santo Scapolare», che la stessa madre, «commossa e intenerita, sciogliendosi in lacrime disse: "Anch'io, anch'io voglio questo Scapolare della Madonna"». Se non fosse stato per l'intervento di Salomone "Momolo" Mortara, che separò bruscamente la moglie dal bambino non appena si rese conto di quel che stava avvenendo, probabilmente avremmo raccontato un'altra storia di conversione. Da quel giorno Edgardo non avrebbe più rivisto i genitori per molti anni.
È evidente che l'opera invisibile della Grazia nell'animo del piccolo Mortara manca del tutto nel film di Bellocchio. Il quale sposa invece l'idea del plagio: un'idea che non regge di fronte al lucido e articolato resoconto che Edgardo-don Pio Maria Mortara fa nel suo memoriale, ricostruendo i momenti prima e dopo il sequestro, quando non c'erano nemmeno le condizioni e i margini di tempo per il plagio immaginato da chi non crede nell'onnipotenza divina. Dopo aver descritto come la Grazia avesse agito in lui fin dagli inizi, Mortara sfidava infatti il mondo ateo: «Il naturalismo moderno spieghi ora in modo soddisfacente […] come, nonostante la più accurata educazione ebraica, si sia verificata in un'esistenza incipiente una metamorfosi tanto straordinaria».
Invece di affrontare il mistero di questa metamorfosi, il film getta discredito anche sul Mortara adulto, in cui la conversione si mescola a uno squilibrio mentale e all'ingratitudine di figlio. Anche qui, la realtà è deformata. Don Pio Mortara, già all'estero per sfuggire a chi pretendeva di "liberarlo", visse una dura prova consistente in uno stato di prostrazione e insieme di eccitazione nervosa «in conseguenza dei suoi studi e di altre prove e sofferenze morali», acuite dal suo caso, e per cui i medici gli prescrissero un periodo di riposo mentale. Una prova «addolcita», come riferisce sempre lui, dall'aiuto dei suoi confratelli, di alcune pie donne e delle benedizioni che Pio IX non gli faceva mai mancare. Ma in tutto questo non era certo in discussione la realtà della sua conversione, né il suo amore verso i familiari, attestato dalle lettere che mandava loro ogni volta che poteva.
Peccato che tutto ciò manchi nel film presentato a Cannes.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23 maggio 2023

4 - L'ARROGANZA DI TRUDEAU E LA REMISSIVITA' DELLA MELONI
Trudeau attacca l'Italia sui diritti Lgbt e il governo che fa? Invece di rinfacciare al premier canadese i suoi disastri come ad esempio la repressione dei camionisti, approva in Senato con la sinistra una mozione antiomofobia
Autore: Andrea Zambrano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 20 maggio 2023

La provocazione sui diritti Lgbt negati che il premier canadese Justin Trudeau ha lanciato in faccia al premier Giorgia Meloni nel corso del bilaterale Italia Canada a margine del G7 di Hiroshima, ha tutta l'aria di essere uno stress test. Trudeau si è detto «preoccupato» per come l'Italia non rispetti alcuni diritti in ambito gay e le sue parole hanno colto alla sprovvista il premier italiano che non si aspettava un attacco così virulento e improvviso.
Che si sia trattato di un modo per testare la tenuta e i nervi del nostro Paese, però, lo dimostrano le successive reazioni di Palazzo Chigi, che, gettando acqua sul fuoco, si è detto sorpreso rispondendo che il governo sta seguendo le decisioni dei tribunali e non si sta discostando dalle precedenti amministrazioni. Il motivo del contendere, evidentemente, sono le polemiche che infuriano nel nostro paese sull'utero in affitto. Effettivamente, il Governo a buon diritto può affermare che sul punto le leggi non sono cambiate, ma la reazione è parsa quella di giocare in difesa di fronte ad un'ingerenza nella politica italiana che sa di arroganza.
Invece di rispondere che non è cambiato nulla, quasi a voler rassicurare il partner, si sarebbe dovuto far valere, secondo il principio di reciprocità, il fatto che a destare preoccupazione, piuttosto, fossero le politiche portate avanti dal Canada in questi anni, che l'hanno fatta diventare un'avanguardia dei nuovi diritti del transumano.
Con la gestione Trudeau, infatti, lo stato nordamericano è diventato un Paese al quale davvero guardare con preoccupazione: con lo sdoganamento totale e incondizionato dell'eutanasia, ad esempio, oggi il Canada è uno dei primi stati eugenetici al mondo, che si accinge a liberalizzare l'eutanasia a tutti i livelli, anche per i malati mentali; inoltre, ha fatto le prove generali di totalitarismo soffocando col manganello le proteste anti-vaccinali dei camionisti, vuole vietare le terapie riparative, mentre i suoi giudici sdoganano il poliamore e la cannabis. A causa di queste politiche oggi il Canada non può certo insegnare i diritti all'Italia, ma il punto non è questo.

ITALIA SULLA DIFENSIVA
Il punto è la reazione sulla difensiva del nostro governo, che, invece di rispondere rivendicando il diritto, non a proseguire in una continuità scivolosa, ma a segnare un cambio di passo anche di fronte all'arroganza dell'agenda Lgbt, cerca invece di tranquillizzare il prepotente interlocutore. Questo giocare sulla difesa è un segnale di debolezza, che è figlio di un atteggiamento di omologazione verbale del Governo al nuovo verbo Lgbt.
Se da un lato, infatti, la Meloni e la sua maggioranza sono compatti nell'opporsi a qualunque forma di legalizzazione della cosiddetta gestazione per altri e che vede nella proposta di legge dell'utero in affitto come reato universale la sua azione più muscolosa, dall'altro non si può certo dire che il Governo si discosti da un sentire politico pericolosamente vicino alle rivendicazioni Lgbt.
Non più tardi di mercoledì, infatti, durante la Giornata contro l'omofobia, il Governo non ha fatto mancare il suo appoggio ad una battaglia che di fatto sdogana e fa proprie le rivendicazioni e le pretese della gaycrazia.
Non c'è stato solo il presidente Mattarella che ha parlato dell'omofobia come «piaga sociale», ma anche il premier Meloni ha sostanzialmente accettato il concetto di omofobia, dicendo parole di sostegno alle campagne antidiscriminazione e auspicando lo sblocco delle risorse necessarie per il rifinanziamento dei centri contro le discriminazioni. Il fatto è che questi centri, sono veri e proprio campi di rieducazione, il più delle volte gestiti da quelle stesse associazioni che portano avanti il verbo dell'omosessualismo, discriminando - secondo la logica imposta dal Ddl Zan - chi non la pensa come loro.
Anche il voto bipartisan del Senato, che ha approvato una mozione contro l'omofobia, va nella direzione dell'accettazione di una parola - omofobia - che non è ancora diventata reato, ma che ormai è completamente ammessa come reato nell'immaginario comune. E così la circolare del Ministro dell'Istruzione Valditara, il quale ha invitato le scuole a celebrare la Giornata, con una solerzia che non si vede ad esempio nei confronti di un'emergenza - vera - come la cristianofobia.

UN GRAVE ERRORE
E questo è un errore, anzitutto perché allora non si coglie la differenza su questi temi tra la Destra e la Sinistra e poi perché accettare che esista l'omofobia, significa scendere a patti con la dittatura Lgbt, abbracciando un'agenda che impone, discrimina e tappa la bocca agli altri.
Eppure, che l'Italia non corra alcun pericolo in tal senso, lo dimostrano i dati, come ad esempio quelli del rapporto Oscad che indicano come nel nostro Paese non esista nessuna «emergenza omofobia». In base agli ultimi dati dell'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, nel 2020 ci sono state 69 segnalazioni totali per dichiarati «crimini o discorsi d'odio» per «orientamento sessuale» (61) e «identità di genere» (8). Ce ne sono state di più, per rendere l'idea, per il credo religioso (148) e per la razza/etnia/nazionalità (206). Alla faccia della «piaga sociale».
A che gioco vuol giocare il Governo? Se si riconosce la «piaga sociale» che, attraverso l'affermazione di autoproclamati reati e diritti violati, impone la violenza del concetto di omofobia, allora, non c'è da stupirsi che un premier ultralaicista come Trudeau rimproveri all'Italia di non tutelare certi diritti, per il semplice motivo che sdoganare l'omofobia, significa accettare che per essa si debba seguire una precisa agenda, dentro la quale sta anche l'utero in affitto.
Se invece si è forti della propria autonomia di pensiero, allora, così come si rifiuta la compravendita di bambini per l'affermazione degli egoismi dei grandi, si deve anche avere il coraggio di rifiutare il pensiero ormai dominante del linguaggio inclusivo, che ha imposto l'omofobia come reato, anche se non c'è un solo articolo del codice penale che lo inquadri.
Solo così si potrà rispondere a testa alta alle arroganti ingerenze di capi di Stato dai quali non accettiamo lezioni.

DOSSIER "IL CANADA DI TRUDEAU"
Dittatura sanitaria, gender, eutanasia, ecc.

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 20 maggio 2023

5 - STALIN, LA TENTAZIONE DI ESTIRPARE IL MALE CON LA VIOLENZA
Processo e morte di Stalin di Eugenio Corti è un'opera teatrale sulla natura del comunismo... attuale anche a 70 anni dalla morte del dittatore (VIDEO: The soviet story)
Autore: Vincenzo Sansonetti - Fonte: Il Sussidiario, 05.03.2023

Mosca, 1° marzo 1953, interno del Cremlino, di tarda mattina. Due guardie sono davanti all'ufficio di Iosif Vissarionovič Dzugasvili, 74 anni, un bolscevico di umili origini nativo della Georgia, che si è dato il nome di battaglia di Stalin ("l'uomo d'acciaio"). Da oltre un trentennio è il segretario generale del Partito comunista, in sostanza l'indiscusso capo dello Stato sovietico nato dalla rivoluzione del 1917. "Degno continuatore dell'opera di Lenin" (come lui stesso si definiva), Stalin sta preparando l'ordine di deportazione nella Manciuria orientale, più precisamente nel territorio del Birobidian, di tutti gli ebrei sottoposti al suo potere; non solo quelli che vivono nell'Unione Sovietica (circa tre milioni), ma anche quelli degli Stati satelliti dell'Europa orientale (particolarmente numerosi in Romania, dove i nazisti ne avevano deportati solo una minima parte).
Il motivo? Dirà ai suoi più stretti collaboratori, stupiti e increduli per questa scelta, dal momento che proprio gli ebrei occupavano molti posti di responsabilità nel partito: "Tutti gli ebrei russi non guardano forse alla Palestina, ormai? Chi di loro pensa più alla costruzione del comunismo? Non ci offende abbastanza questo? O forse dovremmo attendere addirittura che i nostri ebrei diventino fra noi la quinta colonna dello Stato di Israele?".
Le sue parole non si discutono. "Io non dubito, né dubiterò", cantano in coro le guardie. E aggiungono: "Chi può ormai più dubitare che il comunismo è la dottrina che sanerà i mali del mondo?".
Così comincia la tragedia Processo e morte di Stalin, opera meno nota ma fondamentale dello scrittore e saggista brianzolo Eugenio Corti (1921-2014), autore del long seller Il Cavallo rosso (più di trenta edizioni in quarant'anni). Racconta gli ultimi giorni di vita del dittatore sovietico, immaginando che sia stato vittima di una congiura ordita dai suoi ex "fedelissimi: Beria, Bulganin, Caganovic, Crusciov, Malencov, Micoian, Molotov e Voroscilov, che effettivamente si spartiranno il potere alla sua morte. Lo sottopongono a processo e con l'aiuto di medici compiacenti lo faranno morire procurandogli un'emorragia cerebrale, che fu effettivamente la causa del suo decesso. Ma Stalin si difende, affermando che i suoi seguaci si comporteranno in maniera spietata esattamente come lui, se vogliono davvero difendere il comunismo. E infatti il primo ad essere eliminato, pochi mesi dopo, sarà Beria, il feroce capo della polizia segreta.

UN CAPOLAVORO (PESANTEMENTE STRONCATO DALLA STAMPA DI SINISTRA)
La stesura della tragedia risale agli anni 1960-1961 e fu subito ritenuta un capolavoro da Mario Apollonio, il maggior critico e storico del teatro del dopoguerra. Venne rappresentata a Roma il 3 aprile 1962 al Teatro della Cometa - proprio su suggerimento e con il patrocinio di Apollonio - dalla Compagnia Stabile di Diego Fabbri, con la regia di Orazio Costa, ma "mutilata" e ridotta a semplice lettura scenica, quasi per ridurne e affievolirne la potenza drammatica ed evocativa, in quanto forte denuncia dei crimini staliniani (milioni e milioni di vittime, "nemici del popolo" ed "elementi ostili ed estranei alla società", come i kulaki, letteralmente fatti morire di fame). L'opera rimase in cartellone per quasi due settimane, con un buon successo di pubblico e giudizi favorevoli di almeno una parte della critica, ma fu pesantemente stroncata dalla stampa marxista o fiancheggiatrice del marxismo. Malgrado la destalinizzazione, non si poteva parlar male di Stalin e soprattutto del comunismo, peraltro in modo cosi chiaro ed esplicito. Ci fu quindi la censura, l'ostracismo, l'oblio, che crebbe con il passare degli anni, perché nel frattempo si era andata sempre più affermando in Italia l'egemonia marxista sul mondo della cultura in tutte le sue espressioni. La tragedia avrà fortuna solo negli ambienti della dissidenza russa e polacca.
Quasi mezzo secolo dopo, l'opera dell'autore de Il cavallo rosso è tornata ad essere rappresentata (24, 25 e 26 giugno 2011) al Teatro Manzoni di Monza. Questa volta un' azione teatrale vera, molto efficace, non una scialba lettura scenica. Tutto esaurito e lunghi applausi al termine di ogni rappresentazione. A impersonare Stalin l'attore Franco Branciaroli, perfettamente nella parte di un uomo solo, stanco, tormentato dai fantasmi degli orribili massacri compiuti e accerchiato dai "lupi" e dai "maledetti cani" (così il dittatore chiama i suoi nemici interni, pronti a liberarsi di lui).

STALIN HA APPLICATO CON RIGORE IL COMUNISMO
La regia è affidata ad Andrea Maria Carabelli, che in quell'occasione commentò: "Il personaggio ha dentro di sé tutta la tragicità del Novecento. È il massimo della coerenza. Lui ha applicato con rigore il comunismo, il suoi ideale. E non importa se per fare questo è arrivato persino a distruggere i legami familiari". Per il regista "Stalin rappresenta la tentazione di ogni uomo. Perché la tentazione più grande non è tanto il male che compiamo, fosse anche fatto di milioni di morti, ma pensare che il male possa essere estirpato dall'uomo e dal mondo" con le nostre sole forze. Eliminare il male dalla società ignorando o combattendo Dio significa che "alla fine bisogna eliminare l'uomo".
Il momento più drammatico e rivelatore della tragedia è nelle parole rivolte da Stalin alla nuora Olga Goliscéva: "La realtà siamo noi. Se la realtà storica non ci viene dietro, e quindi sbaglia, noi possiamo anche cambiare la storia". Per Branciaroli, nella raffigurazione scenica di Corti "Stalin è convinto della possibilità di cambiare il mondo attraverso il marxismo. Il sangue versato lo reputa necessario. Ma la cosa non lo diverte. Lui uccide per ideologia, perché è un comunista. Lo ammette: più ci si avvicina al socialismo, più gli oppositori aumentano, più è necessario essere implacabili".
Ci crede fino in fondo. E dopo di lui le cose non cambieranno, non si illudano i congiurati, i "fedelissimi" uomini del Politburo venuti nella sua dacia per arrestarlo e processarlo. Si devono arrendere al lucido ragionamento del loro capo: "Potete illudervi di fare a meno della violenza solo fino a quando rimarrà negli uomini il salutare terrore per le repressioni da me esercitate, ma non oltre". Una profezia su cui riflettere soprattutto da quando, negli ultimi anni, in epoca putiniana, sono riapparsi i fiori sulla tomba di Stalin.
Negli anni del terrore staliniano l'ideologia che stravolgeva la società e la storia era il marxismo-leninismo, con le sue propaggini in Occidente, capaci di influenzare e orientare la politica e soprattutto la cultura. Oggi - in maniera più subdola e apparentemente meno lesiva della libertà e perciò più pericolosa - impera il nichilismo ecologista, frutto estremo del liberalismo più spinto. Ma, come sempre, l'ideologia quando ingabbia la realtà non può che produrre violenza e distruggere l'umano.

Nota di BastaBugie: per approfondire la storia dell'Unione Sovietica di Stalin e la sua somiglianza con il regime nazista di Hitler, suggeriamo ancora una volta la visione del video in lingua italiana "The soviet story" (durata: 55 minuti).


https://rumble.com/vwywp3-origini-comuni-di-comunismo-e-nazismo.html

Fonte: Il Sussidiario, 05.03.2023

6 - FAMIGLIE NUMEROSE... CHE FORZA!
La fiera testimonianza di una celebre giornalista australiana, primogenita di 9 figli (8 femmine e un maschio)
Autore: Christine Stoddard - Fonte: Aleteia, 18/08/17

Sono la primogenita di una figliata di 9: 8 femmine e un maschio. Ne sono fiera. Certo, devo ammettere che ho patito una specie di vergogna durante i miei anni adolescenziali, in particolare, quando la gente si avvicinava al nostro furgoncino o quando ci osservavano sbalorditi entrare in uno spazio pubblico.
Ormai, oggi, sinceramente, non cambierei questa condizione per niente al mondo. Se mi domandate che cosa mi spinga a pubblicare questo scritto, vi risponderò che ho letto un articolo molto interessante, domenica scorsa, sul New York Times. In questo articolo, la giornalista Lauren Sandler affermava vigorosamente che era meglio avere un solo ed unico figlio. Essendo lei stessa stata figlia unica e non avendo che un solo figlio... non mi riesce difficile comprendere che difenda un simile asserto. [...]
Come potrete immaginare, non sono affatto d'accordo con lei. Potrei dire che i figli unici che ho incontrato sono egoisti e hanno difficoltà ad adattarsi. [...] In ogni caso, non cerco affatto degli esempi che dimostrino gli svantaggi di essere figli unici. Cerco solamente di esprimere quanto sono riconoscente di avere tanti fratelli e sorelle.

IMPARARE A COABITARE
Ci sono, evidentemente, dei benefici collaterali: come il fatto di non essere mai soli di fronte a un problema; se ti ammali, qualcuno ti starà vicino... e quella sensazione che il tuo armadio sia senza fondo! Che sia sempre pieno di cose prestate! Senza dimenticare che l'educazione dei miei fratelli e sorelle resta un argomento di conversazione che si conclude molto spesso con dei silenzi imbarazzati; se ho bisogno di riderne, subito mi tornano alla mente situazioni impreviste.
Ma c'è molto di più! A cominciare da mio padre e mia madre, che (probabilmente senza averne l'intenzione) si sono facilitati parecchio la vita genitoriale, avendo più di un figlio. Anche se non avevano sempre un'idea ben precisa di ciò che stavano facendo, avere fratelli e e sorelle ci ha insegnato a condividere e a coabitare con altre persone, con naturalezza, a tirarci su ed educarci a vicenda... È quello che possiamo definire un'accumulazione naturale di buone qualità. Quando hai dei fratelli e delle sorelle, sei ben conscio che non tutto è tuo. Una cosa estremamente apprezzabile, in un'epoca in cui l'individualismo è alle stelle. Senza il minimo sforzo, abbiamo scoperto l'interazione sociale e la risoluzione dei conflitti. Abbiamo imparato ad avere compassione, a restare coscienti dei sentimenti e dei bisogni del prossimo, e non solo dei nostri.

VEDERE LA VITA ALTRIMENTI
Abbiamo beneficiato della generosità dei nostri genitori, che ci hanno accettati l'uno dopo l'altro malgrado il fatto che si facessero beffe di loro, o senza considerare che si avvicinavano tempi duri. Papà ci ricorda che ci sono stati dei periodi, di cui non ci ricordiamo, durante i quali mamma e lui si domandavano se potevano permettersi di andare a mangiare al McDonald.
Con tanti fratelli e sorelle, non abbiamo mai avuto in mano l'ultimo grido della tecnologia, ma suppongo che questo ci abbia insegnato un po' più sulla vita, al di là delle cose che si possono avere. Abbiamo potuto sviluppare uno spirito di sana competitività, abbiamo potuto renderci conto che se anche avevamo fallito in qualcosa, non era questa una buona ragione per buttarci giù. Al tempo stesso, tutto questo ci ha stimolati ad apprezzare le qualità uniche degli altri, senza stare a fare paragoni: sia nell'ambito accademico sia in quello creativo o atletico.
Ammesso e non concesso che abbiamo passato in rassegna tutti i vantaggi della situazione, dovrei ammettere che in più abbiamo ricevuto un regalo bellissimo: delle amicizie solide. Che sia per il semplice momento della colazione, o piuttosto per l'evento eccitante dello scegliere l'abito nuziale, non ho mai mancato di compagnia. È quello che si chiama amore, perché i miei fratelli e sorelle sono stati molto presenti nella mia vita, nei momenti peggiori e in quelli migliori.
Sono persuasa che il fatto di avere fratelli e sorelle sia un aiuto apprezzabile nella ricerca della vera felicità. Perché? Perché una persona va avanti per la strada giusta, quando realizza che la vita consiste più nel dare che nel ricevere. Con dei fratelli e delle sorelle, si arriva molto presto a questa conclusione.
E naturalmente la famiglia perfetta non esiste, ma ho pure la certezza che esistono tante persone che mi amano, incondizionatamente, quando io non ho fatto niente per meritarlo. Ecco qualcosa di decisamente speciale. Perché trascurare una così bella occasione di fondare un opificio di felicità, se ne avete la possibilità?

Fonte: Aleteia, 18/08/17

7 - OMELIA PENTECOSTE - ANNO A (Gv 20,19-23)
A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati
Fonte Il settimanale di Padre Pio

Prima di salire al Cielo, Gesù promise ai suoi Apostoli di non lasciarli orfani e di mandare loro il Consolatore. Questa promessa si realizzò il giorno della Pentecoste, quando lo Spirito Santo discese sulla Chiesa nascente, ovvero sugli Apostoli e Maria riuniti nel Cenacolo. Per questo motivo, la Pentecoste è la festa della fondazione della Chiesa.
Lo Spirito Santo era sceso sulla Vergine Maria, a Nazareth, per l'Incarnazione del Figlio di Dio; il giorno della Pentecoste discese invece per la formazione del Corpo Mistico di Cristo che è la Chiesa. La prima discesa era avvenuta nel silenzio e nel nascondimento; la seconda effusione dello Spirito Santo avvenne invece «come vento che si abbatte impetuoso» (At 2,2) e «come lingue di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» (v. 3). In ambedue le manifestazioni dello Spirito Santo è presente Maria, la quale è la Madre di Cristo ed è la Madre della Chiesa.
La scena della discesa dello Spirito Santo a Pentecoste è descritta dal capitolo secondo degli Atti degli Apostoli. Colpisce profondamente un particolare: prima di allora, gli Apostoli erano timorosi e non osavano predicare apertamente alle folle; ma, dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo, essi parlarono liberamente e con coraggio a tutti quelli che incontravano. Gerusalemme era piena di pellegrini ebrei, provenienti dalle più diverse parti del mondo allora conosciuto, in occasione della festività di Pentecoste. Ciascuno di loro udì gli Apostoli parlare nella propria lingua. Dio volle così contraddistinguere la discesa dello Spirito Santo con il dono delle lingue, per far comprendere che il messaggio del Vangelo doveva raggiungere gli estremi confini della terra.
Nella seconda lettura, l'apostolo Paolo mette in luce l'azione dello Spirito Santo nelle singole anime. In ogni anima la Terza Persona della Santissima Trinità produce un effetto diverso, unico e irripetibile. San Paolo afferma: «A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,7). Come l'acqua feconda tutte le piante, ma ciascuna di esse produce un frutto diverso, così è per i cristiani: tutti ricevono il medesimo Spirito, ma ognuno, in particolare, possiede un carisma diverso per il bene di tutta la Chiesa.
Questo brano di san Paolo ci deve far riflettere sull'azione che lo Spirito Santo esercita su di noi. Prima di tutto, il Paraclito ci arricchisce con i suoi sette Doni. Il primo Dono è la Sapienza, che ci permette di ragionare non secondo il mondo, ma secondo la profondità di Dio, e ci dona il gusto inesprimibile di Dio e delle realtà divine; poi abbiamo il Dono dell'Intelletto, che ci consente di approfondire le Verità della nostra fede e di aderire ad esse quasi per un istinto soprannaturale; segue poi il Dono della Scienza, che ci dà la capacità di risalire al Creatore partendo dalle creature e di vedere in ciascuna delle creature un riflesso di Dio; poi abbiamo il Dono del Consiglio, che, nei momenti più importanti, ci suggerisce la decisione giusta, secondo la Volontà di Dio, e, innanzitutto, ci suggerisce di ascoltare con docilità il consiglio di una saggia guida spirituale; vi è inoltre il Dono della Fortezza che ci dà l'energia per resistere al male che c'è intorno a noi e, tante volte, anche dentro di noi; in seguito, c'è il Dono della Pietà che perfeziona il nostro amore e lo dilata oltre l'umana ristrettezza, per poter così amare Dio e il prossimo nostro fino all'eroismo; infine, abbiamo il Dono del Timor di Dio, che ci consente di evitare il peccato, non tanto per paura dei castighi, ma per puro amor di Dio.
I Doni dello Spirito Santo li abbiamo ricevuti con la Cresima, ma sono come dei piccoli semi che devono essere irrigati dalla nostra preghiera per giungere a maturazione. Nella vita dei Santi possiamo vedere il loro pieno sviluppo. Questi sette Doni rimangono in noi se noi rimaniamo in Grazia di Dio. Con il peccato mortale li perdiamo, per riceverli nuovamente dopo una buona Confessione.
Oltre ai sette Doni, lo Spirito Santo elargisce i carismi, che sono propriamente la sua particolare manifestazione, unica e irripetibile, di cui parlava san Paolo nella seconda lettura. Questi carismi sono diversi in ciascun cristiano e sono dati per l'utilità comune. Sono come delle capacità che devono essere messe al servizio di tutti. Da questo si comprende quanto ogni fratello e ogni sorella sono preziosi agli occhi di Dio, perché da Lui hanno ricevuto una missione particolare da svolgere all'interno della Chiesa. Alla luce della preghiera, e dietro il consiglio di una buona guida spirituale, si riuscirà a discernere qual è questo particolare carisma da far fruttificare, per il bene comune.
Il Vangelo, infine, presenta l'apparizione di Gesù Risorto agli Apostoli durante la quale Egli effuse su di loro lo Spirito Santo, per la remissione dei peccati. Con questo dono, Gesù ha istituito il sacramento della Confessione e ha dato quindi alla Chiesa la facoltà di perdonare i peccati. Il peccato è il solo vero ostacolo che si frappone tra noi e Dio e ci impedisce di ricevere i benefici di Dio. Il peccato mortale ci toglie la vita di Grazia; il peccato veniale raffredda la nostra unione con Dio e ci rende come sordi e ciechi all'azione dello Spirito Santo che, continuamente, ci vuole richiamare e illuminare con le sue ispirazioni, e ci vuole arricchire con grazie particolari.
Da questo si capisce come, per il cristiano, è fondamentale opporsi al peccato, anche al più piccolo, per vivere nella pienezza dello Spirito Santo. Per questo motivo, accostiamoci con frequenza al sacramento della Confessione, memori delle parole che il Signore rivolse agli Apostoli: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,23).

Fonte: Il settimanale di Padre Pio

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