SCONTRI DI MUSULMANI CON LA POLIZIA METTONO A FERRO E FUOCO LA FRANCIA (TRA POCO IN ITALIA?)
È il fallimento del multiculturalismo: hanno creduto di importare manodopera, invece sono arrivati nordafricani musulmani che non vogliono integrarsi, ma conquistare (VIDEO: Prove generali di un'Italia islamizzata)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Blog di Nicola Porro
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L'IMMORALE IMPRESA DEL SOMMERGIBILE TITAN CONCLUSA IN TRAGEDIA
Qual è il confine tra spendersi legittimamente in una passione, anche pericolosa (tanti sport, anche non estremi, in fondo lo sono) e l'immorale corsa al rischio?
Autore: Roberto Marchesini - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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OSPEDALE CATTOLICO RISCHIA LA CHIUSURA PER NON AVER ESEGUITO UN INTERVENTO TRANSGENDER
Eppure la sterilizzazione di un paziente senza una patologia che la renda necessaria (ad esempio il cancro) e la rimozione di un organo sano, contrastano con la morale naturale
Autore: J.P. Mauro - Fonte: Aleteia
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LE LETTERE DI SANTA GIANNA BERETTA MOLLA
Madre di famiglia eroica che dette la vita per mettere al mondo la quarta figlia e moglie affettuosa come si può leggere nelle lettere al marito dove gli chiedeva di correggerla negli sbagli
Fonte: Santi e Beati
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PFIZER AMMETTE SENZA VERGOGNA L'AMARA VERITA': TREMILA MORTI DA VACCINO
Con il vaccino rischiavi la vita e la salute eppure il tribunale dei ministri, pur ammettendo che i lockdown erano inutili e dannosi, archivia le accuse di epidemia colposa per Conte e Speranza (VIDEO: Cieca giustizia)
Autore: Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
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UN ANNO DOPO LA STORICA SENTENZA DELLA CORTE SUPREMA: 60MILA ABORTI IN MENO
E intanto l'Onu vorrebbe dichiarare l'aborto un diritto umano (ecco cosa accade se non si basano i diritti sulla legge naturale bensì sulla dichiarazione universale dei diritti umani)
Fonte: Provita & Famiglia
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OMELIA XIV DOM. TEMPO ORD. - ANNO A (Mt 11,25-30)
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire
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SCONTRI DI MUSULMANI CON LA POLIZIA METTONO A FERRO E FUOCO LA FRANCIA (TRA POCO IN ITALIA?)
È il fallimento del multiculturalismo: hanno creduto di importare manodopera, invece sono arrivati nordafricani musulmani che non vogliono integrarsi, ma conquistare (VIDEO: Prove generali di un'Italia islamizzata)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Blog di Nicola Porro, 3 Luglio 2023
«Che bella la società multietnica!», cinguettava giuliva anni fa un’ochetta del giornalismo che aveva appena visto Guerre Stellari. Invece, malgrado i patetici tentativi degli spot pubblicitari di mostrarci un mondo interrazziale felice, malgrado Hollywood che sempre più spesso infila coppie miste con figli mulatti nei copioni, malgrado la felicità artificiale della pizza e della Coca-Cola, malgrado l’inclusione di africani pure nella Primavera di Botticelli, la realtà, quella vera, è la Francia di questi giorni. Perché le sue città sono esplose per la morte di un maghrebino pluripregiudicato? Qual è il segnale che si vuole dare: se tocchi uno di noi scoppia la guerra? Ed è lo stesso segnale inaugurato nei soliti Usa: se tocchi un black si scatena l’inferno. Mica per protestare contro un sistema che permette a quattro gatti di essere più ricchi di Dio mentre tutti gli altri sopravvivono coi sussidi o sotto i ponti, no. A New York ci sono centomila senzatetto. Sì, avete letto bene, centomila. Cioè, una città delle dimensioni di Piacenza vive per strada nella capitale del mondo ex cristiano. I Love N.Y. Sì, sui cappellini e le magliette, laddove i sondaggi dicono che chi può se ne scappa. A San Francisco, la capitale del woke, è anche peggio, con in più un intero quartiere di soli tossici. Gli americani fanno la rivoluzione per questo stato di cose? Macché, la fanno se un poliziotto, pur nero, spara a un delinquente nero. In Francia non sanno più dove reclutare poliziotti perché l’emorragia per dimissioni è inarrestabile, e aumenta di anno in anno. In Francia hanno creduto di importare manodopera, invece sono arrivati nordafricani musulmani. Il livello culturale che sta dietro alle rivolte delle banlieues francesi (ma anche americane e svedesi e olandesi e del resto d’Europa) lo si vede quando si contano i danni: i negozi più saccheggiati sono quelli della Nike, ed è tutto dire. Ma dov’erano i sociologi quando il progetto mondiale svuotaTerzoMondo è stato varato? Non lo sapevano che ogni immigrato tende a insediarsi dove già ci sono altri del suo paese? Da qui le varie Chinatown, Harlem nero e Harlem ispanico, le banlieues, i quartieri islamici eccetera. Avete mai visto il film Colors con Sean Penn e Robert Duvall? È del 1988, cioè di quasi quarant’anni fa, ma mostrava quella che già allora per gli americani era una regola: un bianco che entra in un quartiere nero lo fa a suo rischio e pericolo. Bel colpo. Povera Francia, lei e la sua grandeur. Chi pagherà gli immensi danni, adesso? Chi li ha provocati? Seeeh! Sarà il solito popolo bue, a cui avevano promesso che l’immigrazione avrebbe rimpinguato le pensioni. Guardatele bene, le immagini francesi, perché tra breve toccherà a noi. E lasciate perdere i giochetti sul ministro che irrideva la Meloni sull’immigrazione e invece dovrebbe guardare in casa sua. Sì, perché neanche la Meloni è in grado di risparmiarci un futuro francese prossimo, molto prossimo. Un tempo l’Impero Romano questi giovani testecalde in eccesso li arruolava di forza nelle legioni e li mandava a difendere il limes. Solo che il Senato Romano non aveva al suo interno comunisti, pentastellati e preti di strada.
Nota di BastaBugie: Lorenza Formicola, nell'articolo seguente dal titolo "17enne ucciso da un agente: la Francia è tutta una banlieue" parla del 17enne, già noto alle forze dell'ordine, ucciso da un agente e tutto quello che è seguito. Ora il clima di violenza, anche giovanile, divampa senza freni. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 30 giugno 2023: È un caos di auto in fiamme, incendi dei palazzi delle istituzioni, strade occupate per interdire il traffico di tram ed autobus - alcuni dei quali bruciati completamente -, petardi lanciati contro le forze dell'ordine, bande in passamontagna e armate di fucile, la Francia di Macron la mattina del 29 giugno. In una sola notte sono state arrestate 150 persone e mentre scriviamo il bilancio degli ufficiali feriti sale a 130 e la devastazione è ovunque. A scatenare i disordini violenti è stata la diffusione sui social di un video che ritrae un agente, la mattina del 27 giugno, a Nanterre - periferia ovest di Parigi - mentre spara e uccide un 17enne, che, alla guida di un'auto, si rifiuta di fermarsi ad un posto di blocco. Adesso, l'ufficiale è in arresto e contro di lui è stata aperta un'inchiesta per omicidio colposo. Il fatto di cronaca fa particolarmente discutere anche perché, nel 2017, la Francia, in seguito agli attentati di Nizza, ha approvato una legge che consente l'uso delle armi alle forze dell'ordine in casi di «assoluta necessità e in materia strettamente proporzionata», e al di fuori della legittima difesa, il che autorizza la polizia a sparare di più. Nahel, il 17enne che ha perso la vita mentre guidava senza patente, era già noto alle forze dell'ordine: cinque rifiuti di fermarsi ad un posto di blocco - l'ultimo solo la settimana prima di perdere la vita - e dodici arresti per reati vari tra cui spaccio di droga. Uno dei primissimi a commentare i fatti è stato proprio Macron: «niente giustifica la morte di un giovane: è imperdonabile». Condannando immediatamente il poliziotto, il Presidente non ha lasciato che fosse la giustizia a dare sentenze. È il solito tranello in cui cade ancora la Francia: in nome dell'emozione si dimentica di condannare la violenza indifendibile. E sebbene per due giorni anche la stampa internazionale ha provato a scagionare il ragazzino, la ricostruzione del pubblico ministero di Nanterre ha confermato la versione degli agenti. Avevano provato a fermare la Mercedes, con targa polacca, che Nahel guidava senza patente a gran velocità, e con la quale aveva già provato ad investire pedoni e ciclisti, per ben due volte prima dello scontro, poi fatale, con gli ultimi due agenti. A Nanterre, capoluogo del dipartimento Hauts-de-Seine, è difficile trovare un ragazzo che non sia mai stato fermato o posto in custodia dalla polizia. Un territorio fortemente interessato dall'immigrazione, che oggi è il 25,5% della popolazione, e che già nel 1981 era oggetto di attenzione per il dilagare di delinquenza, spaccio di droghe e immigrati allo sbando. È bastato poco così che la morte del ragazzino innescasse un'ondata di proteste violentissime nella banlieue di Nanterre, - non meno di 1.200 uomini sono stati mobilitati per ristabilirvi l'ordine solo il primo giorno. E in un baleno la rabbia è divampata in diversi distretti dell'Île-de-France - dove la strategia di riconquista repubblicana portata avanti da Emmanuel Macron dal 2017 tarda a dare i suoi frutti - e poi in lungo e largo nel Paese. Così, mentre il municipio di Mantes la-Jolie era ostaggio di molotov, bande incappucciate hanno effettuato incursioni contro la polizia e gli edifici pubblici ad Asnières, Colombes e persino a Clichy-sous-Bois. Anche Parigi non è stata risparmiata, con incendi e lanci di proiettili registrati nel 20° e 15° arrondissement. I rischi di contagio sono stati presi molto sul serio dagli analisti del ministero dell'Interno, ma nessuno è riuscito a fermarli. E così che in una notte la realtà ha assunto le sembianze di uno scenario uscito da Netflix. A Garges-lès-Gonesse, Val-d'Oise, nella periferia parigina, il municipio è stato incendiato completamente. A Lione, e nei comuni del suo agglomerato, la polizia è stata bersaglio di fuochi d'artificio. A Villeurbanne il lancio di petardi contro un palazzo ha provocato la distruzione di almeno trentacinque appartamenti. Secondo il sindaco di Lione, in città sono stati in tantissimi a rivoltarsi contro la polizia. Sono state ben 25 le stazioni distrutte in una notte in varie località. A Bezons, Val-d'Oise, i saccheggiatori hanno dato fuoco ad una scuola elementare. Approfittando dei disordini, s'è tentato anche di far evadere alcuni detenuti dal carcere di Fresnes. Il ministro della giustizia, Éric Dupond-Moretti, è andato subito a far visita al carcere preso d'assalto: «Tutti quelli che sputano sulla polizia e sulla giustizia sono i complici morali di quello che sta succedendo». Per tutta la giornata di giovedì 29 giugno, le opposizioni di destra del Paese hanno chiesto l'istituzione dello stato di emergenza, e alcuni sindaci l'hanno adottato in autonomia nella serata di ieri fino a lunedì prossimo. Lo schema di queste rivolte è il solito degli ultimi trent'anni. «Spesso la sorgente è un intervento della polizia che finisce male. Poi, un sospetto di errore che genere un sentimento di ingiustizia che alimenta a sua volta una reazione di vendetta e rivolta. Per esperienza, la violenza urbana dura tre notti. In più, le celebrazioni dell'Eid - la festa musulmana del sacrificio ndr - condizionerà il ritmo degli eventi», dice al Le Figaro, il noto criminologo francese Alain Bauer. Anche Manuel Valls, l'ex primo ministro socialista della presidenza Hollande, ha voluto dire la sua: «Parlare di "americanizzazione della polizia", di "polizia razzista", di "polizia che uccide" è abietto.Senza nemmeno attendere la minima conclusione legale, una parte della sinistra sta lanciando una vera e propria vendetta contro la polizia. Vorrei leggere la stessa indignazione quando gli agenti di polizia vengono uccisi». E ancora, «i ribelli e i Verdi usano eventi drammatici per diffondere l'odio contro le forze dell'ordine». Quella forza di pubblico sicurezza che solo nel 2022 ha assistito a dimissioni a cascata: 10.840 agenti hanno lasciato, ovvero il 33% in più che negli ultimi quattro anni. Nel pomeriggio di ieri, c'è stata anche una "marcia bianca" guidata dalla madre del ragazzo, che ha invaso Naterre con circa 6000 persone che indossavano magliette con su scritto "giustizia per Nahel", "poliziotto assassino" e "la polizia ammazza". E da manifestazione pacifica, come era stata annunciata, è degenerata immediatamente in scontri e ancora tante auto incendiate. La morte di Nahel lancerà la Francia in una guerra civile? Per l'ex ministro della Giustizia Rachida Dati, il Paese è una pentola a pressione. Intanto la Francia si blinda, polveriera in attesa della scintilla.
VIDEO: PROVE GENERALI DI UN'ITALIA ISLAMIZZATA Nel seguente video dal titolo "Prove generali di un'Italia islamizzata" (durata: 4 minuti) si può vedere quando nel 2009 i musulmani occuparono con la loro preghiera il sagrato della cattedrale di Milano e della chiesa di San Petronio a Bologna. Un'azione dall'evidente valore politico. Con quella forte azione simbolica, molto probabilmente coordinata nelle varie città, il mondo islamico volle lanciare un segnale forte e chiaro: i vostri tradizionali luoghi di preghiera sono nostri, sul territorio di Allah. Alla fine del video viene spiegato come mai dal punto di vista musulmano l'islam è davvero una religione di pace. Però dal loro punto di vista.
https://www.youtube.com/watch?v=5KpjtrwP9jo
Fonte: Blog di Nicola Porro, 3 Luglio 2023
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L'IMMORALE IMPRESA DEL SOMMERGIBILE TITAN CONCLUSA IN TRAGEDIA
Qual è il confine tra spendersi legittimamente in una passione, anche pericolosa (tanti sport, anche non estremi, in fondo lo sono) e l'immorale corsa al rischio?
Autore: Roberto Marchesini - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23-06-2023
Parliamo del sommergibile Titan e di alcune domande che questa vicenda, conclusasi tragicamente, suscita: qual è il confine tra spendersi legittimamente in una passione, anche pericolosa (tanti sport, anche non estremi, in fondo lo sono) e l'immorale corsa al rischio? Quale il confine tra il pioniere o l'esploratore e l'irresponsabile che gioca con la vita? Come al solito, la prenderemo larga. Come non manca di sottolineare il giornalista cattolico Vittorio Messori, una caratteristica del cattolicesimo è l'et-et. Lo testimonia, ad esempio, la definizione tomista di verità: adaequatio rei et intellectus, cioè corrispondenza tra realtà e intelletto; non corrispondenza dell'intelletto alla realtà (materialismo) oppure della realtà all'intelletto (idealismo). Ogni volta che questo equilibrio si spezza, il pensiero scivola verso un estremo o l'altro. Allo stesso modo, la virtù è il giusto mezzo tra due estremi, cioè i vizi. La nostra società ama gli estremi e, spesso, in modo dicotomico, considera solo quelli ignorando il giusto mezzo. Ad esempio: «Tu sei per l'accanimento terapeutico o per l'eutanasia?» Per nessuno dei due: tra i due estremi (entrambi vizi) c'è una infinita gamma di possibilità che, tuttavia, nessuno considera. Questo vale anche per la vita umana e la salute corporea.
UNA SOCIETA' CHE AMA GLI ESTREMI Perso l'equilibrio virtuoso nei confronti di questi concetti, la nostra società tende a scivolare verso l'assolutizzazione della vita terrena e del corpo; dimenticando che la vita e il corpo non son un fine, ma un mezzo per raggiungere la vita eterna. San Tommaso addita questo atteggiamento come un vizio: è la prudenza della carne. Consiste nell'essere prudenti, ma... per il bene del corpo, e non dell'anima. Chi non fa attività sportiva per paura di farsi del male; chi non difende l'innocente o il debole per paura di essere ferito; chi preserva in modo eccessivo il proprio corpo, invece di usarlo per compiere il bene, coltiva questo vizio contrario alla vera prudenza. Preserviamo il nostro corpo... per cosa? Un vero e proprio atto di ribellione alla prudenza della carne è contenuto in un discorso che il protagonista del film Braveheart (Mel Gibson, 1995) pronuncia sul campo di battaglia: «Certo, chi combatte può morire, chi fugge resta vivo, almeno per un pò... Agonizzanti in un letto fra molti anni da adesso, siete sicuri che non sognerete di barattare tutti i giorni che avrete vissuto a partire da oggi, per avere l'occasione, solo un'altra occasione di tornare qui sul campo ad urlare ai nostri nemici che possono toglierci la vita, ma non ci toglieranno mai la libertà?». Così il Catechismo della Chiesa Cattolica: «Se la morale richiama al rispetto della vita corporea, non ne fa tuttavia un valore assoluto. Essa si oppone ad una concezione neo-pagana, che tende a promuovere il culto del corpo, a sacrificargli tutto, a idolatrare la perfezione fisica e il successo sportivo» (§ 2289). Il corpo e la salute vanno, invece, consumati nello sforzo di conquistare il Paradiso. Come dice un proverbio polacco: «È un peccato mettere nella bara degli organi sani»! Certo, ma per un fine che sia buono e importante (e la vita eterna lo è certamente).
VITA E SALUTE SONO UN BENE PREZIOSO L'alternativa moderna alla prudenza della carne non è la virtù, ma un altro vizio: la temerarietà. La temerarietà consiste nel gettarsi a capofitto in una impresa senza valutare bene i reali rischi che essa comporta. Il vizio, in questo caso, non consiste nel considerare un bene assoluto vita e salute ma, al contrario, nel considerarli con leggerezza. Vista l'importanza del fine per cui ci sono stati dati, essi vanno considerati un bene prezioso, da spendere ma in modo oculato; non gettati via in modo sconsiderato. In questo caso, il criterio è la proporzione tra i rischi e il fine. Infatti, «La legge morale vieta tanto di esporre qualcuno ad un rischio mortale senza grave motivo» (CCC, § 2269). Per carità, gli incidenti (anche mortali) capitano; ma sono imprevisti; oppure sono previsti, ma si sono prese tutte le precauzioni possibili per evitarli e tutte le possibili vie d'uscita. Così ci si comporta nello sport o nelle esplorazioni. Chi pratica uno sport potenzialmente rischioso come l'alpinismo senza l'attrezzatura idonea, senza avvertire dell'escursione e senza dotarsi di dispositivi di sicurezza è uno sconsiderato e si comporta in modo moralmente inaccettabile; anche perché gli eventuali soccorritori rischierebbero la vita per trarlo d'impaccio. Torniamo dunque al Titan: in questa tragica vicenda sono mancati entrambi i criteri di cui sopra. Non c'era un fine talmente importante (salvare vite umane, compiere indagini ed esplorazioni scientifiche...) per inabissarsi con quel sottomarino; quanto motivi che appaiono, per quanto ne sappiamo, abbastanza futili: vedere da vicino il relitto del Titanic, avere qualcosa di unico da raccontare agli amici, vivere un'esperienza limite... È mancata anche - sempre per quel che ne sappiamo - una attenta considerazione dei rischi: queste persone si sono immerse a una profondità di quattromila metri con un mezzo progettato per milletrecento; senza alcuna certificazione di sicurezza o idoneità; e con precedenti problemi di affidabilità. Nonostante lo sconcerto per la tragedia, quindi, dobbiamo concludere che si è trattato di una impresa sconsiderata e moralmente non accettabile.
Nota di BastaBugie: di tutt'altro tenore l'impresa di Felix Baumgartner che era il frutto di anni di preparazione e di un team che ne ha seguite tutte le fasi. Ecco il link all'articolo del lancio da molti record mondiali.
TI SARESTI BUTTATO DA 39 CHILOMETRI IN CADUTA LIBERA PER 50 MILIONI DI EURO? Dieci anni fa i record di Felix Baumgartner, lautamente sponsorizzato da Red Bull: maggiore altezza, velocità massima e... il maggior ascolto in tv (59%) e su YouTube con 8 milioni in diretta (VIDEO: La caduta libera da 39km) di Emanuele Venturoli https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7281
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 23-06-2023
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OSPEDALE CATTOLICO RISCHIA LA CHIUSURA PER NON AVER ESEGUITO UN INTERVENTO TRANSGENDER
Eppure la sterilizzazione di un paziente senza una patologia che la renda necessaria (ad esempio il cancro) e la rimozione di un organo sano, contrastano con la morale naturale
Autore: J.P. Mauro - Fonte: Aleteia, 18/01/23
Un ospedale che segue le linee guida del National Catholic Bioethics Center (NCBC) si è ritrovato in acque turbolente per aver rifiutato di eseguire un'isterectomia a un individuo transgender. Un giudice distrettuale federale ha stabilito che il rifiuto di rimuovere l'organo, sano, rappresentava una discriminazione sessuale. L'isterectomia era ritenuta necessaria dal medico del paziente per curare la disforia di genere. Secondo The Hill, il caso ha come protagonista Jesse Hammonds, un paziente transgender di 33 anni - biologicamente donna che ha avviato la transizione verso il sesso maschile. L'isterectomia era stata fissata per il 6 gennaio 2023, ma l'intervento è stato cancellato quando il chirurgo è stato informato del fatto che l'obiettivo era il cambio di genere. Le politiche cattoliche dell'ospedale non permettono questo tipo di interventi. Il caso è particolarmente complicato per via del rapporto tra l'ospedale, tecnicamente una struttura pubblica, e la Chiesa. Il St. Joseph Medical Center di Towson (Maryland, Stati Uniti) era originariamente un ospedale cattolico, poi acquisito dallo University of Maryland Health System. National Review indica che le condizioni dell'acquisto richiedevano che l'ospedale operasse sotto la guida del NCBC. Le linee guida includono in particolare due princìpi dell'etica dell'assistenza sanitaria cattolica: uno proibisce la sterilizzazione di un paziente in assenza di una patologia che la renda necessario (ad esempio il cancro), l'altro impedisce la rimozione di un organo sano: "Il cambio di genere di qualsiasi tipo è intrinsecamente disordinato perché non può conformarsi al vero bene della persona umana, che è un'unione di corpo e anima creata in modo inalterabile maschio o femmina. Il cambio di genere non dovrebbe mai essere eseguito, incoraggiato o affermato positivamente come un bene nell'assistenza sanitaria cattolica. Questo include interventi, somministrazione di ormoni cross-sex o di sostanze per bloccare la pubertà, e modifiche sociali o comportamentali". Secondo la CNA, la decisione del giudice del tribunale distrettuale Deborah K. Chasanow ha criticato le linee guida del NCBC ritenendole intrinsecamente discriminatorie. La sentenza ha fatto preoccupare i sostenitori della bioetica cattolica per l'ipotesi che le argomentazioni usate in questo caso possano essere impiegate contro gli ospedali cattolici. "Il grande pericolo è che gli ospedali cattolici vengano costretti e legalmente attaccati per il fatto di non offrire interventi transgender", ha dichiarato alla CNA il presidente del NCBC, Joseph Meaney. "In questo caso devono difendersi in tribunale. Devono sostenere i loro diritti alla libertà religiosa e i diritti di coscienza, e questo è ovviamente difficile e molto costoso. Alla fine, potrebbero perfino dover chiudere". Meaney ha sottolineato l'importanza di permettere agli ospedali cattolici di continuare a offrire il proprio servizio in base ai dettami della coscienza e ai diritti di coscienza dei pazienti, e ha suggerito che gli interventi transgender obbligatori potrebbero distruggere l'assistenza sanitaria cattolica. The University of Maryland St. Joseph Medical Center ha affermato che sta analizzando la decisione. Non ha affermato espressamente che ricorrerà in appello, ma ha dichiarato che "mette in discussione molte delle conclusioni raggiunte in questa sentenza".
Fonte: Aleteia, 18/01/23
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LE LETTERE DI SANTA GIANNA BERETTA MOLLA
Madre di famiglia eroica che dette la vita per mettere al mondo la quarta figlia e moglie affettuosa come si può leggere nelle lettere al marito dove gli chiedeva di correggerla negli sbagli
Fonte Santi e Beati
Gianna Beretta Molla nacque a Magenta (Milano), nella casa di campagna dei nonni paterni, da genitori profondamente cristiani, entrambi Terziari francescani, il 4 ottobre 1922, festa di San Francesco d'Assisi, e l'11 ottobre, nella Basilica di San Martino, ricevette il S. Battesimo con il nome di Giovanna Francesca. Era la decima di tredici figli, cinque dei quali morirono in tenera età e tre si consacrarono a Dio: Enrico, medico missionario cappuccino a Grajaù, in Brasile, col nome di padre Alberto; Giuseppe, sacerdote ingegnere nella diocesi di Bergamo; Virginia, medico religiosa canossiana missionaria in India. La famiglia Beretta visse sino al 1925 a Milano, in Piazza Risorgimento n.10; durante i 18 anni della sua residenza milanese, frequentò assiduamente la Chiesa dei Padri Cappuccini in Corso Monforte. Nel 1925, dopo che l'influenza spagnola si era portata via tre dei cinque figli che morirono in tenera età, e a seguito di un principio di tubercolosi della sorella maggiore Amalia, di sedici anni, la famiglia si trasferì a Bergamo in Borgo Canale n.1, dove l'aria di collina era più salubre. Il papà di Gianna, Alberto, nato come lei a Magenta, era impiegato al Cotonificio Cantoni, e fece enormi sacrifici perché tutti i figli potessero studiare sino alla laurea, riducendo tutte quelle spese che riteneva essere spese inutili, come quando, di punto in bianco, smise di fumare il suo sigaro. Uomo dalla fede profonda, dalla pietà sincera, convinta e gioiosa, fu loro di grande esempio cristiano: ogni giorno si alzava alle 5 per recarsi alla S. Messa ed iniziare così, davanti al Signore e nel Suo nome, la sua giornata di lavoro. Anche la mamma, Maria De Micheli, nata a Milano, era donna dalla fede profonda, dall'ardente spirito di carità, dal carattere umile e al tempo stesso forte, fermo e deciso. Si recava anch'ella ogni giorno alla S. Messa, insieme ai suoi figlioli, dopo che il marito era partito per raggiungere con il treno, a Milano, il suo posto di lavoro. Mamma Maria si occupò di ciascun figlio come se ne avesse avuto uno solo; correggeva i suoi figlioli aiutandoli a capire i loro sbagli e talvolta bastava il solo sguardo. Fu loro sempre vicina: imparò persino il latino e il greco per seguirli meglio negli studi.
LA GIOVINEZZA Gianna, sin dalla prima giovinezza, accolse con piena adesione il dono della fede e l'educazione limpidamente cristiana che ricevette dai suoi ottimi genitori, che con vigile sapienza la accompagnarono nella crescita umana e cristiana e la portarono a considerare la vita come un dono meraviglioso di Dio, ad avere una fiducia illimitata nella Divina Provvidenza, ad essere certa della necessità e dell'efficacia della preghiera. Fu da loro educata all'essenziale, alla sensibilità verso i poveri e le missioni, secondo lo stile francescano. Immersa in questa atmosfera familiare di grande fede e amore per il Signore, Gianna ricevette la sua Prima Comunione a soli cinque anni e mezzo, il 4 aprile 1928, nella Parrocchia Prepositurale di Santa Grata a Bergamo Alta. Da quel giorno andò con la mamma tutte le mattine alla Messa: la S. Comunione divenne "il suo cibo indispensabile di ogni giorno", sostegno e luce della sua fanciullezza, adolescenza e giovinezza. Il 9 giugno 1930 ricevette la S. Cresima nel Duomo di Bergamo. Crebbe serena, prodigandosi per i fratelli e le sorelle, senza mai stare in ozio: amava tutte le cose belle, la musica, la pittura, le gite in montagna. In quegli anni non le mancarono prove, sofferenze e difficoltà, che però non produssero traumi o squilibri in Gianna, data la ricchezza e la profondità della sua vita spirituale, ma anzi ne affinarono la sensibilità e ne potenziarono la virtù. Nel gennaio 1937 morì la sua carissima sorella Amalia, all'età di 26 anni, e la famiglia si trasferì a Genova Quinto al Mare, città che era anche sede universitaria e favoriva, così, lo stare tutti insieme, come era sempre stato desiderio di papà Alberto. Qui Gianna si iscrisse alla 5ª ginnasio presso l'Istituto delle Suore Dorotee. Negli anni della residenza genovese, Gianna maturò profondamente la sua vita spirituale. Durante un corso di S. Esercizi Spirituali, predicato per le alunne della scuola delle Suore Dorotee dal Padre Gesuita Michele Avedano nei giorni 16-18 marzo 1938, Gianna, a soli quindici anni e mezzo, fece l'esperienza fondamentale e decisiva della sua vita. Di questi Esercizi è rimasto il quadernetto, di trenta paginette, di Ricordi e Preghiere di Gianna, tra i cui propositi si legge: "Voglio temere il peccato mortale come se fosse un serpente; e ripeto di nuovo: mille volte morire piuttosto che offendere il Signore". E tra le sue preghiere: "O Gesù ti prometto di sottomettermi a tutto ciò che permetterai mi accada, fammi solo conoscere la tua Volontà...". Contribuì in modo determinante a far maturare in pienezza il cammino spirituale di Gianna anche l'azione pastorale dell'ottimo Parroco di Quinto al Mare, il noto liturgista Mons. Mario Righetti: egli, che divenne suo direttore spirituale, l'ebbe attiva collaboratrice nell'Azione Cattolica come delegata delle Piccolissime, e le inculcò l'amore alla liturgia, che fu per lei una fonte di vita spirituale; proprio a Genova ella acquistò il messale quotidiano del Caronti, che usò ogni giorno. Finita la quinta ginnasiale, i genitori di Gianna credettero bene farle sospendere le scuole per un anno affinchè rinforzasse la sua delicata costituzione, e lei si sottomise docilmente, passando così un anno in dolce compagnia dei genitori, contenta di avere l'occasione di conoscerli maggiormente per poter poi imitare sempre più le loro virtù. Nell'ottobre 1939 riprese gli studi, frequentando il liceo classico nell'Istituto delle Suore Dorotee di Lido d'Albaro. I bombardamenti su Genova provarono molto mamma Maria, già debole di cuore, e così la famiglia, nell'ottobre 1941, ritornò a Bergamo, nella casa dei nonni materni a San Vigilio. Fu qui che Gianna, proprio nell'anno della maturità classica, perse entrambi i genitori, a poco più di quattro mesi di distanza l'una dall'altro, prima la mamma, il 29 aprile 1942, all'età di 55 anni, e poi il papà, il 10 settembre, all'età di 60 anni.
LA MATURITÀ Dopo la morte dei genitori, nell'ottobre 1942 Gianna ritornò, con tutti i fratelli e le sorelle, a Magenta, nella casa dove era nata. Nel novembre dello stesso anno si iscrisse e frequentò la Facoltà di Medicina e Chirurgia, prima a Milano e poi a Pavia, dove si laureò il 30 novembre 1949. Negli anni dell'università fu giovane dolce, volitiva e riservata, e andò sempre più affinando la sua spiritualità: quotidianamente ella partecipava alla S. Messa e alla S. Comunione, nel Santuario dell'Assunta nei giorni feriali, faceva la Visita al SS. Sacramento e la meditazione, recitava il S. Rosario. Furono questi gli anni in cui, insieme alle sorelle Zita e Virginia, Gianna si inserì nella vita della comunità parrocchiale di San Martino, offrendo la propria collaborazione al Parroco, Mons. Luigi Crespi, e lavorando intensamente nell'educazione della gioventù nell'Oratorio delle Madri Canossiane, che divenne la sua seconda casa. Mentre si dedicava con diligenza agli studi di medicina, tradusse la sua grande fede in un impegno generoso di apostolato tra le giovani nell'Azione Cattolica e di carità verso i vecchi e i bisognosi nelle Conferenze delle Dame di San Vincenzo, sapendo che "a Dio piace chi dona con entusiasmo" (2 Cor. 9,7): amava Dio e desiderava e voleva che molti lo amassero. L'impressione che lasciava è riassunta da una sua compagna di liceo: "Gianna donava il suo sorriso aperto, pieno di dolcezza e di calma, riflesso della gioia serena e profonda dell'anima in pace". Dopo la laurea in Medicina, il 1 luglio 1950 Gianna aprì un ambulatorio medico INAM a Mesero, mentre a Magenta continuò a sostituire, al bisogno, il fratello medico Ferdinando. Si specializzò in Pediatria a Milano il 7 luglio 1952, e predilesse, tra i suoi assistiti, poveri, mamme, bambini e vecchi. Mentre compiva la sua opera di medico, che sentiva e praticava come una missione, premurosa di aggiornare la sua competenza e di giovare al corpo e all'anima della sua gente, accrebbe il suo impegno generoso nell'Azione Cattolica, prodigandosi per le "giovanissime", e, al tempo stesso, continuò a sfogare con la musica, la pittura, lo sci e l'alpinismo la sua grande gioia di vivere e di godersi l'incanto del creato. Si interrogava, pregando e facendo pregare, sulla sua vocazione, che considerava anch'essa un dono di Dio, perché: "Dal seguire bene la nostra vocazione dipende la nostra felicità terrena ed eterna." Le lettere del fratello padre Alberto, che parlavano del lavoro cui doveva far fronte da solo ogni giorno, maturarono in lei la specifica vocazione missionaria e la decisione di raggiungerlo a Grajaù per aiutarlo. Ma la sua costituzione fisica non era robusta, e il suo direttore spirituale riuscì a convincerla che questa non era la sua strada. Gianna si rasserenò e attese che il Signore le desse un segno. L'8 dicembre 1954, in occasione della celebrazione della Prima Messa di padre Lino Garavaglia da Mesero, Gianna ebbe il suo primo incontro ufficiale con l'uomo della sua vita, l'ingegner Pietro Molla, dirigente della S.A.F.F.A., la famosa fabbrica di fiammiferi di Magenta, appartenente egli pure all'Azione Cattolica e laico impegnato nella sua parrocchia di Mesero; Gianna e Pietro erano stati entrambi invitati da padre Lino Garavaglia.
IL FIDANZAMENTO E IL MATRIMONIO Il fidanzamento ufficiale si tenne l'11 aprile 1955, lunedì di Pasqua, con la S. Messa celebrata da Don Giuseppe, fratello di Gianna, nella Cappella delle Madri Canossiane a Magenta. Gianna e Pietro vissero il loro amore alla luce della fede. "Carissimo Pietro...", gli scrisse Gianna nella sua prima lettera, il 21 febbraio 1955, "ora ci sei tu, a cui già voglio bene ed intendo donarmi per formare una famiglia veramente cristiana." "Ti amo tanto tanto, Pietro, - gli scrisse il 10 giugno 1955 - e mi sei sempre presente, cominciando dal mattino quando, durante la S. Messa, all'Offertorio, offro, con il mio, il tuo lavoro, le tue gioie, le tue sofferenze, e poi durante tutta la giornata fino alla sera". Gianna godette il periodo del fidanzamento, radiosa nella gioia e nel sorriso. Ringraziava e pregava il Signore. Era chiarissima nei suoi propositi e nelle progettazioni della nuova famiglia, e, al tempo stesso, era meravigliosa nel trasmettere a Pietro la sua grande gioia di vivere, nel chiedergli come doveva essere e ciò che doveva fare per renderlo felice, nell'invitarlo a ringraziare con lei il Signore per il dono della vita e di tutte le cose belle. Si preparò spiritualmente a ricevere il "Sacramento dell'Amore" con un triduo, S. Messa e S. Comunione, che propose anche al futuro marito: Pietro nella Chiesetta della Madonna del Buon Consiglio a Ponte Nuovo, lei nel Santuario dell'Assunta a Magenta. Pietro ringraziò Gianna del santo pensiero del Triduo, e lo accolse con tutto l'entusiasmo. Gianna e Pietro si unirono in matrimonio il 24 settembre 1955, nella Basilica di San Martino a Magenta. Si stabilirono a Ponte Nuovo, nell'accogliente villetta riservata alla famiglia del Direttore degli Stabilimenti S.A.F.F.A., a pochi metri di distanza dalla Chiesetta della Madonna del Buon Consiglio, dove Gianna si recò quotidianamente a pregare e a partecipare alla S. Messa. Nella piccola frazione di Ponte Nuovo Gianna, dal 1956, svolse con dedizione il compito di responsabile del Consultorio delle mamme e dell'Asilo nido facenti capo all'Opera Nazionale Maternità e Infanzia (O.N.M.I.), e prestò assistenza medica volontaria nelle Scuole Materna ed Elementare di Stato. Fu moglie felice, e il Signore presto esaudì il suo grande desiderio di diventare mamma più che felice di tanti bambini: il 19 novembre 1956 nacque Pierluigi, l'11 dicembre 1957 Maria Zita (Mariolina) e il 15 luglio 1959 Laura, tutti e tre nati nella casa di Ponte Nuovo. Gianna seppe armonizzare, con semplicità ed equilibrio, i suoi doveri di madre, di moglie, di medico a Mesero e a Ponte Nuovo, e la sua grande gioia di vivere. In questa armonia, continuò a vivere la sua grande fede, conformando ad essa il suo operare e ogni sua decisione, con coerenza e gioia. Nella comunione di vita e d'amore della famiglia, che la nascita dei figli aveva reso ancora più ampia ed impegnativa, Gianna si sentì sempre pienamente appagata.
IL MISTERO DEL DOLORE E LA FIDUCIA NELLA PROVVIDENZA Nel settembre 1961, verso il termine del secondo mese di una nuova gravidanza, Gianna fu raggiunta dalla sofferenza e dal mistero del dolore: si presentò un voluminoso fibroma, tumore benigno, all'utero. Prima dell'intervento operatorio di asportazione del fibroma, eseguito nell'Ospedale San Gerardo di Monza, pur ben sapendo il rischio che avrebbe comportato il continuare la gravidanza, supplicò il chirurgo di salvare la vita che portava in grembo e si affidò alla preghiera e alla Provvidenza. La vita fu salva. Gianna ringraziò il Signore e trascorse i sette mesi che la separavano dal parto con impareggiabile forza d'animo e con immutato impegno di madre e di medico. Trepidava e temeva anche che la creatura che portava in grembo potesse nascere sofferente e pregava Dio che così non fosse. Alcuni giorni prima del parto, pur confidando sempre nella Provvidenza, era pronta a donare la sua vita per salvare quella della sua creatura. "Mi disse esplicitamente" - ricorda il marito Pietro - "con tono fermo e al tempo stesso sereno, con uno sguardo profondo che non dimenticherò mai: Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete - e lo esigo - il bimbo. Salvate lui". Pietro, che conosceva benissimo la generosità di Gianna, il suo spirito di sacrificio, la ponderatezza e la forza delle sue scelte e delle sue decisioni, si sentì nell'obbligo di coscienza di doverle rispettare, anche se potevano avere conseguenze estremamente dolorose per lui e per i loro figli. Per Gianna la creaturina che portava in grembo aveva gli stessi diritti alla vita di Pierluigi, Mariolina e Laura, e lei sola, in quel momento, rappresentava, per la creaturina stessa, lo strumento della Provvidenza per poter venire al mondo; per gli altri figli, la loro educazione e la loro crescita, ella faceva pieno affidamento sulla Provvidenza attraverso i congiunti. La scelta di Gianna fu dettata dalla sua coscienza di madre e di medico e può essere ben compresa solo alla luce della sua grande fede, della sua ferma convinzione del diritto sacro alla vita, dell'eroismo dell'amore materno e della piena fiducia nella Provvidenza.
IL SACRIFICIO E IL DONO DELLA VITA Nel pomeriggio del 20 aprile 1962, Venerdì Santo, Gianna fu nuovamente ricoverata nell'Ospedale S. Gerardo di Monza, dove le fu provocato il parto, per espletarlo per vie naturali, ritenuta la via meno rischiosa, senza esito favorevole. Il mattino del 21 aprile, Sabato Santo, diede alla luce Gianna Emanuela, per via cesarea, e per Gianna iniziò il calvario della sua passione, che si accompagnò a quella del suo Gesù sul Monte Calvario. Già dopo qualche ora dal parto le condizioni generali di Gianna si aggravarono: febbre, sempre più elevata, e sofferenze addominali atroci per il subentrare di una peritonite settica. "Gianna", ricorda la sorella Madre Virginia, che, rientrata inspiegabilmente e provvidenzialmente dall'India potè assisterla nella sua agonia, "solo raramente svelava le sue sofferenze. Ha rifiutato ogni calmante per essere sempre consapevole di quanto avveniva e presente a se stessa. Non solo, ma per essere lucida nel suo rapporto con il suo Gesù, che costantemente invocava". "Sapessi quale conforto ho ricevuto baciando il tuo Crocifisso!", le disse Gianna, "Oh, se non ci fosse Gesù che ci consola in certi momenti!...". "Attingeva la forza del suo saper soffrire", ricorda ancora Madre Virginia, "dalla preghiera intima manifestata in brevi espressioni di amore e di offerta: "Gesù ti amo" - "Gesù ti adoro" - "Gesù aiutami" - "Mamma aiutami" - "Maria...", seguite da silenziose riflessioni". Nonostante tutte le cure praticate, le sue condizioni peggiorarono di giorno in giorno. Desiderò ricevere Gesù Eucaristico anche giovedì e venerdì: causa l'incoercibile vomito, con suo grande rincrescimento, per non mancare di rispetto al Signore, si accontentò di ricevere sulle labbra una minima parte dell'Ostia. Il fratello Ferdinando aveva accettato da Gianna l'incarico di avvisarla quando fosse giunto il momento della sua morte con una frase stabilita. Ferdinando non ebbe il coraggio di eseguirlo: ne incaricò Madre Virginia, che, al momento opportuno, disse a Gianna: "Coraggio, Gianna, Papà e Mamma sono in Cielo che ti aspettano: sei contenta di andarvi?" "Nel movimento del suo ciglio", ricorda Madre Virginia, "si potè leggere la sua completa e amorevole adesione alla Volontà Divina, anche se velata dalla pena di dover lasciare i suoi amati figli ancor tanto piccoli. Gianna, come il suo Gesù, si consegnò al Padre". All'alba del 28 aprile, Sabato in Albis, venne riportata, come da suo desiderio precedentemente espresso al marito Pietro, nella sua casa di Ponte Nuovo, dove morì alle ore 8 del mattino. Aveva solo 39 anni. I suoi funerali, celebrati nella Chiesetta di Ponte Nuovo, furono una grande manifestazione unanime di profonda commozione, di fede e di preghiera. Fu sepolta nel Cimitero di Mesero, dove riposa tuttora nella Cappella di famiglia, mentre rapidamente si diffuse la fama di santità per la sua vita e per il gesto di amore grande, incommensurabile, che l'aveva coronata.
Nota di BastaBugie: rilanciamo una lettera scritta da santa Gianna Beretta Molla all'allora fidanzato Pietro Molla, tratta dal libro "Lettere. Una storia di amore e di speranza", edizioni Cantagalli, e pubblicata sul sito del Timone il 3 luglio 2023. Ecco la lettera scritta da Santa Gianna il 9 aprile 1955 quando aveva appena ricevuto l'anello di fidanzamento: Mio carissimo Pietro, come ringraziarti del magnifico anello? Pietro caro, per ricompensarti, io ti dono il mio cuore e ti amerò sempre come ti amo ora. Penso che alla vigilia del nostro fidanzamento, ti faccia piacere sapere che tu sei per me la persona più cara, a cui sono continuamente rivolti i miei pensieri, affetti e desideri e non aspetto che il momento in cui potrò essere tua per sempre. Pietro carissimo, tu sai che è mio desiderio vederti e saperti felice; dimmi come dovrei essere e ciò che dovrei fare per renderti tale. Ho tanta fiducia nel Signore e son certa che mi aiuterà ad essere la tua degna sposa. Mi piace spesso meditare il brano dell'Epistola della Messa di S. Anna. «La donna forte chi la troverà?... Il cuore di suo marito può confidare in lei... non gli farà che bene, né mai gli recherà danno, per tutto il tempo della vita». Pietro, potessi essere per te la donna forte del Vangelo! Invece mi pare e mi sento debole. Vuol dire che mi appoggerò al tuo braccio forte. Mi sento così sicura vicino a te! Ti chiedo un favore, fin da oggi, Pietro. Se vedi che faccio qualcosa che non va bene, dimmelo, correggimi, hai capito? Te ne sarò sempre riconoscente. Con tanto tanto affetto ti abbraccio e ti auguro una Santa Pasqua tua Gianna
Fonte: Santi e Beati
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PFIZER AMMETTE SENZA VERGOGNA L'AMARA VERITA': TREMILA MORTI DA VACCINO
Con il vaccino rischiavi la vita e la salute eppure il tribunale dei ministri, pur ammettendo che i lockdown erano inutili e dannosi, archivia le accuse di epidemia colposa per Conte e Speranza (VIDEO: Cieca giustizia)
Autore: Paolo Gulisano - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 3 luglio 2023
La casa farmaceutica Pfizer negli scorsi giorni ha pubblicato un report, un corposo documento di circa 400 pagine, in cui ha elencato gli effetti avversi della vaccinazione anti covid-19 registrati sulla base delle segnalazioni spontanee dei danneggiati e dei medici. Si tratta della cosiddetta farmacovigilanza passiva, che si basa sulla spontaneità delle segnalazioni. La segnalazione spontanea dipende interamente dall'iniziativa e motivazione degli operatori sanitari o degli utilizzatori. I dati raccolti con questa metodica potrebbero essere dunque sottostimati, o perché gli operatori sanitari potrebbero avere non preso in considerazione i sintomi lamentati dal paziente, o per non aver voluto arbitrariamente messo in correlazione l'evento avverso con il vaccino oppure perché i pazienti stessi potrebbero essersi sentiti scoraggiati dal fare la segnalazione agli enti preposti per scarsa fiducia nel conseguente intervento. Oppure perché convinti da una martellante propaganda che il vaccino era assolutamente sicuro e non aveva alcun effetto collaterale. I dati, quindi, di una farmacovigilanza passiva sono anzitutto sottostimati rispetto alla realtà. Inoltre, il successo o il fallimento di qualsiasi attività di farmacovigilanza dipende dalla segnalazione di sospette reazioni avverse. Le metodiche applicate dalla farmacovigilanza sono destinate ad essere generatrici di ipotesi o di verifica delle ipotesi. I metodi, che generano ipotesi, hanno lo scopo ad esempio di rilevare le reazioni avverse inattese o l'aumento di frequenza di reazioni avverse attese, generando nuove informazioni che sono poi confermate dagli studi di verifica delle ipotesi, che servono a provare se i sospetti sollevati sono giustificati. Nel caso del Covid, tuttavia, ogni tentativo di formulare ipotesi e di sottoporle a verifica è stato sempre stroncato sul nascere. Eppure, c'erano dati su cui riflettere. Da un analogo report fatto lo scorso anno dall'Aifa, era emerso ad esempio, che l'età mediana delle persone in cui si è verificato un evento avverso è 48 anni. Un dato che rispecchia la preoccupante realtà percepita da molti operatori sanitari dei "malori improvvisi", degli accessi aumentati al Pronto Soccorso e così via. Prove indiziarie su cui non è stata ancora avviata una seria inchiesta. Potrebbe essere la volta buona con questo rapporto che viene dalla casa farmaceutica stessa? Ci sarebbe da augurarselo. Scorrere il Report Pfizer, per chi avesse la pazienza di farlo, è come percorrere una vera e propria Via Dolorosa. Pagina dopo pagina scorrono i numeri con le decine di migliaia di eventi avversi, che riguardano praticamente tutti gli organi e gli apparati del corpo umano. Migliaia di patologie infiammatorie, tra cui le miocarditi e le pericarditi di cui ormai tra gli addetti agli lavori si parla apertamente di "epidemia", ovviamente di origine misteriosa e inspiegabile. Scorri le pagine e dietro ai numeri pensi alle persone, a migliaia di vite compromesse. Che dire della voce "cecità", che riguarda 970 persone? Uomini e donne che erano andate per proteggersi da un virus respiratorio definito- contro ogni evidenza epidemiologica - assolutamente incurabile e letale, e che ora hanno perso la vista? E che significa poi la voce "complicazioni in gravidanza" che riguarda quasi 700 donne? Che ne sarà stato del loro bambino? Le cifre scorrono asettiche e fredde, e ci descrivono un periodo di osservazione di sei mesi, dal 19 dicembre 2021 al 18 giugno 2022. Erano i mesi in cui la propaganda spingeva a tutta forza per la vaccinazione, e dopo le iniziali categorie a rischio (sanitari, forze dell'ordine, insegnanti fragili e anziani) si era arrivati alla vaccinazione universale, utilizzando a scopi persuasivi ogni mezzo. L'elenco del report, infine, ci conduce ad una cifra che non può non fermare l'attenzione in modo drammatico: i morti. Il report Pfizer parla di 3000 decessi. Non dai complottisti, non dai negazionisti viene questa cifra terribile, ma dal produttore stesso del vaccino. Tremila persone che erano sane, che facevano la loro vita normale, e che non ci sono più, che hanno lasciato nelle loro famiglie un vuoto doloroso, e come facilmente immaginabile, inspiegabile. Si può morire per molti motivi e molte cause, ma è possibile morire di prevenzione? Perdere la vita per aver voluto prevenire una malattia che aveva un tasso di letalità di poco più del 2%, e che avrebbe potuto essere ancora più basso con le cure adeguate? Ma un altro aspetto che fa veramente male, e che in realtà questi eventi avversi e queste morti erano di fatto state previste e messe in conto. Nella massa enorme di comunicazioni, di notizie, di battage propagandistico, ci fu nell'estate del 2021 una dichiarazione televisiva di Fabrizio Pregliasco, uno dei grandi protagonisti della pandemia mediatica. Pregliasco nel programma "Stasera Italia" con Tiziana Panella faceva questa affermazione: "Vedo come elemento favorente la vaccinazione perché la vaccinazione vuol dire rischiare la propria vita, perché la vaccinazione ha degli eventi avversi, molto limitati, però quando la facciamo lo facciamo in un'ottica di solidarietà e di opportunità per i nostri familiari fragili, ma anche per la comunità". I dati del Report di Pfizer confermano ora che era proprio vero: la vaccinazione voleva dire rischiare la vita. E la salute. E per tali motivi non avrebbe dovuto essere obbligatoria, e coercitivamente obbligatoria. Ma colpiscono anche le motivazioni pseudo etiche e solidariste con cui si doveva andare a metterle a rischio: il bene della comunità. Era la versione laica della tristemente nota definizione vaticana: un atto d'amore. In realtà oggi le ricerche ci hanno dimostrato che questo "effetto protettivo" (ricordate l'Immunità di gregge?) non c'è stato. Alle persone accecate, o diventate cardiopatiche o neuropatiche o comunque danneggiate, non resta nemmeno questa consolazione di essere state private della salute per proteggere qualcun altro. Non sono martiri della solidarietà: sono vittime di danni collaterali.
Nota di BastaBugie:Andrea Zambrano nell'articolo seguente dal titolo "Ammissione-beffa dei giudici: lockdown inutili e dannosi" mette in evidenza che nonostante la sconcertante ammissione del tribunale dei ministri poi sono state archiviate le accuse di epidemia colposa a carico di Conte e Speranza. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 13 giugno 2023: Lockdown e zone rosse non salvano vite. La sconcertante ammissione arriva inaspettatamente dal Tribunale di Brescia che ha così archiviato il procedimento per epidemia colposa a carico dell'ex premier Giuseppe Conte e dell'ex ministro della Sanità Roberto Speranza. Si ricorderà che la tesi della Procura di Bergamo, che aveva mosso le indagini, partiva dalla morte di 57 persone per sostenere che la mancata istituzione tempestiva delle zone rosse di Alzano e Nembro aveva provocato quei decessi. Per sostenerlo, la Procura di Bergamo si era avvalsa dello studio matematico del professor Andrea Crisanti. Ma nell'archiviare la posizione di Conte e Speranza, il Tribunale di Brescia, riunito nel collegio per i reati ministeriali, ha ribaltato tutto, anche i dogmi che per tre anni sono stati sbandierati e giustificati e cioè che per uscire dal covid ci saremmo dovuti chiudere in casa. Del resto, la posta in gioco era rischiosa: o ammettere che Conte e Speranza erano stati lenti nell'attivare le zone rosse in Val Seriana, ma poi ritrovarsi con la contraddizione di vedere condannati nel piccolo della bergamasca gli "eroi" della pandemia, che nel grande chiusero l'Italia intera; oppure liberare i sospetti che gravavano su di loro, ma a quel punto, logica imponeva che si ammettesse che la zona rossa non avrebbe cambiato nulla. Il tribunale ha scelto la seconda strada e tutto questo è non soltanto clamoroso, ma sa anche di schiaffo perché con la stessa misura con la quale l'organismo giudicante ha rifiutato ogni nesso di causa tra le morti e le mancate chiusure, si può valutare l'inutilità dei lockdown che hanno fermato per due mesi l'Italia intera. Scrivono dunque i giudici alla fine del loro dispositivo: «Agli atti manca del tutto la prova che 57 persone indicate nell'imputazione, che sarebbero decedute per la mancata estensione della zona rossa, rientrino tra le 4.148 morti in eccesso che non ci sarebbero state se fosse stata attivata la zona rossa». Curioso che adesso che a parlare sono le carte bollate, il tribunale sia alla ricerca di un nesso di causa tra le morti e le mancate chiusure; e altrettanto curioso che debba concludere allargando le braccia perché questo nesso non c'è: «Il prof Crisanti ha compiuto uno studio teorico, ma non è stato in grado di rispondere circa il nesso di causa tra la mancata attivazione della zona rossa e la morte di persone determinate». E d'altra parte non poteva essere diversamente: però allo stesso modo con il quale per salvare Conte e Speranza si ammette che non può esserci un collegamento tra le morti e i mancati lockdown, allora bisogna riconoscere che questo collegamento non c'era neppure per giustificare la chiusura forzata del Paese terrorizzando i cittadini e raccontando loro che standocene chiusi in casa a cantare sui balconi, il virus sarebbe passato. Questo lo capimmo tutti dopo 15 giorni dato che il virus continuava a girare indisturbato nei mesi di marzo e aprile 2020, solo il Governo continuò a difendere la scelta. Ebbene, ciò che è beffardo è che per difendersi dalle accuse, in sostanza, lo Stato utilizzi proprio le argomentazioni di coloro che criticando i lockdown sono stati censurati, accusati delle peggiori nefandezze e boicottati come negazionisti no covid e no mask. Proseguono così i giudici: «La contestazione dell'omicidio colposo in relazione alla morte delle persone indicate in imputazione si basa quindi su una mera ipotesi teorica sfornita di ben che minimo riscontro». Perfetto, ma allora adesso bisogna ammettere che non c'era nessun riscontro che chiudendo gli italiani in casa, si sarebbe sconfitto il virus. Infatti, non contente, le toghe così concludono: «È noto, infatti, che la possibilità di contrarre il virus tramite contatti con persone infette non è mai stata esclusa neppure all'interno delle zone rosse». Noto a chi? Non è certo questa la narrazione che per tre anni è stata propagata dai governi che si sono susseguiti e cioè che le misure di lockdown fossero necessarie per uscire dalla pandemia, accanto alla vaccinazione forzata di massa, perché solo i lockdown ci davano la certezza che il virus non si sarebbe propagato. Erano balle e oggi i giudici ammettono che quella del #iorestoacasa è stata una colossale sciocchezza mascherata da misura sanitaria. Ma non contenti, i giudici, sempre con l'obiettivo di salvare Conte e Speranza, ricordano persino che i lockdown andavano maneggiati con cautela dato che mettono in crisi dei diritti costituzionali: «Ed infatti - scrivono a pagina 18 del dispositivo - l'istituzione di una zona rossa comporta il sacrificio di diritti costituzionali quali il diritto al lavoro (art 1 e 4), il diritto di circolazione (art 16), il diritto di riunione (art 17), l'esercizio del diritto di culto (art 18); prevedendo poi la chiusura delle scuola il diritto allo studio (34) e infine, limitando il diritto di iniziativa economica (art 41)» i lockdown «creano ricadute gravissime in termini di occupazione, di crisi sociale e di produzione del Pil nazionale». Questo ha scritto il tribunale dei ministri per giustificare la decisione di Conte e Speranza di non istituire già da fine febbraio la zona rossa in Val Seriana. Peccato che poi, quegli stessi diritti siano stati violati e sacrificati nel resto d'Italia appena una settimana dopo provocando tutte quelle pesanti ricadute anche in termini di violazioni costituzionali che il governo ha sempre negato o giustificato al bisogno da uno stato di necessità tutto da dimostrare. Insomma, la bocciatura dei lockdown arriva da parte di un tribunale involontaria e contro producente: inutili a impedire morti, pericolosi per i diritti e dannosi per l'economia.
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VIDEO: CIECA GIUSTIZIA Nel seguente video del 7 maggio 2023 dal titolo "Cieca giustizia" (durata: 7 minuti e mezzo) Silver Nervuti spiega cosa è successo dopo che la Corte Costituzionale aveva legittimato l'obbligo vax, quando poi però un altro giudice ha smontato punto per punto le argomentazioni a favore di un professionista che era stato sospeso.
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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 3 luglio 2023
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UN ANNO DOPO LA STORICA SENTENZA DELLA CORTE SUPREMA: 60MILA ABORTI IN MENO
E intanto l'Onu vorrebbe dichiarare l'aborto un diritto umano (ecco cosa accade se non si basano i diritti sulla legge naturale bensì sulla dichiarazione universale dei diritti umani)
Fonte Provita & Famiglia, 26 giugno 2023
È passato più di un anno - era il 24 giugno 2022 - dalla storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti "Dobbs vs Jackson Women's Health Organization" venne cancellata l'altrettanto storica sentenza "Roe va Wade" del 1973. Un anno, dunque, dall'annullamento del fantomatico "diritto federale di aborto" e che da allora ha lasciato piena sovranità in materia ai singoli Stati. Negli ultimi 12 mesi molti parlamenti locali hanno approvato nuove leggi o modificato quelle vigenti, in un senso o nell'altro, mentre il dibattito sui limiti per accedere all'aborto si è molto polarizzato, così come le scelte politiche e legislative degli Stati. «Di rado - ha scritto il quotidiano Usa Today - una decisione della Corte Suprema ha avuto un impatto così profondo e così rapido sulla vita di così tante persone». Fino alla sentenza di un anno fa era di fatto possibile a qualunque donna in tutti gli State Uniti praticare l'aborto fino a quella che la legge italiana definisce «vita autonoma del feto», cioè tra le 22 e le 24 settimane, per effetto della sentenza del 1992 con cui sempre la Corte Suprema decise sulla controversia Casey-Planned Parenthood. Per effetto del verdetto Dobbs di un anno fa la situazione giuridica dell'aborto nel territorio statunitense si è fatta quantomai variegata, con 14 Stati che hanno introdotto significative limitazioni. Secondo uno studio della Society of Family Planning, gli aborti sono diminuiti dagli 82mila al mese prima della sentenza a 77mila: un calo che nell'arco di un anno dice che ci sarebbero stati 60mila aborti in meno per effetto della decisione della Corte Suprema. Resta comunque imponente il numero complessivo degli aborti - in assenza di un dato ufficiale - in 924mila in un anno (in Italia sono 67mila con una popolazione di 60 milioni di abitanti, contro i 330 milioni degli Usa). Nota di BastaBugie:Stefano Fontana nell'articolo seguente dal titolo "L'Onu è sempre stata la fabbrica di nuovi diritti" spiega perché dopo la sentenza della Corte Suprema americana, l'Onu vorrebbe dichiarare l'aborto un diritto umano, in modo da porlo in continuità con la Dichiarazione universale dei diritti umani. Come si può arrivare a una simile contraddizione? È un diritto umano la negazione del diritto alla vita? Il motivo è semplice: perché fin da subito l'Onu ha rifiutato di basare i diritti sulla legge naturale. Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 24 giugno 2023: L'Onu vuole dichiarare l'aborto un diritto umano, ossia porlo in essenziale continuità con la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Ci si chiede se l'orrendo proposito sia una assurda forzatura oppure se possa trovare in quella Dichiarazione qualche appiglio. Potrebbe essere, infatti, che già nella fase di produzione di quella Dichiarazione ci fossero alcuni presupposti che possano servire non a giustificare ma a spiegare questo triste esito, a distanza di tanti anni. È opportuno ricordare che fu allora istituita una Commissione presso l'Unesco per discutere i criteri e i contenuti della Dichiarazione dei diritti umani di successiva redazione. A questa Commissione parteciparono intellettuali e studiosi nei vari campi del sapere e di varia origine culturale e religiosa. Come noto, vi partecipò anche Jacques Maritain che proprio nel 1948 pubblicava il suo libro, edito dall'Unesco, Les droits de l'homme. Il fatto forse più importante del lavoro della Commissione fu il riconoscimento della impossibilità di conoscere un fondamento ultimo dei diritti umani. Per la tradizione filosofica e teologica classica e cattolica il fondamento prossimo dei diritti umani è il diritto naturale e quello ultimo è Dio. Invece per la tradizione politica derivante da Hobbes, Locke e Rousseau, era la convenzione pattizia tra gli uomini con la quale essi diventavano cittadini. Per le altre correnti di pensiero e religiose presenti nella Commissione i fondamenti erano altri ancora. L'Onu rinunciò ad affrontare il problema dal punto di vista conoscitivo e scelse la via pratica: si sarebbe dovuto mettere da parte l'aspetto teoretico o di principio e percorrere la via di un "pensiero pratico comune" cercando di elencare i diritti utili per la vita sociale. Il punto non è da sottovalutare, perché esso rifletteva una visione della realtà e dell'uomo. Il buon senso dice che prima si pensa e poi si agisce in base a quanto si pensa. Il pensiero viene prima dell'azione. Sui diritti umani, invece, l'Onu rovescia i termini e l'aspetto pratico viene prima di quello del pensiero. L'uomo, quindi, pensa in base a quello che fa e non più viceversa: il giudizio dell'intelletto pratico precede il giudizio dell'intelletto teoretico. Va anche notato che mediante questa decisione di rinunciare ad un accordo di principio sui fondamenti, le esigenze pratiche non solo avevano la meglio su quelle della ragione ma anche su quelle della Rivelazione. Parlo qui naturalmente per i cristiani e i cattolici in particolare, come appunto Maritain. Privo della necessità di avere un fondamento ultimo di verità sia razionale che rivelata, l'aspetto pratico veniva lasciato alla libera e immotivata volontà, aprendo la possibilità, già allora, di "nuovi diritti", come infatti sta ora avvenendo. Tutto questo va posto in relazione con il fatto che dopo la Seconda Guerra Mondiale i "diritti umani" divennero la grande ideologia con cui il nuovo ordine voleva plasmare le costituzioni degli Stati. Sappiamo che Arabia Saudita o Sud Africa non aderirono al progetto, ma molti altri Stati invece lo fecero proprio. I diritti che l'Onu andava a definire erano certamente figli della Dichiarazione del 1789, agli inizi della Rivoluzione Francese (che tuttora è parte integrante della costituzione francese), ma più che di Rousseau subirono l'influenza di Locke e assunsero una pretesa di universalità. Essi vennero intesi come una nuova visione dell'uomo definitivamente acquisita e da sovrapporre, come un cappello introduttivo e fondativo, alle varie dichiarazioni che fossero in seguito prodotte. Infatti, se ne produssero poi tante, da quella sui diritti dell'infanzia del 1959 alla Carta sui diritti fondamentali dell'Ue del 2000 e così via. L'Onu divenne la "fabbrica dei diritti", come scrive Bernard Dumont nell'ultimo numero della rivista francese Catholica. Tutte derivanti dalla prima, quella del 1948, che però aveva rinunciato a fondare ultimamente i diritti umani, il che spiega come oggi la stessa Onu diventi la "fabbrica dei nuovi diritti". Si sa che senza il fondamento ultimo, anche i fondamenti prossimi cadono, e quindi anche il fondamento pratico suggerito da Maritain. Tornando a Maritain, egli, in L'uomo e lo Stato (1951) scrive che nella discussione interna alla Commissione dell'Unesco si era arrivati ad un accordo, ma "a condizione che non ci si chiedesse perché". E continua "Sino a quando non vi sarà unità di fede e unità di filosofia nello spirito degli uomini, le interpretazioni e le giustificazioni saranno tra loro in conflitto. Nell'ambito, invece, dell'affermazione pratica, un accordo su una dichiarazione comune è possibile grazie ad un approccio più pragmatico che teorico e mediante uno sforzo collettivo di confronto, rielaborazione e perfezionamento dei progetti di redazione". Maritain mantenne sempre questa sua posizione, anche nel Contadino della Garonna, dove però vi accosta almeno l'avvertimento di "non gettare ai cani la verità". La sua era un'illusione ottica, perché l'accordo pratico privo di un consenso sui principi avrà sempre il carattere del nominalismo e i diritti nominalmente elencati verranno poi applicati in modo alquanto diverso. Ma quella che per lui era un'illusione, per l'Onu era un'ideologia. Senza un fondamento, i diritti possono essere "fabbricati" dalla stessa Onu.
VIDEO: LA SENTENZA BENEDETTA Nel seguente video dal titolo "La sentenza benedetta" (durata: 1 ora e 25 minuti) Tommaso Scandroglio spiega la sentenza della Corte Suprema americana che ha eliminato quella di 49 anni fa che diceva che l'aborto è un diritto. Scandroglio analizza anche le conseguenze di questa nuova sentenza e risponde alle molte domande del pubblico.
https://www.youtube.com/watch?v=gdQ9WX0YufE
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Fonte: Provita & Famiglia, 26 giugno 2023
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OMELIA XIV DOM. TEMPO ORD. - ANNO A (Mt 11,25-30)
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire
Le frasi di Matteo, che abbiamo ascoltato, sono tra le più affascinanti e le più ricche di insegnamento di tutti i vangeli. Da queste poche parole tutti i libri umani vengono oltrepassati; tutti i complicati pensieri, tutte le analisi erudite dei dotti sbiadiscono davanti alla loro luce; tutto il multiloquio, che si rovescia quotidianamente su di noi da parte dei vari mezzi moderni di comunicazione, nel confronto rivela la sua spaventosa vuotezza. Purché si sappiano davvero capire. La loro profondità è immensa. Forse solo la Vergine Maria, creatura "piccola" resa grande da Dio, ha potuto esaurirne davvero l'intelligibilità. Qui siamo di fronte a una sapienza diversa da quella che si impone nel mondo: una sapienza così sublime da esigere una speciale illuminazione dall'alto per essere percepita e assimilata. Alla Madre di Dio chiediamo di accostarci a queste frasi con l'umiltà di cuore, che è stata sua, e con lo stesso desiderio di aprirsi alla verità divina che ha connotato ogni giorno del suo pellegrinaggio terrestre.
CI E' INDISPENSABILE UN ANIMO SEMPLICE E LIMPIDO Ti benedico, o Padre... perché hai tenuto nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli (Mt 11,25). Queste cose sono i misteri del Regno, è il disegno che l'amore del Padre ha pensato per noi, è il senso ultimo e vero dell'universo, è la strada sulla quale possiamo arrivare a salvarci. Avvertiamo in queste parole l'eco del canto di colei che un giorno aveva magnificato Dio perché ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili (Lc 1,52). Vedete come il Figlio assomigli spiritualmente alla Madre, così come doveva perfettamente assomigliare a lei nelle fattezze del volto. Vedete come il cuore e la mentalità di Maria siano vicini e conformi al cuore e alla mentalità di Gesù. Vedete come l'originalità e la carica rivoluzionaria della predicazione di Cristo siano state anticipate dall'intuizione affettuosa di colei che già era stata proclamata piena di grazia. Non ci meraviglia: nella Vergine del Magnificat noi ascoltiamo lo stesso Spirito Santo "che è Signore e dà la vita", e che, avendo già "parlato per mezzo dei profeti", nella pienezza dei tempi è disceso su Maria nell'Annunciazione ed è disceso su Gesù, nel battesimo del Giordano, sospingendolo nel mondo a compiere la sua missione di Maestro e di Redentore (cf Lc4,1.14).
TI BENEDICO O PADRE, SIGNORE DEL CIELO E DELLA TERRA... Che cosa dice Gesù con questa frase che, a ben guardare, è al tempo stesso tremenda e consolante? Dice in sostanza: "Ti ringrazio, o Dio, perché ti è piaciuto distribuire tra noi le tenebre e la luce, la finezza di spirito e l'ottusità, l'attitudine a capire il significato vero delle cose, degli accadimenti, delle idee e la totale incomprensione, non secondo le regole mondane consuete, con le quali solitamente troviamo avvantaggiati i ricchi di mezzi, di cultura, di appoggi, ma secondo principi nuovi e stupefacenti, che smentiscono tutte le attese terrene e capovolgono l'ordine dei valori comunemente riconosciuto". Chi sono, secondo Gesù, quelli che più faticano a interpretare la cifra dell'esistenza, a intendere il linguaggio di Dio, a percepire la fondamentale dimensione religiosa dell'universo senza della quale niente nella vita si capisce davvero? Chi sono i "sapienti" e gli "intelligenti", di cui qui si parla? Sono quelli che sanno, e più ancora quelli che sanno di sapere. Sono quelli che, essendo troppo furbi, troppo informati e troppo complicati, non riescono più a cogliere la semplicità disarmante del progetto del Padre. Sono quelli che sono così bravi a discutere e a indagare tutta l'esteriore complicazione della dottrina evangelica e della vicenda ecclesiale, che non sono più in grado di vedere e gustare l'interiore linearità e il candore della parola divina che salva, né la soprannaturale bellezza della Sposa amata dal Signore, che è la Chiesa. Certo, qui non si condanna l'onesta ricerca intellettuale né si vuol infierire sugli smarrimenti e sulle nebbie che possono affliggere talvolta anche gli animi meglio intenzionati. Siamo piuttosto messi in guardia dall'aridità di cuore, dall'orgoglio, dal sottile egoismo, dallo spirito di amara contestazione, che spesso colpiscono e accecano coloro che, in virtù dei loro studi e del loro prestigio culturale, credono di vedere meglio degli altri in materia di fede e di poter giudicare con voce più autorevole. Nella cristianità non mancano quelli che fanno delle loro frequentazioni bibliche o teologiche le premesse a un atteggiamento di critica e di rancore. Come c'è chi si occupa di religione e di mondo ecclesiastico, ma sembra ricavarne soltanto, per sé e per gli altri, dubbio, disorientamento, sterile problematicismo. Sono api snaturate che dal nettare delle parole ispirare e dai fiori della vita ecclesiale pare sappiano trarre solo aceto aspro e attossicante. Di tutti costoro - tra i quali per qualche aspetto e per qualche momento possiamo essere annoverati tutti - Gesù dice: sono i "sapienti" e gli "intelligenti", cui il Padre si compiace di tenere nascosti i suoi vitali segreti.
IMITIAMO LO SGUARDO UMILE DI MARIA Ma allora i "sapienti" e gli "intelligenti" non hanno posto nel Regno di Dio? No, c'è posto anche per loro, perché nel Regno di Dio c'è posto per tutti. C'è posto anche per loro, purché cerchino di diventare "piccoli"; purché usino della loro scienza e della loro acutezza per contemplare con occhio limpido la verità totale e per superare le inutili complicazioni; purché non si prendano troppo sul serio; purché non si dimentichino che per il Signore del cielo e della terra la fede viva degli animi retti ha un valore infinitamente più grande di tutti i libri e di tutte le discussioni; purché non si chiudano in consorterie impenetrabili e sprezzanti; purché non abbiano nessun atteggiamento di disistima o di sufficienza verso la religione tradizionale, la pietà e il buon senso degli umili, che sono i preferiti di Cristo e i privilegiati del Padre. Domandiamo per intercessione di Maria l'umiltà e la mitezza del suo cuore, che è stato il più conforme al cuore dell'amatissimo Figlio. Allora potremo, come Maria, vedere la realtà con gli occhi stessi dell'Unigenito, il solo che sa davvero guardare dentro il mistero di Dio. Allora, nelle fatiche dell'esistenza e nelle difficoltà della vita di fede, troveremo il ristoro che ci è stato promesso. Allora la legge evangelica dell'amore, cui ci siamo sottomessi accettando come norma dell'esistenza l'ideale cristiano, sarà per noi veramente un "giogo dolce" e un "carico leggero"
Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire". Per acquistare il libro "Stilli come rugiada il mio dire" che raccoglie le omelie per le Domeniche del Tempo Ordinario Anno A (€ 12), clicca qui! Per acquistare i tre volumi (Anni A, B, C) a prezzo scontato (€ 29) con anche in omaggio due piccoli libri sempre del card. Biffi (La fortuna di appartenergli e L'ABC della fede), clicca qui!
Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.
ALTRA OMELIA XIV DOM. TEMPO ORD. - ANNO A (Mt 11,25-30) da Il settimanale di Padre Pio Clicca qui!
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