BastaBugie n�836 del 30 agosto 2023

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1 DILETTA LEOTTA INCINTA PARLA DELLA MATERNITA'... SENZA MAMMA (PER NON SCONTENTARE I GAY)
In una delle dieci puntate della trasmissione ''Mamma dilettante'' la bella conduttrice tv fa un vomitevole spot alle coppie gay che vogliono i figli
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Provita & Famiglia
2 CATTOLICI DELUSI? I LEFEBVRIANI NON SONO LA SOLUZIONE
Frequentare la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) è un errore: infatti la scomunica tolta da Benedetto XVI non cancella lo scisma (come è stato per gli Ortodossi)
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
3 MARIA STUARDA, LA REGINA DECAPITATA PERCHE' CATTOLICA
Coltissima (parlava sei lingue), i contemporanei la descrivono come alta, bella e d'incedere maestoso, ottima cacciatrice e cavallerizza, fu fatta uccidere dalla cugina Elisabetta I (figlia di Enrico VIII e Anna Bolena)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Il Timone
4 UN VASO DI PANDORA CHE POTREBBE DANNEGGIARE LA CHIESA
Pubblichiamo l'introduzione al libro della TFP per aprire gli occhi sul sinodo sulla sinodalità (è possibile richiedere una copia cartacea oppure scaricare gratuitamente la versione digitale)
Autore: José Antonio Ureta e Julio Loredo - Fonte: TFP Italia
5 LA CORTE SUPREMA ABBATTE IL RAZZISMO DEGLI ANTIRAZZISTI
L'ultima sentenza ha dichiarato incostituzionale la ''discriminazione positiva'' che favoriva gli afro-americani nelle università americane e penalizzava ingiustamente bianchi e asiatici perché ''troppo bravi''
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
6 COSA RESTA DELLA GMG? UN PRESUNTO MIRACOLO E UNA QUASI CERTA IGNORANZA
Una ragazza dice di aver recuperato la vista durante la Messa a Fatima... ma tutti gli altri giovani rischiano di restare ciechi sui principi della dottrina
Fonte: Sito del Timone
7 OMELIA XXII DOM. TEMPO ORD. - ANNO A (MT 16,21-27)
Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

1 - DILETTA LEOTTA INCINTA PARLA DELLA MATERNITA'... SENZA MAMMA (PER NON SCONTENTARE I GAY)
In una delle dieci puntate della trasmissione ''Mamma dilettante'' la bella conduttrice tv fa un vomitevole spot alle coppie gay che vogliono i figli
Autore: Giuliano Guzzo - Fonte: Provita & Famiglia, 17 luglio 2023

Quando si è saputo che Diletta Leotta - conduttrice Dazn e volto del calcio italiano e internazionale - aveva deciso di dare il via a Mamma dilettante, dieci episodi vodcast e podcast, «per esorcizzare le paure e le ansie che accompagnano la sua prima gravidanza», le aspettative erano quelle di un'occasione per mettere al centro, per di più in un Paese a natalità cimiteriale come l'Italia, il tema della maternità. Cosa che, in effetti, è stata.
Le prime puntate di Mamma dilettante hanno infatti visto accanto alla conduttrice tutta una serie di ospiti - coppie di genitori e ovviamente mamme, in dolce attesa e non - i quali si sono impegnati a condividere le loro esperienze; il che, lo si ripete, non si può che salutare positivamente. Insomma, sarebbe quasi venuto da congratularsi con Diletta Leotta quando, purtroppo, è arrivato uno scivolone francamente imperdonabile.
Ci riferiamo al contenuto della settima puntata. Essa, infatti, discutibile ha avuto per ospiti due uomini «meglio conosciuti sui social come i "Papà per scelta"» impegnati «a raccontarsi a cuore aperto [...] tra risate - tante - e momenti emozionanti [...] nella loro vita da genitori dei due gemelli avuti grazie alla Gestazione Per Altri. Una famiglia arcobaleno che ha davvero tanto da insegnare».
Ora, sulla coppia di due uomini in questione, diciamo, non c'è granché da dire: il fatto che abbiano oltre 323.000 follower su Instagram dimostra al di là di ogni ragione dubbio che la loro storia è già sufficientemente nota. Ci sarebbe invece da dire, e molto, a Diletta Leotta, partita come si diceva con delle buone puntate, salvo poi non solo concedere spazio a rappresentanti del mondo Lgbt - una sorta tributo che sui grandi media pare ormai impossibile non pagare, se non si vuol passare per bigotti od oscurantisti -, ma perfino, indirettamente, ad una pratica abominevole come l'utero in affitto, che si è scelto di chiamare «Gestazione Per Altri».
Ora, sarebbe interessante sapere dalla conduttrice se sia al corrente che quella pratica (che in Italia è reato perfino pubblicizzare, ma non sottilizziamo), è esattamente la negazione della maternità o, meglio, il suo perfetto svilimento; e qualunque coppia si inviti in una trasmissione - eterosessuale oppure omosessuale da questo punto di vista non cambia proprio nulla - che abbia ottenuto uno o più figli con l'utero in affitto ha per forza di cose preso parte a tale meccanismo. Dunque altro che "Mamma Dilettante", con l'utero in affitto si arriva a "Mamma annullata", "Mamma eliminata", "Mamma sfruttata".
Un meccanismo che, in questi anni, ha visto: delle donne lasciarci la pelle; delle donne ammalatesi di cancro costrette ad abortire dall'amorevole coppia committente; dei genitori "intenzionali", come usa oggi dire con una espressione assai opinabile, che rifiutano il bambino commissionato «perché non assomiglia abbastanza» a loro, o che ritirano solo uno dei due gemelli - guarda caso, quello nato sano e non quello con la sindrome di Down - venuti al mondo. Ci sono poi pure casi di neonati abbandonati, semplicemente, perché non più desiderati. Soprattutto: non c'è un caso, neppure quando ci prova a parlare di «gestazione per altri solidale», in cui il figlio non sia ridotto a merce di scambio. [...]
Chiaro, cara Leotta? Un essere umano non è una cosa!

Fonte: Provita & Famiglia, 17 luglio 2023

2 - CATTOLICI DELUSI? I LEFEBVRIANI NON SONO LA SOLUZIONE
Frequentare la Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) è un errore: infatti la scomunica tolta da Benedetto XVI non cancella lo scisma (come è stato per gli Ortodossi)
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17 agosto 2023

La grave e prolungata crisi che stiamo vivendo nella Chiesa cattolica, venuta chiaramente alla luce durante gli anni del pontificato in corso, ha portato molti fedeli a cercare lidi considerati più sicuri. Gli anni della pandemia hanno ulteriormente esasperato la situazione, soprattutto dal punto di vista liturgico: obbligo di mascherine, nastri da carpentiere nella navata della chiesa, imposizione della Comunione sulla mano, gel, guanti e cotton fioc, ed altre trovate fantasiose dei preti che facevano a gara a realizzare la parrocchia più asettica del pianeta hanno portato molti all'esasperazione.
Come naufraghi alla ricerca della terra ferma, molti fedeli hanno comprensibilmente iniziato a frequentare cappelle nelle quali vi fosse non solo almeno la parvenza della normalità, ma anche una liturgia celebrata in modo decoroso e solenne. Le cappelle della Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) hanno senza dubbio costituito quest'oasi per molti. E di questo bisogna rendere merito ai loro sacerdoti.
Tuttavia, molti non conoscono la situazione della FSSPX o perché non si sono affatto posti il problema, oppure perché, pur avendo sentito di qualche "irregolarità", sono stati rassicurati che sarebbero in tutto e per tutto cattolici dai fedeli di lunga data di queste cappelle e dai loro sacerdoti. La confusione è stata ulteriormente alimentata anche da alcune esternazioni di stimati vescovi e prelati che hanno cercato di sminuire la gravità della situazione della Fraternità, descrivendola come una semplice irregolarità canonica. La situazione che si è creata, insieme alle richieste di alcuni lettori, richiedono di dedicare una serie di articoli sulla dolorosa questione legata alla FSSPX.
Perché la verità è purtroppo molto differente da come viene presentata. La Fraternità, fondata da Mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), arcivescovo emerito di Tulle, fu eretta canonicamente come Pia Unione, ossia un'associazione pubblica di fedeli, a Friburgo il 1°novembre 1970, da Mons. François Charrière (1893-1976), vescovo di Losanna-Ginevra-Friburgo per un periodo di prova di sei anni. Questa configurazione canonica comporta che la Fraternità non poteva incardinare sacerdoti e dipendeva dall'autorità di Mons. Charrière. Il 21 novembre 1974, dopo una visita apostolica ordinata da Paolo VI, durante la quale i due visitatori avrebbero più volte pronunciato affermazioni errate o eretiche, Mons. Lefebvre pubblicò la famosa Dichiarazione nella quale rifiutava «la Roma di tendenza neo-modernista e neo-protestante che si è manifestata chiaramente nel Concilio Vaticano II e dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono scaturite» ed affermava il «rifiuto categorico di accettazione della riforma» liturgica.

NEL 1976 MONS. LEFEBVRE VENNE SOSPESO A DIVINIS
Il 6 maggio 1975, il successore di Mons. Charrière, il vescovo Pierre Mamie (1920-2008) sopprimeva la FSSPX, con approvazione di Paolo VI. Il 23 luglio 1976 Mons. Lefebvre venne sospeso a divinis per aver ordinato dei sacerdoti senza le legittime lettere dimissorie; per i restanti anni della sua vita, Lefebvre continuava ad esercitare il suo ministero, incluse le ordinazioni sacerdotali, senza tener conto della sospensione che gli proibiva di esercitare ogni atto derivante dal potere d'ordine.
Il 30 giugno 1988 la decisione più grave: l'ordinazione di quattro vescovi contro l'espresso divieto di papa Giovanni Paolo II, che costò a loro e al vescovo consacrante la scomunica latæ sententiæ riservata alla Sede Apostolica, a norma del can. 1387. È importante sottolineare alcuni dettagli. Anzitutto, la Santa Sede, mediante la mediazione del Cardinale Joseph Ratzinger, aveva proposto a Mons. Lefebvre la possibilità di avere un vescovo per la FSSPX, scelto tra i sacerdoti della medesima, che sarebbe stato ordinato verso la metà del mese di agosto del 1988; Lefebvre dapprima accettò, ma il giorno dopo revocò il consenso al protocollo d'intesa. Seconda sottolineatura: le ordinazioni episcopali non vennero compiute semplicemente senza il mandato pontificio, ma contro la volontà del Papa, che aveva proibito in modo formale a Mons. Lefebvre di procedere con le ordinazioni, mediante un monitum inviato loro dal Cardinale Prefetto della Congregazione per i Vescovi il 17 giugno 1988. Infine, la scomunica prevista "è scattata" di per sé: non è dunque propriamente una sanzione inflitta dal Papa, ma una sanzione che Mons. Lefebvre e i quattro vescovi da lui ordinati si sono in qualche modo auto-inflitti.
Nel Motu Proprio Ecclesia Dei Adflicta, Giovanni Paolo II, spiegava che questo atto era stato «una disobbedienza al Romano Pontefice in materia gravissima e di capitale importanza per l'unità della Chiesa»; una disobbedienza «che porta con sé un rifiuto pratico del Primato romano» e pertanto «costituisce un atto scismatico». Il Papa rivolgeva poi un appello a «rimanere uniti al Vicario di Cristo nell'unità della Chiesa Cattolica», e a «non continuare a sostenere in alcun modo quel movimento. Nessuno deve ignorare che l'adesione formale allo scisma costituisce una grave offesa a Dio e comporta la scomunica stabilita dal diritto della Chiesa», a norma del can. 1364.

UN ATTO SCISMATICO
La FSSPX, dal canto suo, si è sempre difesa dall'accusa di scisma, ricorrendo ad una distinzione: Mons. Lefebvre non avrebbe compiuto un atto scismatico, in quanto non ha voluto trasmettere alcun potere di giurisdizione, ma solo il potere dell'ordine episcopale. In questo modo, non avrebbe usurpato quel potere che appartiene solo al Papa (giurisdizione), ma avrebbe comunicato il potere d'ordine che appartiene ad ogni vescovo e non solo al Papa. Quest'ultimo viene trasmesso con il rito delle sacre ordinazioni, mentre la giurisdizione mediante l'ingiunzione del Sommo Pontefice. Sulla base di questa distinzione, le consacrazioni episcopali conferite da Mons. Lefebvre non sarebbero state un atto scismatico - in quanto lo scisma si verificherebbe laddove si intenda trasmettere quello che solo il Papa può dare -, ma semmai un atto di disobbedienza, reso però necessario dallo stato di necessità provocato dalla crisi della Chiesa.
L'argomento non regge. Prerogativa del primato di Pietro non è semplicemente trasmettere la giurisdizione, ma decidere chi può essere ammesso nel Collegio dei Vescovi e chi no; in sostanza, il primato di Pietro include anche il diritto esclusivo di nomina del vescovo (che può concretamente realizzarsi in differenti modalità). Nell'esortazione Ad Apostolorum principis (29 giugno 1958), Pio XII ricordava che «i sacri canoni chiaramente ed esplicitamente sanciscono che spetta unicamente alla sede apostolica giudicare circa l'idoneità di un ecclesiastico per la dignità e la missione episcopale e che spetta al romano pontefice nominare liberamente i vescovi (...) ne consegue che vescovi non nominati né confermati dalla Santa Sede, e anzi scelti e consacrati contro le esplicite disposizioni di essa, non possono godere di alcun potere né di magistero né di giurisdizione (...) e gli atti di potestà di ordine, posti da tali ecclesiastici, anche se validi ... sono gravemente illeciti, cioè peccaminosi e sacrileghi».
Pio XII confermava che «nessuna persona o assemblea, sia di sacerdoti sia di laici, può arrogarsi il diritto di nominare vescovi; nessuno può conferire legittimamente la consacrazione episcopale se prima non sia certa l'esistenza dell'apposito mandato apostolico»; e sottolineava un principio fondamentale, di grande importanza per la questione che ci interessa: «Non si provvede ai bisogni spirituali dei fedeli con la violazione delle leggi della Chiesa».
Queste «leggi della Chiesa» non devono essere intese come mero diritto ecclesiastico, ma espressione di un diritto divino conferito a Pietro e ai suoi legittimi successori. Lo spiegava chiaramente Pio IX, nella sua condanna della chiesa armena: «Abbiamo ritenuto che non si dovesse tacere sul Nostro diritto di fare qualche elezione anche fuori della terna proposta, (...) poiché i diritti e i privilegi che le sono stati conferiti dallo stesso Cristo Dio possono essere sì contestati, ma non possono essere aboliti; e non è in potere di alcun uomo rinunciare ad un diritto divino, quando talvolta, per volontà di Dio, fosse costretto ad esercitarlo» (Enciclica Quartus supra, § 32).
Dunque, la nomina dei vescovi è a tutti gli effetti di un diritto divino conferito al Papa «dallo stesso Cristo Dio». Ora, le consacrazioni effettuate da Lefebvre sono state un atto scismatico a tutti gli effetti, in quanto hanno usurpato un potere che appartiene solo al Papa per diritto divino, ossia quello di nominare i vescovi, e non semplicemente quello di conferire loro la giurisdizione. La distinzione portata avanti dalla FSSPX risulta di fatto non pertinente ed errata.

Nota di BastaBugie: l'autrice del precedente articolo, Luisella Scrosati, nell'articolo seguente dal titolo "Lefebvriani: tolta la scomunica, lo scisma resta" spiega che le nomine episcopali di monsignor Lefebvre sono illegittime sotto tutti i punti di vista. E la scomunica tolta da Benedetto XVI era finalizzata a un cammino di riconciliazione, ma non cancella lo scisma. Come è stato per gli Ortodossi.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 19 agosto 2023:

Il riferimento all'esortazione Ad Apostolorum principis di Pio XII, che abbiamo citato nel precedente articolo, non è certamente l'unica rivendicazione da parte del Magistero dell'esclusiva prerogativa dei successori di Pietro di poter nominare, consacrare (normalmente tramite altri) e inviare i vescovi. Notare i tre aspetti distinti, che rientrano tutti nel primato del Papa.
Di fronte alla pretesa dell'Associazione patriottica cinese di «eleggere di propria iniziativa i vescovi, asserendo che tale elezione sarebbe indispensabile per provvedere con la dovuta sollecitudine al bene delle anime» e di fronte al conferimento della consacrazione episcopale ad alcuni ecclesiastici «contro un esplicito e severo monito diretto agli interessati da questa sede apostolica», Pio XII non si limitò a richiamare le leggi ecclesiastiche e a censurare la sottomissione di questi cattolici al regime comunista cinese, ma rivendicò per la Sede apostolica un preciso diritto divino, che include la stessa nomina dei vescovi. È in forza di questo diritto divino, tutelato dalle leggi canoniche, che il Papa escluse la possibilità che una qualche circostanza - inclusa la «dovuta sollecitudine al bene delle anime» - rendesse lecita la nomina di vescovi e la loro consacrazione contro la volontà del Papa.
Pio IX, come si è visto, trovatosi a dover fronteggiare le lamentele della chiesa armena per aver rifiutato la terna di nomi da loro proposti per una consacrazione episcopale, non fu da meno. Ed anche Pio VI, in un Breve, densissimo di testimonianze della Sacra Tradizione al riguardo, ribadì «l'obbligo che hanno i Vescovi di chiedere e di riportare dal Romano Pontefice la conferma» delle nomine episcopali, a quei vescovi che avevano sottoscritto l'Esposizione sui Principi della Costituzione del Clero di Francia durante il regime giacobino.
Sarebbe più che sufficiente quanto detto per comprendere che in nessuna circostanza è lecito procedere ad una nomina episcopale contro il parere della Sede Apostolica, appunto perché questa prerogativa appartiene per diritto divino ai soli successori legittimi di Pietro. Per questo Pio XII, nella medesima esortazione, applicava alle ordinazioni episcopali illecite la frase del vangelo di Giovanni (10, 1): «Chi non entra nell'ovile per la porta, ma vi sale per altra parte, è ladro e brigante». Il vescovo che nomina e consacra nuovi vescovi contro la volontà del Papa sta rubando una prerogativa che non gli appartiene. E nessuno, nemmeno il Papa, per nessuna ragione ha la facoltà di contraddire la legge divina.
Dunque l'argomentazione per cui Mons. Marcel Lefebvre non sarebbe scismatico perché non ha voluto trasmettere la giurisdizione, ma solo il potere d'ordine, non regge, perché anche la nomina episcopale e la consacrazione sono riservate alla Sede Apostolica, la quale poi ha altresì la prerogativa di confermare o non confermare l'avvenuta consacrazione; spetta infatti al solo Capo del Collegio accettare un vescovo nel Collegio o respingerlo. Purtroppo, Mons. Lefebvre ha usurpato il primato del Papa su tutta la linea.
L'argomentazione suddetta non è accettabile anche per un'altra ragione: il potere d'ordine e il potere di giurisdizione sono certamente distinguibili l'uno dall'altro, ma non sono separabili. Come aveva mostrato P. L. - M. De Blignières (in Réflexions sur l'épiscopat «autonome», Supplemente doctrinal n. 2 à «Sedes Sapientiæ», giugno 1987), «l'episcopato comporta una relazione alla reggenza della Chiesa che gli è essenziale». Seguendo l'insegnamento di San Tommaso, l'episcopato si distingue dal presbiterato in quanto «non ordina direttamente a Dio, ma al corpo mistico di Cristo» (Summa Theologiæ, Suppl. q. 38, a. 2, ad. 2). La pienezza del sacerdozio conferita al vescovo comporta che egli sia ordinato essenzialmente al governo della Chiesa. Rimandiamo all'articolo per tutte le opportune citazioni che fondano queste affermazioni; qui ne richiamiamo solo una: «Un grandissimo numero di documenti liturgici, nella preghiera di consacrazione episcopale, indicano il "carisma" del vescovo come una "grazia spirituale del capo"» (J. Lecuyer, cit. in Réflexions sur l'épiscopat «autonome»,nota 22).
È per questa ragione che il Pontificale prevede che il mandatum apostolico venga richiesto prima di procedere con i riti di consacrazione. L'ordinazione episcopale comunica un'attitudine al governo della Chiesa e dunque un'attitudine alla giurisdizione, anche se poi in concreto non tutti i vescovi esercitano una giurisdizione. Un vescovo senza alcuna destinazione al governo della Chiesa, privato volontariamente di questa destinazione, è in sostanza una contraddizione; ed un vescovo che trasmette un "episcopato autonomo" (ossia che vuole trasmettere solo il potere d'ordine), come il candidato che lo riceve, sta dividendo qualcosa che Dio ha voluto unire e dunque, nuovamente, agisce contro la legge divina.
In ogni caso, ipotizzando per assurdo la possibilità di separare il potere d'ordine da quello di giurisdizione, bisogna comunque ammettere che anche per la sola consacrazione interviene sempre la prerogativa del Papa di nominare il candidato.
Il punto è che, pur volendo non trasmettere alcuna giurisdizione, le consacrazioni del 1988 sono state effettuate precisamente con lo scopo di sottrarsi alla giurisdizione del Papa, che quelle consacrazioni lecitamente vietava; la FSSPX ha altresì scelto di permanere in questa indipendenza per "mantenere la Tradizione". Per quanto nobile possa essere il fine, si tratta pur sempre di un atto scismatico; perché lo scisma non è mai stato definito come la volontà di comunicare qualcosa che spetta al Papa (come la giurisdizione), ma come «il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti» (CIC, can. 751, ugualmente CIC/1917, can. 1325 e Summa Theologiæ II-II, q. 39, a. 1).
Questo passaggio è cruciale. Prima di tutto, uno scisma non è il rifiuto teorico del primato di Pietro (questa sarebbe un'eresia), ma il rifiuto pratico di sottomettersi alla sua autorità, quando viene esercitata in modo legittimo; uno scisma consiste nel fatto di essere separati dal governo della Chiesa cattolica, che è una condizione inderogabile per appartenere alla Chiesa. Ora, la FSSPX ha rifiutato questa autorità non solo effettuando ed approvando le consacrazioni episcopali del 1988, ma continuando a sottrarsi al governo del Pontefice e dei vescovi in comunione con lui, non tenendo in alcun conto le sanzioni canoniche (tutti i sacerdoti della Fraternità rimangono sospesi a divinis e dunque non possono esercitare legittimamente il loro ministero), rifiutando ogni protocollo di regolarizzazione.
Una gravissima usurpazione dell'autorità del Papa e dell'Ordinario è la Commissione Canonica San Carlo Borromeo, con la quale la FSSPX si attribuisce la facoltà di togliere censure, pronunciarsi sulla validità dei matrimoni, dispensare dai voti, usurpando diritti che spettano solo all'Ordinario o alla Santa Sede. Lo stesso Lefebvre, che teoricamente non voleva trasmettere la giurisdizione, in una lettera scritta all'allora Superiore Generale, Franz Schmidberger, il 15 gennaio 1991, esplicitamente dichiarava, in riferimento alla Commissione suddetta, essere necessario «istituire autorità supplenti», per tutto il tempo in cui «le attuali autorità romane sono impregnate di ecumenismo e modernismo e le loro decisioni e il nuovo Codice di Diritto canonico sono influenzati da questi falsi principi». Lefebvre in sostanza aveva inteso dare alla FSSPX la giurisdizione necessaria per gli atti di cui sopra, contraddicendo se stesso e usurpando le prerogative della Sede apostolica e dei legittimi Ordinari.
I membri della FSSPX rifiutano altresì di comunicare in sacris con quanti sono in comunione con il Papa e il vescovo locale, anche quando si tratta del rito antico della Messa; la Fraternità erige chiese, seminari, monasteri e consacra altari senza tener conto della legittima autorità del vescovo locale su queste cose. In poche parole, la FSSPX si è organizzata precisamente per poter essere indipendente dalla giurisdizione del Papa e dei vescovi legittimi; ma il vero nome di una totale indipendenza dall'autorità del Papa e del vescovo locale è "scisma".
Né lo scisma viene meno per il fatto che Benedetto XVI, il 21 gennaio 2009, aveva tolto la scomunica ai quattro vescovi consacrati da Lefebvre - Bernard Fellay, Bernard Tissier de Mallerais, Richard Williamson (non più membro della FSSPX) e Alfonso de Galarreta - spiegando il senso di questo atto, ossia togliere il «disagio spirituale manifestato dagli interessati a causa della sanzione di scomunica», per favorire «i necessari colloqui con le Autorità della Santa Sede» sulle questioni ancora aperte (a suo tempo).
La remissione di una scomunica non pone da se stessa fine ad uno scisma; uno scisma termina quando vengono meno le posizioni scismatiche, come quelle sopra brevemente elencate, che invece nella FSSPX persistono e dimostrano così una contumacia. Un esempio su tutti: il 7 dicembre 1965, Paolo VI tolse le scomuniche che pendevano sugli Ortodossi dallo scisma del 1054. Questo atto non ha posto fine allo scisma, evidentemente, perché gli Ortodossi continuano a non riconoscere né in linea teorica né in pratica le prerogative del Papa. Non è una contraddizione: questi pontefici hanno voluto togliere gli impedimenti canonici ad una piena comunione, perché le realtà interessate potessero fare atti concreti per entrare nella comunione con la Chiesa cattolica. Ma questi passi non sono stati fatti. Il rifiuto da parte dell'allora Superiore Generale della FSSPX, Mons. Bernard Fellay, di accettare il protocollo di accordo, così come il fatto che nulla è cambiato nelle loro posizioni, fa rimanere la Fraternità in una situazione scismatica.

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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 17 agosto 2023

3 - MARIA STUARDA, LA REGINA DECAPITATA PERCHE' CATTOLICA
Coltissima (parlava sei lingue), i contemporanei la descrivono come alta, bella e d'incedere maestoso, ottima cacciatrice e cavallerizza, fu fatta uccidere dalla cugina Elisabetta I (figlia di Enrico VIII e Anna Bolena)
Autore: Rino Cammilleri - Fonte: Il Timone, luglio - agosto 2021

Nessuna donna nella storia ha mai impressionato l'immaginario come questa sfortunata regina cattolica. Romanzi e tragedie (vi si cimentarono anche Alfieri e Schiller), opere liriche (Mercadante, Donizetti, etc), film. Di questi ultimi - ben 38 - il primo è addirittura del 1895; tra i migliori, uno del 1936 Katharine Hepburn e la regia di John Ford, fino all'ultimo del 2018 con Margot Robbie Saoirse Ronan, attrice straordinariamente somigliante alla vera Maria Stuarda.
Qui, in omaggio al politicamente corretto, ci sono lord inglesi e scozzesi impersonati da attori afroamericani, quasi che ogni epoca senta il bisogno di rendere omaggio alla scozzese Mary Stewart che in Francia modificò il suo cognome nel più pronunciabile Stuart. La sorella di Enrico VIII, Margaret, era sua nonna. Perciò il trono d'Inghilterra sarebbe spettato a lei.

INFANZIA TRAVAGLIATA
Nata nel 1542, suo padre era Giacomo V, re di Scozia, che morì quando lei era in fasce. Cominciate le guerre con l'inglesi, il re scozzese fu sconfitto e morì, trentenne, di colera. Sua moglie Marie de Guise, secondo il trattato di pace avrebbero dovuto far sposare la figlia con Edoardo VI, figlio di Enrico VIII e Jane Seymour, protestante. Rifiutò e mandò al sicuro la piccola in Francia, storica allegata della Scozia. Maria Struart (Stuarda, all'italiana) crebbe alla corta di Caterina de' Medici, dove divenne coltissima (parlava sei lingue). I contemporanei la descrivono come alta, bella e d'incedere maestoso. Ottima cacciatrice e cavallerizza, a 16 anni sposò il figlio della medici, Francesco II, e divenne regina di Francia. Ma lui morì ben presto, e altrettanto presto lei si accorse che due regine vedove in Francia erano troppe. Cosi tornò in Scozia e vi si assise come regina. Ma trovò che il paese era diventato ormai calvinista a causa della predicazione del fanatico John Knox (sempre presentato così anche nei film).

TRADITA DALLA TOLLERANZA
Lei nata il giorno dell'Immacolata, realisticamente lasciò libertà di credo, ma non volle assolutamente cambiare il suo. Intanto in Inghilterra saliva al trono Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena.
Il re scismatico aveva generato Maria Tudor con la moglie legittima Caterina d'Aragona. Maria I aveva regnato e si era sposata con Filippo II di Spagna, figlio di Carlo V. La Francia, trovatasi accerchiata dagli Asburgo, prese a fomentare il dissenso contro Maria I, anche se questa aveva restaurato il cattolicesimo in Inghilterra. E il dissenso era costituito da tutti quelli che si erano arricchiti con l'espropriazione dei beni della Chiesa effettuata da Enrico VIII. E che non aveva alcuna intenzione di restituire.
Purtroppo, nata e cresciuta in mezzo agli intrighi e sempre in pericolo di vita, quando Maria I poté cingere la corona aveva ormai 37 anni, 38 quando sposò il molto più giovane Filippo di Spagna. Così, non ebbe prole e l'unica sperata gravidanza si rivelò un tumore maligno che presto la portò alla tomba.
Morto anzitempo anche il successore Edoardo VI, Elisabetta si trovò, oltre che scomunicata da papa San Pio V (il che significava che i suoi sudditi cattolici erano sciolti da ogni dovere di obbedienza), con una temibilissima concorrente, Maria di Scozia, che tutti i legittimati, anche protestanti, consideravano la vera avente diritto al trono d'Inghilterra. Maria, intanto, si era accorta del gravissimo errore di aver concesso libertà religiosa, cosa che Maria I di Tudor si era ben guardata dal commettere nel suo regno. La tolleranza, infatti, rafforzò il potere della nobiltà protestante e lei, per blindarsi, comprese che doveva avere un erede. Ma non c'erano molti giovani maschi tra le teste coronate di quel tempo. Gli unici due potevano essere l'arciduca Carlo d'Austria, figlio dell'imperatore Carlo I, e don Carlos, figlio di Filippo II di Spagna.
Le trattative col primo fallirono, e il secondo era uno psicolabile. La fretta indusse Maria a sposare il cugino Enrico Stuart, lord Darnley. La cosa gettò Elisabetta I nell'angoscia, perché anche quest'ultimo era nipote di Margaret, sorella di Enrico VIII.
Così adesso i titolari di diritti sul trono inglese erano due, per giunta marito e moglie.

SUL PATIBOLO CON IL VELO DA SPOSA
A Maria, incinta e ben presto trascurata dal marito, non rimase che un amico confidente, il fidato segretario italiano Davide Rizzio, così che Knox prese ad accusarla di adulterio. Darnley finì ucciso e Rizzio massacrato. La propaganda puntò il dito contro la regina. Lei allora venne rapita e stuprata da lord Bothwell, che fu costretta a sposare con rito protestante. Ormai sfuggitale di mano la situazione, dovette accettare di abdicare a favore del figlio Giacomo VI, un bambino. Nel 1568 fuggì dal castello in cui era rinchiusa e riuscì a radunare un esercito che condusse personalmente in battaglia. Ma, sconfitta dovette chiedere asilo a Elisabetta I, di cui rimase prigioniera praticamente per vent'anni seguenti.
Elisabetta esitava a far giustiziare una regina di diritto divino che era pure sua cugina. Ma la presenza in vita di Maria era un rischio costante per il suo trono. Sempre oggetto di intrighi e congiure, per lei viva Elisabetta non poteva dormire sonni tranquilli. Alla fine una serie di lettere opportunamente "rinvenute", incastrarono Maria per l'uccisione del marito. Mai prima un re o una regina erano stati sottoposti a processo.
Ma i legulei di corte trovarono la gabola necessaria. Nel 1587 Maria Stuarda salì sul patibolo, vestita di nero, ma con un velo bianco da sposa. Si tolse l'abito e rimase con quello che aveva sotto: rosso, il colore dei martiri cattolici.
Al boia servirono due colpi per spaccarle la testa.
Elisabetta? Quello che in tutta la vita aveva cercato di evitare si realizzò in pieno: non avendo figli, il suo trono andò al figlio di Maria, Giacomo VI Stuart di Scozia, che divenne Giacomo I, d'Inghilterra e Scozia. Il quale volle che sua madre fosse seppellita a Westminster, nella tomba dei re (cosa che Elisabetta non aveva permesso). A proposito, il lettore avrà notato quante Marie ci sono in questa storia. Il fatto è che la Gran Bretagna fino allo scisma si gloriava del titolo di "Dote di Maria", la più devota alla Madonna nella nazioni cristiane.

Nota di BastaBugie: due film hanno raccontato in maniera pessima le due cugine rivaleggianti per il trono inglese: Maria Stuarda ed Elisabetta I. Nei seguenti due link si possono leggere gli articoli relativi a tali film che spiegano perchè ne sconsigliamo la visione. Nella migliore delle ipotesi è una perdita di tempo.

FILM SU MARIA STUARDA, LA REGINA DI SCOZIA DECAPITATA DA ELISABETTA PERCHE' CATTOLICA
L'abbiamo visto, ma non ci è piaciuto perché infarcito di femminismo, multiculturalismo e gender
di Paolo Gulisano
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5524

ELIZABETH: FILM FALSO E ANTICATTOLICO
Il film dedicato alla Regina Vergine falsa la verità storica e ricicla tutti i cliché anglosassoni contro l'oscurantismo papista
di Franco Cardini
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=535

Fonte: Il Timone, luglio - agosto 2021

4 - UN VASO DI PANDORA CHE POTREBBE DANNEGGIARE LA CHIESA
Pubblichiamo l'introduzione al libro della TFP per aprire gli occhi sul sinodo sulla sinodalità (è possibile richiedere una copia cartacea oppure scaricare gratuitamente la versione digitale)
Autore: José Antonio Ureta e Julio Loredo - Fonte: TFP Italia

Con il titolo "Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione", Papa Francesco ha convocato a Roma un "Sinodo sulla sinodalità". Si tratta della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
Nonostante la sua incidenza potenzialmente rivoluzionaria, il dibattito attorno a questo Sinodo è rimasto perlopiù ristretto agli "addetti ai lavori". Il grande pubblico ne sa poco. Il presente libro vorrebbe colmare questa lacuna, spiegando in modo semplice la posta in gioco. C'è in atto un piano per riformare Santa Madre Chiesa che, se portato alle ultime conseguenze, potrebbe sovvertirla sin dalle sue fondamenta.
Per quanto si presenti come un'Assemblea Ordinaria, diversi fattori fanno di questo Sinodo un evento fuori dal comune, che taluni vorrebbero fungesse persino da spartiacque nella storia della Chiesa, una sorta di Concilio Vaticano III de facto.

UN'ASSEMBLEA PER NULLA "ORDINARIA"
Un primo fattore è la sua stessa struttura. Dopo un'ampia consultazione internazionale, sono previste ben due sessioni plenarie a Roma, nel 2023 e 2024, precedute da un ritiro spirituale per i partecipanti.
Un secondo fattore è il suo contenuto. Mentre le Assemblee generali ordinarie solitamente trattano temi specifici (i Giovani nel 2018, la Famiglia nel 2015 e via dicendo), questa volta si vuole mettere in discussione la struttura stessa della Chiesa. Si propone di ripensare la Chiesa, trasformandola in una nuova «Chiesa costitutivamente sinodale», modificando elementi basilari della sua costituzione organica. Questo cambiamento potrebbe essere potenzialmente radicale, poiché alcuni documenti sinodali parlano di una "conversione", come se la Chiesa avesse finora percorso un cammino sbagliato e dovesse fare un'inversione a "U".
Un terzo fattore che fa di quest'assemblea un evento fuori dal comune è il suo carattere di processo. Questo Sinodo non intende discutere di questioni dottrinali o pastorali, per poi giungere a certe conclusioni, bensì intraprendere un "processo ecclesiale" per riformare la Chiesa. Non pochi temono che si apra un vaso di Pandora.
In questo modo, la "sinodalità" rischia di diventare una di quelle "parole talismaniche" di cui parlava il pensatore cattolico Plinio Corrêa de Oliveira: una parola che comporta una grande elasticità, suscettibile di essere fortemente radicalizzata, della quale si abusa per scopi propagandistici. Manipolata dalla propaganda, «la parola-talismano viene usata tendenziosamente, e comincia a rifulgere di un brillìo che affascina il paziente e lo conduce molto più lontano di quanto avrebbe potuto immaginare».
Questa riforma sinodale - dice la Commissione Teologica Internazionale - andrebbe a recuperare vecchie strutture di partecipazione comunitaria della Chiesa del primo millennio, troppo a lungo trascurate a causa dell'egemonia di un'ecclesiologia di carattere gerarchico che si tratterebbe di superare.
Il Sinodo sulla sinodalità si presenta così come uno spartiacque nella storia della Chiesa e, in concreto, dell'attuale Pontificato. Secondo il vaticanista Jean-Marie Guénois, Francesco «sta preparando la sua riforma capitale: quella della sinodalità. Egli spera di convertire la Chiesa, piramidale, centralizzata e clericalizzata, in una comunità più democratica e decentralizzata, dove il potere sarà maggiormente condiviso con i laici».

IL SYNODALER WEG TEDESCO
Fra i più radicali sostenitori della "conversione sinodale" della Chiesa vi è la Conferenza episcopale tedesca, che ha promosso un "cammino" tutto suo: il Synodaler Weg. Questo Weg concentra e rilancia le rivendicazioni decennali più estreme del progressismo tedesco.
Nelle intenzioni dei suoi promotori, il Weg non si dovrebbe limitare alla Germania, bensì servire da modello e da traino per il Sinodo universale. Nel vasto universo dei promotori della "sinodalità", i tedeschi appaiono così come una fazione estrema, sebbene articolata e influente. Fra noti vaticanisti c'è il timore che, un po' com'era successo ai tempi del Concilio Vaticano II, quando "il Reno si gettò nel Tevere", l'influenza dei progressisti tedeschi possa essere determinante nei lavori sinodali.
Portato alle ultime conseguenze, il Weg implicherebbe una profonda sovversione di Santa Romana Chiesa. A dirlo è il cardinale Gerhard Müller, già Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: «Stanno sognando un'altra chiesa che non ha nulla a che fare con la fede cattolica e vogliono abusare di questo processo, per spostare la Chiesa cattolica, non solo in un'altra direzione, ma verso la (sua) distruzione».
Se anche una sola parte del Weg tedesco dovesse essere accettata dal Sinodo universale, potrebbe sfigurare la Chiesa così come la conosciamo. Ovviamente, non si tratta della fine della Chiesa Cattolica. Confortata dalla promessa divina, essa ha la certezza dell'indefettibilità, cioè quella prerogativa in virtù della quale durerà sino alla fine dei tempi (Mt 28, 20), e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa (Mt 16, 18).

UN CAMMINO FALLIMENTARE
Prima di applicare il "Cammino sinodale" alla Chiesa cattolica, i suoi promotori forse farebbero meglio a studiare simili esperienze, rivelatesi fallimentari, in altre confessioni. Prendiamo l'esempio della Chiesa d'Inghilterra, che intraprese il suo particolare "cammino sinodale" negli anni Cinquanta del secolo scorso.
La testimonianza di Gavin Ashenden, ex vescovo anglicano e già cappellano di S.M. la Regina Elisabetta, convertitosi al cattolicesimo, è degna di nota: «Credo che gli ex anglicani possono essere di qualche aiuto, perché hanno già visto lo stratagemma della sinodalità applicato alla Chiesa d'Inghilterra, con effetti divisivi e distruttivi. Da ex anglicani, noi abbiamo già visto questo trucco. Fa parte della spiritualità dei progressisti. In poche parole, avvolgono contenuti quasi marxisti in un linguaggio spirituale e poi parlano dello Spirito Santo».
Un simile ammonimento viene rivolto anche da P. Michael Nazir-Ali, già vescovo anglicano di Rochester e oggi sacerdote cattolico. A suo parere, «dobbiamo imparare dalla confusione e caos derivanti da quanto è successo nella Chiesa d'Inghilterra e in alcune chiese protestanti liberali».
Ma non bisogna nemmeno andare troppo lontano per constatare il fallimento di questo approccio. Basti guardare al disastro della Chiesa in Germania. È paradossale che proprio il Synodaler Weg debba servire da modello per la riforma della Chiesa universale. A nessuno sfugge che la Chiesa in Germania stia quasi scomparendo e si trovi nella peggiore crisi della sua storia, proprio in conseguenza dell'applicazione di idee e di pratiche simili a quelle che ispirano il Weg.
Perché si vuole imporre alla Chiesa un "cammino" che in altri luoghi ha portato al disastro?
D'altronde, come questo libro dimostrerà, il Cammino sinodale - sia quello universale sia quello tedesco - non entusiasma quasi nessuno. Il numero delle persone coinvolte nei vari processi consultivi è irrisorio. C'è un'indifferenza generalizzata. Sapranno i promotori del Cammino sinodale interpretare questa indifferenza? Si renderanno conto che stanno giocando una partita con gli spalti vuoti? Fosse una partita di calcio... ma è in gioco nientemeno che la Sposa di Cristo!

DAL CONCILIARISMO ALLA SINODALITÀ PERMANENTE
Per quanto si presenti come "moderno" e "aggiornato", lo spirito sinodale attinge a vecchi errori ed eresie.
Già all'inizio del secolo XV, col pretesto di adattare la Chiesa alla nuova mentalità nata con l'Umanesimo, sorse la corrente detta "conciliarista", che intendeva ridurre il potere gerarchico del Papa in favore di un'assemblea conciliare. La Chiesa avrebbe dovuto strutturarsi, come espressione della volontà dei fedeli, in "sinodi" locali e regionali, largamente autonomi, ognuno con la sua lingua e i suoi costumi. Questi sinodi si sarebbero dovuti poi riunire periodicamente in un "Concilio generale" o "Santo Sinodo", detentore della massima autorità nella Chiesa. Il Papa, ridotto a un primus inter pares, avrebbe dovuto a sua volta sottomettersi alle decisioni dei concili, mediante il voto paritario dei partecipanti.
Nelle sue manifestazioni più autentiche, lo spirito che anima il Synodaler Weg tedesco, e anche il cammino sinodale universale, non fa altro che assumere e rilanciare questi vecchi errori, già condannati da diversi Papi e Concili. Vecchi errori denunciati dal teologo Joseph Ratzinger: «L'idea del sinodo misto quale suprema autorità permanente di governo delle chiese nazionali è, alla luce della Tradizione della Chiesa, così come alla luce della struttura sacramentale e del fine specifico della Chiesa, una chimera. A un sinodo del genere mancherebbe ogni legittimità e ad esso bisognerebbe decisamente e chiaramente rifiutare l'obbedienza».

ALIENUS FACTUS SUM IN DOMO MATRIS MEAE
Per un osservatore diligente, il panorama si tinge di toni apocalittici. È in corso una manovra per demolire Santa Madre Chiesa, per cancellare elementi basilari della sua costituzione divina, della sua dottrina e della sua morale, rendendola così irriconoscibile. Come accennato sopra, il cardinale Müller mette in guardia sul fatto che, applicate in modo massimalista, nelle intenzioni utopistiche di alcuni promotori, le riforme sinodali potranno portare «verso la distruzione della Chiesa cattolica». La più terribile delle distruzioni, perché fatta da mani consacrate, che dovrebbero invece custodirla da ogni pericolo. Mai come oggi risuona l'ammonizione di papa Paolo VI: «Taluni si esercitano nell'autodemolizione (...) La Chiesa viene colpita pure da chi ne fa parte».
Di fronte a un panorama così cupo, molti cattolici si sentono smarriti, scoraggiati, confusi, perplessi e perfino delusi. E non tutti reagiscono in modo adeguato. Alcuni cedono alla tentazione del sedevacantismo: abbandonano la Chiesa per diventare autoreferenziali. Altri cedono alla tentazione dell'apostasia: abbandonano la Chiesa per abbracciare altre confessioni. La maggior parte sprofonda nell'indifferenza: abbandona la Chiesa alla sua triste sorte. Costoro sbagliano in modo clamoroso! Ma amicus certus in re incerta cernitur: è proprio adesso che Santa Madre Chiesa ha bisogno di figli amorevoli e intrepidi che la difendano contro i suoi nemici, esterni e interni. Dio ce ne chiederà conto!
Per questo noi ci domandiamo, come fece Plinio Corrêa de Oliveira nel 1951: «Quanti sono quelli che vivono in unione con la Chiesa questo momento che è tragico come è stata tragica la Passione, questo momento cruciale della storia, in cui tutta un'umanità sta optando per Cristo o contro Cristo?». Dobbiamo pensare come pensa la Chiesa, sentire come sente la Chiesa, agire come la Chiesa vuole che agiamo in tutte le circostanze della nostra vita. Questo suppone il sacrificio di tutta un'esistenza. Un sacrificio tanto più doloroso, quando si considera che alti esponenti della stessa gerarchia ecclesiastica non sempre lo gradiscono e, anzi, a volte lo perseguitano con acredine.
Possiamo quasi esclamare parafrasando il salmista: «Alienus factus sum in domo matris meae - Sono diventato un estraneo nella casa di mia madre» (cfr. Sal 68,9). Sì, alienus, ma pur sempre in domo matris meae, cioè nella Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana, fuori dalla quale non c'è salvezza.
Questo è lo spirito che anima gli autori del presente libro.

Nota di BastaBugie: qual è la posta in gioco in questo processo? Che cosa significano parole-chiave come "ascolto", "inclusione radicale", "partecipazione", "corresponsabilità"?
Perché si parla di ordinazione delle donne? E anche di benedizioni in Chiesa alle coppie omosessuali? Che cosa si vuol intendere per "Chiesa sinodale"? E ancora, che rimane della stessa Chiesa fondata e costituita da Nostro Signore Gesù Cristo? Perché si vuole trasformare la Chiesa in una "piramide rovesciata"?
Le risposte a tutte queste domande si trovano nel volume: "Processo Sinodale, Un Vaso di Pandora".
Per scaricare gratuitamente la versione digitale oppure richiedere una copia cartacea a fronte di una piccola donazione di € 10 (che servirà a coprire i costi di stampa e spedizione del libro), clicca nel link qui sotto:
https://www.tfpitalia.it/processo-sinodale

Fonte: TFP Italia

5 - LA CORTE SUPREMA ABBATTE IL RAZZISMO DEGLI ANTIRAZZISTI
L'ultima sentenza ha dichiarato incostituzionale la ''discriminazione positiva'' che favoriva gli afro-americani nelle università americane e penalizzava ingiustamente bianchi e asiatici perché ''troppo bravi''
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12 luglio 2023

Alla fine di giugno, la Corte Suprema ha dato un'altra picconata al progressismo americano. Ha dichiarato incostituzionale la discriminazione positiva, su base razziale, nelle selezioni per accedere alla prestigiosa università di Harvard. Con la sentenza Students for Fair Admission vs. Harvard, la "affirmative action", o discriminazione positiva, in uso nel mondo dello studio e del lavoro sin dagli anni '60, è stata delegittimata. La sentenza ha provocato un vivace dibattito che mette a confronto due modi opposti di intendere il razzismo.
La sentenza della Corte Suprema, votata da 6 giudici supremi contro 2, ne ribalta due precedenti che avevano fatto la storia. La prima, Regents of University of California vs. Bakke del 1978, aveva stabilito il principio che una certa preferenza razziale negli esami di ammissione fosse ammissibile, purché non fosse una vera e propria quota. Nel 2003 questa posizione era stata ribadita in un'altra sentenza, la Grutter vs. Bollinger. Tuttavia, in nessuna di queste sentenze la discriminazione positiva veniva assunta come principio. Si sdoganava l'eccezione, semmai, ma sempre sul filo del rasoio della costituzionalità. Quindi l'università poteva esercitare delle preferenze per diversificare la sua popolazione studentesca e avvantaggiare le minoranze più sfavorite (i neri, soprattutto), purché non fosse una pratica sistematica, fosse "limitata nel tempo" e non determinante nella selezione.

DISCRIMINAZIONE POSITIVA
Questo criterio è andato bene a tutte le minoranze, finché non ne ha colpita una molto grande e sempre più influente: quella asiatica. Infatti è proprio un caso di discriminazione di studenti di origini asiatiche, mediamente "troppo bravi", nell'esame di ammissione dell'Università di Harvard, nel 2014, che ha dato origine alla causa che solo alla fine del mese scorso è giunta alla sua conclusione in Corte Suprema, dopo un percorso tortuoso di sentenze locali e federali. L'associazione Students for Fair Admission ha vinto. Il massimo organo giudiziario americano ha sentenziato che la discriminazione positiva negli esami di ammissione viola sia la Costituzione (Quattordicesimo Emendamento, che ribadisce l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge) che l'articolo 6 della Legge sui diritti civili del 1964 che vieta ogni discriminazione su base razziale.
Nel parere di minoranza, la giudice suprema liberal Sonia Sotomayor ritiene che questa sentenza "rafforza ulteriormente la disuguaglianza razziale nell'educazione". Le fa eco lo stesso presidente Joe Biden, che si dice apertamente in disaccordo con la Corte Suprema. La nuova rettrice di Harvard, Claudine Gay, dichiara in un video che questa sentenza "implica la possibilità concreta che molte opportunità vengano negate". C'è preoccupazione soprattutto per i neri, che verrebbero sotto-rappresentati nelle università. Secondo i test attitudinali Sat, nel 2022 gli afro-americani conseguivano una media di 926 punti su 1600, contro una media di 1098 punti per i bianchi e ben 1229 punti per gli asiatici. Quel che le università più prestigiose temono (e i posti di lavoro che reclutano presso di loro, anche) è un'università con gli occhi a mandorla? Parrebbe di sì.

50 ANNI DI DISCRIMINAZIONE A FAVORE DEGLI AFRO-AMERICANI
Prima di tutto occorre chiedersi se quasi 50 anni di discriminazione positiva a favore degli afro-americani e in misura minore dei latino americani, abbiano portato a una emancipazione di queste minoranze. La risposta è quasi sempre negativa, considerando che fra gli afro-americani è più alta la percentuale di abbandono degli studi ed anche se ammessi in una corsia preferenziale, finiscono poi in fondo ai loro corsi. Forzando l'ammissione "si introducono nelle università studenti neri che, in un mondo senza discriminazione positiva, frequenterebbero scuole meno selettive, ma perfettamente rispettabili", come scrive su Wall Street Journal Heather McDonald, del Manhattan Institute. "In quasi 50 anni di retorica favorevole alla discriminazione positiva, molti studenti neri si sono convinti che essere respinti da una scuola per un brutto voto sia come essere respinti per il colore della loro pelle". Questo meccanismo ha dunque accentuato la disuguaglianza, non ha ridotto le distanze.
L'anti-razzismo dei progressisti va poi in cortocircuito proprio con la causa intentata da Students for Fair Admission, che ha agito in rappresentanza di studenti asiatici. La minoranza asiatica è "privilegiata"? No, perché è formata da discendenti di lavoratori forzati (i coolies cinesi), immigrati indiani poverissimi, profughi del Sud Est asiatico. Sono i nuovi self made men, sono cresciuti dal nulla, basandosi sulle loro capacità personali e la loro instancabile voglia di studiare e lavorare. Per questo sono minoranze che evidentemente non piacciono ai progressisti. A coloro che vogliono bene ai poveri, purché restino poveri.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 12 luglio 2023

6 - COSA RESTA DELLA GMG? UN PRESUNTO MIRACOLO E UNA QUASI CERTA IGNORANZA
Una ragazza dice di aver recuperato la vista durante la Messa a Fatima... ma tutti gli altri giovani rischiano di restare ciechi sui principi della dottrina
Fonte Sito del Timone, 7 agosto 2023

Se c'era una storia veramente speciale che questa Gmg di Lisbona poteva lasciarci, questa lo è senza dubbio. Secondo quello che ha riportato la radio spagnola COPE, Jimena, una ragazza di 16 anni di Madrid, presente a Lisbona insieme a un gruppo dell'Opus Dei, ha recuperato la vista a Fatima quando ha ricevuto la Comunione, proprio nel giorno della festa della Vergine della Neve, alla quale stava facendo una novena di preghiera per chiedere il miracolo della sua guarigione.
«Ho aperto gli occhi e vedevo perfettamente», così ha testimoniato la ragazza che da due anni e mezzo è praticamente cieca a causa di una progressiva perdita della vista. Il fatto sarebbe accaduto la mattina del 5 agosto, mentre anche il Santo Padre recitava il Rosario nel Santuario di Fatima.
Nell'audio della radio spagnola COPE (potete ascoltarlo nel video qui sopra) la ragazza spiega che quella mattina si è svegliata come al solito da due anni e mezzo a questa parte, e cioè «vedendo super sfocato». Quindi ha raccontato di essere «andata a messa con i miei amici perché siamo alla GMG» e «dopo aver ricevuto la Comunione sono andata alla mia panca e ho iniziato a piangere molto perché era l'ultimo giorno della novena e volevo guarire e ho chiesto molto favore a Dio e quando ho aperto gli occhi ci vedevo perfettamente».
«Era troppo», racconta concitata, e «dobbiamo ringraziare molto per il miracolo, perché ho visto l'altare, il Tabernacolo, c'erano i miei amici e ho potuto vederli perfettamente. Mi sono accorta che avevano due anni e mezzo in più di quanto li ricordassi, sono un po' cambiati, ma sono sempre loro. E poi mi sono guardata allo specchio più tardi, sono un po' cambiata anch'io...».
La giovane si dice «super felice» e ringrazia tutti coloro che hanno fatto parte del gruppo di preghiera per la novena. «Questa è stata una prova di fede, la Vergine mi ha fatto un grande dono che non dimenticherò», rimarca.
Il cardinale Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona e presidente della Conferenza episcopale spagnola (CEE), ha detto ad Aci prensa che questo possibile miracolo è «una grazia di Dio», rispondendo a una domanda durante la conferenza stampa al termine della GMG dal parco Eduardo VII di Lisbona.
Il cardinale poi ha detto che è stato in grado di parlare con Jimena attraverso una videochiamata e che lei ha spiegato cosa è successo. «La ragazza era estremamente emozionata», ha aggiunto il cardinale, «era cieca da tempo e da due o tre anni imparava il metodo braille».
Inoltre, il porporato ha sottolineato che Jimena «ha dovuto leggere la preghiera di ringraziamento quel giorno alla Messa con il gruppo di Madrid» e che, dopo aver ricevuto la Comunione, ha potuto leggerla senza alcun problema. La giovane ha anche raccontato al Cardinale che era «da nove giorni che chiedevano alla Vergine la sua guarigione».
Infine, Omella ha precisato che il miracolo «poi dovranno valutarlo i medici, com'era, se lo era, se si poteva curare o meno. Ma finora per la ragazza è stato un grande evento. Diciamo un miracolo. Non vedeva e ora vede. Adesso i dottori potranno dire il resto, ma lei torna a casa e ci vede».

Nota di BastaBugie: nell'articolo seguente dal titolo "I giovani di Lisbona e la DSC" Stefano Fontana esprime delle riserve sul fatto che si invitano i giovani ad agire, ma senza dargli i riferimenti dottrinali per impegnarsi nelle cause giuste alla luce del vangelo e non del mondo.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 16 agosto 2023:

I giovani a Lisbona erano tanti. Chi si interessa di Dottrina sociale della Chiesa si chiede se e quanti di loro, tornati a casa, si daranno da fare in questo campo. So bene che la GMG non era dedicata a questo, però ai giovani è stato dato un forte invito a "sporcarsi le mani" nell'aiuto agli altri e ad interessarsi attivamente dei problemi che soffocano oggi la società. Molte di queste minacce sociali sono state anche chiamate per nome durante gli incontri di Lisbona.
Allora, la domanda è lecita e pertinente: questi giovani andranno a sporcarsi le mani a seguito dei gruppi dell'ecologismo radicale? Si mobiliteranno per l'integrazione delle persone LGBT? Oppure si aggregheranno a movimenti pro-life e pro-family? Probabilmente a nessuno verrà in mente di leggersi qualche enciclica sociale di Leone XIII o di Giovanni Paolo II, non arrivo nemmeno a pensarlo, ma torneranno a casa con una disponibilità, ancora generica e da precisare ma presente, di agire nella società e nella politica "da cattolici"? Pensando che la propria fede ha molto da dire al riguardo, in raccordo con la ragione? Avranno percepito l'esistenza di questo orizzonte di riferimento, quello che si chiama Dottrina sociale della Chiesa anche se loro non la conoscono? Secondo me no. Sicché anche se fosse vero che la presenza di tutti quei giovani ha dimostrato che un mondo nuovo è possibile - come ha detto Francesco - per quale mondo nuovo quei giovani si impegneranno non ci è dato di sapere. La probabilità, anzi, che essi possano impegnarsi per un mondo anticristiano, senza saperlo e pensando di fare il contrario, è molto alta. A Lisbona le indicazioni su come debba essere il mondo che i giovani sono invitati a costruire erano confuse, generiche e in molti casi retoriche. Se si impegneranno per il clima, per esempio, lo faranno collocandosi dalla parte sbagliata, a partire da quanto sentito a Lisbona. Se dovessero decidere di entrare in qualche partito ne sceglieranno uno ecologista anche se favorevole all'aborto, a partire da quanto sentito a Lisbona.
Un test interessante a questo proposito è vedere cosa abbia detto Francesco ai giovani nella veglia passata assieme a loro il 5 agosto scorso. Il papa li ha invitati ad "allenarsi a camminare". Cioè abituarsi a guardare gli altri dall'alto in basso per sollevarli quando per la stanchezza si lasciano cadere, quindi ha detto che la gioia di fare questo l'abbiamo ricevuta da altri che dobbiamo ringraziare, poi ha detto che scopo della vita è vivere quello che abbiamo dentro, ossia la nostra vocazione e questo si impara non in una biblioteca, ma nella vita, ossia camminando. Poi ha così concluso "Vi lascio questi spunti. Camminare e, se si cade, rialzarsi; camminare con una meta; allenarsi tutti i giorni nella vita. Nella vita, nulla è gratis, tutto si paga. Solo una cosa è gratis: l'amore di Gesù! Quindi, con questo gratis che abbiamo - l'amore di Gesù - e con la voglia di camminare, camminiamo nella speranza, guardiamo alle nostre radici e andiamo avanti, senza paura. Non abbiate paura. Grazie! Ciao!". In questo discorso non riesco a trovare nessun elemento di contenuto, tale da fornire ai giovani qualche criterio per valutare cosa differenzi un mondo giusto da un mondo ingiusto e che li preservi dall'essere ingannati dalle ideologie di oggi, che stanno investendo ampiamente anche la fede, quando ritorneranno alle loro case.

GMG, IL VITELLO D'ORO DELL'AMBIENTALISMO (AL POSTO DI DIO)
Alla Giornata Mondiale della Gioventù a Lisbona occupano un posto centrale temi come l'inquinamento e il clima... ma l'ambientalismo ribalta l'ordine del creato e degrada l'uomo
di Tommaso Scandroglio
https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=315

Fonte: Sito del Timone, 7 agosto 2023

7 - OMELIA XXII DOM. TEMPO ORD. - ANNO A (MT 16,21-27)
Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

Il brano che abbiamo ascoltato, nella narrazione evangelica segue immediatamente quello della scorsa domenica. Si tratta anzi dello stesso episodio, avvenuto a Cesarea di Filippo, e ha gli stessi interlocutori: Gesù e Pietro, e sullo sfondo gli apostoli. C'è anche qui una frase rivolta da Cristo a Pietro; ma quanto diversa da quella su cui abbiamo meditato otto giorni fa!
Beato!, aveva detto Gesù poco prima. Adesso gli dice: Satana! Neppure ai farisei i tradizionali e più fustigati oppositori del Signore era mai stata riservata una parola così severa e così amara.
Gli aveva detto: "Tu sei la pietra su cui costruirò la mia Chiesa". Adesso gli dice: "Tu sei per me uno scandalo", cioè una pietra di inciampo, un ostacolo posto sul mio cammino.
Gli aveva detto: Né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. Adesso gli dice: Tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini. E cioè: tu, che poco fa' hai avuto una folgorazione divina, un dono dall'alto, una illuminazione che ti ha consentito di penetrare nel mistero della mia persona e ti ha fato partecipare alla conoscenza viva e salvifica del Figlio di Dio fatto uomo, adesso sei ripiombato nella nebbia dei ragionamenti umani, ai quali la logica
divina resta sempre lontana e straniera, sei ritornato spiritualmente ottuso, come sono di solito gli uomini che si ritengono intelligenti, colti, prudenti, e non riescono ad afferrare e a capire il disegno del Padre.
Si direbbe che questa frase di rimprovero detta a Pietro sia perfettamente simmetrica e perfettamente contraria a quella di lode rivoltagli poco prima. E non possiamo non ammirare l'assoluta giustizia e la sovrana libertà interiore di Cristo, che dà sempre a ciascuno quello che ciascuno si merita, e non si lascia mai condizionare da niente, neppure dalle amicizie o dai calcoli umani degli appoggi e degli aiuti esteriori.

PIETRO RAPPRESENTA TUTTI NOI
Ma non possiamo non domandarci (e con questo interrogativo arriviamo al centro della riflessione di oggi): perché questo cambiamento di tono? Che cosa ha provocato il passaggio brusco e inaspettato dall'approvazione più esplicita e più solenne al biasimo più violento? Che cosa è avvenuto che ha fatto, per così dire, cadere in disgrazia Pietro, proprio nel momento che aveva ricevuto la missione più impegnativa e più onorifica che possa essere affidata a un uomo?
È avvenuto (ci dice il brano letto oggi) che Pietro forse troppo compreso della sua recente dignità di fondamento della Chiesa e di detentore delle chiavi del Regno aveva cercato di allontanare Gesù dal cammino della croce: Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai.
E Gesù, che proprio in quel momento aveva dato il primo annunzio, la prima profezia della sua tragica
morte, si è sentito colpito in ciò che gli era più intimo e suo; si è sentito colpito nel centro segreto della sua personalità di Salvatore, perché la morte in croce per la nostra salvezza era il traguardo di tutta la sua vita terrestre, ed egli era venuto appunto per essere un "redentore crocifisso".
In un momento di luce, Pietro l'aveva proclamato Messia e Figlio di Dio. Ma era stato solo un momento; subito era ricaduto nella mentalità corrente degli ebrei, per i quali "Messia" doveva significare uno che riesce a vincere sul piano umano, un trionfatore esterno, un realizzatore diretto della giustizia in questo mondo, un conquistatore glorioso.
Che cosa poteva contare pensava Pietro dentro di sé, con tutta la mentalità mondana una religione che non fosse anche risultato, successo, vittoria garantita in questa vita, o quanto meno non offrisse una speranza ravvicinata, una speranza per questo mondo? Che affidamento poteva dare agli uomini un Vangelo il cui maestro sarebbe finito sul patibolo, come uno sconfitto e un fallito?
Perciò Pietro protesta: Non ti accadrà mai; e diventa, per così dire, il precursore di quella lettura del messaggio evangelico, che lo vede primariamente, se non esclusivamente, rivolto al conseguimento di una giustizia, di una liberazione, di una prosperità soltanto terrestri. Ma è una concezione che Gesù, come si è visto, chiaramente e sdegnosamente rifiuta.
O, più semplicemente, Pietro diventa il portavoce di tutti noi, che facciamo una gran fatica ad accettare, anche come prospettiva, come idea, la strada della croce.
Perciò, nella pagina evangelica letta, Gesù indugia a spiegarla ai suoi discepoli e a noi, e ritornerà molte volte su questo argomento, perché è un insegnamento difficile.
Difficile, perché a tutti noi ripugna istintivamente pensare che nel piano di Dio non ci sia Pasqua (cioè: non ci sia gioia vera e duratura, non ci sia vita eterna, non ci sia salvezza) se non passando attraverso il venerdì santo; non ci sia vittoria, se non attraverso l'umiliazione e la morte di colui che dovrebbe essere sempre e subito vincitore. Essere i soldati di un generale che prevede e addirittura programma le proprie sconfitte, non piace a nessuno. Non piaceva a Pietro e non piace nemmeno a noi.
Difficile, soprattutto, perché intuiamo facilmente che se questa è la strada percorsa dal nostro Signore e Maestro, inevitabilmente questa dovrà essere anche la nostra strada. E la cosa ci piace ancora meno.
E difatti Gesù deduce esplicitamente questa temuta e irritante conclusione, e dal fatto della sua croce ricava la necessità della nostra croce: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Rinneghi se stesso: in un tempo in cui dappertutto, perfino nella vita religiosa, si sente parlare solo di impegno a realizzare se stessi, questa frase di Cristo è davvero provocatoria, ed è un invito serio a esaminare quanto si possa ancora dire che siamo almeno nelle intenzioni, nei tentativi, nei desideri profondi del nostro essere veramente discepoli del nostro Maestro, il Signore crocifisso e risorto.

Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Le Edizioni Studio Domenicano hanno autorizzato la pubblicazione della porzione di testo sopra riportata con lettera del 3 luglio 2023.

ALTRA OMELIA XXII DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 16,21-27)
da Il settimanale di Padre Pio
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Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

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