BastaBugie n�838 del 13 settembre 2023

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1 NON UCCIDERE L'ORSA SACRA, RISCHI LA PRIGIONE E GLI ANIMALISTI TI DARANNO LA CACCIA
Un padre di famiglia ha sparato a un'orsa che era entrata nel suo pollaio: rischia fino a 2 anni di reclusione e vive sotto assedio, per le minacce di morte degli animalisti
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
2 LA CULTURA DELLO STUPRO E DELLA PORNOGRAFIA
Davanti al giudice uno dei ragazzi ha dichiarato: ''Se ci penso mi viene lo schifo perché, come nei porno, eravamo cento cani sopra una gatta... voleva farsi a tutti, beh gli abbiamo fatto passare il capriccio''
Autore: Maria Rachele Ruiu - Fonte: Provita & Famiglia
3 FOSSE COMUNI DI BAMBINI IN CANADA? ERA UNA BUFALA, MA INTANTO HANNO BRUCIATO 100 CHIESE
In due anni di ricerche, finanziate dal governo Trudeau con 320 milioni, non hanno trovato un solo corpo... ma nessuno dei profanatori di chiese è stato arrestato
Autore: Giulio Meotti - Fonte: Società Domani
4 IL VERO VOLTO DELL'EUTANASIA: ORA SI UCCIDE ANCHE CHI NON E' D'ACCORDO
Una ragazza 19enne in terapia intensiva, ma cosciente, afferma ''Sono malata, ma voglio vivere'', ma i medici le vogliono togliere la vita e il giudice dà loro ragione
Autore: Patricia Gooding-Williams - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
5 MUSULMANO PICCHIA LA MOGLIE, MA PER IL PM E' UN FATTO CULTURALE E VA ASSOLTO
La storia di una donna di 27 anni di origini bengalesi, cittadina italiana, madre di due figlie e costretta a un matrimonio combinato
Autore: Salvatore Montillo - Fonte: La Stampa
6 LA CAMPAGNA ELETTORALE DI BIDEN COSTERA' MOLTI ABORTI
Il presidente Joe Biden ha fatto dell'aborto uno dei propri cavalli di battaglia e può contare su finanziatori potenti tra cui Planned Parenthood (VIDEO: Trump, una nazione in grave declino)
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Radio Roma Libera
7 IL RIFIUTO DEI LEFEBVRIANI DI SOTTOMETTERSI AL PAPA E' UN ATTO SCISMATICO
L'appartenenza alla Chiesa passa anche attraverso la sua struttura giuridica (quindi non è cattolico il vescovo validamente consacrato, ma contro la volontà del Papa)
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana
8 OMELIA XXIV DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 18,21-35)
Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello?
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

1 - NON UCCIDERE L'ORSA SACRA, RISCHI LA PRIGIONE E GLI ANIMALISTI TI DARANNO LA CACCIA
Un padre di famiglia ha sparato a un'orsa che era entrata nel suo pollaio: rischia fino a 2 anni di reclusione e vive sotto assedio, per le minacce di morte degli animalisti
Autore: Stefano Magni - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 5 settembre 2023

Da quattro giorni le cronache italiane sono ricche di versioni differenti e di commenti su quanto accaduto a San Benedetto dei Marsi, poco fuori dal Parco degli Abruzzi. Un macellaio, Andrea Leombruni, 56 anni e padre di famiglia, ha sparato a un'orsa che, secondo la sua testimonianza, era entrata nel suo pollaio verso le 23 del 31 agosto. Successivamente, Amarena (così era nota ai locali, perché ghiotta di amarene) è stata ritrovata morta per le ferite riportate. Dopo oltre due giorni di ricerche sono stati ritrovati, vivi, i suoi cuccioli. È un tragico episodio di convivenza fra uomo e animale, dunque. Ma il seguito è ancora peggiore: l'uomo, anche se si è detto pentito della sua reazione armata, vive letteralmente sotto assedio, nell'incubo di subire una rappresaglia da parte degli animalisti.
La Procura di Avezzano ha aperto un fascicolo nei confronti del macellaio. Aveva un regolare porto d'armi, ha sparato ad un grande predatore all'interno della sua proprietà, ma rischia di essere condannato per il reato 544bis del codice penale, ossia chiunque procuri per crudeltà o senza necessità la morte di animali. L'uomo rischia dai 4 mesi ai 2 anni di reclusione. Il pubblico ministero Maurizio Maria Cerrato ha nominato un perito, un esperto di balistica, per stabilire l'esatta traiettoria del colpo di fucile che ha causato la morte dell'orsa e per confrontarla con la posizione dell'indagato. Come se si trattasse dell'omicidio di un uomo.

CITTADINO ONORARIO?
Il vicino comune di Villalago ha commentato la notizia come se fosse morto un suo cittadino onorario: "La comunità di Villalago ti aveva accolto e protetto, te ed i tuoi cuccioli, potendo con rispetto ammirare lo spettacolo della natura". Il Parco ha reagito subito con un post sui social dove dichiara: "L'episodio è un fatto gravissimo, che arreca un danno enorme alla popolazione che conta una sessantina di esemplari, colpendo una delle femmine più prolifiche della storia del Parco. Ovviamente non esistono motivazioni di nessuna ragione per giustificare l'episodio visto che Amarena, pur arrecando danni ad attività agricole e zootecniche, sempre e comunque indennizzati dal Parco anche fuori dai confini dell'Area Contigua, non aveva mai creato alcun tipo di problema all'uomo". Il Parco ha dunque l'unico interesse a preservare una numerosa popolazione di grandi predatori, mentre non considera "problemi per l'uomo" i danni alle attività agricole e zootecniche.
Il presidente del Parco Nazionale della Maiella, Lucio Zazzara, nella sua nota, parla di sottocultura: "L'uccisione dell'orsa Amarena rappresenta un gesto sconsiderato per diverse ragioni, sia d'interesse scientifico, sia sociale, sia economico; ma soprattutto è la manifestazione di una pericolosa sottocultura che continua a privilegiare un approccio violento alle problematiche, che pure sussistono, nel rapporto uomo-natura". Il presidente della regione Abruzzo, Marco Marsilio, è stato, se possibile, ancora più duro, definendo, senza mezzi termini, il suo cittadino come un "delinquente", a processo non ancora iniziato: "Mai un orso ha rappresentato in Abruzzo un qualunque pericolo per l'uomo, neanche quando si è trovato a frequentare i centri abitati. L'atto violento compiuto nei confronti del plantigrado non ha alcuna giustificazione". Quindi si dice "pronto a costituire la Regione come parte civile contro questo delinquente per tutelare l'immagine e l'onorabilità della nostra gente".

MINACCE DI MORTE
Se questi sono i messaggi che arrivano dalle autorità, figuriamoci quelli degli animalisti che hanno subito lanciato la carica sul Web e anche per telefono (perché nome, cognome, indirizzo, numero di telefono del macellaio sono stati subito diffusi). "Sono tre giorni che non dormo e non mangio, non vivo più, ricevo in continuazione telefonate con minacce di morte, messaggi; hanno perfino chiamato mia madre 85 enne, tutta la mia famiglia è sotto una gogna", spiega Leombruni ai giornalisti dell'agenzia Ansa. "Non è giusta questa violenza e questo martirio che ci stanno facendo - commenta la moglie - c'è la Procura che indaga, sono loro i titolati a farlo, a giudicare, noi sicuramente saremo puniti e ripeto giustamente, ma perché dobbiamo vivere sotto scorta? Perché dobbiamo aver paura di vivere?"
Primo risultato fra i suggerimenti Google (dunque le ricerche effettuate dalla maggioranza degli utenti) per "Andrea Leombruni" è: "bracconiere". Eppure, appunto, ha sparato dentro il suo pollaio, con un'arma che deteneva regolarmente, non si è addentrato nel parco a uccidere animali protetti. Di fianco a casa sua è stato dipinto un murales con uno scheletro che spara con un fucile da caccia e la scritta "Giustizia". È stato cancellato per ordine del sindaco, così come è stata annullata una manifestazione di animalisti nel paese. Non per proteggere l'allevatore, ma ufficialmente per non disturbare la ricerca dei cuccioli di Amarena.
Cinque mesi fa, quando Andrea Papi, un uomo di 26 anni che si allenava a correre in un bosco del Trentino, venne sbranato da un orso, si levarono alte le voci degli animalisti. Per difendere l'animale dal possibile abbattimento, argomentarono affermando che fosse "nel suo habitat". Era l'uomo, semmai, che ne aveva invaso lo spazio vitale. Ora è un'orsa che ha invaso lo spazio dell'uomo ed è stata uccisa. E la colpa è solo dell'uomo? Quindi che cosa chiede l'animalismo all'uomo, di non entrare negli spazi vitali degli orsi e di lasciar entrare gli orsi nei propri? A questo punto non è più una mera difesa degli animali, ma una loro sacralizzazione: l'orsa Amarena è vista come una sorta di vacca sacra che può andare dove vuole, fare quel che vuole e guai a chi la tocca.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 5 settembre 2023

2 - LA CULTURA DELLO STUPRO E DELLA PORNOGRAFIA
Davanti al giudice uno dei ragazzi ha dichiarato: ''Se ci penso mi viene lo schifo perché, come nei porno, eravamo cento cani sopra una gatta... voleva farsi a tutti, beh gli abbiamo fatto passare il capriccio''
Autore: Maria Rachele Ruiu - Fonte: Provita & Famiglia, 30 agosto 2023

«Se ci penso mi viene lo schifo perché eravamo cento cani sopra una gatta, una cosa così l'avevo vista solo nei porno, eravamo troppi e sinceramente mi sono schifato un poco, però che devo fare la carne è carne, ma ti giuro dopo che si è sentita pure male, piegata a terra, ha chiamato l'ambulanza, l'abbiamo lasciata lì e siamo andati via. Voleva farsi a tutti, alla fine gli abbiamo fatto passare il capriccio»
La pornografia, cancro di questa generazione più di altri, visto che i bambini incappano in un video porno a 8 anni, per sbaglio. Cioè mio figlio Michele fra 3 anni.
Esistono bambini di seconda elementare già dipendenti dal porno. Agghiacciante. Ma è.
Esistono bambini alle elementari, con una idea già distorta della donna, che perdono il rispetto per la donna grazie ad un cavolo di cellulare.
Che perdono il desiderio di entrare in relazione con lei, di amarla e rispettarla, e che non riescono a vederla se non come mero strumento di godimento personale, grazie ad un cavolo di cellulare.
Un sex toy da esigere, perché desiderato. Da comprare se non lo si possiede. O da rubarsi, se non in vendita.
Chi fa uso di pornografia rinforza la credenza che il maschio debba dominare e la femmina sottomettersi, oltre a normalizzare pratiche sessuali estreme. Nel porno le donne sono rappresentate come macchine riceventi solo sesso, non altro: «Lei era tutta ubriaca, l'amica sua l'ha lasciata sola, voleva farsi a tutti. Alla fine gli abbiamo fatto passare il capriccio».
Una macchina, non più umana, deputata al mio puro godimento.
Gli studi mostrano che chi fa uso di pornografia, infatti, tende a rapportarsi ad una donna come oggetto: si elaborano le immagini sessualizzate delle donne con i processi con cui si elaborano gli oggetti, e non con processi che di norma usiamo quando ci relazioniamo con altri esseri umani.
Zero empatia: «Dopo si è sentita pure male [...] si toccava là sotto piegata a terra... 'Chiamate un'ambulanza', [...] l'abbiamo lasciata lì e siamo andati via...».
Un cocktail maledetto tra dipendenza da device e dipendenza da porno, servito su piatti d'argento, per la distruzione dei nostri figli.
Un vero carcere neurobiologico, in cui la gratificazione che cerchi non la trovi più, e hai bisogno di uno stimolo sempre maggiore: parti dalla immagine o dal video visto per caso sul cellulare a otto anni, per arrivare, non così di rado ahinoi, a ritrovarsi piegati a cercare materiale pedopornografico. Neonati, sì. Chiedete a Don Fortunato Di Noto. L'inferno in terra.
E no, non possiamo permetterci di scandalizzarci leggendo le richieste su telegram del video di quella vergognosa e animalesca violenza. Perché se ci scandalizziamo fingiamo che sia un caso. E invece no: chiamare la prostituzione, cioè lo stupro a pagamento, sex work; sponsorizzare la pornografia, cioè la prostituzione filmata, come sana; Only fans e compagnia cantante; la grandissima bugia che abbiamo il diritto di pretendere che tutte le nostre pulsioni debbano essere. No, non è un caso.
Indicare continuamente, perché fa figo, la ricerca del godimento, slegato dalla relazione, fingere che sia la strada per la felicità, per un paradiso a portata di mano, senza limiti, pieno di pulsioni, pretese, desideri assurti a diritti (voglio, posso, pretendo), che tutti dobbiamo pretendere, è l'inferno. Che stiamo permettendo, per i nostri figli.
Vale la pena alzarci in piedi e lottare.
Perché l'altra possibilità sia possibile.
La libertà vera, la felicità vera; quella di sapersi controllare, per l'altro; rinunciare, per l'altro; sacrificarsi, cioè rendere sacro, per l'altro; scegliere il bene, per l'altro. Ed essere felici, insieme.
Difendere l'altro, anche dal branco.
Un'alleanza che va ricercata e ritrovata, insostituibile, tra uomo e donna.

Post Scriptum: Se sei dipendente dal sesso, se sei nella gabbia neurobiologica di prima, se stai distruggendo le relazioni intorno a te, se non riesci a guardare più una ragazza o una donna con libertà, se non riesci ad essere fedele perché non riesci a rinunciare al sesso, se stai distruggendo il tuo matrimonio e anche se non vorresti più, ogni volta che tua moglie non c'è, che i tuoi figli non ci sono, e impossibile per te non rinchiuderti in bagno, o in cantina, se stai perdendo la tua famiglia, il tuo lavoro, lo studio, se sei in gabbia all'inferno, chiedi aiuto. Si può uscire da questa dipendenza, con fatica, ma si può.

Nota di BastaBugie: oggi sempre più persone cercano di liberarsi dalla nuova forma di schiavitù che consiste nel consumo frequente di immagini pornografiche. Il percorso proposto dal sacerdote cattolico padre Eric Jacquinet nel libro "Libero! Dalla trappola della pornografia" è strutturato in un cammino di 40 giorni per riconquistare la gioia di vivere. L'itinerario accompagna un progressivo lavoro di conversione, liberazione e ricostruzione di sé che, ad ogni tappa, si concretizza attraverso una testimonianza, una spiegazione dei meccanismi psicologici, una riflessione spirituale ed esercizi pratici.
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Roberto Marchesini nell'articolo seguente dal titolo "Baby stupratori: la soluzione è educativa, non rieducativa" spiega perché è inutile prevedere misure drastiche contro l'epidemia di stupri. Questi provvedimenti peccano di quello stesso statalismo che ha estromesso la famiglia dal suo ruolo principale: l'educazione.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana l'8 settembre 2023:

Ecco licenziato dal Governo il «decreto Caivano» per intervenire contro le cosiddette baby-gang. Ricapitoliamo.
Verso la fine di agosto esce la notizia di stupri durati mesi, da parte di un gruppo di minori ai danni di due cugine di 13 anni, a Caivano, in provincia di Napoli. Don Maurizio Patriciello, parroco di un quartiere di Caivano (Parco Verde) ha invitato il premier Meloni a recarsi sul luogo per far sentire la presenza delle istituzioni. Il premier non solo ha fatto visita a questi luoghi, ma ha anche disposto un vero e proprio rastrellamento del quartiere da parte delle forze dell'ordine.
A dire il vero, qualche giorno prima, un evento simile è accaduto a Palermo e, prima ancora, a Firenze. In questi due casi, nessun rastrellamento, anzi: i media hanno sottolineato a più riprese che si trattava di ragazzi «normali». Insomma: una vera e propria «epidemia» di stupri di gruppo perpetrati da ragazzini minorenni. Ovviamente, il pensiero corre attraverso la sempre più precoce sessualizzazione dei nostri bambini, dai corsi di «educazione sessuale» all'uso ormai diffusissimo di smartphone e social media.
Ma veniamo al contenuto del decreto. Ecco le principali misure previste (sempre secondo gli organi di stampa):
- ammonimento, da parte del questore, al minore a partire dai 14 anni;
- una sanzione da 200 a 1000 euro ai genitori per mancato assolvimento degli obblighi educativi;
- fino a due anni di carcere se il figlio non frequenta la scuola dell'obbligo scolastico (18 anni o 16 in caso di qualifica professionale triennale);
- «DASPO» (Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive) urbano, cioè divieto di accesso a un determinato comune diverso da quello di residenza;
- «un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale sulla base di un programma rieducativo che preveda [...] lo svolgimento di lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti no profit o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza, per un periodo compreso da uno a sei mesi»;
- stanziamento di fondi per le scuole del Mezzogiorno.
Tralasciamo alcuni punti, ad esempio l'uso di un provvedimento legato al mondo dello sport (il DASPO) per qualunque provvedimento che limiti la libertà di movimento dei cittadini; oppure il fatto che, invece di promuovere una riflessione sul modello che la nostra società propone ai ragazzi, si intervenga con leggi, divieti, pene sempre più severe; o sul divieto di uso dei cellulari, che pare francamente fantascientifico, vista la situazione attuale. E concentriamoci sugli aspetti educativi evocati da questo ipotetico decreto.
Vediamo che lo Stato, che contribuisce in ogni modo all'attuale modello sociale, si propone di «rieducare» (non suscita un brivido questa parola?) i ragazzi dal punto di vista civico e sociale. Evidentemente ci troveremo di fronte a un esperimento di cura omeopatica. Invece di smettere di minare e di cominciare a rafforzare il ruolo educativo della famiglia («È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli», articolo 30 della Costituzione), in barba al principio di sussidiarietà, lo Stato si arroga il compito di educare (anzi: rieducare!) i ragazzi. E cosa fa ritenere l'estensore del decreto, che un dipendente pubblico sia in grado, abbia i mezzi, le competenze e la capacità di educare i ragazzi (e non aggiungiamo «meglio dei suoi genitori»)? Un titolo di studio? Si da per scontato che i genitori siano analfabeti non scolarizzati? Si da per scontato che il titolo di studio equivalga a una abilitazione educativa? E non è finita! Con questo decreto lo Stato priva la famiglia dei suoi diritti educativi, ma minaccia di punirla perché non ha assolto ai suoi obblighi educativi!
C'è dell'altro: la punizione con la reclusione fino a due anni (!) per i genitori se il ragazzo non assolve l'obbligo (aridaje...) scolastico, sul quale ci sarebbe molto da dire. Questo punto del decreto implica, potenzialmente, parecchie cose. Implica, ad esempio, che i membri delle baby-gang non vadano a scuola. È così? Tutti o la maggior parte dei ragazzi coinvolti in reati gravi non assolvono l'obbligo scolastico? Ho i miei dubbi, ma sono pronto a ricredermi se qualcuno fosse in grado di dimostrarlo. Altra implicazione è la seguente: la scuola ha un ruolo preventivo nei confronti della devianza minorile. È dimostrata, questa efficacia preventiva? Perché questa norma appare, dal punto di vista razionale, così bislacca da indurci a pensare che forse serve ad altro. E a cosa potrebbe servire una norma che, con la scusa di prevenire la devianza minorile, terrorizzi i genitori sull'obbligo scolastico? Ad esempio, a marchiare di illegalità e di pericolosità sociale l'home schooling; un fenomeno che, negli ultimi anni, tra gender e vaccinazioni coatte, sta suscitando parecchio interesse. Potrebbe quindi essere un modo per evitare che i genitori sottraggano i propri figli alla «scuola prussiana» obbligatoria e «gratuita» (per modo di dire).
Insomma: vediamo cosa ne sarà di questo decreto nel passaggio parlamentare. Nel frattempo, però, i dubbi si fanno sempre più pressanti: siamo sovrani o sudditi? Il ruolo educativo spetta alla famiglia o allo Stato? Per la famiglia è un diritto o un dovere? Ai posteri l'ardue sentenze.

Fonte: Provita & Famiglia, 30 agosto 2023

3 - FOSSE COMUNI DI BAMBINI IN CANADA? ERA UNA BUFALA, MA INTANTO HANNO BRUCIATO 100 CHIESE
In due anni di ricerche, finanziate dal governo Trudeau con 320 milioni, non hanno trovato un solo corpo... ma nessuno dei profanatori di chiese è stato arrestato
Autore: Giulio Meotti - Fonte: Società Domani, 10 settembre 2023

Le ricordate le "fosse comuni di bambini indigeni nelle scuole residenziali di tutto il Canada"?
Una serie di scavi in siti sospetti ha appena scoperto che... non ci sono resti umani. Un gruppo di indigeni, "Pine Creek First Nation", ha scavato 14 siti della Chiesa cattolica a Manitoba. E non sono stati trovati resti umani. Nel maggio 2021, i leader della British Columbia First Nation hanno annunciato la scoperta di una fossa comune di 200 bambini indigeni tramite radar a penetrazione del suolo in una scuola residenziale nella Columbia Britannica. Il radar ha rilevato "anomalie" nel terreno, ma nessuna prova della presenza di reali resti umani. Ma tanto bastava per fare notizia a livello planetario.
James C. McCrae, ex procuratore generale di Manitoba, ha rassegnato le dimissioni da un comitato governativo dopo aver espresso il suo scetticismo. Scavi sono stati condotti in decine di altre chiese: non un solo corpo.
Pochi giorni dopo l'annuncio di una prima "scoperta", il primo ministro Justin Trudeau ha decretato, su richiesta dei leader tribali, che tutte le bandiere sugli edifici federali sarebbe sventolate a mezz'asta. Il governo canadese e le autorità provinciali hanno promesso 320 milioni di dollari per ulteriori ricerche e a dicembre altri 40 miliardi di dollari in risarcimenti.
Ora persino la CBC canadese ammette: "Non ci sono resti".
E pensare la fatica che aveva fatto il New York Times.
Le "scuole residenziali" sono un capitolo tragico della storia canadese. Nel 1880 il governo arruolò varie organizzazioni per creare questi collegi per giovani indigeni e inserirli nella società. Più della metà di queste scuole erano gestite dalla Chiesa Cattolica. Con la tubercolosi e l'influenza spagnola dilaganti in quel periodo, diverse migliaia di bambini indigeni morirono nelle scuole. Nel 2008 è stata creata la Commissione per la verità e la riconciliazione per aiutare il processo di guarigione da questo capitolo oscuro della storia canadese. Molto lavoro è stato fatto da tutte le parti. I primi a scusarsi, nel 1991, furono proprio i vescovi della Conferenza episcopale.

LA BUGIARDA STAMPA OCCIDENTALE
Ma un "genocidio"? "Fosse comuni"? A leggere la bugiarda stampa occidentale sembrava che il Canada cattolico fosse la Serbia di Mladic.
Conrad Black, fondatore del quotidiano canadese National Post, ora spiega: "Tutta questa controversia è una frode. La performance di Justin Trudeau è stata vergognosa; ha disonorato il Canada". Black scrive che "non è stato scoperto alcun gruppo di tombe in nessuna parte del Canada" e che tutte le accuse sono state avanzate sulla base di distorsioni del suolo. "...Nonostante la generosa fornitura di fondi pubblici per condurre le necessarie indagini forensi, non è noto se ci siano sepolture umane, tanto meno tombe di bambini".
Eppure, anche Papa Francesco - che ha sempre troppa fretta di piacere alla gente che piace - ha rilasciato scuse formali a nome della Chiesa.
Ma in compenso chi esprimeva scetticismo ha visto carriera e reputazione distrutte. Prendiamo il caso dell'ex politico di Manitoba Jim McCrae. In un paio di articoli scritti verso la fine dello scorso anno, McCrae ha sfidato la visione della storia delle scuole residenziali promossa. Così è diventato "un negazionista". Un ex professore universitario si è visto annullare un discorso nel febbraio di quest'anno con la motivazione che "le sue opinioni non avrebbero fatto avanzare il dibattito sulle scuole residenziali e avrebbero causato danni minimizzando il dolore e la sofferenza inflitti ai bambini e alle famiglie delle Prime Nazioni". Altrove, un insegnante della Columbia Britannica si è visto annullare il certificato di insegnante dopo aver criticato la narrativa del "genocidio culturale".
Tom Flanagan, professore emerito di scienze politiche all'Università di Calgary, ha detto la questione è un esempio perfetto di "panico morale".
Bastava leggere i tre principali quotidiano italiani: Il Corriere della Sera, La Repubblica e La Stampa. Decine e decine di articoli senza fondamento.
Quillette lo definisce "panico generato dai media" in una inchiesta su come la fake news è diventata virale.

CENTO CHIESE BRUCIATE IN POCHI GIORNI
In compenso, per "ritorsione", in Canada cento chiese sono state bruciate in pochi giorni da attivisti e militanti senza che i media ne parlassero, "in un misto di indifferenza e gioia maligna" scrive Mathieu Bock-Coté sul Journal de Montréal. Le chiese vanno a fuoco nei giorni in cui si riparla della sorte dei bambini indigeni che lo stato canadese nell'Ottocento ha cercato di assimilare.
In una intervista con Fox News, il giornalista canadese Ezra Levant spiega il clima e solleva un paradosso tragico: "Il premier canadese Trudeau ha introdotto una legge contro il ‘discorso dell'odio' su Facebook e Internet, ma è silente su questa ondata di attacchi alle chiese".
"Immaginate se, dopo l'11 settembre 2001, negli Stati Uniti, o dopo gli attacchi islamisti degli ultimi anni in Francia, cittadini ‘arrabbiati' decidessero di attaccare le moschee, di vandalizzarle, di bruciarle" scrive ancora Bock-Coté. "Saremmo stati tutti indignati da tali gesti. Li avremmo condannati senza riserve. Avremmo ricordato che tali atti sono criminali, oltre a richiedere una punizione severa per i loro autori. Come, allora, spiegare la reazione attuale?". O meglio, la mancanza di reazione. Un sacerdote canadese ha raccontato che la sua congregazione è fuggita dal Vietnam per cercare libertà religiosa in Occidente. "E oggi il Canada è meno sicuro del Vietnam".
"È stata un'estate difficile per i cristiani canadesi", scrive il Wall Street Journal. Anche una chiesa copta è stata rasa al suolo, non in Egitto, dove l'incendio di chiese copte non è un evento raro, ma in Canada, noto anche come "il centro dei roghi delle chiese del mondo occidentale". La chiesa copta di San Giorgio nel Surrey, che ha servito 500 famiglie e fornito cibo ai senzatetto, è stata incendiata e completamente distrutta. Rimane in piedi solo un muro carbonizzato.

JUSTIN TRUDEAU PEGGIO DI GOEBBELS
Questa è senza dubbio una crisi, ma non lo penseresti osservando la risposta del primo ministro Justin Trudeau. "Sebbene il primo sospetto incendio doloso sia avvenuto il 21 giugno, Trudeau non ha parlato della questione fino al 1 luglio" scrive il Wall Street Journal. "Peggio ancora, dopo dozzine di incidenti in sette diverse province e territori, c'è stato un solo arresto. ‘Mi sbaglio', ha chiesto Aaron Wudrick del Macdonald-Laurier Institute, ‘o quest'anno sono state arrestate più persone in Canada per essere entrate in una chiesa per pregare che per averne incendiata una?'".
Molti hanno festeggiato apertamente alla vista delle chiese che bruciano, racconta il National Post. Gerald Butts, ex braccio destro del premier canadese Trudeau, ha scritto che bruciare le chiese è "comprensibile". La direttrice della organizzazione dei diritti civili BC Civil Liberties Association , Harsha Walia, ha twittato: "Bruciatele tutte!". Una dirigente della Canadian Bar Association ha chiesto che tutte le chiese vengano rase al suolo. Un altro avvocato, Naomi Sayers, ha detto di essere pronta a dare una mano a bruciare tutte le chiese. E l'elenco è ancora lungo. La professoressa della McGill University Debra Thompson si domanda come "è davvero una sorpresa che non le bruciamo tutte".
In Canada, sono state decapitate le statue nella chiesa di Nostra Signora di Lourdes a Toronto. Decapitata la statua della Madonna in una chiesa di Toronto, come la statua di un santo a Winnipeg.
In questi anni abbiamo visto numerose fake news prodotte dal "sistema" che vigila sulla definizione di "verità". Questa canadese forse le batte tutte. Neanche il ministro Goebbels avrebbe potuto essere così raffinato da costringere un Papa a chiedere scusa per una menzogna.
Quarto Potere Woke!

Fonte: Società Domani, 10 settembre 2023

4 - IL VERO VOLTO DELL'EUTANASIA: ORA SI UCCIDE ANCHE CHI NON E' D'ACCORDO
Una ragazza 19enne in terapia intensiva, ma cosciente, afferma ''Sono malata, ma voglio vivere'', ma i medici le vogliono togliere la vita e il giudice dà loro ragione
Autore: Patricia Gooding-Williams - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 2 settembre 2023

"ST" è una giovane ragazza di 19 anni che da un anno è in cura nel reparto di terapia intensiva di un ospedale britannico. Vuole vivere ma i suoi medici hanno deciso che la sua malattia non offre prospettive di miglioramento e quindi deve morire immediatamente. A differenza dei casi già noti in cui il paziente è un neonato, un bambino o un adulto incosciente, presumibilmente in punto di morte, ST è una giovane adulta, completamente cosciente, capace di prendere decisioni, che ha espressamente dichiarato la sua volontà di vivere. Tuttavia, il tribunale le ha tolto il diritto di decidere della sua vita. Questo accade oggi nel Regno Unito, un caso che segna un ulteriore passo avanti nella barbarie diventata segno distintivo del Servizio Sanitario Nazionale britannico (NHS).
La storia di ST (è la sigla di riconoscimento decisa dal tribunale che ha imposto l'anonimato) è quella di una giovane donna che soffre di una rara forma di malattia mitocondriale (RRM2B). La condizione di ST provoca debolezza muscolare cronica, perdita dell'udito e danni ai reni, rendendola dipendente dalla dialisi e da altre terapie intensive, ma - cosa importante - non ha intaccato il funzionamento del suo cervello. In realtà, la malattia non le ha impedito di frequentare la scuola ordinaria o di ottenere buoni voti negli anni di scuola secondaria. Stava studiando per la maturità quando nell'agosto 2022 ha contratto il Covid, che le ha causato gravi difficoltà respiratorie. ST è stata ricoverata in ospedale in un'unità di terapia intensiva (ICU) dove è rimasta da allora (sempre le restrizioni poste dal giudice impediscono di rivelare il luogo).

DEVE MORIRE
Lo scorso febbraio, i medici hanno riferito che le sue condizioni erano peggiorate. Successivamente ha avuto due altre crisi che hanno richiesto cure mediche di emergenza a luglio. I medici che la curavano hanno così deciso che la condizione medica di ST stava progressivamente degenerando e l'hanno definita malata terminale (in inglese l'espressione usata suona più sinistra: "actively dying"). Le hanno così presentato un piano di cure palliative che avrebbe interrotto il suo trattamento di dialisi salvavita causandone la morte nel giro di pochi giorni per insufficienza renale. ST ha rifiutato.
I medici hanno quindi agito immediatamente consegnando la patata bollente ai tribunali. L'NHS Foundation Trust, responsabile dell'ospedale che ha in cura la ragazza, ha portato avanti il caso poiché ritiene che ST non abbia la capacità mentale di decidere il suo trattamento.
L'adolescente, descritta come «una combattente» da chi la conosce, vorrebbe addirittura partecipare agli studi clinici per una terapia a base di nucleosidi, in Canada o in uno dei due ospedali che la praticano in America. Crede che questa terapia offra un 50% di possibilità di miglioramento, anche se è ben consapevole che nel suo caso potrebbe non avere successo. Allo stesso tempo, ha detto di aver perso la fiducia nei suoi medici. In particolare, non crede che le rimangano «solo giorni o settimane» e che sia inutile tenerla in vita finché non si potranno prendere accordi per il suo trasferimento in uno degli ospedali all'estero disposti a curarla.
ST sostiene di avere già smentito le previsioni dei medici quando si è ripresa, nonostante le loro aspettative contrarie, dalle due recenti crisi potenzialmente letali. Incalzati in tribunale, i suoi medici hanno affermato che «la sua morte è necessariamente imminente», ma hanno ammesso che potrebbe avere «settimane o addirittura mesi di vita», sebbene «la prognosi esatta sia incerta».

NESSUNA MALATTIA MENTALE
Inoltre, due esperti psichiatri, denominati Dottor D e Dottor C, incaricati dall'ospedale di esaminare ST, hanno dichiarato alla Corte che lei non soffre di alcuna malattia mentale e ha la capacità mentale di prendere decisioni sul proprio benessere o assistenza sanitaria.
Gli psichiatri hanno testimoniato che «non ci sono prove che ST ora neghi il fatto che la sua condizione generale stia progressivamente degenerando». Sia il dottor D che suo fratello hanno affermato che lei è consapevole che «la sua condizione comporta la possibilità di morte». E il Dottor C ha riportato il desiderio espresso da ST di voler «morire cercando di vivere» e che nessuna opzione doveva essere lasciata inesplorata in tale impresa («Dobbiamo provare tutto»). Inspiegabilmente, il parere medico degli psichiatri è stato respinto dal tribunale.
Invece, i suoi medici, che non hanno esperienza nelle malattie mitocondriali, insistono che la sua ostinazione a continuare a lottare per vivere sia una «illusione» e indicano che non ha la capacità mentale di decidere il suo trattamento. Uno dei medici ha dichiarato in tribunale: «Mentre lei [ST] si aggrappa a questa speranza di migliorare le sue condizioni, inclusa la sopravvivenza, ha chiuso la sua mente all'alternativa di "maggiore conforto" o "trattamento meno invasivo o doloroso" che le cure palliative è probabile che forniscano».
La scorsa settimana, il 25 agosto, la giudice Roberts, presiedendo l'udienza, si è schierata dalla parte dell'ospedale e ha convenuto che ST non aveva la capacità mentale di prendere le proprie decisioni e quindi le sue cure di fine vita potevano essere determinate dalla Court of Protection (l'equivalente britannico del Giudice tutelare). Roberts ha scritto nella sentenza: «La totale incapacità di ST di accettare la sua realtà medica, o di contemplare la possibilità che i suoi medici possano fornirle informazioni accurate, è probabilmente il risultato di un indebolimento o di un disturbo nel funzionamento della sua mente o del suo cervello». Il giudice ha quindi affermato che «lei è spaventata dalla prospettiva di morire e si aggrappa al suo desiderio di sopravvivere malgrado i suoi medici le abbiano ripetutamente spiegato che è una condizione in cui non è possibile sopravvivere».

IL MIGLIOR INTERESSE E' MORIRE?
A meno che la famiglia non decida di appellarsi contro la decisione e abbia successo, il destino di ST sarà deciso in un'udienza dove il giudizio verterà sul suo "miglior interesse" e lei sarà rappresentata dall'Official Solicitor, il funzionario che rappresenta i pazienti incapaci di discernimento in procedimenti giudiziari di questo tipo.
La famiglia di ST, cristiana, ha speso tutti i propri risparmi per pagare gli avvocati per impedire al Servizio Sanitario Nazionale di porre fine alla vita della loro figlia. La loro ultima speranza è la terapia sperimentale a base di nucleosidi disponibile solo all'estero. Ma l'Ordine di Trasparenza imposto dalla Corte già nel marzo 2023 - che impone severe restrizioni nel rilascio di informazioni che possano portare all'identificazione di ST, dei familiari o dei medici coinvolti nel caso - impedisce alla famiglia di parlare alla stampa o di presentare richieste di fondi.
In una dichiarazione pubblicata da Christian Concern e comunicata tramite i loro avvocati, la famiglia ha affermato: «Questo è stato un anno di continue torture per la famiglia. Non solo siamo preoccupati per la lotta per la sopravvivenza della nostra amata figlia, ma siamo anche stati crudelmente imbavagliati per non poter parlare della sua situazione. Non ci è permesso chiedere alle persone preghiere o aiuto di cui ha disperatamente bisogno. È una questione di vita o di morte per nostra figlia raccogliere fondi per le cure in Canada, quindi queste restrizioni arbitrarie la stanno letteralmente uccidendo.
Siamo scioccati dalle parole del giudice che ha detto che nostra figlia non ha la capacità di prendere decisioni da sola, dopo che tutti gli esperti hanno detto il contrario. Siamo molto addolorati per questa ingiustizia e speriamo che, con la grazia di Gesù, venga corretta in appello».

VIDEO: INGHILTERRA, ORMAI C'È IL DOVERE DI MORIRE
di Riccardo Cascioli, Direttore della Bussola


https://www.youtube.com/watch?v=fTIZR-liO8A

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 2 settembre 2023

5 - MUSULMANO PICCHIA LA MOGLIE, MA PER IL PM E' UN FATTO CULTURALE E VA ASSOLTO
La storia di una donna di 27 anni di origini bengalesi, cittadina italiana, madre di due figlie e costretta a un matrimonio combinato
Autore: Salvatore Montillo - Fonte: La Stampa, 11 settembre 2023

Violenze e maltrattamenti subite da una giovane donna originaria del Bangladesh, definiti «contegni di compressione delle libertà morali e materiali», sarebbero «il frutto dell'impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge». Motivo per il quale l'imputato (oggi ex marito) va assolto.
È destinata a far discutere la richiesta di assoluzione messa nero su bianco da un pubblico ministero di Brescia nell'ambito di un procedimento a carico di un uomo del Bangladesh residente nel bresciano.
In vista dell'ultimo atto del processo, che dovrebbe arrivare a sentenza nelle prossime settimane, il pm ha così giustificato, nelle conclusioni depositate alle parti, i motivi per i quali quei presunti maltrattamenti rientrerebbero nel campo dei reati culturalmente orientati e pertanto non vadano puniti. «I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell'odierno imputato - scrive il pm - sono il frutto dell'impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l'uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine».
Il caso ha preso il via nel 2019, quando una donna di 27 anni di origini bengalesi, cittadina italiana, madre di due figlie, costretta a sposare in patria un cugino secondo un matrimonio combinato, ha denunciato il marito, nel frattempo diventato ex, per maltrattamenti fisici e psicologici. A suo tempo la Procura aveva già chiesto l'archiviazione del procedimento, richiesta rigettata dal gip che ha ordinando l'imputazione coatta per lo straniero nato e cresciuto in Bangladesh. «Sussistono senz'altro elementi idonei a sostenere efficacemente l'accusa in giudizio nei confronti dell'ex marito» aveva stabilito il gip.
«Le condotte dell'uomo - continua il pm nella richiesta di assoluzione - sono maturate in un contesto culturale che sebbene inizialmente accettato dalla parte offesa si è rivelato per costei intollerabile proprio perché cresciuta in Italia e con la consapevolezza dei diritti che le appartengono e che l'ha condotta ad interrompere il matrimonio. Per conformare la sua esistenza a canoni marcatamente occidentali, rifiutando il modo di vivere imposto dalle tradizioni del popolo bengalese e delle quali invece, l'imputato si è fatto fieramente latore».
Sconcertata la donna, cresciuta a Brescia dove vive dall'età di 4 anni, che in un'intervista al Giornale di Brescia racconta di essere stata «venduta per 5mila euro» ad un cugino dopo la morte del padre, sepolto in patria. Divenuta madre di due bambine, la donna è stata costretta a lasciare gli studi alle superiori ed è rimasta segregata in casa per anni. «Dopo anni di urla, insulti e botte, sotto la costante minaccia di essere riportata in Bangladesh definitivamente, nel 2019 ho trovato il coraggio di denunciare». Un coraggio che potrebbe non servire a renderla per sempre una donna libera.

Nota di BastaBugie:
Anna Bono nell'articolo seguente dal titolo "Estradato in Italia il padre di Saman, un traguardo insperato" parla dell'arrivo in Italia di Shabbar Abbas, l'uomo che nel 2021, insieme a dei familiari, uccise la figlia Saman per aver rifiutato un matrimonio combinato.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 2 settembre 2023:

È arrivato in Italia il 1° settembre, estradato dal Pakistan, Shabbar Abbas, l'uomo che nel 2021 insieme alla moglie e ad alcuni familiari, all'epoca residenti in Italia a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, ha ucciso la figlia Saman di 18 anni perché aveva rifiutato di accettare un matrimonio combinato con un cugino scelto dai genitori. Coinvolti nell'omicidio sono la moglie, Nazia Shaheen, tuttora latitante in Pakistan e oggetto anch'essa di una richiesta di estradizione, due cugini di Saman, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, arrestati in Francia e in Spagna nei mesi successivi al delitto, e lo zio, Danish Hasnain, fratello di Shabbar Abbas, arrestato in Francia.
Come si ricorderà, i resti di Saman erano stati sepolti nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio e il giorno successivo Shabbar Abbas e la moglie erano tornati in Pakistan, richiamati d'urgenza - questa la giustificazione - perché una loro zia stava male. Raggiunto telefonicamente, Abbas aveva continuato a negare, a dire che sua figlia era viva, che si trovava in Belgio. La polizia pakistana lo ha arrestato il 15 novembre 2022 per frode ai danni di un connazionale e così la procedura di estradizione, complessa e delicata, ha avuto inizio. Le udienze per discutere la legittimità della richiesta di estradizione da parte del Ministero italiano della giustizia hanno subìto più di 30 rinvii. Finalmente, il 4 luglio scorso, i giudici della Corte di Islamabad hanno espresso parere favorevole e il 29 agosto è arrivata l'autorizzazione del governo pakistano.
L'8 settembre Abbas comparirà davanti alla Corte di assise di Reggio Emilia dove sarà sentito come testimone suo figlio, il fratello minore di Saman, che ha indicato agli inquirenti il luogo dove si trovava il cadavere della sorella. «È la prima volta che una estradizione attiva viene concessa dal Pakistan, non era mai successo - ha commentato il procuratore di Reggio Emilia, Gaetano Calogero Paci -. Fa ben sperare su una buona prospettiva di riuscita di un accordo più ampio tra Italia e Pakistan che sappiamo essere in fase di gestazione, per creare un sistema di relazioni bilaterali più stabile. In Italia ci sono 200 mila pakistani regolarmente censiti». [...]
Anche il primo ministro Giorgia Meloni ha sottolineato l'importanza decisiva della collaborazione delle autorità pakistane, effettivamente insperata perché in Pakistan tradizioni tribali e integralismo islamico si combinano per far sì che agli occhi di molti il delitto commesso dai familiari di Saman appaia non solo legittimo, ma doveroso. L'onore di una famiglia si ritiene infatti compromesso quando i suoi componenti non obbediscono al padre dimostrando al mondo che manca dell'autorità e della determinazione necessarie a farsi rispettare. Per il decoro e la stima familiare si ritiene che un padre abbia il dovere di vegliare sul comportamento dei congiunti, in particolare di donne e minori, di punirli se lo ritiene giusto. Una figlia che rifiuta un matrimonio combinato disobbedisce e, atto altrettanto grave, contesta una istituzione che è uno dei cardini di un sistema condiviso di rapporti familiari, sociali ed economici. Perciò merita una punizione esemplare. Ai nostri occhi lei è la vittima, chi la uccide il colpevole. Viceversa agli occhi dei parenti di Saman, lei si è macchiata di una grave colpa, le vittime sono i suoi genitori e gli altri suoi familiari sui quali ricade l'onta del suo comportamento. Lo chiamiamo omicidio oppure delitto d'onore. Invece, per chi lo commette è una punizione necessaria per restituire alla famiglia dignità e rispetto dei parenti e della comunità.
Ma anche in Pakistan i valori e le istituzioni delle società patriarcali che l'Islam ha sacralizzato non sono condivisi da tutti, non più. [...] Un segno è l'atteggiamento nei confronti dei cristiani, spesso vittime di intolleranza estrema, ma anche oggetto di concreti segnali di rispetto e volontà di coesistenza pacifica. Un altro è la lotta per emendare la legge che punisce la blasfemia, i tentativi di moderarne almeno le sanzioni.
La decisione di consegnare alla giustizia italiana Shabbar Abbas può essere un altro segno. Sarà importante nelle prossime settimane seguire le reazioni al processo contro gli assassini di Saman delle comunità islamiche in Italia e dell'opinione pubblica italiana.

Fonte: La Stampa, 11 settembre 2023

6 - LA CAMPAGNA ELETTORALE DI BIDEN COSTERA' MOLTI ABORTI
Il presidente Joe Biden ha fatto dell'aborto uno dei propri cavalli di battaglia e può contare su finanziatori potenti tra cui Planned Parenthood (VIDEO: Trump, una nazione in grave declino)
Autore: Mauro Faverzani - Fonte: Radio Roma Libera, 4 settembre 2023

Come già fu per il primo mandato, anche l'eventuale rielezione di Joe Biden potrebbe costare molte vite umane. La sua campagna elettorale ha fatto dell'aborto, infatti, uno dei propri cavalli di battaglia. A colpi di spot, come quello intitolato «These Guys», lanciato lo scorso 1° settembre e programmato per due settimane in sette Stati americani ovvero Arizona, Georgia, Michigan, Pennsylvania, Nevada, Wisconsin e Carolina del Nord.
Forti le critiche giunte in merito dalle associazioni pro-life, che han definito, senza mezzi termini, «estreme» le politiche abortiste promosse da un Biden, che solo a parole ama proclamarsi "cattolico". Laura Echevarría, portavoce di National Right to Life, ha evidenziato come Biden sia «il presidente più favorevole all'aborto nella storia della nostra nazione», al punto da coinvolgere l'intera amministrazione «per promuovere e proteggere l'aborto illimitato», oltre tutto a spese dei contribuenti.
D'altra parte, la lobby pro-choice negli Stati Uniti può contare su finanziatori potenti. E non si tratta solo della multinazionale dell'aborto, Planned Parenthood, che ovviamente è parte in causa, bensì anche di miliardari pronti a sostenere coi propri soldi la ferale causa. Come l'amministratore delegato della multinazionale Berkshire Hathaway, Warren Buffett, quinto uomo più ricco al mondo: ad un'età (93 anni), in cui bene sarebbe fare i conti con la propria anima, ha deciso invece di sponsorizzare la campagna abortista. Negli ultimi vent'anni ha destinato per questo decine di miliardi di dollari, convinto della necessità di ridurre la popolazione del pianeta, come ha rivelato un dettagliato reportage in due puntate, firmato da Hayden Ludwig per Restoration News. L'agenzia d'informazione InfoCatólica ha riportato anche le dichiarazioni della figlia di Buffett, Susie, che nel 1997 ha specificato come il controllo demografico sia «ciò che mio padre ha sempre ritenuto essere il problema più grande e più importante».
Quest'indagine giornalistica ha permesso di evidenziare come dal 2000 ad oggi Buffett abbia versato almeno 5,3 miliardi di dollari a favore di attivisti ed esecutori di aborti. Dal 2002 avrebbe elargito anche 41 miliardi di dollari a quattro fondazioni, impegnate a promuovere l'aborto all'estero. Assolutamente fittizio e fuorviante, dunque, quanto dichiarato dallo stesso Buffett nel 2003, quando annunciò che le azioni della Berkshire Hathaway non sarebbero più state donate a gruppi abortisti: in realtà, ha spiegato Hayden Ludwig nel proprio reportage, «migliaia di sovvenzioni sono state versate negli ultimi due decenni» [...] dagli organismi gestiti da membri della famiglia Buffett. Da qui sarebbero usciti più di 3 miliardi di dollari, destinati tutti ad organizzazioni dichiaratamente pro-choice quali Planned Parenthood [...] e molte altre. Con questi soldi sarebbero stati finanziati aborti non solo negli Stati Uniti, ma anche nel Regno Unito, in Africa ed altrove.
L'ideologia mortifera però si serve anche di altri strumenti, per imporsi come pensiero dominante ovunque, anche cancellando chiunque abbia un'opinione differente. Ed il web in questo torna a distinguersi una volta di più quale veicolo privilegiato dell'incubo orwelliano.
YouTube, ad esempio, secondo quanto rivelato dalle agenzie InfoCatólica e Zenit, starebbe predisponendo una nuova politica atta a censurare i contenuti pro-life od, in ogni caso, contrari all'aborto ed alle linee-guida dell'Oms in materia (linee-guida, che considerano l'aborto un "diritto umano"), con modalità ancora da definire, ma tali in ogni caso da vanificare i dubbi di quei pochi, che ancora ne nutrissero, circa l'imparzialità dei social media - come anche Meta (o Facebook, che dir si voglia) e Twitter nella moderazione dei contenuti.

Nota di BastaBugie: nel seguente video dal titolo "Trump: una nazione in grave declino" (durata: 1 ora e 15 minuti) Roberto Mazzoni racconta com'è stato possibile che, per la prima volta nella sua storia, un presidente degli Stati Uniti in carica come Biden abbia usato il Dipartimento della Giustizia per ostacolare il proprio avversario politico e impedirgli di candidarsi. Seguendo un approccio già ampiamente sperimentato in America Latina, la politica diventa direttamente connessa alla persecuzione giudiziaria per eliminare avversari scomodi, come appunto Trump.
Per vedere il video: clicca qui!

Fonte: Radio Roma Libera, 4 settembre 2023

7 - IL RIFIUTO DEI LEFEBVRIANI DI SOTTOMETTERSI AL PAPA E' UN ATTO SCISMATICO
L'appartenenza alla Chiesa passa anche attraverso la sua struttura giuridica (quindi non è cattolico il vescovo validamente consacrato, ma contro la volontà del Papa)
Autore: Luisella Scrosati - Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24 agosto 2023

Ad emergere in modo preoccupante nelle repliche, spesso scomposte, al dossier della Bussola sulla Fraternità Sacerdotale San Pio X è l'insufficiente comprensione della natura della Chiesa e dell'appartenenza al Corpo mistico di Cristo. Pio XII nell'enciclica Mystici Corporis insegnava che la natura giuridica della Chiesa è l'espressione della dimensione visibile della Chiesa. Ed è nell'unione della dimensione visibile ed invisibile che la Chiesa «presenta una perfettissima immagine di Cristo», il quale "nascondeva" la sua divinità invisibile nell'umanità visibile: Dio agiva mediante la carne assunta. Qui si radica la sacramentalità della Chiesa, così come la sua azione sacramentale. Ora, sottolinea ancora Pio XII, è proprio «in virtù di quella missione giuridica per la quale il divin Redentore mandò nel mondo gli Apostoli come egli stesso era stato mandato dal Padre», che Cristo continua ad agire tramite la Chiesa.
Chi ci accusa di essere formalisti, legalisti, non comprende il senso della struttura giuridica della Chiesa. Ed è in ragione di questa dimensione essenziale che mai la Chiesa ha approvato l'esercizio del ministero clericale "slegato" dalla sua struttura giuridica. La posta in gioco non è semplicemente canonica, ma di fede. Ed è bene ricordare che le norme canoniche scaturiscono non solo dalla giustizia, ma spesso e volentieri dai dogmi della fede. Così come è da tenere presente che la costante disciplina canonica è sempre stata considerata come un locus theologicus, ossia un elemento della sacra Tradizione. Pensiamo, tra le tante attestazioni di questa verità, al fatto che Giovanni Paolo II si riferì proprio alla costante pratica della Chiesa per sostenere l'impossibilità di ordinare delle donne. La logica secondo cui, siccome l'elezione dei vescovi è questione disciplinare, allora non riguarda la fede, è decisamente sbagliata; e, ironia della sorte, si pone nella stessa linea del presente pontificato che ha sganciato completamente tra loro prassi e dottrina.

CONSACRATO CONTRO LA VOLONTÀ DEL PAPA
L'istituzione di un vescovo è prerogativa del Papa: non si è vescovi cattolici semplicemente con la consacrazione (come non si è sacerdoti cattolici solo con l'ordinazione). E nemmeno semplicemente con la dottrina. Qualcuno ha questionato sul fatto che l'obbligatorietà della nomina dei vescovi da parte del Papa sia contraddetta dalla storia. Abbiamo già avuto modo di distinguere la modalità di elezione dalla nomina; e parimenti nessuno intende sostenere che debba essere il Papa in persona a consacrare. Nemmeno è richiesto che questa designazione del vescovo provenga esplicitamente dal Papa, ma è assolutamente chiaro che nessuno può consacrare un vescovo contro la volontà del Papa e nessuno può essere considerato un vescovo cattolico se il Capo del Collegio episcopale non lo accoglie nel Collegio. Questo è un aspetto chiave del primato del Papa, da cui deriva anche la sua potestà di deporre un vescovo, ovunque si trovi. Un pontefice può certamente abusare di questo suo potere, ma, come si suol dire, l'abuso non toglie l'uso.
È proprio perché si va contro la legge divina e non quella semplicemente umana, che il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, nella Nota sulla scomunica per scisma in cui incorrono gli aderenti al movimento del Vescovo Marcel Lefebvre, chiariva che «non si dà mai una necessità di ordinare Vescovi contro la volontà del Romano Pontefice, Capo del Collegio dei Vescovi. Ciò infatti significherebbe la possibilità di "servire" la Chiesa mediante un attentato contro la sua unità in materia connessa con i fondamenti stessi di questa unità». Mai. Sostenere il contrario significherebbe pensare che Nostro Signore, disponendo in questo modo le cose, non sia stato in grado di prevedere tutte le situazioni e circostanze che si sarebbero verificate nella storia della sua Chiesa. Ecco perché rifarsi allo "stato di necessità" per andare contro un diritto divino è un controsenso.
Ci sono due lettere di papa Innocenzo I (+417) che attestano l'impossibilità di concepire l'episcopato senza la sua connessione con il Papa. Nella lettera 29, indirizzata al Concilio di Cartagine, egli parla della Sede Apostolica «a quo ipse episcopatus et tota auctoritas nominis hujus emersit» (PL 20, 583). L'episcopato e la sua autorità provengono dalla Sede Apostolica. Nella lettera successiva, indirizzata al Concilio di Milevi, il Pontefice afferma inoltre che i vescovi «ad Petrum (...) sui nominis et honoris auctorem referre debere» (PL 20, 590); Pietro è quindi l'autore sia del nome che della dignità dei vescovi.
Si potrebbero aggiungere anche altri testi che vanno nella stessa direzione: nei primi secoli, quando ancora non c'era tecnicamente il mandatum, né c'era un codice di diritto canonico che prevedeva sanzioni, era già chiaro che un episcopato contro la volontà del Papa è semplicemente una contraddizione; come risulta un nonsenso la teorizzazione della separazione tra potere d'ordine e potere di giurisdizione (separazione, non distinzione). Per la Chiesa la semplice questione della validità di un sacramento non è mai stata questione dirimente il fatto che lo si possa ricevere o esercitare. Un vescovo validamente consacrato contro la volontà del Papa semplicemente non è un vescovo cattolico.

LA GIURISDIZIONE PROVIENE SOLO DAL PAPA
Un altro chiarimento: supponiamo che la tesi della separazione tra potere d'ordine e giurisdizione sia possibile. Ne consegue che mons. Lefebvre non ha voluto trasmettere alcuna giurisdizione, come la Fraternità Sacerdotale San Pio X afferma. Ma allora, perché la Fraternità Sacerdotale San Pio X agisce come se l'avesse ricevuta dal Papa, mentre il Papa non solo non gliel'ha data, ma gliel'ha espressamente rifiutata? Lo stato di necessità non può dare alcuna giurisdizione: è di fede che la giurisdizione provenga solo dal Papa. Quali fonti magisteriali o della Tradizione può esibire la Fraternità Sacerdotale San Pio X per affermare che lo stato di necessità, per se stesso, conferisce la giurisdizione?
Dunque, perché mons. Lefebvre ha istituito - e la Fraternità Sacerdotale San Pio X continua ad avere - un Tribunale Canonico che usurpa i diritti di chi invece ha giurisdizione? Perché, a quanti si rivolgono a questi tribunali per ricevere una sentenza sulla validità del proprio matrimonio o sulla dispensa dai voti, si fa firmare una dichiarazione nella quale si promette «di non rivolgermi ad un tribunale ecclesiastico ufficiale per fargli esaminare o giudicare il mio caso», il tutto giurando con la mano sul Vangelo? Perché la Fraternità solleva i fedeli dal precetto domenicale che impone l'assistenza alla Messa, qualora questi non possano ricorrere a delle Messe nel rito antico? Perché impedisce ai propri sacerdoti ogni tipo di partecipazione attiva, inclusa quella di assistere in coro con la cotta, alle Messe con il rito riformato ed anche alle Messe in rito antico celebrate dai sacerdoti ex-Ecclesia Dei? Perché non ammette il culto pubblico dei santi canonizzati dai papi post-conciliari, per la ragione che tutto quello che viene dopo il Concilio è dubbio? Perché non accetta il Codice di Diritto canonico, rifiuta la Professio Fidei, e insegna essere dubbio tutto il Magistero dopo il Vaticano II? La lista, purtroppo, potrebbe continuare. Se ci sono cose che la Fraternità Sacerdotale San Pio X ha nel frattempo corretto, ne saremmo sinceramente contenti. Ma sarebbe bene dirlo pubblicamente, soprattutto di fronte ai propri fedeli.

UN ATTO SCISMATICO: IL RIFIUTO DELLA SOTTOMISSIONE AL PAPA
Un'altra obiezione riguarderebbe il fatto che la Fraternità Sacerdotale San Pio X non sarebbe in scisma, perché mons. Lefebvre non aveva l'intenzione di compiere un atto scismatico. Qui c'è una confusione piuttosto evidente tra il finis operis ed il finis operantis. Lo scisma - lo si è già visto - è essenzialmente «il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti» (CIC, can. 751). Non in teoria, ma nella pratica. L'autore classico di riferimento è il Cajetanus, che trova la specificità dello scisma nel voler agire non come una parte, regolata dall'autorità, ma come un corpo autonomo, indipendente. Per distinguere lo scisma dalla disobbedienza, egli spiegava che il rifiuto di obbedire non riguarda l'ordine che viene dato (e che dunque si presume sbagliato), ma il fatto di non riconoscere il Papa come superiore, anche se lo si crede tale (non recognoscens eum ut superiorem, quamvis hoc credat). Lo scisma non è la negazione teorica dell'autorità del Papa, e nemmeno il fatto che non lo si riconosca come Papa, ma il rifiuto di sottomettersi alla sua autorità; in sostanza, si riconosce la sua autorità, ma non su se stessi, preferendo agire in modo indipendente (cf. Dicitonnaire de Théologie Catholique, XIV/1, v. Schisme, col,. 1304).
Ora, al di là delle intenzioni personali di Lefebvre (finis operantis), e che vogliamo credere che attenuino la sua colpevolezza, quello che egli è oggettivamente andato a costituire è una realtà scismatica, perché ha posto in opera degli atti che hanno di per sé (finis operis) l'esito di creare e perpetrare una realtà indipendente dal Romano Pontefice e dai vescovi in comunione con lui. Per questo consacrò quattro vescovi, e non uno solo: perché potessero svolgere il loro ministero in modo autonomo, prescindendo da altri vescovi. Lo stesso vale per l'erezione di seminari, conventi, chiese o la fondazioni di comunità religiose, così come il tribunale di cui sopra. Essere indipendenti, autonomi: è precisamente il rifiuto di agire ut partes. Nominare il papa nel Canone non è sufficiente (lo fanno anche i vetero-cattolici!), né è sufficiente considerarlo tale solo in teoria, svuotando però il contenuto della sua plena potestas riguardo a sé.

IL PRECETTO DOMENICALE
Un ultimo punto intende rispondere ad una questione che è stata sollevata: si adempie il precetto domenicale assistendo alle Messe celebrate dai sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pio X? L'ex Pontificia Commissione Ecclesia Dei, interrogata sulla questione, ha sempre risposto in modo negativo. Dalla prima risposta di mons. Camille Perl, il 27 ottobre 1988, a quella di mons. Guido Pozzo del 28 marzo 2012, la Chiesa ha sempre affermato che l'assistenza alle Messe celebrate dai sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pio X non soddisfa il precetto. Anche le risposte del 6 novembre 2012 e del 18 giugno 2015, vanno nella stessa linea, ma indirettamente, ossia ricordando che il ministero dei sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pio X rimane illecito, in quanto non hanno alcuno status canonico nella Chiesa.
A regolare la questione è il can. 1248 §1: «Soddisfa il precetto di partecipare alla Messa chi vi assiste dovunque venga celebrata nel rito cattolico, o nello stesso giorno di festa, o nel vespro del giorno precedente». Come si concilia questo canone, che sembra legare la soddisfazione del precetto semplicemente al fatto che il rito liturgico sia approvato, con le risposte dell'Ecclesia Dei? Tutto sta nel comprendere cosa si intenda per «rito cattolico». Esso indica il rito celebrato nelle Chiese sui iuris, dette anche Riti, ossia quel raggruppamento di fedeli cristiani caratterizzati da omogeneità culturale, sociale, spirituale, governato dalla propria gerarchia e riconosciuto dalla Suprema Autorità della Chiesa. Questo significa che la soddisfazione del precetto è legata al fatto che il rito liturgico venga celebrato appunto in una Chiesa sui iuris, e dunque non al rito liturgico celebrato in chiese che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica o da sacerdoti che, pur se validamente ordinati, non appartengono giuridicamente ad alcuna delle suddette chiese sui iuris. Siccome la Fraternità Sacerdotale San Pio X non ha alcuno status canonico, essa non è parte della Chiesa cattolica e dunque l'assistenza alle Messe celebrate dai sacerdoti della Fraternità non permette di soddisfare il precetto.

IL PRECETTO DOMENICALE
Due ulteriori precisazioni sul punto.
1. normalmente la Fraternità Sacerdotale San Pio X esibisce sempre la risposta che mons. Perl diede il 27 settembre 2002 in una corrispondenza privata, affermando che in senso stretto questa persona adempiva il precetto assistendo ad una Messa celebrata da un sacerdote della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Si tratta però di un'affermazione contenuta in una corrispondenza privata, priva quindi di autorità, un'affermazione che va nella direzione opposta di quanto mons. Perl aveva affermato - questa volta ufficialmente - anche solo pochi mesi prima (15 aprile 2002). Lo stesso mons. Perl dichiarerà pochi mesi dopo, il 18 gennaio 2003, che si trattava di «una comunicazione privata che affrontava specifiche circostanze della persona che scriveva». In ogni caso, il diritto canonico e tutte le altre risposte dell'Ecclesia Dei si esprimono in modo contrario.
2. Il ricorso al can. 1335 § 2, è del tutto improprio. Vediamo il canone: «Se la censura proibisce la celebrazione dei sacramenti o dei sacramentali o di porre atti di potestà di governo, la proibizione è sospesa ogniqualvolta ciò sia necessario per provvedere a fedeli che si trovano in pericolo di morte; che se la censura latæ sententiæ non sia stata dichiarata, la proibizione è inoltre sospesa tutte le volte che un fedele chieda un sacramento, un sacramentale o un atto di potestà di governo; tale richiesta poi è lecita per una giusta causa qualsiasi». Questo canone è sospensivo di eventuali censure, ma non conferisce la facoltà di celebrare la Messa e conferire i sacramenti a quei sacerdoti che non ce l'hanno. Il canone in questione, in sostanza, non conferisce alcuna missione canonica; semplicemente permette, in determinati casi, ai sacerdoti che già avevano queste facoltà di esercitarle, sospendendo eventuali censure. Inoltre, il canone 1335 non ha nulla a che vedere con la soddisfazione del precetto festivo, che è invece normato, come si è visto, dal can. 1248.

DOSSIER "LEFEBVRIANI? NO, GRAZIE!"
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Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana, 24 agosto 2023

8 - OMELIA XXIV DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 18,21-35)
Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello?
Autore: Giacomo Biffi - Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

Questa volta l'argomento trattato dalla pagina evangelica è senza possibilità di dubbio il perdono delle offese ricevute. E se la scorsa domenica le raccomandazioni di Gesù avevano come destinatari i capi della comunità, oggi si rivolgono certissimamente a tutti e singoli i suoi discepoli, cioè si rivolgono a tutti noi. Faremo oggetto della nostra attenzione successivamente: la risposta data a Pietro, il racconto della parabola, il suo significato profondo nella nostra vita.

LA NECESSITA' DI PERDONARE SENZA MISURA
Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?
Questo interrogativo suppone che l'argomento del perdono sia già stato ripetutamente trattato dal Maestro. Pietro conosce già il pensiero di Cristo in questa materia, sa già che bisogna perdonare; e, quasi per mostrare di avere imparato bene la lezione, propone lui una misura che, a suo avviso, nella sua esagerazione esprime bene la dottrina cristiana, davvero rivoluzionaria, della misericordia: Sette volte. Sette è per gli ebrei il numero della perfezione; Pietro dunque vuol far sapere che non è uno scolaro ottuso o distratto: sa che bisogna perdonare perfettamente, senza riserve, senza esitazioni. Ma la risposta di Gesù riesce a oltrepassare e a dimostrare insufficiente anche ciò che sembra il massimo: Settanta volte sette. Il che significa: la misericordia verso chi sbaglia e si fa ingiusto verso di noi, va esercitata oltre ogni misura umanamente pensabile, oltre ogni tentazione di tenere il conto. Anzi, dal momento che Gesù non ricorda qui nessuna condizione particolare (come il pentimento o la domanda di scusa), il perdono appare come una norma assoluta, che va applicata verso tutti, in ogni caso, in ogni circostanza. Questo insegnamento di Cristo francamente ci sgomenta, tanto è remoto dal nostro modo di pensare e soprattutto dal nostro modo di vivere. È così raro un perdono seriamente concesso, un perdono che non si rivesti di sottigliezze verbali sempre un po' farisaiche ("perdono ma non dimentico"), un perdono che consenta la rinascita effettiva nel nostro cuore dell'amore verso il fratello colpevole; è così raro, che ancora una volta siamo costretti a riconoscere la lontananza della nostra vita dall'ideale cristiano. Sicché la meditazione non può che risolversi in preghiera perché ci sia dato come regalo di Dio quanto è così contrastante con la nostra natura.

IL DOVERE DI PERDONARE DERIVA DAL NOSTRO CONTINUO BISOGNO DI FARCI PERDONARE DA DIO
Il Signore però vuole aiutarci a capire; e, mentre si rifiuta di stabilire una misura massima al dovere di perdonare, non si rifiuta di spiegare con la concretezza di una parabola quale sia il fondamento e la ragione ultima di questa sua legge difficile. La parabola di oggi - come spesso accade ai racconti di Cristo - è vivace nella descrizione e chiara nel concetto che vuol esprimere, anche se largamente inverosimile nel suo significato letterale. Un re ha un servo che gli deve diecimila talenti: una somma enorme, più che una ventina di miliardi delle nostre lire. E mentre all'inizio senza tanti complimenti lo vuol vendere schiavo con la moglie e i figli per risarcirsi in qualche modo, alla fine gli condona il debito, addirittura senza richiedere nessun impegno e nessuna garanzia per il futuro. Sennonché il debitore graziato vanta a sua volta un credito da un suo compagno di servizio: un credito irrisorio (qualche decina di migliaia di lire), ma che gli basta - contro tutte le plausibilità - per farlo gettare in carcere. In tal modo, conclude Gesù, per la crudeltà verso il collega questo servo perde il favore e il condono del re. Così noi veniamo a sapere che la necessità di perdonare i debiti degli altri deriva dalla più grande e più radicale necessità che tutti abbiamo di farci perdonare i nostri debiti verso Dio. E per il Signore questo ragionamento è così decisivo, che ci ha costretto a esprimerlo quotidianamente nella preghiera: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.

LA NOSTRA PERPETUA CONDIZIONE DI FALLIMENTO NEI CONFRONTI DI DIO
Questa parabola getta anche una luce nuova sul nostro essere più intimo e più vero. Il nostro primo rapporto con Dio è quello di servo a padrone, anche se noi cerchiamo di non ricordarlo. Certo l'amore incredibile di Dio ha sovrapposto a questo il rapporto di figlio a padre, ma senza che il primo e fondamentale rapporto abbia perso niente della sua verità. Siamo servi, e siamo servi che devono tutto al loro Signore: l'esistenza, la vita, la luce, la possibilità di sperare, la capacità di resistere al male, l'audacia di amarlo. Ciascuno di noi è, per così dire, un debito vivente nei confronti di Dio; e ogni giorno del nostro tempo, sempre carico di imperfezioni, ogni atto della nostra condotta, che non corrisponde mai del tutto a quello che si dovrebbe fare, non fa che crescere le dimensioni del nostro dissesto. Ma per fortuna, se grande è il debito, più grande è la misericordia del Creatore per noi; e noi la richiamiamo ogni volta che ci raduniamo in preghiera. Coltivare quotidianamente questi pensieri ci aiuterà a essere più intelligenti e più umili nella nostra vita religiosa e ci incoraggerà nell'arte difficile della pietà verso gli altri, i quali sono sempre vicini, legati, accomunati a noi tanto nel servizio di Dio quanto nella nostra perpetua situazione di fallimento nei confronti del nostro grande e generoso Signore.

Nota di BastaBugie: questa omelia del card. Giacomo Biffi è tratta dal libro "Stilli come rugiada il mio dire".
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Fonte: Stilli come rugiada il mio dire

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