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BastaBugie n.563 del 13 giugno 2018

NEL MONASTERO SI REALIZZA LA PERFETTA SOCIETA' CRISTIANA

La clausura è la prova vivente che accettare senza riserve di vivere pienamente il Vangelo in questo mondo è possibile (e gioioso)

di Madre Ildegarde Cabitza

C'è una funzione della vita monastica, in seno alla società, che in genere sfugge agli osservatori superficiali.
A chi ci domanda: "Cosa fate, voi, chiuse nei vostri monasteri, per cooperare all'affermazione e all'estensione del regno di Cristo?" siamo solite rispondere che al mondo diamo la nostra preghiera e il nostro sacrificio, per creare un segreto e pur reale compenso alle paurose deficienze spirituali che scavano un abisso sempre più profondo tra l'uomo e Dio.
La risposta è vera, ma non è completa. Preghiera e penitenza sono gli elementi più facilmente percepiti e più facili a comprendere dagli estranei, ma dovremmo dire con umile e ardente fierezza: "Noi siamo qui per pregare in nome dei fratelli e per offrirci ogni giorno in unione al sacrificio del Cristo, certo, ma anche per dare testimonianza vivente al Cristo, alla sua dottrina di verità".
Ogni monastero deve essere "in signum": il tipo ideale della perfetta società cristiana, dove i valori dello spirito hanno la precedenza assoluta su qualunque interesse umano, dove legge suprema è la carità, dove i singoli membri hanno, una volta e per sempre, creduto all'Amore, e hanno insieme, con una fede senza riserve, accettato il rischio di vivere in pieno la parola evangelica, rinunziando ai canoni della "sapienza della carne".
A chi, anche fra i credenti, anche fra i più sinceri praticanti, il Vangelo appare nella sua pratica integrale, utopia, e le sue esigenze inconciliabili con le nostre possibilità umane, noi testimoniamo, vivendo, che nessuna dottrina potrà, mai, più perfettamente aderire al bisogno più profondo dello spirito, della stessa convivenza umana.
Il mondo si dilania nello sforzo convulso di trovare un sano equilibrio economico, in un'equa distribuzione dei beni terreni. La sapienza di Benedetto ha per noi reso la via semplice e piana; "Si dia a ciascuno secondo il bisogno" (RB 34,1) e il comune impegno di laboriosità, ordinata e serena, viene a congiungersi con l'opera della Provvidenza che veglia affinché come agli uccelli dell'aria e ai gigli del campo, non manchi nemmeno a noi quanto sia necessario per il vitto e il vestito. Già godiamo, in atto, la beatitudine dei poveri di spirito.
Così per la purezza, così per la mortificazione, così per tutti gli aspetti della vita, vissuti nella piena luce del Vangelo.
C'è una parola grande e consolatrice, nella Sacra Scrittura: "Fidelis Dominus", il Signore è fedele e non delude chi, credendo in Lui, si affida al suo insegnamento.
Fra le mura di ogni monastero è racchiuso il massimo di felicità che la terra può dare all'uomo, in proporzione dell'intensità dell'amore che opera nelle singole anime e della generosità con la quale si vive la parola di Dio: l'irraggiamento di gioia, di beatitudine che traspare anche al difuori, è la nostra testimonianza più vera.
La tradizione ascetica più antica ha con predilezione insistito nel paragonare la vita monastica al martirio, distinguendo il martirio rosso dal martirio bianco; e questo non sotto l'aspetto della sofferenza e del tormento, ma essenzialmente sotto l'aspetto della testimonianza, perché il martire è un "testimone" e testimone è tanto colui che con un atto solo accetta la morte per affermare la sua fede in Cristo, quanto colui che questa affermazione vive ora per ora, traducendo in sé, nella sua interezza e nel suo splendore, l'insegnamento del Maestro.
Popolato di creature fragili come tutte, frementi delle stesse passioni che turbano il mondo, il monastero sta, cittadella di Dio, a testimoniare la vittoria dello spirito sulla carne, e germoglia, fiore magnifico che si apre nella solitudine a lode della divina gloria.

Nota di BastaBugie: l'autrice di questo articolo è Madre Maria Ildegarde Cabitza, Badessa dell'abbazia benedettina di Rosano dal 1942 al 1959 e morta in concetto di santità.
Ecco una breve biografia di Madre Maria Ildegarde Cabitza tratta dal sito SantieBeati.it:
Maria Ildegarde Cabitza (al secolo Leonilda o Nilda), nacque a Gonnosfanadiga (Sardegna) il 26 Aprile 1905. Di famiglia benestante, il padre medico condotto, ha potuto compiere gli studi superiori, allora non facilmente accessibili alle ragazze. Ebbe una significativa formazione culturale che, insieme ad una profonda formazione spirituale, la rese in grado di svolgere la sua futura missione di madre e maestra in seno alla comunità monastica. Si formò all'apostolato e alla vita spirituale nelle file dell'Azione Cattolica Italiana. Con Benedetto XV nel 1918 era nata la GF, il ramo della gioventù femminile dell'ACI. Leonilda, di vivacissima intelligenza, si iscrisse all'Università di Roma nella Facoltà di lettere. Fece parte della GF e della FUCI partecipando efficacemente alle diverse iniziative di apostolato. Il 21 Dicembre del 1926 sostenne brillantemente l'esame di laurea in lettere con una tesi su Le memorie monumentali dei principali personaggi della Chiesa nel secolo III, che fu pubblicata nel Bollettino Liturgico. Frequentò poi la Scuola Diocesana Superiore di Cultura Religiosa. In seguito si iscrisse alla Facoltà di Filosofia, intimamente convinta che, oltre all'utilità per la propria formazione, fosse di aiuto ad una più profonda conoscenza di Dio.
Nello stesso tempo si andava delineando in lei l'ideale di una vita di consacrazione a Dio, sotto la guida spirituale di mons. Belvederi di Bologna, professore e guida spirituale di studenti ed universitari cattolici. Grande influsso ebbe l'incontro con l'abate Emanuele Caronti, pioniere del movimento liturgico italiano. Infatti dopo un corso di esercizi spirituali, tenuto dallo stesso abate E. Caronti a Castel Gandolfo nel luglio 1928, divenne chiaro il suo orientamento verso la vita monastica. Il 27 Marzo 1930 Nilda annuncia, con una lettera ai genitori il suo prossimo ingresso in monastero e interrompe la sua collaborazione con la rivista diretta dall'abate E. Caronti, il Bollettino Liturgico. Il 26 Giugno 1930 entrò nel monastero Benedettino di S. Antonio di Eboli. Alcuni mesi dopo, l'11 gennaio 1931 fu inviata, con altre due novizie tra cui Emmanuella Moretti (che divenne la nuova Abbadessa), a S. Paolo di Sorrento, seguita poi da Marzia Pietromarchi, amica e socia nell'apostolato laicale, che diventerà inseparabile compagna di Nilda nella vita monastica. Si trattava di ridar vita a un monastero abitato unicamente da una monaca ottantenne e da tre converse. Il 17 novembre 1931, consegue la seconda laurea con una tesi su Il valore pedagogico della Regola di San Benedetto, poi pubblicata nel 1933. Il 13 gennaio 1932 emise la professione religiosa monastica, prendendo il nome di Maria Ildegarde. Nel 1931 il fascismo sopprimerà le organizzazioni giovanili dell'ACI presso la quale Leonilda aveva svolto un attivo apostolato. Ben presto la comunità monastica di Sorrento rinacque e divenne fiorente di nuove vocazioni. Su richiesta dei visitatori dell'Ordine, si trattava di attuare dei trasferimenti da comunità più fiorenti ad altre in grave crisi vocazionale.
Fu così che in piena guerra mondiale, madre Ildegarde Cabitza assieme alla consorella Pietromarchi lasciarono Sorrento, inviate dalla madre Moretti a riformare e rinnovare l'antico monastero di Rosano (fondato nel 780), presso Firenze e vi assunse il ruolo di Abbadessa. Furono accolte con gioia ed affetto dalla gente del posto. Grande era il lavoro da fare. Madre Ildegarde scriveva in una lettera da Rosano del 21 novembre 1942: "Te lo puoi immaginare un vecchio, immenso Monastero che aspetta di riprender vita e dove tutto è da rifare, non materialmente, ma spiritualmente e intellettualmente? Il posto è molto bello e il Monastero pure... c'è un lavoro immenso da fare..., ma sono serena e intimamente piena di pace." La guerra le costrinse ad abbandonare il monastero e quando vi rientrarono lo trovarono desolato dai bombardamenti e saccheggiato. Con grande slancio intraprese le opere di restauro del monastero gravemente danneggiato. Ma tutte le sue energie erano tese al rinnovamento della vita monastica portandola all'autenticità della vita cristiana sotto il segno di San Benedetto. Si realizzò così il suo sogno: quello della clausura regolarmente stabilita. Quel sogno espresso ai genitori quando era ancora studentessa: "Abbiamo pensato ad un ordine nuovo, ripeto nuovissimo per l'Italia. Una casa di preghiera, di studio, di pace, di dove attraverso lo studio intenso e profondo, soprattutto con pubblicazioni, con corsi, con lavoro continuo si potesse diffondere nel campo femminile il pensiero cristiano. Insomma abbiamo avuto un sogno grande: quello di ricondurre la vita religiosa femminile a tutta la sua altezza, di fare che i monasteri, oggi così spesso immiseriti e ridotti da far pietà, tornassero ad essere fari di santità e di civiltà così come erano nei tempi antichi, quando hanno saputo dare alla Chiesa e al mondo le donne più grandi [...] L'Ordine dei Benedettini era l'unico capace di capire e di apprezzare il progetto [...]." Tutto questo si andava realizzando fino a portare la comunità di Rosano ad essere un modello, tra le più fiorenti dell'Ordine. Dotata della capacità di formare ed educare spiritualmente, fu "madre" e "maestra" in seno alla comunità monastica e verso quanti a lei si rivolgevano.
Ebbe la grazia e la consolazione di un grande segno prodigioso nel suo Monastero: la lacrimazione della statua del Sacro Cuore. Durante il canto dei Vespri il 4 aprile del 1948, si osservò per la prima volta che dagli occhi della statua del Sacro Cuore scendevano delle lacrime. Nel giugno dello stesso anno si verificò un altro prodigio impressionante e insperato: la effusione di sangue. Questi fatti si verificarono ripetutamente tra il 1948 e il 1950. I fatti sono confermati dalle religiose e in particolare da Madre Ildegarde Cabitza Abbadessa del Monastero. Madre Ildegarde tenne sempre in grande considerazione, unitamente al lavoro manuale, l'attività intellettuale. Pubblicò diverse opere: Cercate il Signore, Dono che non finisce, L'ascolto del monaco, Parole più su della terra, Pietre congiunte, San Benedetto, Studium orationis. Nel 1955 diede vita al bollettino Beata pacis visio. Il 12 aprile 1956 fu eletta prima presidente della Federazione dei Monasteri Benedettini della Toscana. Morì in concetto di santità nel Monastero di Rosano il 28 agosto 1959 all'età di 54 anni.

Titolo originale: Pietre Congiunte

Fonte: Beata Pacis Visio, maggio 2018 (n.5)

Pubblicato su BASTABUGIE n.563
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