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« Siamo pronti», si legge ovunque per le strade di Pechino. La Cina attende con ansia l’8 agosto – data di inizio dei Giochi – per mostrare al mondo la faraonica macchina olimpica che è riuscita a costruire in sette anni. Man mano che quel giorno si avvicina, però, si fanno più evidenti le contraddizioni interne alla società cinese che il partito si sforza di tenere in ombra: la censura della stampa, la repressione del dissenso, reale o potenziale. «C’è il rischio che i Giochi si trasformino nella cassa di risonanza di tutte le ambiguità proprie di una società vuole mostrarsi moderna ma, al contempo, nega il fondamento stesso della modernità: la tutela delle libertà individuali». Da questo presupposto, parte l’analisi di padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, sulle contraddizioni della “Pechino ai tempi dei Giochi”, a cui ha dedicato il libro “L’altra faccia delle medaglie. La Cina e le Olimpiadi”, pubblicato quest’anno da Ancora.
Padre Cervellera, ieri, Pechino ha deciso di consentire ai giornalisti stranieri di connettersi ad alcuni siti che «Pochi scampoli di verità potranno filtrare dal gigantesco apparato di sicurezza. Tocca agli operatori dei media riuscire a metterli in luce». Prima erano stati censurati. Pensa che si tratti di un reale cedimento da parte del governo?
È un tentativo di salvare l’immagine. La stampa internazionale è indignata con Pechino perché nonostante avesse promesso ai reporter stranieri piena libertà, da gennaio a ottobre, ha, invece, censurato i siti scomodi. Sbloccarne alcuni è solo un’operazione di facciata.
Nessuna apertura, dunque, da Pechino. Perché la posizione del governo resta così rigida alla vigilia dei Giochi?
La leadership del partito vive un momento di frustrazione. Il regime si aspettava che le Olimpiadi diventassero il coronamento del “miracolo economico” cinese, l’occasione per mostrare alla comunità internazionale la potenza e ricchezza raggiunte. Il governo, però, ha capito che la società civile mondiale non è disposta a chiudere gli occhi di fronte alle palesi violazioni dei diritti umani in atto nel Paese. I Giochi possono, dunque, trasformarsi in un’arma a doppio taglio. Perché molti dei cronisti stranieri inviati per l’evento sono interessati a conoscere la realtà della nazione, al di là della facciata ufficiale. Le Olimpiadi, che dovevano rappresentare il trionfo “dell’orgoglio cinese”, rischiano di diventare un grande palcoscenico per accusare il regime.
E i cinesi come vivono l’evento?
Anche la società civile cinese si sente frustrata. Per anni, il regime ha promesso ai cittadini che le Olimpiadi avrebbero portato benessere e prosperità. Ma questo non sta accadendo. La repressione della crisi tibetana, il terremoto in Sichuan, hanno scoraggiato molti visitatori da recarsi a Pechino 2008. Negli alberghi le prenotazioni sono molto inferiori alle aspettative. Le compagnie aeree hanno venduto pochi biglietti. La delusione, per chi sperava di ottenere facili guadagni dall’evento, è forte. Anche perché, in nome del “sogno olimpico”, la classe dirigente ha chiesto ai cinesi enormi sacrifici. E ora la gente si sente tradita. La rabbia, a volte, esplode in rivolte contro la polizia o le sedi del partito.
Può fare qualche esempio dei sacrifici che i cinesi hanno dovuto sostenere per costruire il grande scenario di Pechino 2008?
Solo nella capitale, un milione e mezzo di persone ha perso la casa in seguito agli espropri forzati per “far posto” al villaggio olimpico. La maggior parte ha ricevuto un indennizzo minimo, ad altri non è stato dato niente. Chi ha protestato è stato incarcerato. Di fatto, una massa di persone è stata espulsa da Pechino che, ora, è stata blindata con tre anelli di sicurezza.
Che cosa pensa nell’idea di boicottare i Giochi?
Non sono d’accordo. Si deve andare in massa a Pechino, soprattutto i giornalisti, e cercare di raccontare proprio quegli aspetti che il governo si sforza di tenere nascosti. Non è facile, le maglie del regime sono strette: ci sono mezzo milione di 'volontari' per la sicurezza e 34mila agenti che cercheranno di impedire che si faccia luce sulle “ombre cinesi”. Ma qualche “scampolo di verità” verrà comunque fuori. Spetterà ai giornalisti riuscire a vederlo.
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