« Torna ai risultati della ricerca


LEGGE ISLAMICA, IN EUROPA E' GIA' UNA REALTA'
di Gianpaolo Barra

Tutti ricordano certamente la polemica di alcuni giorni fa innescata da uno sconsiderato intervento del primate della Chiesa anglicana, l’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, che giudicava inevitabile l’introduzione nell’ordinamento britannico degli elementi di diritto civile della Shari'a, ovvero la legge islamica. E’ stato il segnale inequivocabile della resa culturale, ancora più inquietante se si considera che viene proprio dalla patria che dell’imposizione del proprio sistema giuridico (basti pensare alle colonie) ha fatto un tratto distintivo della sua civiltà. Tutt’oggi il sistema legale ereditato dal Regno Unito è un vanto per molti Paesi che pur da decenni sono indipendenti.

Ovvia perciò la reazione scandalizzata: governo e politici sia di maggioranza che di opposizione si sono affrettati a censurare le parole dell’arcivescovo anglicano e anche nel resto d’Europa i commenti ufficiali sono stati decisamente negativi. La cosa a molti ha fatto pensare che in fondo in Europa c’è ancora una maggioranza solida che ha le idee chiare sul rapporto con gli immigrati provenienti da diverse culture e con gli islamici in particolare.
 
Se però andiamo oltre le dichiarazioni di facciata  e ci prendiamo la briga di guardare alla realtà scopriamo con costernazione che l’arcivescovo Williams non ha fatto altro che dire apertamente ciò che da anni politici e giudici stanno facendo in silenzio. Restiamo in Gran Bretagna: il governo si è stracciato le vesti per le dichiarazioni di Williams, eppure pochi giorni prima il ministro degli Interni Jacqui Smith aveva imposto ai propri funzionari di usare l’espressione “assassini criminali” invece di “estremisti islamici” o “fondamentalisti jihadisti” nel caso di atti di terrorismo. Addirittura la stessa Smith in gennaio aveva definito “anti-islamico” il terrorismo dei gruppi che lo giustificano con il Corano, e in ogni caso pochi mesi prima  il premier Gordon Brown aveva proibito ai suoi ministri di usare il termine musulmano correlato al terrorismo. La Smith ha spiegato che “non c’è nulla di islamico nel desiderio di terrorizzare e di pianificare stragi, dolori  e lutti”, per cui coloro che lo fanno mettono in cattiva luce l’islam. Ora aspettiamo che il governo britannico, suggeriva un editorialista, ridefinisca come “anti-tedesca” l’attività della Luftwaffe che nella seconda guerra mondiale portò morte e distruzione a Londra: “Non c’è niente di tedesco - ha aggiunto in modo ironico - nel desiderio di terrorizzare  e invadere, e anzi è un’attività in contrasto con  i valori fondamentali dei tedeschi che notoriamente sono quelli di sedersi nei giardini a mangiare salsicce e bere birra”. Si apre un nuovo filone di revisionismo che farà felici molti storici.

Ma in Gran Bretagna si è andati già ben oltre la ridefinizione dei concetti, e l’applicazione della legge islamica è già una realtà: il governo ha infatti deciso di riconoscere i matrimoni poligami, se contratti in Paesi dove sono legali (Nigeria, Pakistan, India). Lo ha fatto emendando la legge che regola l’esenzione dalle tasse in fatto di eredità: prima soltanto una moglie era la legittima erede del marito defunto, oggi più mogli possono ereditare esentasse. Allo stesso modo il ministero del Lavoro ha iniziato a concedere sostegni finanziari agli harem sotto forma di sussidi come indennità di disoccupazione e assegni integrativi per inquilini non abbienti.

Non è solo un problema britannico: anche in Italia abbiamo visto sentenze che si rifanno all’ideologia “multiculturalista” (compresa la giustificazione della violenza sulle donne) e decisioni politiche dello stesso segno (emblematico il caso della scuola islamica di Milano). Altrove il ministro della Giustizia olandese ha detto che “se due terzi della popolazione olandese domani si pronunciasse a favore dell’introduzione della Shari’a, allora ciò dovrebbe essere possibile”. Un giudice tedesco, invece, ha fatto riferimento al Corano in una causa di divorzio. E così via.

C’è poco da rallegrarsi dunque delle reazioni verbali alle dichiarazioni dell’arcivescovo Williams. Lui potrebbe essere costretto a dimettersi, ma non per ciò che lui vorrebbe fare, piuttosto per aver ingenuamente rivelato ciò che tutti stanno già facendo.