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Il 22 gennaio è una triste ricorrenza per il diritto alla vita. Fu proprio in quella data che 38 anni fa, nel 1973, la Corte Suprema emetteva la storica sentenza Roe v. Wade che depenalizzava l'aborto negli USA. Dai primi anni '70, dunque, negli Stati Uniti, il confronto tra pro-life e pro-choice è più acceso che in ogni altra parte del mondo. Vuoi per la grande libertà di pensiero che da sempre caratterizza l'America, vuoi perché, a differenza della maggior parte delle legislazioni europee, l'aborto non è stato approvato per via parlamentare, pertanto rimane più che aperto il dibattito sulla sua legittimazione popolare.
Ciò spiega il perché delle forti dicotomie esistenti tra chi, in nome della sacralità della vita, vorrebbe arrivare a rovesciare la Roe v. Wade e chi, al contrario, la considera fin troppo restrittiva della libertà delle donne. Su questo tema, tra gli americani, la neutralità è pressoché bandita e i toni sono quasi sempre coloriti ed appassionati.
In nessun paese come negli Stati Uniti il fronte dell'opposizione all'aborto (come pure all'eutanasia e alle varie forme di fecondazione assistita) è così organizzato ed agguerrito. Al punto che, già il 22 gennaio 1974, primo anniversario della Roe v. Wade, si era tenuta a Washington la prima March for Life, alla quale sfilarono circa 20mila manifestanti. L'appuntamento con la Marcia per la Vita si è ripetuto ogni anno con una partecipazione sempre crescente: l'ultima edizione (slittata a lunedì 24 gennaio, poiché quest'anno l'anniversario cadeva in un giorno festivo) ha portato a Washington ben 400mila persone provenienti dagli USA e da tutto il mondo. Un dato assolutamente coerente con l'epocale cambiamento di mentalità che ha segnato l'ultimo decennio: se nel 2001 negli Stati Uniti la percentuale dei favorevoli all'aborto era pari al 47% a fronte di un 42% di contrari, oggi lo scenario si presenta rovesciato, con un 50% di pro-life ed un 42% di pro-choice. Ci sono però numeri preoccupanti che vanno in tutt'altra direzione: nel 2008 si è registrato un lieve aumento della pratica abortiva (19,6 interruzioni di gravidanza ogni 1000 donne tra i 15 e i 44 anni, contro le 19,4 del 2005), invertendo la tendenza positiva che durava dall'inizio degli anni '90. Un fenomeno che, secondo la maggior parte degli analisti, è da imputare alla crisi economica.
La trentottesima edizione della March for Life si è aperta all'alba di lunedì con la Santa Messa celebrata allo stadio del Verizon Center, cui hanno partecipato 27mila giovani pro-life: praticamente il tutto esaurito. I manifestanti rimasti senza biglietto hanno dovuto così 'ripiegare' su un'altra celebrazione organizzata dall'arcidiocesi di Washington nell'edificio dell'Armeria della capitale statunitense, senza contare le altre sei messe celebrate in città in occasione dell'evento.
Sfidando il gelo invernale i dimostranti hanno percorso svariati chilometri per concludere il corteo proprio davanti alla Corte Suprema, dove molti di loro si sono fermati in preghiera. La March for Life è da sempre un evento aconfessionale, in grado di coinvolgere laici, cattolici, evangelici, ortodossi, ebrei. Rimane però, a suo modo, un'iniziativa intrisa di profonda religiosità, com'è nello stile degli americani e così vediamo la maggior parte dei manifestanti invocare apertamente Dio e pregare: per i 50 milioni di nascituri abortiti dal 1973 ad oggi, per le loro madri, per i medici che praticano l'aborto, per i politici e i giudici che lo sostengono. La manifestazione si è svolta, come sempre, pacificamente e in allegria: il freddo polare che attanaglia Washington è in contrasto con lo straordinario calore umano che si respira tra i manifestanti. È tutto un pullulare di cartelli e di slogan. C'è chi proclama: Sono stato adottato, non abortito; c'è chi stigmatizza le politiche anti-vita della Casa Bianca: Stop all'agenda abortista di Obama. La scritta più toccante è tuttavia Mi pento del mio aborto, in mano a donne destinate a diventare le testimonial più emblematiche della manifestazione. Tra i manifestanti tantissimi giovani, persino bambini, a riprova di come il rispetto per la vita dal concepimento alla morte naturale è un valore che si può apprendere ed assimilare sin da piccoli.
Quest'anno la March for Life ha assunto connotazioni politiche particolarmente incisive: la vittoria dei repubblicani e la netta maggioranza da loro ottenuta alla Camera dei Deputati – grazie all'apporto decisivo del Tea Party - ha orientato il parlamento in chiave decisamente pro-life, con prospettive interessanti sul piano legislativo. Il capogruppo dei Repubblicani alla Camera, Eric Cantor, deputato della Virginia, ha proclamato: "Contro la volontà dei cittadini, i Democratici si sono avventurati in un'agenda che ci costringe a pagare le tasse per finanziare l'aborto e la ricerca sulle cellule staminali embrionali e hanno persino tentato di abrogare il diritto all'obiezione di coscienza per gli operatori sanitari". Il cambio di maggioranza nel ramo più affollato del parlamento di Washington, potrebbe limitare questa deriva ultraliberal, in primo luogo bloccando i fondi pubblici per l'aborto. "Alla Casa Bianca e in Senato la strada è in salita (lì i Democratici mantengono la maggioranza, ndr) – ha aggiunto Cantor – ma vi prometto una cosa: la Casa della Gente si batterà per la vita e faremo qualunque cosa in nostro potere perché i nostri valori si traducano in norme di legge". Il fronte degli oppositori all'aborto è tuttavia trasversale: "Se vogliamo cambiare la vita di questo Paese – ha dichiarato Daniel Lipinski, deputato democratico dell'Illinois – abbiamo bisogno di esponenti pro-life in entrambi i partiti".
Nel mirino dei pro-life c'è soprattutto Planned Parenthood, la più potente tra le lobby del controllo delle nascite, nonché la più grande rete di cliniche abortive degli USA. Lo scorso anno Planned Parenthood ha ricevuto fondi per ben 363 milioni di dollari dall'amministrazione Obama. Un disegno di legge lanciato dal deputato repubblicano Michael Pence mira tuttavia a tagliare ogni forma di finanziamento pubblico all'organizzazione.
Nei prossimi mesi il dibattito sull'aborto si preannuncia incandescente, tanto è vero che molti repubblicani lo considerano addirittura l'obiettivo numero uno della loro agenda: anche questo è un segno dei tempi.
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