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Nel dibattito sulla legalizzazione della marijuana irrompono i sociologi, subito ripresi – poteva mancare? – anche da qualche cattolico. Ci si assicura che «la sociologia» chiede la legalizzazione della droga. L'argomento è stato formulato nel modo più articolato da Federico Varese – che insegna criminologia nel dipartimento di sociologia dell'Università di Oxford e di cui ho letto con interesse gli studi sulla mafia, pur notandovi una certa acidità anticattolica – in un articolo su La Stampa del 9 gennaio, ma altri si sono prontamente accodati. In breve, la tesi «sociologica» suona così: quando un comportamento vietato dalla legge diventa socialmente diffuso non ha più senso vietarlo, e la legge deve adeguarsi alle preferenze che i cittadini hanno manifestato non a parole o con il voto, ma con il loro comportamento. Diversamente, la legge perde credibilità.
Scrive Varese: «Qualsiasi manuale di sociologia dello Stato spiega che l'apparato di leggi che governano una società deve corrispondere ai comportamenti individuali più diffusi». E comunque «non ha senso» criminalizzare percentuali significative, ancorché minoritarie, della popolazione. Confesso di non conoscere questi manuali – forse circolano solo a Oxford – ma propongo di diffonderli presso le donne di certe zone del Messico o dell'India. Sarà per loro una grande consolazione sapere che per i sociologi di Oxford «non ha senso» criminalizzare la violenza carnale di gruppo a Ciudad Juarez o in certe periferie indiane, dal momento che lì è certamente praticata da una percentuale significativa della popolazione (maschile).
Se le leggi dello Stato debbano adeguarsi ai «comportamenti individuali più diffusi», anche quando sono immorali o nocivi al bene comune, o viceversa debbano cercare di correggerli, non è una questione di sociologia ma di filosofia del diritto. La posizione di Varese non deriva da alcun principio sociologico, ma dal relativismo più assoluto, che è una dottrina filosofica e che quando pretende di diventare legge si fa – secondo l'espressione di Benedetto XVI citata e ripresa anche da Papa Francesco – «dittatura del relativismo».
È anche una posizione assurda. Varese ci dice che in Italia urge adeguare la legge al comportamento, perché siamo il secondo Paese al mondo per consumo di droghe cosiddette «leggere». Ma, se si comincia a mettere le leggi al passo con il costume, o piuttosto con il malcostume, perché fermarsi alla droga? Non da altri, ma dallo stesso Varese, desumo che l'Italia è anche in testa alle classifiche europee quanto alla corruzione. Il sociologo potrebbe dunque suggerire a qualcuno dei suoi referenti politici di presentare in Parlamento una proposta molto più innovativa rispetto ai vecchi arnesi sulla droga: legalizzare in Italia la corruzione di pubblici funzionari. Forse che non si tratta di un comportamento socialmente diffuso?
Mi sono permesso, allora, di portarmi avanti con il lavoro e dare una mano a Varese – e ad altri colleghi – preparando io stesso una bozza di discorso che uno dei loro politici di riferimento potrebbe pronunciare in Parlamento. Farebbe certamente il giro del mondo. Avverto il lettore che non invento nulla, ma che tutte le frasi le desumo dai testi di Varese e di un altro sostenitore della legalizzazione della droga, il sociologo e senatore del PD Luigi Manconi, cambiando semplicemente «marijuana» con «corruzione», «corruzione di pubblici funzionari» o «bustarelle».
«Onorevoli colleghi, Il disegno di legge di cui sono primo firmatario non propone, come qualcuno ha voluto insinuare, la liberalizzazione della corruzione. No, onorevoli colleghi, in Italia la liberalizzazione della corruzione c'è già. Non c'è regione, non c'è città del nostro Paese dove le bustarelle non circolino liberamente. Ce lo dicono le organizzazioni internazionali: l'Italia è tra i primi Paesi al mondo, forse il primo in Europa, per il consumo di bustarelle. Il problema, allora, non è la liberalizzazione della corruzione, che è già nei fatti e nelle cose. Quella che io propongo è la sua legalizzazione, che è cosa ben diversa.
La sociologia ci insegna che le leggi debbono corrispondere ai comportamenti sociali più diffusi: che senso ha continuare a criminalizzare la corruzione di pubblici funzionari, praticata in Italia da una percentuale minoritaria, certo, ma significativa della popolazione? Aggiungo che la norma che vieta la corruzione è osteggiata da una parte significativa anche della classe politica, magari senza troppo dirlo.
Possiamo immaginare alcune conseguenze della legalizzazione della corruzione in Italia? Anzitutto, l'introito fiscale sarebbe significativo. Si potrebbero riscuotere miliardi creando nuove imposte che andrebbero a tassare ogni singola bustarella, e una somma compresa tra circa 0,5 e 3 miliardi di euro da imposte sul reddito, se i proventi da corruzione potessero e dovessero essere regolarmente dichiarati. Inoltre migliaia di persone oggi in prigione per corruzione uscirebbero dal carcere. L'amministrazione carceraria risparmierebbe milioni di euro ogni giorno. Vi sarebbero poi risparmi in altri settori della giustizia, eliminando le costose indagini e gli ancor più costosi processi per corruzione.
Un altro vantaggio sarebbe isolare la criminalità organizzata, che in molte regioni d'Italia ha messo le mani sul business della corruzione di pubblici funzionari. Ce lo ha spiegato Saviano: i padrini sono proibizionisti e hanno paura della legalizzazione della corruzione. Le bustarelle sarebbero sottratte alle loro manovre clandestine e potrebbero essere scambiate alla luce del sole – e sotto l'occhio vigile del fisco. Alla criminalità organizzata subentrerebbero aziende dinamiche, nuove società e start-up che potrebbero specializzarsi nella corruzione, offrendo i loro servizi apertamente e pagando le tasse. Se n'è accorto anche qualche collega della Lega Nord: le aziende padane, naturalmente più dinamiche, sarebbero le prime a presidiare il nuovo mercato.
Infine, onorevoli colleghi, c'è un argomento a favore della legalizzazione della corruzione cui so essere particolarmente sensibile anche il mondo cattolico. Oggi la corruzione, in quanto illegale e vietata, è più accessibile per i ricchi che per i poveri. Si tratta di un'evidente ingiustizia, che la legalizzazione eliminerebbe. Certo, il valore delle bustarelle non potrebbe essere troppo basso. La concorrenza libera e legale, però, alla lunga farebbe scendere i prezzi. Alla fine ci sarebbero bustarelle e forme di corruzione di funzionario pubblico accessibili quasi a tutte le tasche, eliminando odiose discriminazioni. In ogni Comune potrebbero anche essere aperti appositi sportelli, dove la corruzione di un funzionario pubblico potrebbe essere offerta ai meno abbienti a prezzi politici e sussidiati.
Perché esitare, dunque? Legalizziamo la corruzione, e legalizziamola subito. Il proibizionismo ha fallito».
Questo sì che sarebbe un discorso – l'aggettivo è d'obbligo – stupefacente. Naturalmente, ci sarebbero anche dei rischi. Qualcuno potrebbe consigliare al parlamentare che ardisse pronunciarlo di cambiare spacciatore. Ma niente paura: gli basterà rivolgersi al tabaccaio sotto casa, perché con la legalizzazione della droga ogni tabaccaio sarà trasformato automaticamente in spacciatore.
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