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IL SUCCESSO (AVVELENATO) DELLA CARNE HALAL OVVERO CONFORME ALLA SHARIA
Tutti i rischi per la salute degli uomini a causa del rigurgito gastrico e dei batteri nel sistema digestivo dell'animale, il problema delle feci e delle minori precauzioni per la carne halal
di Davide Graco

Il titolo ricalca quello della giornalista francese Anne De Loisy, che ha visitato gli impianti di macellazione di carne Halal ovvero "conforme" alla Sharia, denunciandone le precarie condizioni igieniche. Eppure pare che il mercato sia in espansione. Ma davvero i prodotti Halal sono sicuri, leciti e multiculturali?
Ormai l'azione coordinata dell'islam contro l'Occidente è evidente. Gli attentati di Parigi hanno risvegliato in parte timori che si pretendeva fossero infondati, ma vi sono anche altre realtà non emerse da temere. Una di queste è sicuramente il cibo halal ovvero "conforme" alla sharia, la legge islamica. Si tratta di un mercato in forte espansione, del tutto incentrato e condizionato dalle disposizioni religiose musulmane. I suoi paladini usano in continuazione delle parole-chiave, frasi studiate apposta per compiacere i consumatori occidentali, convincendoli della bontà e utilità dei metodi musulmani rispetto a quelli di tutti gli altri. Invece rendono solo evidente quanto l'islam voglia insinuarsi in tutti i livelli del vivere quotidiano europeo.

UN "SALVAGENTE" PER L'ECONOMIA?
L'halal in questo momento viene proposto come un metodo per salvare l'economia europea: è sicuramente la dialettica migliore per un Occidente pronto ad ascoltare qualsiasi cosa riguardi il guadagno. Infatti, l'Halay Italy snocciola una serie impressionante di dati: nel nostro Paese sarebbero già circa 5 milioni i consumatori di cibo halal, mentre il settore fatturerebbe da solo ogni anno 13 miliardi di euro e sarebbe oltre tutto in costante crescita, aumentando del 10-15% ogni anno. Promette salvezza economica. Sharif Lorenzini, presidente di Halay Italy, lo ha sottolineato bene all'Ansa: molte ditte sono "partite con una percentuale di certificazione tra il 3% e il 5% - ha detto – ma in tre anni sono arrivati al 60-70%. Parecchie stavano per chiudere, invece ora non riescono a far fronte da sole a tutte le richieste". Per questo, "le imprese italiane hanno cominciato ad aprirsi a nuove opportunità: se tutte fossero certificate Halal – conclude Lorenzini – in 18 mesi l'Italia uscirebbe dalla crisi". È evidente come tali affermazioni cerchino di indorar la pillola. Durante L'Halal food council, tenutosi a Roma dal 26 al 30 marzo del 2014, lo sceicco Fayez Al Shahri concluse: "Siamo pronti anche a investire in infrastrutture, ma l'Italia deve garantirci di riconoscere l'ufficialità del mercato halal".
Tutte queste cifre potrebbero essere vere o false, è impossibile capirlo. La fonte di partenza è sempre musulmana. Ma il senso è chiarissimo: conquistare con poco un'economia ormai agonizzante, promettendo di salvare posti di lavoro e capitali, ottenendo il massimo in contropartita. Non si tratta mai di un beneficio disinteressato, come quelli richiesti dall'Europa per accogliere l'Islam.

L'HALAL È SANO?
Secondo Halay Italy, in Francia, Germania e Inghilterra il 40% dei consumatori dei cibi halal non è musulmano, ma acquisterebbe questo genere di prodotti, perché li riterrebbe più sani e controllati. Il Whad, l'ente di certificazione halal italiano, rincara la dose sottolineando come "il prodotto certificato halal, per la complessità e serietà dei controlli in fase di certificazione, si proponga sul mercato come sicuro, sano, apprezzato da consumatori islamici e non". In realtà, non è detto. Basta vedere uno dei filmati in rete per constatare in quali squallidi mattatoi, privi di norme igieniche, vengono uccisi gli animali. Se non bastasse, la giornalista francese Anne de Loisy ha indagato questo mondo per tre anni, entrando infiltrata nel cuore dell'industria halal. Ne è uscito un libro dal titolo "Bon appétit!", uscito nel febbraio dell'anno scorso, che rappresenta una denuncia forte, documentata e precisa.
Innanzitutto, con la macellazione halal delle bestie, c'è il rischio di rigurgito gastrico. L'apertura dell'esofago al momento del taglio spalanca la porta ai batteri del sistema digestivo dell'animale. Il rigurgito può rovesciarsi sulla testa, in gola e nel petto. In teoria le parti contaminate dovrebbero essere rimosse, ma per non sprecarne troppe, il processo di rimozione è ridotto.
Poi c'è il problema delle feci. Spesso gli animali, non sedati per compiacere il rituale, evacuano per il terrore. Anche in questo caso i lavaggi dovrebbero essere frequenti, per eliminare gli escrementi, ma durante i cicli più intensi questo non avviene.
La ragione del successo dell'halal appare dunque subito evidente. È molto più rapido ed economico di qualsiasi altro processo di macellazione, ma grazie alle minori precauzioni.

L'HALAL È LECITO?
In Paesi come Austria, Olanda, Svizzera, Danimarca e Svezia la macellazione rituale è già vietata. Perché? Sono tutti contrari al cibo serio, sicuro e sano di cui parla il Whad? Evidentemente hanno le loro ragioni. Secondo la legge italiana, è d'obbligo indurre la perdita di conoscenza nell'animale prima di ucciderlo, invece sistemi come l'ebraico kosher e l'halal esigono che il soggetto sia cosciente, dal taglio fino al dissanguamento. Come conciliare le due cose?
Ciò che ha spinto la deputata del Movimento 5 Stelle, Chiara Gagnarli, a chiedere nel luglio scorso la modifica del decreto legislativo n.333 del 1998, così da stabilire il generale diritto allo stordimento prima della macellazione. Anche gli animalisti, stranamente deboli contro l'halal, hanno fatto partire una petizione, mentre Loredana De Patris, senatrice Sel, ha messo a punto un disegno di legge sul tema. Uno studio, dell'Efsa, Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, ha infatti stabilito che, da quando un animale viene appeso fino al primo affondo di lama, trascorrono quasi quattro minuti, mentre nel 93% dei casi il riflesso corneale cessa dopo 80 secondi dall'ultimo taglio. Un minuto e venti secondi di agonia, un tempo molto lungo. A tutto questo bisognerebbe poi aggiungere il ruolo del compressore, che viene utilizzato per staccare la pelle della carne, a volte mentre l'animale è ancora vivo.

L'HALAL MULTICULTURALE?
Nell'enfasi del politicamente corretto, c'è persino chi riesce a sostenere che l'halal possa aprire il dialogo multiculturale. Anna Maria Aisha Tiozzo, presidente del Whad, World Halal Development, in occasione dell'apertura di alcune terme venete, nel maggio dell'anno scorso, ha dichiarato che la volontà di adeguarsi, espressa da alcune aziende, dipenderebbe sicuramente dalle difficoltà economiche, ma anche dall'interesse "per altre culture" e dalla "voglia di aprirsi alle esigenze dei nuovi clienti".
In realtà l'halal soddisfa un unico target, un solo tipo di clientela ovvero il consumatore di fede musulmana. Tutti gli altri, al minimo, non ne hanno bisogno. E tuttavia il Whad cita sul suo sito anche la Nestlè, che avrebbe definito l'halal come la "pace della mente anche per i non musulmani". La pace di una mente addormentata...

 
Titolo originale: Buon appetito!
Fonte: Radici Cristiane, febbraio 2015 (n. 111)