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"Gli svedesi hanno votato liberamente e democraticamente, e siamo fiduciosi che il Governo che emergerà continuerà nel forte impegno nei confronti dell'Ue".
Lo ha detto ieri il portavoce del presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker, commentando l'esito delle elezioni in Svezia. Elezioni per le quali la Ue aveva nei giorni scorsi espresso forti preoccupazioni legate all'affermazione del partito dei Democratici Svedesi (DS) di Jimmie Akesson.
Al di là dei risultati elettorali, resta l'evidente contraddizione di una Commissione non eletta dai popoli europei ma determinata da alleanze e intese in seno ai gruppi parlamentari che esprime preoccupazioni ogni volta che negli Stati membri si tengono elezioni democratiche.
Un così elevato e costante timore della volontà popolare la dice lunga sul deficit di credibilità democratica di cui soffre la Ue.
A minarne la credibilità contribuisce anche la percezione che il suo obiettivo sia l'autoconservazione, mantenere il suo ruolo e autolegittimarsi nel perseguire politiche suicide verso gli europei (dalla finanza all'immigrazione), accentuando invece di risolverli i gravi problemi del Vecchio Continente.
I commenti di ieri, quando in Svezia ancora era da ultimare lo spoglio di tutte le schede, sono stati anche in Italia improntati generalmente al sollievo per lo scampato pericolo. Democratici Svedesi è il terzo partito, è cresciuto raggiungendo il 17,7 per cento ma non ha sfondato quota 20%. Anche in Italia, come presso molti ambienti politici europei, si finge entusiasmo per il mancato trionfo dei sovranisti.
LA POLITICA DELLO STRUZZO
Si continua a perseguire quindi la "politica dello struzzo" che da anni caratterizza i centri di potere comunitari e molti governi dell'Europa Occidentale. Si tende, anche per pigrizia mentale, a fingere di non vedere le cause dipingendo come tali gli effetti. Il problema non è infatti, in Svezia come altrove, l'esplosione di consensi per i partiti contrari ai flussi migratori ma il fatto che sia proprio questa immigrazione di massa, selvaggia e quasi sempre islamica, violenta e priva di ogni aspirazione all'integrazione a determinare il crescente rifiuto delle forze politiche che hanno consentito tutto questo.
Così come nell'Est Europa si assiste al consolidamento di quelle forze di governo che rifiutano di mutuare le fallimentari politiche immigrazioniste dei partner occidentali. I Democratici Svedesi crescono e cresceranno ancora influenzando anche altre forze politiche svedesi non perché dilaghi il razzismo ma perché la Svezia ha 62 aree urbane (lo ammette la polizia) fuori controllo, in mano a gang islamiche armate di kalashnikov e bombe a mano che impongono la sharia in interi quartieri delle più importanti città.
A Rinkeby, sobborgo a nord di Stoccolma è stato definito "zona di guerra" dalla responsabile delle unità anticrimine della polizia, Lise Tamm, come ha ricordato ieri il ministro italiano della famiglia, Lorenzo Fontana.
L'Islam rappresenta già oggi la più grave minaccia alla libertà, alla democrazia, ai diritti umani e alla sicurezza tout court e a quella sociale in Europa. Una sfida che prima o poi molti paesi dell'Europa Occidentale (a cominciare da Svezia, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Olanda...) dovranno affrontare indipendentemente dal colore politico del governo in carica.
Anzi, più tempo si attende e più ardua e sanguinosa sarà la "riconquista" delle no go area di cui i governi europei hanno perso controllo e sovranità.
QUANDO ANDREOTTI ORDINAVA LE ESPULSIONI DI MASSA DI IMMIGRATI CLANDESTINI
Vale la pena sottolineare che le uniche espulsioni di massa di immigrati clandestini attuate in Italia sono state ordinate e gestite ai danni dei clandestini albanesi nell'agosto 1991 dal governo guidati da Giulio Andreotti (ministro dell'Interno era Vincenzo Scotti).
"Non siamo assolutamente in condizione di accogliere gli albanesi che premono sulle coste italiane e lo stesso governo di Tirana è d'accordo con noi che debbano essere rinviati nella loro nazione", rese noto il presidente del consiglio varando un'operazione segreta di rimpatrio che riportò a Tirana con 11 aerei militari, 3 aerei civili e 3 motonavi oltre 20 mila albanesi convinti di venire smistati da Bari in altri centri d'Italia.
L'unico governo italiano a ordinare non solo il blocco dei porti ma, di fatto, un "blocco navale" davanti alle coste di un altro Stato, fu nel 1997 l'esecutivo di centrosinistra guidato da Romano Prodi, con Giorgio Napolitano ministro dell'Interno, per impedire lo sbarco di altri clandestini dall'Albania.
In buona parte d'Europa, quando la situazione sarà ancora più critica, di fronte all'emergenza non saranno le sfumature politiche a fare la differenza. Per questo fa specie notare che la lezione svedese (come quelle precedenti) non sia stata recepita nel suo significato più profondo.
I risultati elettorali vedono i Socialdemocratici restare primo partito nonostante un calo senza precedenti e anche unendosi con i Verdi non avrebbe i numeri per governare.
Al tempo stesso la coalizione dei tre partiti di centrodestra potrebbe formare un governo solo unendosi ai DS anche se prima del voto aveva escluso una simile alleanza.
Ulf Kristersson, che guida il centro-destra, ha detto che si attende un mandato per formare un nuovo governo e che il primo ministro uscente, il socialdemocratico Stefan Lofven, dovrebbe dimettersi. Il premier invece apre a un governo allargato al centrodestra.
I risultati definitivi delle elezioni non arriveranno prima di mercoledì, quando si conoscerà l'esito del voto dei circa 200mila svedesi all'estero. Il blocco "rosso-verde" al potere fino ad oggi è accreditato per il momento di un seggio in più (144, con il 40,1%) rispetto all'opposizione conservatrice (143). Nessuno dei due gruppi è comunque vicino a ottenere il 50% dei 349 seggi in ballo al Riksdag, il Parlamento svedese.
Tutti i giochi sono quindi aperti ma resta difficile dare torto ad Akkeson quando afferma che SD avrà un "peso enorme" nel futuro della Svezia. Proporzionale ai gravi problemi di sicurezza interna che Stoccolma dovrà affrontare.
Nota di BastaBugie: Lorenza Formicola nell'articolo seguente dal titolo "La Germania ha un problema. Ed è l'islam, non il nazismo" spiega che a leggere gli editoriali dei giornali tedeschi pare che siano tornati i nazisti. La Germania ha sì un problema, ma non il nazismo di ritorno. Il problema è l'arrivo di un'immigrazione islamica che non si integra e fa impennare gli omicidi. E' contro questo nuovo disordine che i tedeschi protestano a Chemnitz, dopo l'ennesimo delitto.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 4 settembre 2018:
Si fa un gran parlare ultimamente di Germania, e a leggere gli editoriali sulla stampa internazionale pare che siano tornati i nazisti. È questo il vero problema che i media hanno estrapolato dalle manifestazioni che si stanno susseguendo in casa Merkel. Per recuperare un resoconto più lucido ed equilibrato di quanto sta avvenendo nei confini tedeschi bisogna, invece, sfogliare il Financial Times.
Nella terza più grande città della Sassonia, a Chemnitz, da giorni, si susseguono manifestazioni e scontri. La goccia che ha fatto traboccare un vaso pieno da tempo è stato l'omicidio di un trentacinquenne tedesco per mano di due immigrati musulmani richiedenti asilo. La morte dell'uomo identificato come Daniel H., avvenuta nel centro cittadino domenica scorsa, ha così divelto gli argini. E gli scontri si sono fatti subito talmente prepotenti da lasciare la polizia incapace di fermare la violenza dilagante. Tra l'insofferenza, la disillusione e il senso di abbandono della popolazione verso i politici locali e nazionali della CDU, criticati aspramente per la loro ipocrisia e le politiche su immigrazione e sicurezza, è viva l'istantanea di un Paese che se non è già in pieno clima da guerra civile, respira un'amara aria di tempesta.
Se, infatti, la stampa continua a ridurre i fatti a populismo, xenofobia e fake news, Chemnitz, è diventata nel frattempo il simbolo del malessere dell'intero Paese. E quando giovedì il primo ministro della Sassonia e stella nascente dell'Unione Cristiano Democratica (CDU) di Angela Merkel, Kretschmer, è andato proprio a Chemnitz per tenere un comizio e dimostrare attenzione ai problemi manifestati, sapeva di star entrando nella tana del leone, ma forse non aveva compreso quale fosse l'entità della situazione. È così che, completamente impreparato a fischi, grida e contestazioni in una città in ebollizione tra rabbia e dolore, ha dovuto lasciarla con la coda tra le gambe. "La Merkel parla di mantenere il diritto e l'ordine, ma la gente viene massacrata nelle strade. Se le cose continuano così, stiamo andando verso una guerra civile", gridavano i manifestanti come ha fatto notare proprio il principale giornale economico-finanziario della City.
D'altronde le tensioni latenti sull'immigrazione, l'identità, la razza e la religione hanno intorbidito la Germania da quando la cancelliera ha inaugurato la politica delle porte aperte lasciando entrare oltre un milione di immigrati. I problemi che hanno iniziato a manifestarsi entro i confini nazionali hanno portato all'ascesa di Alternativa per la Germania (AfD), il partito di destra che ha guadagnato 92 seggi parlamentari nelle elezioni dell'anno scorso e che adesso, nonostante sia una forza politica nuova e giovane, è il più grande partito di opposizione al Bundestag. E le tensioni che le urne hanno manifestato per la prima volta lo scorso anno, adesso sono esplose al punto da trasformare una città in un campo di battaglia.
Mai come oggi infatti ci si domanda se la Germania ha davvero un problema con l'islam importato e se sarà capace di sopravvivergli. Quesiti che sono al centro delle proteste e del dibattito pubblico, ma non politico, come denuncia anche Politico. Che, allo stesso tempo, condanna l'incapacità del governo di tenere a bada l'estrema destra e i neo-nazisti e di non autocelebrarsi a dovere sull'età dell'oro che in realtà starebbe vivendo la Germania. "A chi dovrebbe essere consentito entrare?", si chiedevano allo Spiegel, in copertina, la scorsa settimana. Mentre la copertina di questa settimana, dedicata alla Sassonia, lo stato teatro dell'omicidio e degli scontri, recita: "Quando la destra prende il potere".
Thilo Sarrazin, ex funzionario della Bundesbank, ha scritto "Hostile Takeover" con l'intendo di interpretare il disagio della Germania per l'afflusso di rifugiati con una previsione di ciò che spetterà all'Europa. Nel descrivere l'islam come "un'ideologia della violenza mascherata da religione", Sarrazin sostiene che se l'Europa non intraprenderà azioni tempestive per fermare la migrazione musulmana verso l'Ue, la società europea alla fine sarà annichilita fino alla distruzione. Il volume ha debuttato al numero uno della classifica dei bestseller tedeschi.
Sulle stesse frequenze ha deciso di sintonizzarsi anche Marco Wanderwitz, segretario di Stato del ministero dell'interno che in queste ore ha dichiarato, "per troppo tempo non abbiamo riconosciuto la dimensione del problema o non eravamo disposti a farlo". Qualcuno potrebbe domandare dell'opportunità di sovrapporre sempre rifugiati e immigrati all'islam. Ebbene la Germania che oggi protesta, lamenta proprio l'incompatibilità con l'islam importato. Persino sulle pagine di Politico, nel commentare la cronaca di questi giorni, si sono resi conto che il problema è tutto là e hanno aperto il pezzo con una domanda per loro retorica, "può la Germania sopravvivere all'islam?" Per non parlare, poi, del legame con l'epidemia di violenze sessuali. E' ormai noto che i carnefici rivendicano l'opportunità dei loro gesti sostenendo che le "donne bianche e occidentali meritano di essere violentate": è la visione islamica del mondo a parlare.
E sebbene i media continuino a decantare la sicurezza tedesca, l'impennata di crimini violenti perpetrati da rifugiati e le percentuali di stupri ed omicidi stanno sconvolgendo il Paese. Peculiarità di casa Merkel è, per esempio, la crisi di stupri. Il rapporto trimestrale, pubblicato il 16 gennaio dall'ufficio federale della polizia criminale tedesca (BKA), dimostra che i 'zuwanderer' (richiedenti asilo, rifugiati, immigrati clandestini) hanno commesso esattamente 3466 reati sessuali nei primi mesi del 2017, circa tredici al giorno. Ma per avere un quadro completo occorrerà aspettare il secondo trimestre del 2018. Nel frattempo quel che è certo è che nel 2016 i migranti hanno commesso 3404 reati sessuali; nel 2015, 1683; nel 2014, 949 reati sessuali e nel 2013, 599, circa due al giorno. A giugno, lo stupro e l'omicidio di una ragazza di 14 anni, presumibilmente per mano di un richiedente asilo iracheno, hanno fatto infuriare la nazione. Detto ciò, il direttore della Criminal Police Association (Bund Deutscher Kriminalbeamter, BDK), Andrè Schulz, stima che addirittura fino al 90% dei reati sessuali commessi in Germania non compaiono nelle statistiche ufficiali. "Esiste un rigido ordine da parte delle autorità di non denunciare i crimini commessi dai rifugiati", ha detto alla Bild un alto funzionario della polizia di Francoforte.
A gennaio è stato pubblicato un importante studio che ha rappresentato uno dei primi tentativi di misurare l'effetto che l'ondata di rifugiati del 2015 e del 2016 in Germania e il reale aumento, o meno, di crimini violenti. Condotto da Christian Pfeiffer, Dirk Baier e Soeren Kliem dell'Università di Scienze Applicate di Zurigo, lo studio commissionato dal governo utilizza materiale proveniente dal quarto stato più popoloso della Germania, la Bassa Sassonia.
I ricercatori hanno richiesto dati che riguardavano specificamente i richiedenti asilo che erano arrivati nel 2015 e 2016. La polizia di Stato - in linea con il tabù del "non denunciare" - non aveva pubblicato tali statistiche, e si è scoperto allora per la prima volta che i richiedenti asilo avevano invertito la tendenza alla diminuzione di crimini violenti in Bassa Sassonia. E mentre era stata segnalata una diminuzione del 21,9% tra il 2007 e il 2014, le percentuali si sono ribaltate nel 2016 con un incremento di "violenza" del 10,4%. Lo studio ha rivelato che il 92,1% dei casi era da attribuire "ai nuovi arrivati". Tra il 2014 e il 2016, la percentuale di reati violenti risolti e attribuiti ai richiedenti asilo è aumentata al 13,3% dal 4,3% - una quota sproporzionatamente alta rispetto alla popolazione straniera dello stato.
E se il governo tedesco avesse ammesso questa cruda realtà, fa notare Bloomberg, "la punizione politica della Merkel per la sua generosità verso i rifugiati avrebbe potuto essere più dura e l'AfD avrebbe potuto fare ancora meglio". Le agenzie governative tedesche non erano attrezzate a far fronte a un simile afflusso di richiedenti asilo e la società tedesca ne sta oggi pagando il prezzo. L'anno scorso i rifugiati erano sospettati di circa il 15% degli omicidi in Germania, secondo le statistiche ufficiali, e ciò sebbene rappresentino solo il 2% della popolazione.
Molti dei sospettati, tra cui l'iracheno accusato di aver pugnalato la vittima di Chemnitz e il terrorista dei mercatini di Natale di Berlino nel 2016, godono di uno status di immigrati classificato come duldung, o "tollerato". Ciò significa che, nonostante le domande di asilo vengano negate, il governo permette di rimanere in Germania. Sarebbero oggi circa 170.000 gli immigranti duldung in Germania. Altre 350.000 persone risiedono nel paese senza alcuno stato di immigrazione ufficiale e molti di loro sono in attesa di una sentenza su una domanda di asilo.
I critici affermano che la presenza di così tanti immigrati senza il diritto di rimanere nel paese dimostra che il sistema di asilo tedesco sia una messainscena. E come se non bastasse il giornale tedesco Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung ha rivelato uno studio secondo il quale su oltre 280mila immigrati partecipanti ad un "corso di integrazione" promosso nel 2017 in Germania, il 52% non ha superato i requisiti minimi di conoscenza della lingua, cultura e valori tedeschi. E, allora, è vero o no che la Germania ha un problema con l'immigrazione islamica?
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