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Nei confronti della Turchia di Erdogan, l'Unione Europea fa da un lato la voce grossa, indignata per la repressione degli oppositori e della libertà di stampa o per l'invasione anti-curda in Siria; dall'altro, continua invece a cedere su tutti i fronti, avallandone persino le strategie di assalto culturale, oggi principalmente incentrate sull'utilizzo manipolatorio della cosiddetta "islamofobia".
Prodotto dei pensatori fondamentalisti contemporanei appartenenti ai Fratelli Musulmani, il concetto d'"islamofobia" viene utilizzato come clava per colpire chiunque in Europa, e in generale nel mondo occidentale, osi esprimersi in maniera critica nei confronti della componente di religione e cultura islamica.
Anche le critiche espresse in maniera civile e razionale - che invocano il rispetto dei diritti umani e delle donne, della libertà religiosa e di espressione - vengono equiparate a forme di razzismo, intolleranza e xenofobia, malgrado l'oggettiva refrettarietà di ambienti come quelli influenzati dai Fratelli Musulmani ad accettare valori, principi, usi e costumi dei paesi europei.
UNA TRAPPOLA PER GLI INGENUI OCCIDENTALI
Una trappola, insomma, rivolta agli ingenui occidentali, soprattutto se progressisti e di sinistra, in cui anche Bruxelles è caduta in pieno, come dimostra il finanziamento da parte dell'UE del "Rapporto 2018 sull'islamofobia europea", elaborato dalla "Fondazione per la ricerca politica, economica e sociale" (SETA), pensatoio di punta del partito fondamentalista AKP di Erdogan.
Quest'ultimo, che dei Fratelli Musulmani si considera il leader politico mondiale, si è molto prodigato per diffondere l'applicazione distorta del concetto d"islamofobia" tra gli accademici e gli addetti ai lavori in tutto il continente europeo, promuovendo la collaborazione con centri di studio turchi di matrice islamista. Il Rapporto, pubblicato annualmente da SETA, è il frutto di tale collaborazione, e coinvolge "esperti" provenienti da ognuno dei 28 stati membri dell'UE, più un numero di paesi partner nei Balcani e nel Caucaso.
La scheda sull'Italia, elaborata da due sociologi "impegnati" presso le università di Ferrara e Torino, è un esempio perfetto della convergenza tra l'agenda dei Fratelli Musulmani e l'agenda progressista. Se la prima si serve del concetto d'"islamofobia" per farsi largo nel tessuto sociale, culturale, religioso e politico italiano (dinamica in atto ovunque in Europa), la seconda vede con favore e promuove l'avanzare e il sovrapporsi di tutto ciò che è "altro" rispetto alla cultura, all'identità e alle tradizioni connaturate al paese e alla sua storia, in nome della "diversità" e del "multiculturalismo", da applicare naturalmente solo in Italia (e in Europa), non certo in Turchia.
I due sociologi, rispettando rigorosamente gli schemi che presiedono all'uso strumentale dell'"islamofobia", non operano la distinzione tra le discriminazioni in cui i musulmani incorrono in Italia (un fenomeno senza dubbio da combattere e prevenire con nuove politiche in ambito culturale ed educativo), dalle critiche legittime che andrebbero considerate con spirito costruttivo, al pari di quelle che possono ricevere gli atei, gli agnostici e i fedeli di qualunque altra religione.
Di conseguenza, partiti come Fratelli d'Italia, nonché organi di stampa come Il Giornale, La Verità e Libero, sono stati categorizzati come di "estrema destra", mentre il PD e persino l'ANPI come bastioni della lotta al razzismo e, appunto, all'islamofobia.
UN MODO PER COLPIRE INTELLETTUALI, SCRITTORI E PERSONALITÀ PUBBLICHE
I due sociologi concludono la loro disamina stilando una serie di raccomandazioni, tra cui quella di "creare un sistema [...] efficiente di raccolta dei dati degli eventi [di natura] islamofobica, razzistica e discriminatoria", nel quale molto probabilmente schedare come esponente di "estrema destra" chiunque abbia un'opinione "non allineata": un modo per colpire intellettuali, scrittori e personalità pubbliche, laiche e moderate, come accaduto e continua ad accadere in diversi paesi del mondo arabo e musulmano, Turchia inclusa. Risale allo scorso luglio, ad esempio, la pubblicazione, da parte sempre del "think tank" SETA, di una lunga lista di proscrizione con i nomi, i profili biografici e i volti di oltre 200 giornalisti, sia turchi che stranieri, basati in Turchia e sgraditi al regime di Erdogan.
Come se non bastasse, i due sociologi delle università di Ferrara e Torino propongono di "rafforzare la rete anti-discriminazione tra Ong, associazioni, sindacati e partiti di sinistra, soprattutto a livello locale, dove è possibile promuovere più efficacemente uguaglianza e giustizia". Si tratta di un piano d'azione vero e proprio, che in Italia è già in corso di realizzazione come nel resto d'Europa.
A sostegno della diffusione del fondamentalismo dei Fratelli Musulmani nel continente, il Sultano sta sfruttando abilmente come "cavallo di Troia" i portatori insani del pensiero unico dominante di una certa sinistra, che continua a ispirare l'operato suicida dell'Unione Europea. Se queste sono le conseguenze della collaborazione con gli accademici italiani promossa dalla Turchia di Erdogan, quali saranno allora i frutti dell'Accordo di cooperazione in ambito culturale e scientifico che il Senato si appresta a ratificare con il Qatar, che dei Fratelli Musulmani è il principale sponsor e sostenitore?
Nota di BastaBugie: per leggere il precedente articolo sul "Rapporto sull'islamofobia in Europa" dove si sottolineava che anche BastaBugie è stato inserito tra i ''cattivi'', clicca qui!
L'ISLAMOFOBIA È UN CAVALLO DI TROIA
Riccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "Da Durban a oggi, l'islamofobia è un cavallo di Troia" spiega che il termine islamofobia appare per la prima volta nel 2001 in un documento ONU firmato dai leader di quasi 200 paesi nel mondo. È un pretesto per chiudere la bocca a chi cerca di risvegliare un Occidente in declino.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana L'8 novembre 2019:
Nel pensiero comune, gli allarmi sull'islamofobia nascono dopo gli attentati terroristici negli Stati Uniti dell'11 settembre 2001, quando le minoranze islamiche nei paesi occidentali hanno cominciato ad essere viste con diffidenza se non aperta ostilità.
Niente di più errato. Il termine islamofobia ha una genesi precedente, sin dagli anni '90 del XX secolo, e accompagna la rinascita islamica che si impone come fenomeno globale e che supera le divisioni e le differenze interne alla comunità musulmana. Ma soprattutto si impone alla comunità internazionale in occasione della Conferenza internazionale dell'ONU sul razzismo, svoltasi a Durban (Sudafrica) dal 31 agosto all'8 settembre 2001, pochissimi giorni prima dell'attentato alle Torri Gemelle.
Per la prima volta a una Conferenza dell'ONU è stato possibile assistere a questa sfida aperta dei paesi islamici contro l'Occidente. Argomento principale si rivelò il Medio Oriente, per il quale il blocco dei paesi islamici chiedeva con forza la condanna di Israele e di equiparare il sionismo al razzismo. Fu una battaglia durissima, al punto che le delegazioni degli Stati Uniti e di Israele abbandonarono la Conferenza. L'Unione Europea decise invece di restare, sperando - invano - in un compromesso dell'ultimo minuto. I paesi islamici andarono avanti compatti fino alla fine, una situazione sorprendente e inedita per chi - come il sottoscritto - era presente e aveva esperienza delle Conferenze ONU.
Due i motivi: primo, malgrado le grandi divisioni interne al mondo musulmano, sia politiche sia religiose, nell'occasione i paesi islamici fecero blocco, unendosi nella comune sfida all'Occidente: si percepiva in questi paesi, un senso di grande sicurezza e di consapevolezza della propria forza, ben decisi a usarla.
Secondo, la determinazione ad andare avanti con la loro agenda senza scendere ad alcun compromesso, la ricerca del quale era invece prassi in tutte le Conferenze internazionali dell'ONU. Il mondo islamico, dunque, riuscì a Durban a dettare la propria legge in barba alle consuetudini internazionali. Potendo contare anche sulla debolezza dei paesi occidentali, Unione Europea in testa.
È in questo contesto di prova di forza che il termine islamofobia entra nella Dichiarazione finale di Durban, prima volta che compare in un documento dell'ONU, firmato da quasi duecento paesi. Appare in due paragrafi della Dichiarazione finale: al no. 61, che recita: «Riconosciamo con profondo rincrescimento l'aumento dell'Antisemitismo e dell'islamofobia in varie parti del mondo». E al n° 150 che richiama gli Stati a «opporsi a ogni forma di razzismo, e a contrastare «l'antisemitismo, l'anti-arabismo e l'islamofobia a livello mondiale». Un vero e proprio assurdo storico, se si considera che eventuali episodi di discriminazione contro musulmani erano minimi e comunque condannati dalla stessa società occidentale. E comunque è un nulla in confronto alla sistematica discriminazione e persecuzione sofferta dai non musulmani, cristiani in primis, nei paesi islamici.
Anche l'attentato alle Torri Gemelle, avvenuto appena tre giorni dopo la conclusione della Conferenza di Durban, va situato in questo contesto di "rinascita islamica". Questo non vuol dire che tutti i paesi islamici vadano ritenuti responsabili del terrorismo, ma è giusto osservare che il fenomeno terrorista ha anche un brodo di coltura che lo rende più forte. Così dopo l'11 settembre l'accusa di islamofobia viene sistematicamente usata per tappare la bocca a chiunque ponga anche solo qualche riflessione critica sul mondo islamico.
Fino ad arrivare al Rapporto sull'Islamofobia in Europa pagato dall'Unione Europea, di cui si parla in questi giorni, altro segnale inequivocabile che l'Europa politica ha scelto il suicidio.
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