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« Torna agli articoli di Franco Gabici

Antonio Santi Giuseppe Meucci, il padre del telefono del quale ricorrono quest’anno i duecento anni della nascita, non ha potuto godere in vita il riconoscimento della sua invenzione. Fin dall’inizio, infatti, ha dovuto fare i conti prima con il 'télégraphe parlant' del connazionale Innocenzo Manzetti, uno strumento basato sull’induzione magnetica che consentiva di trasmettere la voce a distanza, e successivamente con il potente Alexander Graham Bell che aveva brevettato una invenzione simile. Meucci , che navigò sempre in cattive acque, aveva presentato nel 1871 un brevetto provvisorio del suo 'teletrofono', ma non riuscì mai a racimolare il denaro necessario per ottenere il brevetto definitivo e così per molto tempo il merito dell’invenzione del telefono andò all’americano. Ma pochi anni fa, l’11 giugno del 2002, il Congresso degli Stati Uniti ha riconosciuto finalmente la paternità dell’invenzione del telefono all’italiano Antonio Meucci, chiudendo così un contenzioso che andava avanti da molti anni.
Nato a Firenze, nel quartiere di San Frediano, il 13 aprile del 1808, Meucci si formò alla Accademia di belle arti e dopo una breve parentesi come impiegato della dogana si guadagnò da vivere al Teatro della Pergola come tecnico di scena, un mestiere che avrebbe praticato anche al teatro Tacon dell’Avana dove fu costretto ad emigrare nel 1835 dopo aver partecipato ai moti risorgimentali del 1831 nel corso dei quali fu anche arrestato insieme a Francesco Domenico Guerrazzi.
Lavorava con lui anche la moglie Ester Mochi, capo costumista del teatro. Pochi anni dopo, però, il teatro veniva distrutto da un incendio e Meucci si trovò senza lavoro. Pur senza sapere nemmeno una parola di inglese si trasferì a New York e la sua casa diventò ben presto un rifugio per tanti italiani. Avviò anche la prima fabbrica di candele steariche.
Meucci, che definì la propria invenzione «il miglior strumento della mia vita», aveva costruito il primo prototipo di telefono nel 1854 per collegare il proprio ufficio con la camera della moglie costretta a letto da una grave malattia. Di questo suo primo esperimento esiste anche un disegno dell’artista e scultore Nestore Corradi che testimonia la paternità dell’invenzione di Meucci. L’esperimento in realtà costituiva il perfezionamento di una precedente idea. Durante la sua esperienza in teatro, infatti, Meucci aveva inventato un congegno per trasmettere ordini dalla cabina di regia alle zone del palcoscenico dove lavoravano gli operai. La vita dell’inventore non fu facile. Nonostante avesse accumulato una discreta fortuna quando lavorava all’Avana, a seguito di consigli sbagliati si ritrovò in gravi strettezze finanziarie. Patì anche una lunga infermità causatagli dallo scoppio del Westfield, il traghetto che collegava New York a State Island, e in quell’occasione la moglie vendette a sua insaputa i modelli del telefono per poter far fronte alle spese mediche e alle necessità della vita quotidiana.
Oltre al telefono Meucci si distinse anche per altre invenzioni. Fra queste ricordiamo una particolare materia plastica per costruire palle da biliardo in sostituzione dell’avorio. Antonio Meucci morì a Staten Island il 18 ottobre 1889 poco più che ottantenne.
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