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Tutto il mondo ha potuto vedere la dignità che papa Francesco ha riconosciuto al figlio anencefalico, considerato terminale, di quella coppia invitata a presentargli domenica 28 scorsa a Rio de Janeiro i doni dell'offerta durante la Messa che ha concluso la Giornata mondiale della gioventù davanti a tre milioni di persone. Per chi ancora non vuol vedere o non vuol capire che il dono della vita, di ogni vita, va riconosciuto come tale e come tale difeso e consegnato alla società civile come un evento esistenziale che appartiene alla storia dell'umanità e non solo a quella dei cristiani cattolici, il gesto del Papa ha ribadito due cose fondamentali.
La prima è che non esistono vite inutili, perché anche la vita di un bambino anencefalico è il frutto di un amore fra due persone che vivono il loro cammino esistenziale come un'esperienza utile e bella, ricca del variegato arcobaleno di sentimenti, passione e condivisione che ogni storia d'amore possiede in modo unico e irripetibile per ciascuna coppia. Il frutto di un amore «utile» non può mai definirsi «inutile»: bisogna rispettare il cammino e le scelte esistenziali di ognuno quando l'accoglienza di una vita terminale si verifica in quel terreno sacro in cui, per capire questa scelta, bisogna togliersi i sandali della superficialità e del giudizio affrettato. La seconda cosa è che l'accompagnamento dei bambini terminali risponde alla «cultura dello scarto», come l'ha chiamata il Papa, con l'evidenza scientifica e umana che quando un figlio è malato il suo essere figlio non dipende dall'età di cinque mesi di vita pre-natale o di un anno di vita post-natale: è sempre un figlio e i genitori lo curano o – se non possono – lo accompagnano fino alla morte naturale: lo amano, nel dolore, fino alla fine. Non si elimina la sofferenza eliminando il sofferente, ma si deve cercare di lenire la sofferenza amando il sofferente fino alla fine. L'aborto eugenetico (detto impropriamente terapeutico) vorrebbe eliminare la sofferenza, ma ne produce di più. E la letteratura scientifica degli ultimi vent'anni mostra le gravi conseguenze depressive che impattano sulla salute psicologica della donna e della famiglia con costi economici per tutta la società civile.
Il mistero che avvolge la nascita di feti gravemente malformati, definiti «terminali» perché incompatibili con la vita, è grande. Infatti nella Sacra Scrittura è scritto: «Ti ho fatto come un prodigio». Nella esperienza della nostra Associazione La Quercia Millenaria Onlus, che negli ultimi 10 anni ha accompagnato quasi 300 bambini terminali, ci sono anche le vicende di 15 bambini anencefalici. In cinque neonati al Policlinico Gemelli, su richiesta dei genitori e con il consenso del Comitato etico, dopo la cessazione del battito cardiaco sono state espiantate le cornee e "bancate" per eventuali trapianti a bambini non vedenti. Il "caso" ha voluto che nei mesi successivi due adulti siano pervenuti al Pronto Soccorso del Gemelli per traumi corneali gravi con il rischio di perdere la capacità visiva. Sono stati trapiantati con le cornee di due bambini anencefalici e hanno recuperato la vista grazie a due bambini che qualcuno considera «vite inutili». Credo che la scienza debba sviluppare sempre più quella sapienza che viene dagli occhi del cuore, perché così scoprirà come sia possibile che le pietre scartate dai costruttori diventino pietre angolari.
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