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Il sesso nei film e nelle pubblicità rende. Ci sono purtroppo diversi inserzionisti che ragionano così.
Ora, si potrebbe risponder loro accusandoli di cinismo, perché mercificano il corpo umano (che non è uno strumento ma, insieme allo spirito, è una delle dimensioni della persona), perché cercano di vellicare le pulsioni dei fruitori e li vogliono rendere dei burattini mossi dagli istinti, perché profanano la donna, e talvolta anche l’uomo, rendendoli meri oggetti e strumenti per vendere. Come dice, invece (per esempio) Kant, l’essere umano non deve mai essere trattato come mezzo, bensì sempre come fine in se stesso. Non di rado, inoltre, questi inserzionisti vogliono adescare anche i bambini con questi metodi. Col risultato che, ormai, anche nei cartoni animati, a volte, ci sono scene o allusioni pornografiche.
Ma, poiché di fronte al cinismo gli argomenti etici non sono efficaci, dato che a questi inserzionisti interessa soltanto il profitto, è molto importante segnalare che la pornografia non fa vendere e, in certi casi, è addirittura un boomerang. Lo dice l’Economist (www.economist.com/science/displaystor y.cfm?story_id=8770276), che non è certo una testata cattolica, che riporta le ricerche condotte dal professor Adrian Furnham (della University College London), il quale ha proprio documentato che la pornografia non rende. Questi risultati emergono da un esperimento in cui 60 adulti sono stati suddivisi in quattro gruppi: al primo gruppo è stato fatto vedere un telefilm pieno di scene sensuali interrotto da pubblicità con scene sensuali; al secondo gruppo è stato fatto vedere un programma pieno di scene sensuali, ma interrotto da pubblicità non pornografiche; al terzo è stato fatto vedere un programma senza nudità, ma interrotto da pubblicità sensuali; al quarto un programma senza nudità e interrotto da pubblicità non sensuali. Le persone di questi gruppi sono poi state interrogate a proposito delle pubblicità che avevano visto. Ebbene, un primo risultato, che bisognerebbe far conoscere agli inserzionisti, è stato che la presenza di immagini sensuali nelle pubblicità non comporta una differenza nella capacità di ricordare un marchio o un prodotto.
Un secondo risultato, ancora più interessante, e che se fosse conosciuto potrebbe cambiare il volto della televisione, è stato che se una pubblicità interrompe un programma o un film che ha dei contenuti sensuali, lo spettatore ricorda meno il contenuto della pubblicità, rispetto a quanto riesce a ricordare se la pubblicità interrompe un programma non pornografico. Infatti, le immagini conturbanti provocano una forte eccitazione, perciò distraggono la mente dello spettatore, che nota ben poco la marca ed il prodotto che vengono illustrati. Tanto gli uomini, quanto le donne, fanno fatica a ricordare un prodotto che è stato propagandato durante un break che interrompe un programma con contenuti erotici.
Insomma, il sesso non fa vendere merci.
Fa solo mercimonio di se stesso.
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