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Emanate le nuove linee guida sulla fecondazione artificiale: via libera all’eugenetica e alle coppie non sterili.
E’ l’epilogo fallimentare della strategia “apologetica” della legge 40.
Alla fine Livia Turco, ministro della Salute dimissionario, è uscita di scena con un colpo ad effetto: ha promulgato le nuove linee guida sulla fecondazione artificiale. Un atto compiuto in gran segreto, poco prima delle elezioni, del quale solo oggi si è avuta notizia.
Un atto di evidente arroganza politica, di dubbia legittimità formale, e di aperta opposizione ad alcuni aspetti essenziali della legge 40.
Le “nuove” Linee Guida non hanno niente a che vedere con l’evoluzione tecnico-scientifica di cui parla l’articolo 7 della legge 40: Livia Turco ha piuttosto voluto eliminare i limiti all’accesso alle tecniche ed aprire la porta alla diagnosi genetica preimpianto e, quindi, alla selezione degli embrioni prodotti e al congelamento o alla soppressione di quelli scartati.
Il ministro ha recepito il parere del Consiglio Superiore di Sanità, accogliendo il concetto fittizio di sterilità “di fatto” della coppia, per cui anche l’uomo portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili per infezioni da HIV, HBV od HCV viene ammesso alle tecniche artificiali.
Si osserva che “l’elevato rischio di infezione per la madre o per il feto costituisce di fatto, in termini obbiettivi, una causa ostativa della procreazione, imponendo l’adozione di precauzioni che si traducono, necessariamente, in una condizione di infecondità, da farsi rientrare tra i casi di infertilità maschile severa e certificata da atto medico”: e così la sterilità di coppia, che era il presupposto fondamentale per l’accesso alle tecniche, viene vanificato e sostituito da una nozione “normativa”, slegata dalle condizioni reali.
In sostanza: il portatore di malattie sessualmente trasmissibili è fittiziamente considerato sterile, e gli si permette l’accesso alle tecniche di fecondazione in vitro.
Ma stabilire che si può considerare sterile una coppia che, in realtà, non lo è apre la strada a tutte le possibili eccezioni alla regola che in futuro si potranno presentare.
Ancora più grave è la modifica relativa alla possibilità di diagnosi genetica preimpianto: facendo leva sulla sentenza del TAR del Lazio che aveva annullato le precedenti Linee Guida - che statuivano che l’indagine sullo stato di salute degli embrioni in vitro avrebbe dovuto essere solo di tipo osservazionale - il Ministro elimina la previsione, lasciando solo il divieto di diagnosi preimpianto “a finalità eugenetica”: ma la diagnosi genetica preimpianto ha sempre finalità eugenetica perché è diretta a selezionare gli embrioni e a scartare quelli malati, evitandone deliberatamente l’impianto.
Il Ministro non solo rinuncia ad impugnare la sentenza del TAR, ma finge di non comprendere che il Tribunale aveva annullato la previsione perché riteneva dannoso per le esigenze di tutela e di sviluppo dell’embrione il permesso alla sola diagnosi osservazionale: quale beffa scoprire che un provvedimento che voleva tutelare gli embrioni servirà a sezionarli e a scartarli.
Ben altre erano le modifiche che erano necessarie alle Linee Guida del 2004: il Comitato Verità e Vita le aveva formalmente proposte al Ministro della Salute, che le ha ovviamente ignorate. Su tali proposte di modifica era scesa una cortina di silenzio anche da parte di chi avrebbe dovuto essere sensibile ai temi della tutela della vita umana fin dal suo concepimento, per considerazioni “tattiche” che oggi si sono dimostrate del tutto errate.
Il Comitato Verità e Vita non può che ribadire l’assoluta ingiustizia di tutta la regolamentazione della fecondazione in vitro, tecnica antiumana che, come risulta dalle stesse Relazioni del Ministro, produce la morte di oltre 70.000 embrioni ogni anno e che, inevitabilmente, anche in Italia, verrà utilizzata – come nel resto del mondo è sempre avvenuto – per selezionare gli embrioni, uccidendo o utilizzando per la ricerca quelli “imperfetti”.
L’unica legge giusta è quella che vieta in toto la fecondazione in vitro.
Di fronte al diktat della Turco – che stravolge e peggiora la pur ingiusta legge 40 - c’è di che riflettere per tutti coloro che in questi anni hanno identificato l’azione pro life con la “difesa” a spada tratta della legge 40 del 2004. Ci veniva detto che, per salvare la normativa in vigore, era necessario tacerne o addirittura ignorarne gli aspetti di oggettiva inaccettabilità. Oggi si consuma l’epilogo di quella strategia, dove al danno si aggiunge la beffa. Il danno: l’opinione pubblica crede che la legge 40 e la fivet omologa siano buone e giuste; e la beffa: i nemici della vita nascente sono riusciti ugualmente a peggiorare una legge che non era né giusta, né buona. Tanto valeva dire come veramente stavano le cose.
Tradire la verità non giova alla causa della vita. Mai. Speriamo che questa lezione serva ad abbandonare le ambigue sponde del compromesso, anche in materia di aborto e di legge 194.
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