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Ad esser problematico è già il titolo: Doing better for families, "Fare meglio per le famiglie". Così è stato chiamato il rapporto predisposto dall'Ocse, l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. La questione è di carattere semantico. C'è un plurale di troppo. Scrivere "famiglie" è diverso dallo scrivere "famiglia". Per due motivi. Il primo: perché di famiglia ce n'è una sola ed è quella fondata sul matrimonio tra uomo e donna, così da potersi aprire alla dimensione del generare, com'è sancito dal Diritto Naturale prima e dalla nostra Costituzione poi. Il secondo motivo: perché l'uso ambiguo del plurale lascia intravvedere, in realtà, una possibile coesistenza di più modelli di famiglia, che siano essi coppie di fatto, coppie gay o quant'altro. Il che, in tutti i casi, rappresenta un vero e proprio attentato all'istituto familiare propriamente detto.
Ora, forse prematuramente, "L'Osservatore Romano" dello scorso 15 giugno, a pag. 2, si è speso in termini entusiastici nei confronti di tale pubblicazione, definendola «un testo internazionale ufficiale, che offre un valido supporto a quanti ritengano che, finalmente, nel mondo occidentale e più avanzato stiano mutando gli orientamenti culturali di fondo, dopo alcuni decenni di soggettivismo e di radicalismo individuale».
Ci spiace guastar la festa, ma potrebbe non essere così. Ed è la stessa ricerca dell'Ocse a chiarirlo, specificando la propria linea di pensiero, molto pragmatica: «Le politiche familiari – si legge nel rapporto – non devono rispondere a interessi parziali o corporativi, né tanto meno a impostazioni ideologiche e/o confessionali, quanto piuttosto ad una visione basilare per una vera crescita sociale ed economica». Cosa si intenda con l'espressione «visione basilare» non è dato sapere. Due sono però le certezze fornite: che all'Ocse non interessa minimamente quel che dicano le religioni ed i partiti; che il criterio di partenza e quindi anche le definizioni delle priorità in termini di obiettivi da raggiungere son dettati dal denaro in primis, dalle analisi socio-demografiche poi.
Ci pare vi sia poco di che stare allegri... Concetto, questo, ribadito sin dalle prime battute della pubblicazione: «Le famiglie sono la pietra angolare della società e svolgono un ruolo importante nella vita economica e sociale. Esse sono un motore fondamentale di solidarietà (…) e formano il nucleo basilare di molte reti di rapporti sociali». Definizione adattabilissima a qualsiasi tipo di umana convivenza, purché garantisca "standard" minimi di efficienza in termini di benessere, materiale ed anche psicologico. Ma nulla più. Ne emerge una visione di famiglia in termini più di "agenzia sociale" che di "focolare domestico" quale ambito di educazione e formazione della Persona in tutti i suoi aspetti, non ultimo quello spirituale, non a caso invece non contemplato, anzi escluso a priori dal campo d'interesse.
"L'Osservatore Romano" parla di «libere assonanze con posizioni che la Dottrina Sociale della Chiesa ha da tempo messo in evidente luce». Ma non ci risulta che la Dottrina Sociale abbia espunto dal proprio orizzonte ogni impostazione "confessionale". Non a caso proprio il giornale della Santa Sede per tutto l'articolo dedicato al rapporto usa il termine "famiglia" al singolare. L'Ocse no. Perché?
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