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"Perché tutti quanti inciampiamo in molte cose: Se uno non inciampa con la parola, questi è un uomo perfetto, capace di tenere a freno tutto il corpo. Ecco: Noi mettiamo il morso in bocca ai cavalli per renderceli obbedienti, e possiamo condurre dove ci pare tutto il loro corpo" (Gc 3, 2-3).
Se si riflette, infatti, e se facciamo appello alla nostra medesima esperienza, la cosa più difficile a dominarsi è proprio la lingua.
Nelle discussioni o nelle contese noi sentiamo un impeto irresistibile a rispondere, a ribattere appena ci sorge nell’anima un pensiero; impeto tanto irresistibile, che noi ci sentiamo intimamente contenti e soddisfatti di aver parlato, di aver risposto, di aver rimbeccato, e tanto soddisfatti da sentire il bisogno di dirlo agli altri, esclamando anche al primo che capita: "Ben fatto, gliel’ho detto; io... crepavo se non glielo dicevo; io sono Franco, non ho peli sulla lingua, e quello che sento dentro debbo metterlo fuori" e simili vivaci e taglienti espressioni che manifestano di quale forza è l’impeto della lingua, e come il saperlo frenare è segno di perfezione interiore e di completo dominio delle nostre passioni.
Tutte le passioni, infatti, trovano nella parola la loro espressione e il loro incentivo.
La superbia e la vanagloria suggeriscono alla parola la propria lode; l’invidia spinge alla maldicenza e alla calunnia; l’avidità del guadagno spinge alla menzogna e alla frode; l’ira all’ingiuria e alla bestemmia; l’ozio al pettegolezzo, alla chiacchiera frivola, ai giudizi avventati e infine la lussuria vi trova la causa del suo risveglio e il suo sfogo scandaloso con i discorsi impuri, le parole a doppio senso o la rievocazione di peccati commessi o di avventure "galanti".
Perciò il Siracide si domanda: "Chi non inciampa nel conversare?" (Sir 19,16). E Gesù Cristo dice: "Dall’abbondanza del cuore parla la lingua" (Mt 12,34). E ancora, considerando la lingua come espressione dei peccati dei quali si deve rendere conto a Dio nel giudizio, proclama solennemente: "In verità vi dico che di ogni parola oziosa che l’uomo avrà proferita, renderà conto nel giorno del giudizio" (Mt 12,36). E ancora: "Ciò che esce dalla bocca renderà impuro l’uomo" (Mt 15,11).
San Giacomo per mostrare come è necessario dominare la lingua, perché per essa l’uomo esprime e fomenta le passioni, porta alcuni paragoni che fanno capire, come la lingua, per piccola che sia come muscolo, può determinare o esprimere l’indirizzo della vita, e dice: "Noi mettiamo il morso in bocca ai cavalli per renderceli obbedienti, e possiamo condurre dove ci pare tutto il loro corpo" (provvidenzialmente la dentatura del cavallo è adatta a portare il morso: essa, infatti, contiene sei incisivi nella parte superiori che sono adattissimi a strappare le erbe; i canini sono piccolissimi o addirittura mancano, e di conseguenza lasciano una zona semivuota o vuota tra gli incisivi e i molari, dove si adatta e può stare il morso; i molari sono larghi e grossi con ripiegature nello smalto, e perciò adatti a triturare l’erba; sono dodici sopra e sotto; il morso, tirato in un senso o in un altro, costringe il cavallo per il dolore o per il fastidio che gli procura lo strappo, a voltarsi secondo la direzione voluta da chi lo guida).
Così la lingua, adoperata per il male o per il bene, orienta l'uomo al male o al bene, come il morso orienta il cavallo con tutto il suo corpo, dove vuole il padrone.
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