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La notizia ha del clamoroso: dopo 8 anni di inossidabile apologia "senza se e senza ma" della legge 40, e di totale silenzio sulle vittime innocenti della fivet omologa (quella, appunto, permessa dal legislatore italiano), il quotidiano della Cei ora si scaglia contro la fecondazione artificiale nel suo complesso. Lo fa con un articolo vergato da una delle sue firme più autorevoli in bioetica, Assuntina Morresi, professore associato di Chimica Fisica. Il titolo dell'articolo ripete uno slogan abituale della pubblicistica cattolica ufficiale: "Provetta, Far West globale". Il sottotitolo tradisce il solito linguaggio politicamente corretto: "Nei laboratori 'perse' decine di milioni di embrioni". Come se gli embrioni fossero dei portafogli che, distrattamente, si possono smarrire per strada. Dire "embrioni morti" sarebbe stato troppo duro. E troppo vero.
Ma nonostante questi "incidenti" semantici, questa volta nell'articolo si dice ciò che per anni è stato taciuto: e cioè che su 10 embrioni prodotti, 1 soltanto arriva alla nascita. Un'autentica ecatombe che non ha come spiegazione solo le "uccisioni" deliberate: la distruzione intenzionale di embrioni, la selezione genetica degli stessi, la crioconservazione. Assuntina Morresi lo dice chiaramente: "La proporzione in Italia è di 1 nato ogni 10 embrioni prodotti (…) certamente anche nella procreazione naturale esiste un'elevata perdita di embrioni. Ma nella fecondazione naturale si tratta di perdite inevitabili e indipendenti dalla nostra volontà, mentre in questo caso sono gli operatori a scartare gli embrioni, e poi anche a manipolarli, a congelarli e poi a scongelarli, insomma a trattarli come materiale da bancone di laboratorio".
Certo, in queste parole manca ancora l'esplicito riconoscimento – contenuto in Dignitas Personae – che tutti gli embrioni morti a seguito della fivet – e non solo quelli deliberatamente scartati - sono il frutto di una responsabilità colpevole e occisiva. Ma è anche vero che per la prima volta si mette nero su bianco su quel giornale che la fivet in quanto tale, omologa o eterologa, produce montagne di morti innocenti.
Ed è come se fosse caduto un argine, come se fosse stata liberata una verità scomoda: con la provetta si usano gli esseri umani come mezzi, sapendo scientemente e deliberatamente che la maggior parte di loro morrà e dovrà morire per ottenere, forse, l'agognato bambino in braccio.
Questa verità è stata imprigionata da Avvenire e dagli ambienti pro-life appiattiti sulla linea di quel giornale; per 8 anni queste realtà cattoliche hanno impegnato tutte le loro migliori energie nel demonizzare la Fivet eteorloga, la produzione di più di embrioni, il loro congelamento, la loro selezione. Evitando accuratamente di spendere anche solo mezza parola sul fatto che i 9 embrioni su 10 immolati sull'altare del capriccio procreativo sono una conseguenza di ogni fivet, anche omologa, anche con tre embrioni prodotti e impiantati, anche senza crioconservazione. Insomma, la Fivet secondo il "rito" della "buona legge 40".
Al Comitato Verità e Vita – associazione pro-life nata nel 2004 - i redattori di quel giornale dicevano e scrivevano: "Voi dite la verità sulla Fivet, ma siete fuori dalla linea ufficiale, quindi per noi voi non esistete".
Ma c'è di più: lo stesso articolo della Morresi riferisce che al congresso internazionale svoltosi a Istanbul, si è sostenuto che la Fivet diventerà più efficace se si ricorrerà all'eterologa e se si congeleranno tutti gli embrioni prodotti. E con queste indicazioni utilitaristiche, la speranza di tenere in piedi i famosi "paletti" della legge 40 diventa una illusione, anche poco pia. Emerge in tutto il suo orrore la "filosofia" che sta dietro a ogni fecondazione artificiale, omologa o eterologa: e cioè, che pur di avere un figlio in braccio, si sacrificano tutti gli embrioni necessari, e che nessun operatore in un centro di fecondazione artificiale ha il cuore che palpita per il destino di ognuno di quei piccoli esseri umani non nati.
Che cosa però manca ancora ad Avvenire per dire la verità, tutta la verità sulla Fivet? La riscoperta della categoria delle "Leggi ingiuste", della quale non si trova ormai più alcuna traccia in quel giornale. Infatti, quando viene approvata una legge contraria al diritto naturale, che cosa scrive il quotidiano della Cei?
Ha coniato appositamente un nuovo concetto, diremmo un esemplare della neo lingua di cui racconta George Orwell in 1984: stiamo parlando del termine "strappo". I legislatori non fanno più "leggi ingiuste", ma "strappano". Esemplare il titolo con cui Avvenire racconta l'approvazione in Croazia di una legge ultra permissiva sulla Fivet: "Fecondazione, la Croazia strappa". Ora, qual è il tessuto che viene lacerato? Lo si desume dal sottotitolo: "La nuova legge apre all'eterologa, niente limiti sugli embrioni". Ergo, che cosa sarebbe sufficiente per "non strappare"? Fare una legge che permette l'omologa e limita il numero di embrioni da produrre. Cioè una "buona legge", come la 40.
E tutto questo nonostante lo stesso articolista Lorenzo Schoepflin riesca a scrivere, sfuggendo miracolosamente alla censura dei redattori di piazza Carbonari, che "una tecnica come la Fivet implica un altissimo numero di embrioni sacrificati".
Insomma: in materia di fecondazione in provetta c'è qualcosa di nuovo nel quotidiano della Conferenza Episcopale, anzi d'antico: la morbosa difesa di una legge come la 40/2004, che doveva tutelare il diritto alla vita degli embrioni, e che permette ne muoiano 9 su 10.
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