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«In base a questi documenti possiamo affermare che, in seguito alla scelta di coscienza dei deputati della Convenzione, il genocidio dei vandeani inizia con il voto del 1° agosto 1793 e viene confermato da una seconda legge il 1 ottobre dello stesso anno. Dunque fu concepito, organizzato, pianificato e messo in atto sul campo dal Comitato di salute pubblica». Ovvero, tra gli altri, da Robespierre in persona. Un'inedita documentazione getta nuova luce sulla cosiddetta guerra di Vandea, la repressione da parte delle forze militari della Rivoluzione francese contro gli insorti della regione occidentale dell'Esagono, accomunati dal cattolicesimo e dall'ispirazione monarchica. Lo storico Reynald Secher, autore già negli anni Ottanta di studi 'rivoluzionari' (in senso storiografico) sulla Vandea, ha rinvenuto negli Archives nationales di Parigi diverse testimonianze scritte, talune firmate dai capi della Rivoluzione, dai quali emerge un dato inconfutabile: la morte in massa di 117 mila vandeani non è riconducibile a strategie belliche o a repressioni militari durante una guerra civile, ma a una precisa scelta genocidaria. Tale decisione politica comprendeva finanche, come sua caratteristica consapevole, l'uccisione di donne (anche in stato di gravidanza avanzata), bambini, anziani e religiosi cattolici. Il frutto di queste scoperte storiografiche è condensato nel lavoro di Secher, pubblicato di recente in Francia col titolo Vandée. Du génocide au mémoricide. Mécanique d'un crime légal contro l'humanité (Cerf, pp. 438, euro 24). Sono molteplici gli esempi di tale strategia che Secher documenta. Uno è il dispaccio del Comitato di salute pubblica datato 10 novembre 1793, in realtà «20° giorno del secondo mese del secondo anno» in base alla nuova scansione cronologica repubblicana: «Laplanche, rappresentante del dipartimento del Calvados, annuncia che prende misure terribili per sterminare i briganti di cui ignora il numero visto i differenti rapporti che gli sono stati fatti; il numero di questi viene riferito in 80 mila da diversi emissari che hanno verosimilmente compreso nel novero dei combattenti donne, vecchi, bambini che seguono questa orda». Come a dire che per i rivoluzionari non esisteva nessuna distinzione tra civili e combattenti vandeani, tutti racchiusi nella spregevole e bellica categoria di «briganti». Ancora.
Una comunicazione scritta del Comitato (11 novembre 1793): «Il Comitato ha stabilito un piano per il quale i briganti devono sparire in poco tempo non solo dalla Vandea ma da tutta la superficie della Repubblica.
Rinunciate e abbandonate ogni movimento parziale.
Stringete i ranghi, assembrate le masse». Altra conferma arriva il 26 dicembre 1793 da uno scritto 'a posteriori', ovvero in seguito ad azioni belliche, del generale Westermann, in azione per conto della Rivoluzione sulla sponda destra della Loira: «Non esiste più una Vandea, cittadini repubblicani, essa morta sotto il nostro albero della libertà con le sue donne e i suoi bambini. Io sto per seppellirla nei boschi di Savenay». Una delle pratiche più utilizzate dalla forze 'ufficiali' per lo sterminio vandeano erano gli annegamenti, possibilmente di più persone insieme. Nella repressione repubblicana su larga scala Secher rintraccia una terribile affinità con le pratiche genocidarie dei totalitarismi del '900: «I membri del Comitato di salute pubblica, di fronte all'immensità dell'opera da realizzare e al tempo necessario per portarla termine, cercano soluzioni economiche 'sostenibili': visto che i modi considerati moderni hanno fallito, mettono in atto un'economia di sterminio di lunga durata. A Nantes, per esempio, il più grande campo di sterminio, visto che un battello sulla Loira, affondato, era irrecuperabile, si è deciso di riadattarlo come spazio per l'asfissia. L'idea è semplice e veloce: si fa salire il 'carico umano', si chiudono le aperture, e ci si 'dimentica' dell'operazione». La crudeltà dei rivoluzionari trova riscontro anche nelle testimonianze di quanti, soldati repubblicani, vennero in seguito messi sotto processo per le loro azioni: Pierre Chaux, 35 anni, mercante di Nantes, rende questa sua testimonianza nel processo che lo vede alla sbarra: «Accuso il comitato rivoluzionario di aver fatto annegare cinquecento bambini, i più grandi avevano forse 14 anni. Ho constatato le gravidanze di trenta donne, diverse di loro erano al 7° o 8° mese. Qualche giorno dopo queste donne erano state fatte annegare». Accanto al genocidio spicca la volontà di un memoricidio, cioè la volontà di fare in modo che ogni traccia di tale sanguinaria violenza venisse cancellata. I deputati della Convenzione, scrive Secher, «hanno messo in atto una politica sistematica di distruzione di tutti i documenti riguardanti il piano di sterminio. Sono partiti dal principio del deputato Fayot per il quale 'i vandeani non hanno il tempo di scrivere diari e così tutto questo verrà dimenticato nel tempo'». Ma non tutto è stato cancellato. È il caso degli atti del processo contro il deputato Carrier, cui viene imputata 'clemenza' nei confronti dei vandeani. È lui ad ammettere candidamente quando viene convocato dalla Convenzione l'8 febbraio 1794 (e gli atti del processo sono la controprova della strategia di genocidio) di aver ricevuto «l'ordine di sterminare la popolazione in maniera da ripopolare il paese il più in fretta possibile con cittadini repubblicani». Secher sancisce: in quel caso «per la prima volta, in maniera pubblica, il principio stesso del Terrore e delle atrocità commesse in Vandea viene denunciato e i membri del comitato rivoluzionario di Nantes sono messi sotto accusa».
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