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Il fantasma agitato da Marx prese corpo in Russia novant’anni fa. Con la Rivoluzione d’ottobre (secondo il calendario tradizionale russo, novembre per il calendario corrente) il comunismo si materializzò ad opera dei bolscevichi di Lenin. Per settant’anni e passa il popolo russo sarebbe stato prigioniero di un incubo. E presto la rivoluzione avrebbe contagiato altri Paesi.
Stéphane Courtois, docente a Parigi Nanterre e specialista della storia del comunismo, rilegge un evento destinato a cambiare i destini del mondo.
Professore, il colpo di Stato di Lenin era inevitabile?
«Nient’affatto. Da vero genio rivoluzionario, egli riuscì a sfruttare una situazione incontrollabile.
Con incredibile demagogia promise tutto a tutti: la pace, la terra, le fabbriche agli operai... Una volta al potere, nel marzo 1918, firmò una pace con la Germania che faceva perdere alla Russia il cuore della sua potenza. Preparò militarmente la presa del potere. Però nel luglio 1917 Lenin poteva essere fermato dal governo provvisorio.
Ma gli altri rivoluzionari, Kerenskij e i menscevichi, non credevano in un colpo di Stato e pensavano che l’Assemblea costituente avrebbe risolto i problemi.
Lenin li colse di sorpresa. E il 18 gennaio 1918 disperse,
manu militari, la prima e ultima assemblea eletta democraticamente in Russia fino al 1991».
Si può considerare la Rivoluzione russa la matrice dei crimini commessi nel nome del comunismo?
«È incontestabile, soprattutto da quando si dispone degli archivi segreti di Lenin.
Nel quadro di una guerra civile voluta e organizzata da Lenin, i bolscevichi hanno istituzionalizzato i crimini di massa contro i civili e i relativi strumenti: la Ceka, modello di tutte le polizie politiche comuniste, e l’Armata rossa. Il modello di terrore messo in piedi in Russia tra il 1917 e il 1922 è stato poi applicato da tutti i partiti comunisti al potere, ma anche da numerosi gruppi comunisti armati, guerriglieri, eccetera ».
Qualcuno sostiene che sia necessario distinguere il comunismo di Lenin da quello di Stalin…
«I nuovi archivi provano che c’è stata totale continuità tra Lenin e Stalin. È stato Lenin a nominare Stalin segretario generale del Partito bolscevico nel 1922 e l’ha anche citato nel suo testamento. Quando Lenin si è gravemente ammalato, alla fine del 1922, Stalin era il solo membro del Comitato centrale autorizzato a vederlo. A partire dal 1928, Stalin ha rilanciato la rivoluzione: piano quinquennale, collettivizzazione forzata dell’a- gricoltura, estensione dei Gulag, come aveva fatto Lenin tra 1917 e 1922. L’idea di una rottura tra Lenin e Stalin è un’invenzione di Trotzkij nella sua battaglia contro Stalin, e poi è stata ripresa da Kruscev per sdoganare il regime dai crimini del periodo staliniano e tentare così di ridargli una legittimità rivoluzionaria attraverso la figura di Lenin».
Esattamente 10 anni fa usciva il suo «Libro nero del comunismo», che ha avuto successo planetario. È vero che lei in passato ha militato tra gli anarco-maoisti?
«Il Libro nero del comunismo, che ha avuto 33 traduzioni ed è stato pubblicato in più di un milione di copie nel mondo, ha avuto successo perché dice ad alta voce ciò che molti pensavano. Sì, sono stato membro attivo di un gruppo anarco-maoista chiamato 'Viva la rivoluzione', tra il 1969 e il 1971, data in cui abbiamo deciso di scioglierci».
Alcuni co-autori del «Libro nero» hanno contestato il numero delle vittime del comunismo e il paragone col nazismo.
«Solo due autori su 11 hanno protestato contro una parte della mia introduzione. E dieci anni dopo si sono ritrovati sulle mie posizioni, come dimostrano i loro articoli nel numero di ottobre della rivista
L’Histoire. Con l’apertura degli archivi, la cifra che avevo indicato di circa 100 milioni di morti si conferma, in particolare per la Cina con 70 milioni e l’Urss con 20 milioni.
Quanto alla comparazione tra nazismo e comunismo, essa tiene conto delle strutture di potere che si rivelano identiche nel totalitarismo tipico del XX secolo».
I critici del «Libro nero» considerano vago il termine «comunismo» per riferirsi a una grande varietà di sistemi: stalinismo, maoi- smo, khmer rossi…
«Il fatto che ci siano state diverse applicazioni del comunismo leninista non cambia affatto la forte identità comune: l’ideologia e la dottrina marxista, il modello di organizzazione bolscevico definito da Lenin sin dal 1902 nella sua opera Che fare? e il sostegno incondizionato all’Urss o alla Cina della maggior parte dei partiti comunisti e dei gruppi maoisti».
Comune a tutti i sistemi comunisti è la repressione dei credenti.
«I regimi comunisti, atei e materialisti, hanno sempre combattuto le religioni. Ha cominciato Lenin in persona nel 1922, quando ha preteso la liquidazione della Chiesa ortodossa in Russia. In pochi mesi migliaia di preti, vescovi, monaci, religiosi sono stati assassinati.
Il lavoro è stato completato da Stalin a partire dal 1929-1930. Le stesse persecuzioni ci sono state in Cina, Vietnam, Cambogia e anche nelle democrazie popolari».
Lei ha appena pubblicato per Larousse un «Dizionario del comunismo». Di che si tratta?
«È un dizionario storico realizzato da una ventina di ricercatori. Un’opera soprattutto per le giovani generazioni. C’è ancora un gigantesco lavoro d’informazione da fare sul comunismo. E le ricerche negli archivi non sono che agli inizi, tanto più che molti sono chiusi: quelli del Kgb, dell’Armata rossa, eccetera. Per questo sto organizzando una conferenza a Parigi, il 17 novembre, sul terrore comunista in Romania».
Perché il comunismo ha fallito?
«Perché poggiava su una dottrina disumana che pensava di cambiare radicalmente non solo la società, ma la natura dell’uomo».
«Gli archivi segreti di Lenin lo confermano: sono nati in quegli anni i modelli per i successivi crimini di massa dello stalinismo»
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