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BARBIE, UN FILM FEMMINISTA MA CHE DIMOSTRA ANCHE IL FALLIMENTO DEL FEMMINISMO
Un film contraddittorio, che propaganda comunque l'idea (sganciata dalla realtà) che le donne siano svantaggiate in questa società e che meritano di meglio
di Federica Di Vito

Molti sono andati al cinema a vedersi Barbie. Superati i 21 milioni di euro di incasso in Italia e più di 775 milioni di dollari a livello globale, sembra essere il miglior incasso italiano del 2023, secondo per ora solo ad Avatar (Fonte Cinetel). E se qualcuno potrebbe pensare che si tratti di un semplice film è perché non ne ha colto la portata, a detta dei media mainstream. Se poi a capire che la fashion doll più famosa abbia segnato un'epoca possiamo arrivarci più o meno tutti, risulta invece difficile comprendere come una bionda perfettamente in linea con i canoni di bellezza che le nuove femministe vorrebbero vedere annientati possa elevarsi a paladina del pink power. Di pink in effetti ce n'è parecchio, ma qual è questo "power" che affascina le ragazze?
La visione di Barbie sembra un'esperienza che lascia il segno, ci sarebbe un "prima" e un "dopo" a tal punto da spingere tante coppie a lasciarsi. Sarebbe nato così un vero e proprio fenomeno, l'hanno chiamato Barbie break up. «Grazie, Barbie, per avermi dato potere», scrive una ragazza su Twitter, «per avermi dato la fiducia necessaria, per avermi fatto capire che merito di meglio». E poi ancora, Theresa Arzate, ventisettenne di Dallas, ha raccontato su Twitter che sarebbe stata la reazione del suo ex fidanzato dopo la visione del film ad averla spinta a rompere con lui. I ragazzi mollati sembrano essere colpevoli di non empatizzare per esempio con la critica cinematografica Zoë Rose Bryant che si rilegge il monologo di Barbie «tutte le sere come se fosse la mia Bibbia». Intanto su TikTok qualcuno suggerisce di mettere alla prova il partner dopo i primi appuntamenti proprio con la visione del film. Il prototipo di "ragazzo perfetto" dovrebbe sentirsi a suo agio vestito di rosa a ridere degli stereotipi senza sminuire le sensazioni di disagio che la donna prova nella società odierna. E poi ci sono tutti gli altri, quelli che una ricerca del King's College di Londra ha rivelato avere affermato che il femminismo faccia più male che bene, e cioè un terzo degli intervistati. Se il ragazzo in questione non fa mea culpa sugli errori di Ken, allora meglio sbarazzarsene.
Eccolo il potere che Barbie sembra conferire alle ragazze. Di scoprire se stesse, i propri bisogni e ciò che si meritano. Finalmente. «Greta Gerwig sta cercando di salvarci tutte, attraverso Barbie!», sostiene la Tiktoker Megan Gotham, e anche l'Huffpost riporta il pensiero di un'utente dell'app dating Hinge: «Penso che se un ragazzo ha una forte reazione negativa solo all'idea di vedere il film allora questa è un segnale d'allarme». Analizzare il fenomeno non è complicato, basti guardare quanta fiducia venga affidata oggi ai social. È frustrante però pensare alle tante ragazze che affidano a un singolo film la capacità di discernere se la persona che si frequenta sia quella giusta o meno. E che solo lasciando il proprio ragazzo pensano di combattere l'ingiustizia sociale che sentono. Tanto più se poi allo stesso tempo si guarda il mezzo milione di giovani della Gmg che tremanti e felici hanno affidato la loro vocazione all'unica Fonte che può saziare qualsiasi fame di fiducia, potere, affermazione, empowerment o dir si voglia. In fin dei conti, di amore.
Allora Barbie potrà anche illuderti che «puoi essere tutto ciò che desideri», ma il segnale vero che l'uomo che hai accanto è il meglio per te - si tappino le orecchie le femministe - lo vedrai quando ti dirà la verità. Ovvero che no, non puoi essere tutto. Puoi scegliere in virtù del tuo essere donna e saranno quelle scelte definitive a dare ordine a tutti i tuoi desideri. Sarà la risposta a una vocazione a darti la possibilità di brillare, unica e irripetibile, come Dio ti ha pensata. Altrimenti puoi accontentarti dei tanti Ken prodotti in serie e del pink power che dura quanto una passata di lipgloss.

Nota di BastaBugie: Stefano Magni nell'articolo seguente dal titolo "Barbie, il fallimento dell'ideologia femminista" sostiene che Barbie non è un film femminista, ma una divertente disamina del femminismo passato e presente. E sul suo fallimento. Lo rilanciamo per avere una panoramica completa delle reazioni al film (suggeriamo inoltre la rilettura di un nostro precedente articolo sul film, clicca qui!).
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 19 agosto 2023:

Passata la bufera mediatica e la mania promozionale del "tutti in rosa", anche la Nuova Bussola Quotidiana si è avvicinata, con estrema cautela e riluttanza, al successo dell'estate: Barbie. Le premesse non fanno ben sperare. Sarà il solito polpettone femminista e woke? La regista, d'altra parte, è Greta Gerwig, la stessa che sta dirigendo un remake di Biancaneve senza nani e soprattutto senza principe. Invece Barbie è, almeno nel finale, una piacevole sorpresa, una pellicola divertente, autoironica, con due grandi interpreti (Margot Robbie e Ryan Gosling, rispettivamente Barbie e Ken) che danno profondità e umanità a personaggi di plastica.
Il film inizia come un qualunque pamphlet femminista. In una riedizione fedele delle scene iniziali di 2001 Odissea nello Spazio di Kubrick, le bambine del passato incontrano il loro monolite, una gigantesca Barbie e spaccano le loro bambole sulle pietre, un gesto di ribellione violenta contro il loro ruolo di madri. La Barbie rappresenta, così, l'utopia femminista. Vive in una terra di sogno, Barbieland, dove le bambole-donne possono diventare quel che vogliono, si premiano, si elogiano, lavorano nei cantieri e vanno nello spazio, sono felici e benvolute anche se sovrappeso, ballano anche se sulla sedia a rotelle, sono da Nobel e hanno una presidente nera. Ma se una resta incinta viene ritirata dal mercato, nascosta. I maschi ci sono, i Ken, ma sono solo accessori. Il Ken esiste nell'attesa di uno sguardo, di un'attenzione della Barbie, altrimenti non è. Sogno o incubo? La Barbie-stereotipo (la prima, bionda, che conosciamo tutti) a un certo punto inizia a pensare alla morte. È un problema. Per risolverlo deve entrare nel mondo reale, per mettersi in contatto con la sua bambina proprietaria e capire cosa la turbi. La segue Ken.
Nel mondo reale, Barbie rischia di finire come Pinocchio. Scoprirà che i maschi sono ancora al comando, persino nella Mattel che l'ha creata. Ken, al contrario, inizia ad esaltarsi, se non altro perché viene rispettato come persona e non solo come accessorio. Barbie incontra la "sua" bambina che non è più cresciuta nell'epoca del femminismo utopistico, ma di quello moderno, fatto di odio e lotta di genere. Ed è un cozzo frontale, la bambola viene insultata e cacciata perché "fascista". I signori della Mattel, intanto, le danno la caccia perché nessuna Barbie viva deve entrare nel mondo reale. La povera bella bambola si salva solo perché incontra la vera proprietaria: la mamma della bambina, una donna matura che incarna il femminismo fallito e disilluso. Sogna ancora un mondo dove le donne comandano e decide di seguire la "sua" bambola a Barbieland. Nel frattempo, però, Ken ha preso il potere e l'ha trasformata nel patriarcato Kendom, tutto cavalli, muscoli, cappelli da cowboy e birra, la caricatura del machismo del West.
In un crescendo di delirio pop e di umorismo surreale, come era prevedibile le Barbie riprendono il potere, anche con la benedizione della Mattel (che non vuole un prodotto per maschi: al suo vertice sono maschi "femministi" per marketing). E se il film finisse qui, potrebbe essere archiviato come divertente ma inutile. Invece no, perché il finale gli dà un colpo di reni che fa salire di livello. In un commovente dialogo fra Barbie e la sua creatrice, il fantasma di Ruth Handler, la bambola decide infine di diventare umana, accettando la realtà: prima o poi invecchierà e morirà. Diventa comunque umana perché vuole cessare di essere un'idea per diventare parte della creazione e creatrice a sua volta. E la regista la mostra, in versione umana, dalla ginecologa: si presenta con un cognome e un nome e aspetta un figlio. La rottura iniziale della donna con il ruolo di madre è infine sanata in un atto di maturità. E l'uomo? Ken matura nel momento in cui si accetta come persona e non solo come accessorio di una Barbie. La Gerwig ci ha così offerto, forse senza volerlo, una via d'uscita intelligente dal tunnel della lotta di genere.
La pellicola è stata vietata in gran parte del mondo musulmano, perché, ad esempio, "va contro i valori della fede e della morale" (Libano), "promuove omosessualità e transessualità" (Algeria), diffonde "idee e convinzioni che sono estranee alla società e all'ordine pubblico kuwaitiani" (Kuwait). Accuse abbastanza strane, a dire il vero, considerando che nel film non compaiono neppure personaggi omosessuali, non ci sono scene di nudo e neppure di sesso. Si tratta di una produzione quasi pudica, rispetto agli standard attuali. Nel mondo islamico, tuttavia, è mal digerito un film diretto da una regista americana, su una bambola creata da un'imprenditrice ebrea e diventata simbolo dell'American Way of Life. E soprattutto non è concepibile una storia di donne e di uomini in cui non compare mai la famiglia. Anche quando Barbie è incinta, lo spettatore non sa di chi, come fosse un dettaglio "ininfluente". Su questo Greta Gerwig è ancora femminista nel senso classico del termine. Anche se ha girato un film sul femminismo con un occhio disilluso e ironico. Ha mostrato il fallimento dell'ideologia e suggerito alle donne (e agli uomini) di riappropriarsi della loro identità naturale. In un'epoca di rivoluzione woke, la naturalità è già un atto di coraggio.

VIDEO IRONICO: BARBIE E KEN ... ma Ken Shiro


https://www.youtube.com/watch?v=juwSvq8gI-U

 
Titolo originale: Ci voleva Barbie per scoprire di meritare di meglio
Fonte: Sito del Timone, 7 agosto 2023