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« Torna agli articoli di Giuliano Guzzo

Prima di iniziare il suo tour europeo - che, come noto, ha visto tappe anche in Italia - di presentazione del suo ultimo libro, La resistenza dei cristiani (Giubilei Regnani, 2021), lo scrittore americano Rod Dreher si trovava in Ungheria. Questo soggiorno ha attirato la curiosità del The New Yorker, che gli ha chiesto conto della visita al Paese di Viktor Orbán. Che, manco a dirlo, l'autore del bestseller L'Opzione Benedetto ha descritto in toni molto meno cupi, anzi, rispetto a quelli soliti dei mass media. Aveva sentito l'Ungheria descritta come uno stato autoritario, sottolinea The New Yorker, ma a Budapest ha trovato tutti liberi di dire ciò che pensavano.
L'attenzione riservata al suo soggiorno ungherese ha dato modo a Dreher, su quell'American Conservative di cui è una colonna, di illustrare - riportando una lunga mail inviata proprio al New Yorker, ad integrazione dell'intervista fattagli - aspetti significativi del suo pensiero. Non solo, va da sé, riguardo all'Ungheria su cui pure rivela aspetti di rilievo («l'attuale partito razzista in Ungheria, Jobbik, è alleato con la sinistra anti- Orbán, ma i media occidentali non ne danno conto»), ma pure su questioni politiche e, più precisamente, su quale sia la forma di governo ideale. Ecco, rispetto a questo, come suo solito, Dreher sviluppa un ragionamento interessante e per nulla male.
Infatti, non si limita a dire quale sarebbe, appunto, la forma di governo ideale - che pure indica senza troppi giri di parole («preferirei una democrazia liberale basata generalmente su principi cristiani») -, ma va oltre, indicando che per la libertà dei cristiani e non solo, al momento, esiste una duplice minaccia.
Prima di vedere si tratta, è bene evidenziare come l'autore de La resistenza dei cristiani non si limiti ad agitare lo spettro della minacciata libertà di pensiero. Indica anche perché c'è questo pericolo. «Il liberalismo, al di fuori dei confini fissati dalla tradizione giudaico-cristiana», scrive infatti Dreher, «degenera in illiberalismo, un illiberalismo che rende le persone come me nemici del popolo, per usare la vecchia frase comunista». Il richiamo al comunismo non è evidentemente causale dato che, ne La resistenza dei cristiani, proprio i dissidenti cristiani della tirannia sovietica sono indicati come coloro da prendere a modello per sopravvivere nel contesto attuale, che Dreher chiama «la democrazia illiberale laica che sta nascendo».
Si tratta di una forma di governo, per tornare a noi, che vede due problemi per i cristiani. Che lasciamo svelare a Dreher quando, lanciandosi in una previsione, scrive: «Sembriamo tutti essere proiettati verso un futuro che non è liberale e democratico, ma sarà o illiberalismo di sinistra o illiberalismo di destra». Sono parole di peso anche perché, giova ricordarlo, son quelle di un autore conservatore. Che quindi saremmo istintivamente portati ad immaginare vicino alla destra, area politica che tuttavia - e qui l'onestà intellettuale di Dreher è notevole - in quanto tale non offre garanzia alcuna.
Quindi? Posto che sfortunatamente «una democrazia liberale basata generalmente su principi cristiani» non si intravede all'orizzonte, che fare? Il bestellerista americano è consapevole di questa domanda, meglio di questo dilemma. Al quale dà una risposta molto brillante: «So da che parte stare: dalla parte che non perseguiterà me e la mia gente». Come dire: il migliore dei governi possibili non è, ahinoi, a portata di mano. Ma, piccola consolazione, almeno abbiamo una bussola per evitarci il peggiore.
Ultima curiosità. Dreher conclude la mail al New Yorker dando un'applicazione pratica del principio appena enunciato. Eccola: «A pensarci bene, due eminenti ungheresi - George Soros e Viktor Orbán - offrono visioni contrastanti, oggi, di cosa significhi essere occidentali nel 21° secolo. Uno di loro deve prevalere. Bisogna quindi scegliere. Orban non è un santo, ma so da che parte sto. So da che parte devo stare». Una chiusura, ancora una volta, brillante. E convincente.
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