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« Torna agli articoli di Massimo Introvigne

L’attentato di Mosca ricorda a un’opinione pubblica che lo aveva dimenticato che il problema della Cecenia non è stato “risolto”. La Russia controlla militarmente il territorio, ma in assenza di soluzioni politiche il fuoco cova sotto le ceneri alimentato da Al Qaida che, a sua volta, non ha affatto cessato di operare nel Caucaso. La strage della metropolitana ripropone anche la domanda generale sul terrorismo suicida: come è possibile che qualcuno davvero – secondo lo slogan di Osama bin Laden – «ami la morte come voi Occidentali amate la vita»? Si dice che questo terrorismo nasce dalla miseria economica: ma non è vero. Per quanto riguarda Hamas, la maggioranza dei terroristi coinvolti negli attentati suicidi appartiene alla buona borghesia dei Territori, e alcuni fanno parte della élite economica locale. Lo stesso discorso vale per Al Qaida e per l’11 settembre, i cui principali protagonisti avevano ricevuto un’educazione universitaria. Alcuni avevano perfino studiato in Occidente.
Per la Cecenia – dove la maggior parte degli attentati suicidi, compresi quelli di ieri a Mosca, è compiuta da donne –, una certa propaganda russa diffonde lo stereotipo di contadine manipolate, drogate o perfino violentate di fronte a una macchina da presa per eliminarle dal mercato matrimoniale di una società patriarcale e lasciare loro la sola alternativa del suicidio terroristico. Questa «spiegazione» appare lontana da tutto quanto si sa del terrorismo suicida in genere, e non corrisponde alle poche biografie di «martiri» cecene note. Lo stereotipo della contadina manipolata non è certamente applicabile a Zarina Alikhanova (1976-2003), il modello e il mito cui le terroriste di oggi s’ispirano e la protagonista dell’attentato del 12 maggio 2003 a Znamenskoye, uno dei più sanguinosi (sessanta morti). Nata in Kazakhistan da padre ceceno, funzionario del ministero degli Interni, e madre dell’Inguscezia, proprietaria di magazzini commerciali, Zarina è una studentessa modello in una elitaria scuola tedesca. La sua passione è il balletto, e una rapida carriera al Teatro dell’Opera di Alma Ata culmina nell’interpretazione in una produzione del Romeo e Giulietta di Sergey Prokofiev.
Tramite parenti di Grozny, entra in contatto con la guerriglia cecena, ne sposa un dirigente e – dopo la morte del marito nel 1999 – passa, con altre «vedove nere», al terrorismo. Zarina Alikhanova assomiglia molto agli esponenti della borghesia palestinese o araba che troviamo in Hamas o in Al Qaida, e molto poco allo stereotipo della contadina disperata. L’idea secondo cui le cause del terrorismo suicida sono prevalentemente economiche è semplicemente un’ulteriore manifestazione – smentita però dai fatti – del vecchio pregiudizio di origine marxista secondo cui i fenomeni che si presentano come religiosi non sono «veramente» tali, ma devono per forza avere cause di tutt’altra natura. Non è così. Gli attentati di Mosca non sono frutto dell’economia ma dell’ideologia. Di una dottrina di morte che forse non è più di moda denunciare in Occidente, ma che continua a essere predicata nelle moschee ultra-fondamentaliste del mondo intero, Italia compresa. E che continua a uccidere.
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