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L’irrompere sulla scena del caso di Eluana Englaro pare aver colto di sorpresa l’opinione pubblica.
Evidentemente il dibattito parlamentare sulle dichiarazioni anticipate di trattamento non aveva ancora investito tutti gli strati della società per la mancanza di un caso concreto con cui confrontarsi. Ora invece il dilemma, nei suoi crudi contorni, non è più astratto, ha il volto di una giovane donna, gravemente disabile, per la quale bisogna decidere se possano essere interrotte l’alimentazione e la nutrizione, con l’inevitabile conseguenza di decretarne la morte.
Tuttavia, il dibattito sulle 'decisioni di fine vita' viene da lontano e sembra disegnare, per la Terri Schiavo italiana e per molte altre persone nelle sue condizioni dopo di lei, quasi la cronaca di una morte annunciata.
La possibilità di anticipare la fine delle persone il cui trattamento viene ritenuto futile (perché la loro stessa vita è ritenuta ormai priva di significato) incominciò a proporsi a livello internazionale nel 1986, quando l’American Medical Association trasformò l’alimentazione e l’idratazione assistite da cura di base a trattamento medico, rifiutabile dal paziente o da chi lo rappresenta legalmente. La prima applicazione della nuova definizione si ebbe nel 1990 con la messa a morte di Nancy Cruzan, una giovane in stato vegetativo.
In Italia, un piccolo, ma agguerrito gruppo di opinione, nel quale spiccano il magistrato Amedeo Santosuosso e il neurologo Carlo Alberto De Fanti, ha perseguito tenacemente negli anni una via mirante a penetrare lentamente i codici di deontologia medica e a riconoscere giuridicamente il valore assoluto del principio di autodeterminazione del paziente e la piena potestà del legale rappresentante, anche quando sono in gioco la vita e la morte del soggetto rappresentato.
Il gruppo ha trovato un primo significativo riconoscimento nel 2000, quando Veronesi installò una commissione ministeriale di quattro membri, presieduta da Fabrizio Oleari e della quale faceva parte lo stesso giudice Santosuosso. Questa Commissione Oleari, rifacendosi a un orizzonte di letteratura molto limitato, costituito per un terzo da citazioni dei membri (Santosuosso e Manfredi) e da articoli apparsi sulla rivista Bioetica (uno dei quali di De Fanti) non esitò a concludere che 'l’idratazione e la nutrizione artificiali degli individui in Stato Vegetativo Permanente possono essere interrotte dopo che la Commissione medica abbia accertato la condizione di irreversibilità', e che è necessario 'considerare valido criterio orientativo delle decisioni la volontà precedentemente espressa e ricostruibile attraverso testimonianze o in documenti'.
Molte cose sono cambiate da allora. I gruppi di ricerca di Cambridge, del New Jersey e di Liegi hanno sollevato molti dubbi sulla completa abolizione della coscienza nei pazienti in stato vegetativo. La neuropatologia delle lesioni si è dimostrata molto variabile.
Clamorosi risvegli a distanza di anni dal trauma hanno portato ad abbandonare il concetto di 'permanente' per la condizione di stato vegetativo. La ricerca scientifica e gli studi sugli anencefalici sopravvissuti sembrano indicare un ruolo nei meccanismi della coscienza anche per il tronco dell’encefalo.
Ciò che non è cambiato è il disegno del gruppo bioetico-giuridico milanese che è riuscito a fare qualche breccia nella stessa Federazione degli Ordini dei Medici e che sembra aver fornito il canovaccio per la sentenza che condanna a morte lenta Eluana. Infatti, trascurando ogni fatto nuovo, la Corte di Appello di Milano si è appiattita sul testo della Commissione Oleari, riportandone integralmente molte pagine e definendola 'organo tecnico di primario livello' (nonostante di essa facesse parte un solo clinico), oltre che sulla relazione, estesamente citata, di De Fanti (definito 'neurologo di chiara fama').
Peraltro, la Corte d’Appello si è limitata ad applicare la sentenza della Cassazione del 2007, senza sentire il bisogno d’ulteriori accertamenti.
Si chiude così un circuito autoreferenziale che, a partire da un ristretto gruppo di pressione e scavalcando il Parlamento, sta introducendo in Italia l’eutanasia per omissione. La Convenzione di Oviedo afferma che 'nessun intervento può essere effettuato su una persona incapace se non in vista di un diretto beneficio per essa'.
Dimenticarlo oggi per Eluana può preannunziare la fine anche per altri soggetti in condizioni di estrema fragilità.
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