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PRESEPE 4
Se si mette la moschea nel presepe...
di Domenico Bonvegna

Quando la Chiesa attacca se stessa.

Che la Chiesa Cattolica sia sotto tiro di un certo fondamentalismo laicista l'abbiamo scritto più volte, ma che l'attacco avvenga ad opera dei suoi stessi ministri, fa un certo effetto. Il Giornale per primo ha dato la notizia di un sacerdote genovese, don Prospero Bonzani, che ha messo la moschea nel suo presepe.
Un episodio isolato, pare di no, a Bergamo, monsignor Attilio Bianchi ha tolto dal presepe il bambinello, o, meglio, c'è ma è fuori dalla grotta, per provocazione nei confronti dei fedeli che non si prendono cura degli immigrati: «Gesù non ha paura di avvicinarsi agli emarginati, agli ultimi. E se non si sa accogliere lo straniero, non si può accogliere Gesù Bambino». Quindi, niente bambinello nella grotta. La parrocchietta di Santa Lucia del capoluogo lombardo dev'essere stata la sola chiesa cattolica al mondo dove, la mezzanotte del 24 dicembre, Gesù non è nato. Meglio: gli è stato impedito di nascere. E non da un infedele, da un imam islamico integralista o da un miscredente seguace di Erode: Ci voleva un prete, un ministro della Chiesa cattolica - scrive Luigi Santambrogio su Libero - per fare ciò che neppure a re Erode era riuscito.
Due casi isolati? Non è così. Le moschee nei presepi, ormai, sono la normalità. Quando abbiamo dato per primi la notizia del sacerdote genovese che aveva messo una moschea nel suo presepe, non avremmo mai pensato che non si trattasse di un caso isolato. E invece.
Invece, in pochi giorni, la moschea all'interno del presepe è diventata una specie di simpatica tradizione. Ce n'è una a Venezia, un'altra a Sestri Levante, un'altra ancora chissà dove. Come se, insieme a buoi, asinelli, pastori, don Giuseppe e Marie, fosse obbligatorio metterci anche un minareto. (Massimiliano Lussana, Quando l'attacco alla Chiesa arriva dalla Chiesa, 28.12.08 Il Giornale).
Questi sono i fatti, ora, se la Chiesa e la religione sono sotto attacco, che parte dall'Onu, all'Unione Europea, per finire ai media e al politicamente corretto come unico metro di valore e di pensiero, sarebbe il caso che i suoi ministri non si accodassero a quest'opera di demolizione sistematica delle nostre radici e delle nostre tradizioni. Di fronte al tradimento dei chierici, bisogna registrare la reazione dei semplici fedeli, in particolare quelli della parrocchia di Nostra Signora della Provvidenza di Genova, hanno protestato con la Curia, costringendo il parroco a rimuovere la moschea, mettendo il Vangelo nel presepe.
Ma il parroco non si dà per vinto, ha sì tolto la moschea per mettere il Vangelo: ma del Vangelo ha evidenziato una frase in cui Gesù condanna chi respinge lo straniero. L'intento del parroco è evidente: tacciare di xenofobia, o meglio di razzismo, il vescovo e i fedeli che non hanno voluto la moschea.
"E questo è l'aspetto peggiore della vicenda: l'ipocrisia di gabellare una moschea nel presepe per segno di accoglienza verso la straniero. È chiaro che il cristiano ha il dovere di accogliere ed amare tutti, anche se sono atei, anche se professano altre fedi, perfino se sono seguaci di una religione di conquista. Ma il cristiano distingue la persona dalle idee e dalle fedi. Dà da mangiare all'islamico, ma non dice - non può dire - che Gesù e Maometto sono la stessa cosa, che il Dio padre dei cristiani è uguale al Dio padrone dei musulmani (per chi non lo sapesse, «musulmano» vuol dire «sottomesso»). La moschea nel presepe è una forma di sincretismo religioso, un pasticcio teologico e ancor di più storico, un minestrone di culti mescolato in omaggio alla melassa buonista di gran moda". (Michele Brambilla, Quando il prete non fa il prete, 30.12.08 Il Giornale).
Questi episodi sono la prova che da qualche tempo in tante diocesi, seminari, facoltà teologiche, parrocchie sta dilagando una cultura relativista e sincretista. Per tacere di programmi pastorali che invocano la costruzione di una moschea per quartiere.
Fatta salva, la buona fede dei tanti don Prospero e don Bianchi in servizio effettivo e permanente, più che da un atteggiamento offensivo, le loro iniziative sono originate probabilmente da una debolezza, da un'insicurezza. È il vedere che il mondo scappa via, che le chiese si svuotano, che i media parlano un linguaggio diverso: è tutto questo, forse - scrive Brambilla - che li spinge a cercare di recuperare terreno inseguendo le mode del momento; che li spinge a cercare l'applauso facile del politico progressista, del giornalista illuminato, del sindacalista impegnato.
Ma la storia, anche recente, della Chiesa dovrebbe avere insegnato ai tanti don Prospero e ai tanti don Abbondio dei giorni nostri che chi sposa le mode rimane presto vedovo, com'è capitato ai tanti confratelli che credevano di essere all'avanguardia sventolando la bandiera rossa, e che un giorno si sono trovati, improvvisamente, tra i rottami della storia.

 
Fonte: 31 dicembre 2008