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Continua la diffusione attraverso i mass media di false informazioni sulla legge 194 del 1978. E’ un vero e proprio filone mitologico, che tende ad accreditare un’interpretazione fantasiosa della legge sull’aborto. Interpretazioni che fanno a pugni con la realtà delle cose, e che sentiamo il dovere di smascherare. In fondo, la nostra associazione si chiama “Verità e Vita”, non “Falsità e aborto”.
Dunque, dicevamo, ecco diffondersi da alcune settimane una nuova leggenda aurea, secondo cui la 194 non ammetterebbe una selezione eugenetica dei figli. Lo scrive ad esempio Avvenire del 25 gennaio scorso, in un editoriale che giustamente attacca il professor Veronesi (favorevole all’eliminazione degli embrioni difettosi). Nello stesso articolo, però, si può leggere che “nella normativa italiana del dopoguerra l’eugenetica non è mai stata introdotta: non la prevede la legge 194 che regolamenta l’aborto, e neppure la legge 40.”
Ora, qui si tratta di ristabilire la realtà dei fatti. La legge 194 prevede che, dopo i primi novanta giorni, l’aborto possa essere praticato con delle restrizioni. Fra l’altro, si può abortire se le condizioni patologiche del nascituro possono costituire un pericolo per la salute psico-fisica della madre. Si tratta di un abile escamotage tecnico giuridico, attraverso il quale il legislatore ha evitato la censura della Corte costituzionale. Se la 194 avesse dichiarato direttamente che i figli “tarati” sono eliminabili, avrebbe contraddetto il fondamentale principio di eguaglianza.
Ma si tratta, appunto, di una foglia di fico. Che può ingannare solo i buontemponi o le persone in mala fede.
Qualche domanda scomoda. A chi sostiene che la 194 “non è eugenetica” vorremmo rivolgere alcune semplici domande:
Qual è l’elemento oggettivo che legittima l’intervento abortivo nei casi di malattia del nascituro? Non è forse proprio la patologia del concepito? E’ a partire dall’accertamento di questo fatto che la legge “sdogana” l’uccisione del malato non ancora nato.
Da anni gli ambienti cattolici e pro life lamentano – giustamente – la diffusione di un uso eugenetico della diagnostica prenatale. Si dice: l’ecografo e le altre tecniche predittive sono usate per scoprire ed eliminare i concepiti down, o talassemici, o focomelici, o affetti da nanismo. Tutto tragicamente vero. Domanda: ma come sarebbe possibile questa prassi, se in Italia fosse in vigore una legge che impedisce realmente una discriminazione eugenetica? L’ecografista dice alla donna: “Signora, con questa patologia è meglio per suo figlio non nascere.” Parla sapendo che la legge lo consente, oppure sta violando la 194?
Caso clinico: un concepito di quattro mesi, sano, non può essere abortito a norma della 194; suo fratello gemello, portatore della sindrome di down, può essere soppresso a norma delle 194. Qualcuno può spiegarci come questo dato di realtà sia compatibile con l’affermazione “la legge 194 non è eugenetica”? Qualcuno può soprattutto spiegarlo al concepito che verrà abortito? C’è qualcuno che onestamente può dirgli: “Sai, ti abbiamo eliminato, ma non perché eri ammalato… Abbiamo dovuto farlo perché minacciavi la salute della tua mamma”.
Una volta stabilita per legge la generica e assolutamente aleatoria categoria del “pericolo per la salute psico-fisica”, quale giudice, o collegio medico, o esperto di scienze umane potrebbe affermare che la nascita di quel particolare figlio malato non provocherà un danno alla salute della donna? E’ una missione praticamente impossibile. Con il che se ne ricava la sintesi giuridica e quindi pratica: la 194 intende dire che, quando la donna ritiene insopportabile per lei l’idea di avere un figlio handicappato, può abortire. Questa non è eugenetica? E allora, come vogliamo chiamarla?
Donna, tutto si fa per te.
Giuliano Ferrara, nell’ambito della sua moratoria, insiste giustamente sulla vergogna costituita dall’aborto praticato in alcune regioni del mondo per eliminare figli di sesso femminile. Ha ragione: una vera vergogna. Proviamo allora a fare un esperimento. Mettiamo che una madre italiana – magari sotto la pressione di un ambiente rurale ancora retrivo e ottusamente maschilista - chieda l’aborto dopo il terzo mese, perché ha scoperto che aspetta una bambina. “Ho già cinque figlie femmine – dice lei – e qua in campagna abbiamo bisogno di braccia maschili. Un’altra donna non ce la voglio. Metterebbe in crisi la mia salute psico-fisica.”
Ovviamente, di fronte a un ragionamento del genere tutta l’opinione pubblica si solleverebbe, i medici si straccerebbero il camice, e tutti insieme appassionatamente – pro life, neo pro life, pro choice, e pro domo sua – urlerebbero scandalizzati. Per quale motivo? Perché il sesso del nascituro non è considerato un motivo serio per abortire. Anzi, sarebbe giudicata un’odiosa discriminazione. La donna rurale si arrangi: dovrà farsi passare le sue paturnie e tenersi la figlia femmina.
Se però la stessa donna avesse detto: “non voglio far nascere quella figlia femmina, perché in quanto femmina ha molte più probabilità di sviluppare una certa patologia ereditaria”, allora non ci sarebbe nulla da ridire. E la 194 potrebbe dispiegare le sue umanitarie potenzialità. Questa non è eugenetica? E che cos’è, allora?
Il paradosso della suocera:
per capire davvero che cos’è la legge 194, bisogna ricorrere a un espediente: sostituire il concepito con qualche altro soggetto umano. Ad esempio, la suocera. Sarebbe una legge strana: ma – qualcuno vi potrebbe obiettare - necessaria per eliminare la piaga della eliminazione clandestina delle suocere, di cui nessuno parla.
Proviamo a immaginare che la legge 194 del 2008 disciplini “Norme per la tutela della suocera e per la regolamentazione della sua vecchiaia”. Avremmo una legge così concepita:
“Art. 1. Lo Stato riconosce il valore della vecchiaia fino alla sua fine, e promuove una gestione responsabile degli anziani.
L’eliminazione della suocera non può essere attuata per antipatia personale o per motivi ereditari.
Art. 2 Quando la suocera ha più di 95 anni, la sua soppressione può essere autorizzata sulla base della semplice richiesta del genero, o di altri parenti e affini interessati.
Il certificato viene rilasciato da un consultorio familiare o dal medico curante. Il genero o il parente ha sette giorni di tempo per riflettere, dopo di che può ottenere la prestazione.
Le linee guida del Ministero della Salute stabiliranno i casi di urgenza, in cui non sarà necessario attendere i sette giorni.
Art. 3 Quando la suocera ha meno di 95 anni, la sua soppressione può essere autorizzata soltanto se, a causa della condizione patologica, degli handicap, delle infermità, o del suo pessimo carattere, la sua presenza costituisca un serio pericolo per la salute psico-fisica del genero o di altri parenti e affini interessati.
Art. 4 Lo Stato promuove le iniziative volte all’assistenza del genero (o di altri parenti e affini interessati), miranti soprattutto a rimuovere le cause per cui intende procedere alla soppressione della suocera, senza tuttavia esercitare alcuna pressione psicologica sulla sua libera scelta.
Art. 5 La figlia della suocera potrà essere sentita con valore meramente consultivo, solo se il genero lo ritiene opportuno.
Art. 6 Nel caso in cui la soppressione della suocera avvenga fuori dai casi previsti dalla presente legge, i medici e il personale sanitario sono puniti con la reclusione fino a cinque anni. Il genero è punito con una tirata d’orecchie, e con l’obbligo di appendere in ufficio una foto a colori della suocera.
(…)
Di fronte a una legge come questa, quale sarebbe la prima idea che vi viene in mente? Applichiamo le sue parti buone. Oppure: è una legge che nasce con buone intenzioni. O ancora: cribbio, ma questa non è affatto una legge eugenetica.
Meditate, gente. Meditate.
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