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IL FILM ''THE SOCIAL NETWORK'' FA EMERGERE I LIMITI, MA ANCHE LE POTENZIALITA' BUONE DI FACEBOOK (TUTTO DIPENDE DA COME SI USA)
L'amicizia su Facebook non riempie il cuore, può generare compulsione, rende difficili i rapporti veri e il relazionarsi con le persone fisiche
di Annarita Petrino

Facebook: il social network per eccellenza, quello con l’iniziale maiuscola, quello che ha superato concorrenti del calibro di myspace e friendster e che al momento vanta solo pallide imitazioni... Perché ha qualcosa in più di tutti gli altri messi insieme. E quale sia questa marcia in più, lo spiega perfettamente il film The Social Network, nelle sale in questi giorni. La pellicola, diretta da David Fincher, sceneggiata da Aaron Sorkin - che ha adattato per il grande schermo il libro di Ben Mezrich Miliardari per caso - L'invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento (Sperling & Kupfer) - narra la storia di Mark Zuckerberg, il giovane “genio del web” che ha di fatto ideato e realizzato Facebook.
The Facebook, come veniva chiamato all’inizio della grande avventura, non è stato creato per nobili scopi, ma per dare ai giovani universitari la possibilità di rintracciare le ragazze conosciute durante le feste e rimediare qualche avventura sentimentale. Dall’idea originale lo sviluppo del progetto è andato contro ogni possibile immaginazione dei primi utenti e persino dello stesso ideatore, che ha avuto il merito di mettere in contatto milioni di persone in tutto il mondo con un solo click attraverso uno strumento potentissimo, lo stesso che ha saputo incatenare una buona parte di questi milioni agli schermi del loro pc, cellulare o iphone.
L’icona della situazione di molti di questi utenti, probabilmente, è quella dell’ultima scena del film in cui Mark siede da solo davanti al suo pc, chiede l’amicizia alla sua ex fidanzata e comincia a fare continui refresh per controllare se l’amicizia è stata accettata. È un’immagine, quest’ultima, di profonda solitudine, ma anche di compulsione nel ricercare in rete un rapporto, che in qualche modo soddisfi il naturale desiderio di socialità e relazionalità insito nel cuore dell’uomo. Tutto questo iniziò diversi anni fa - prima ancora che una realtà come quella di Facebook potesse anche solo essere immaginata - con il lancio della rete, delle chat line e delle “stanze” (virtuali si intende...) in cui poter parlare. Ci fu poi un’evoluzione delle “stanze” in luoghi come My Space, appunto, e blog vari dove poter condividere con gli utenti della rete le proprie passioni, foto, video e informazioni varie su di sé. E ora siamo arrivati a Facebook, dove l’amicizia compulsiva viene scatenata dalla voglia irrefrenabile di cercare “vecchi” amici, o comunque di poter accedere a quelle informazioni di profilo e alla bacheca, non pienamente visibili se non a chi è “amico” di quella persona.
L’accettazione dell’amicizia, comunque, non riempie il cuore, genera solo altra compulsione, rende difficili i rapporti veri e il relazionarsi con le persone fisiche. Non a caso il film dipinge l’ideatore di Facebook, come una persona estremamente sola che non ha un solo vero amico nel mondo reale.
La patologia, dunque, prende piede fino a riempire gli studi psichiatrici di gente ormai incapace di disconnettere il cervello da quel mondo virtuale, fino ad arrivare alle notizie più drammatiche, come quella rimbalzata di recente in rete, la storia di Alexandra V. Tobias, una donna americana di 22 anni, che si è dichiarata colpevole di omicidio di secondo grado per aver ucciso suo figlio, di soli tre mesi. Era arrabbiata perché il bambino continuava a piangere, disturbandola mentre lei stava giocando a FarmVille, uno dei giochi della Zynga più popolari di Facebook. La causa di queste patologie o di queste azioni non sembra stare nei giochi o nel social network in sé, quanto nella debolezza della mente umana, ormai sempre più incapace di gestirsi da sola. Insomma non possiamo incolpare Mark Zuckerberg, per avere usato la sua genialità per mettere a punto uno strumento potentissimo che, come una bomba atomica, ha colpito milioni di persone con svariati effetti.
Oltre agli aspetti negativi, infatti, è innegabile che l’avvento di Facebook ha radicalmente cambiato il modo di connettersi alla rete e di interagire. Anche se le amicizie sono virtuali, tra queste possiamo trovare tanti amici che si è avuto modo di incontrare veramente e magari di rintracciare dopo tanto tempo. La possibilità di sentirsi, nonostante la distanza e le diverse strade lungo le quali la vita ci conduce, permette di consolidare qualcosa di vero e autentico. Non è da escludere nemmeno l’eventualità che possa nascere un’amicizia vera e autentica direttamente sulla rete, tra persone che non hanno la reale possibilità di incontrarsi. A loro Facebook permette quella condivisione di foto, ricordi, pensieri e passioni, tipica di una chiacchierata tra amici. L’aggiornamento delle notizie in tempo reale da parte degli utenti, rende Facebook più veloce di qualsiasi mezzo di comunicazione di massa e, allo stesso tempo, permette una veicolazione di quelle idee che sono legate al libero pensiero, proprio perché sono gli utenti e non i mass media a metterle in rete. Questa libertà di espressione diviene, quindi, un’arma potentissima in un mondo dove la circolazione delle idee sta lentamente, ma inesorabilmente tornando alle catene di un tempo. In quei Paesi dove essa non è mai stata liberata, come l’Iran e la Cina, infatti, Facebook è stato censurato. I numerosissimi gruppi di discussione sono diventati le nuove “piazze”, questa volta virtuale nei cui angoli si riuniscono le persone con gli stessi interessi, per stimolare quella creatività e quello spirito di iniziativa che è dono inestimabile di ogni persona.
Come tutti i mass media anche Facebook mette delle grosse responsabilità sulle spalle di chi lo usa. La circolazione delle idee è un’arma a doppio taglio e chiunque intenda farlo, farebbe bene prima a fare appello alla sua coscienza.

 
Fonte: L'Ottimista, 24 Novembre 2010