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All’alba del 1° dicembre del 1970, al termine di una tra le più lunghe sedute nella storia del Parlamento italiano, il presidente della Camera dei deputati, il socialista Sandro Pertini, annunciò l’approvazione definitiva della contrastata proposta di legge Fortuna-Baslini che prevedeva l’introduzione dell’istituto del divorzio. La legge fu approvata sotto il governo di centro-sinistra, presieduto dal democristiano Emilio Colombo.
La controversa vicenda parlamentare che portò alla legalizzazione del divorzio e al successivo referendum abrogativo della legge si svolse complessivamente nell’arco di un decennio, tra il 1965 ed il 1974, e venne a coincidere in larga parte con il pontificato di Paolo VI. Giovanni Battista Montini era infatti Papa da due anni quando, il 1° ottobre del 1965, il deputato del Patito socialista Loris Fortuna presentò alla Camera dei deputati il suo progetto di legge sull’istituzione del divorzio.
Il sen. Guido Gonella, uno dei fondatori della Democrazia cristiana, ricorda così l’episodio: «Colombo rimprovera ai divorzisti di aver anteposto la difesa radicale del divorzismo alle esigenze della “solidarietà democratica”. È proprio quello che dovevamo fare noi dal primo momento: sacrificare anche i Governi, pur di impedire l’approvazione della legge Fortuna. E questo è stato un errore imperdonabile. Nell’ulteriore esame delle cause dell’insuccesso della nostra politica di lotta contro il divorzio, si possono elencare vari elementi negativi.
In primo piano va posta la politica dei Governi, presieduti da democristiani e con la maggioranza di ministri democristiani. Nella costituzione dei Governi di Centro-sinistra mai si pose come condizione inderogabile o la rinuncia all’istanza divorzista o almeno un rinvio della richiesta di approvazione della proposta di divorzio sostenuta dagli altri partiti del Centro-sinistra.
Quando veniva maturando la fase di approvazione delle legge, mai i Governi minacciarono le dimissioni mentre si dimisero più volte per modesti motivi, come, per esempio, per un dissenso sulla risposta da dare al Fondo monetario internazionale circa un prestito già ottenuto.
È un luogo comune della democrazia parlamentare che, per fronteggiare ciò che di negativo può avere l’assemblearismo, spetta al Governo la guida delle iniziative parlamentari di fronte alle quali il Governo normalmente prende posizione orientando in tal modo la maggioranza parlamentare. Invece, sul tema del divorzio i governi democristiani adottarono una pilatesca politica di neutralità che giovò ai divorzisti, poiché con questa abdicazione alle responsabilità governative, la maggioranza democristiana del Governo non era più in grado di esercitare alcuna influenza sul Parlamento.
Il divorzio è il capolavoro di dodici anni di Centro-sinistra. È la legge più importante che passerà alla storia per qualificare questo periodo. Il divorzio appartiene al Centro-sinistra. Si addice al Centro-sinistra. Nel Parlamento e nel Paese la Dc ha ben combattuto: ma ha perduto. La sua responsabilità è di aver cercato alleati senza preliminarmente dire ad essi che non si toccava il principio dell’indissolubilità del matrimonio. Poteva essere questa una condizione da porsi all’inizio di ogni nuova esperienza governativa. Noi lo dicemmo. E ripetutamente. Ma non fummo mai ascoltati. Alla fine si è pagato un prezzo così alto» (cfr. R. de Mattei, Il Centro che ci portò a sinistra, Edizioni Fiducia, Roma 1994, pp. 42-44).
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